direi che stiamo facendo una certa confusione di fondo. quei diritti sono fondamentali perchè non vengono concessi, ma preesistono (o meglio è la spiegazione che viene data) alla forma statale, che semplicemente li riconosce come esistenti. è chiaro che una diversa forma di stato potrebbe non riconoscere tali diritti...
diciamo che in occidente vengono definiti fondamentali (non universali, che implicherebbe il riconoscimento in ogni angolo del mondo) perchè sono unanimemente condivisi da tutte le nazioni occidentali. non lasciamoci fuoriviare dai nomi delle DICHIARAZIONI UNIVERSALI, quell'etichetta universale non implica una effettiva generalità, ma una speranza...
al fine del discorso è del tutto indifferente che gli Stati concedano o meno tali diritti, o elaborino le loro teorie.
Io ne sto parlando da un punto di vista antropologico/filosofico, non giuridico. Parliamo di diritti assoluti e universali? bene, partiamo prima dagli atteggiamenti, dai comportamenti umani.
Domanda: esistono atteggiamenti che accomunano ogni uomo, in ogni tempo, in ogni parte del mondo? Secondo me sì, e sono quei 4 che ho elencato.
Tutti gli altri atteggiamenti, come autoconservazione, proprietà, eguaglianza, benessere, non sono universali, perchè vengono volontariamente contrastati a seconda delle epoche e delle culture (sacrifici umani volontari, classisimo, schiavitù, rinuncia volontaria ai propri beni eccetera).
Possiamo dire che sono atteggiamenti molto diffusi, ma non universali.
Al contrario "sopravvivere e/o rifuggire il dolore e/o ricercare il piacere, associarsi e regolare tali associazioni, livello massimo di sopportazione del dolore" caratterizzano nello stesso modo ogni uomo in ogni tempo e luogo. In questo senso sono comportamenti universali.
Adesso entra in gioco lo Stato: se lo Stato deciderà di riconoscere i comportamenti universali, e tutelarli, non vedo perchè non possano essere definiti a buon diritto "diritti universali", proprio in quanto auto-evidenti, accettati da tutti, visti da ogni individuo come giusti e meritevoli di tutela verso se stessi.
Attenzione, la chiave è verso sè stessi.
Non c'è individuo al mondo che non voglia essere tutelato nei quattro comportamenti di cui sopra . Quindi sono universali, assoluti o come li si voglia chiamare.
Ovviamente questa è la mia personale visione dei diritti universali, e contrasta in parte con quella ufficiale, nondimeno, nella mia insopportabile superbia :lol: ritengo sia una visione più logica e attinente alla realtà... forse meno ottimistica
Non ho capito se quindi tu sei per il concedere i diritti che citi qui sopra oppure no.....
certo che sono per il concederli, ma non li definirei universali, proprio perchè non sono comuni a ogni uomo in ogni tempo e luogo.
Interessante il tuo ragionamento anche se ti consiglio di mettere un po' di ordine tra le varie qualificazioni che dai al diritto (assoluto, universale, ecc.); cioè non puoi dire che per te i diritti assoluti (tanto per fare un esempio) non esistono partendo da una definizione errata dei diritti assoluti che costituiscono una categoria avente una precisa qualificazione giuridica comunemente riconosciuta, perlomeno negli ordinamenti occidentali.
Tornando al tuo discorso originario, io addirittura sarei ancora più rigoroso di te. Partendo dal presupposto, infatti, che i tutti diritti (o le pretese) devono obbligatoriamente trovare una disciplina e, quindi, presuppongono già una forma di aggregazione tra individui, indicherei come unico diritto (che, a questo punto definirei più come una _esigenza_) quello alla sopravvivenza, che rappresenta l'istinto fondamentale che da' impulso alla aggregazione e via via alla definizione di ognuna di queste aggregazioni dalla più piccola (circolo di biliardo) alle più complesse (UE).
Per questo parlare di diritti universali (che valgono, cioè, per tutti gli uomini) per me non ha molto senso. A meno che tu non voglia fare riferimento alla dichiarazione universale dei diritti umani che però ha una funzione differente.
Del resto è un tema che ha appassionato generazioni di filosofi e giuristi contrapponendo sin dall'antichità giusnaturalisti e positivisti.
Nella disputa quello il cui pensiero mi incuriosì di più fu Hobbes, il quale (se ricordo bene) non viene ritenuto un vero giusnaturalista proprio perchè considerava come diritto naturale solo quello esistente tra gli uomini che convivono senza contratto sociale (allo stato di natura, appunto).
cioè non puoi dire che per te i diritti assoluti (tanto per fare un esempio) non esistono partendo da una definizione errata dei diritti assoluti che costituiscono una categoria avente una precisa qualificazione giuridica comunemente riconosciuta, perlomeno negli ordinamenti occidentali.
In natura esistono atteggiamenti, pretese "assolute" (assoluto=comune ad ogni uomo=universale); nel momento in cui questi atteggiamenti universali vengono tutelati, a mio parere si potrebbero anche definire diritti universali.
Quando pretese comuni ad ogni uomo non rimangono semplicemente pretese individuali, ma vengono poste come regole fondanti di una comunità, come definirli se non diritti universali?
N.B. Universali nel senso che ad ogni uomo appaiono come giusti/autoevidenti/accettabili se rapportati a sè stessi.
E non anche rapportati verso gli altri, come invece lascia intendere la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Questo è il punto cruciale: ogni uomo (e quindi universalmente) accetterà la tutela dall'essere accecato con spilloni arroventati, ma non è detto che riconosca questa tutela anche ad altre persone.
Qui sta il limite della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: invece di limitarsi a riconoscere che ogni uomo ha determinate pretese per sè, vuole farci credere che riconosca queste pretese anche ad altri.
Spesso è così, ma non è la regola. Quindi niente "universalità"
io addirittura sarei ancora più rigoroso di te. Partendo dal presupposto, infatti, che i tutti diritti (o le pretese) devono obbligatoriamente trovare una disciplina e, quindi, presuppongono già una forma di aggregazione tra individui, indicherei come unico diritto (che, a questo punto definirei più come una _esigenza_) quello alla sopravvivenza, che rappresenta l'istinto fondamentale che da' impulso alla aggregazione e via via alla definizione di ognuna di queste aggregazioni dalla più piccola (circolo di biliardo) alle più complesse (UE).
l'istinto alla sopravvivenza è potente, diciamo anche il più potente, ma non così potente da sottomettere la ricerca del piacere o la fuga dal dolore.
Capita spesso infatti che gli uomini mettano consapevolmente a rischio o addirittura rinuncino alla propria sopravvivenza pur di ricercare un piacere (mantenere la propria fede; salvare la patria) o sfuggire al dolore (suicidio)
Questi ultimi due atteggiamenti sono comunque fondamentali per spiegare il fenomeno di aggregazione.
cioè non puoi dire che per te i diritti assoluti (tanto per fare un esempio) non esistono partendo da una definizione errata dei diritti assoluti che costituiscono una categoria avente una precisa qualificazione giuridica comunemente riconosciuta, perlomeno negli ordinamenti occidentali.
In natura esistono atteggiamenti, pretese "assolute" (assoluto=comune ad ogni uomo=universale); nel momento in cui questi atteggiamenti universali vengono tutelati, a mio parere si potrebbero anche definire diritti universali.
Quando pretese comuni ad ogni uomo non rimangono semplicemente pretese individuali, ma vengono poste come regole fondanti di una comunità, come definirli se non diritti universali?
N.B. Universali nel senso che ad ogni uomo appaiono come giusti/autoevidenti/accettabili se rapportati a sè stessi.
E non anche rapportati verso gli altri, come invece lascia intendere la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo.
Questo è il punto cruciale: ogni uomo (e quindi universalmente) accetterà la tutela dall'essere accecato con spilloni arroventati, ma non è detto che riconosca questa tutela anche ad altre persone.
Qui sta il limite della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: invece di limitarsi a riconoscere che ogni uomo ha determinate pretese per sè, vuole farci credere che riconosca queste pretese anche ad altri.
Spesso è così, ma non è la regola. Quindi niente "universalità"
I diritti assoluti sono già definiti. Se tu vuoi prendere una cetegoria di pretese e definirla "diritti assoluti" tale definizione varrà soltanto per te, a meno che non venga riconosciuta dalla dottrina giuridica; se, invece, vuoi definirli universali fai pure...anche se il concetto universalità mi sembra troppo forte proprio perchè non contempla l'eccezione.
Forse che non esistono uomini che rinunciano volontariamente al piacere? oppure che - di contro - si autoinfliggono dolore per un qualsiasi recondito motivo?
l'istinto alla sopravvivenza è potente, diciamo anche il più potente, ma non così potente da sottomettere la ricerca del piacere o la fuga dal dolore.Capita spesso infatti che gli uomini mettano consapevolmente a rischio o addirittura rinuncino alla propria sopravvivenza pur di ricercare un piacere (mantenere la propria fede; salvare la patria) o sfuggire al dolore (suicidio)
Questi ultimi due atteggiamenti sono comunque fondamentali per spiegare il fenomeno di aggregazione.
Appunto, lo hai detto tu stesso sono atteggiamenti che spiegano (e giustificano) l'esigenza di aggregazione. L'esigenza di sopravvivenza, invece, può anche prescindere da ciò: classico esempio dello sfigato su un'isola deserta.
I diritti assoluti sono già definiti. Se tu vuoi prendere una cetegoria di pretese e definirla "diritti assoluti" tale definizione varrà soltanto per te, a meno che non venga riconosciuta dalla dottrina giuridica; se, invece, vuoi definirli universali fai pure...anche se il concetto universalità mi sembra troppo forte proprio perchè non contempla l'eccezione.
ho capito, ma io non usavo il termine diritto "assoluto" in quanto tutelato dall'ordinamento erga omnes, ma come sinonimo di universale... capisco però che possa causare confusione, quindi lasciamo perdere il termine assoluto e usiamo solo universale...
allora, rifaccio tutto il discorso sperando di essere più chiaro, magari partendo alla lontana.
Ogni individuo è mosso dalle stesse pulsioni fondamentali; tali pulsioni possono riassumersi in sopravvivere e/o evitare il dolore e/o ricercare il piacere.
Dico e sottolineo e/o perchè ognuna di queste pulsioni, se abbastanza forte, può inibire le altre due (es. eutanasia: il rifiuto del dolore inibisce la sopravvivenza; smettere di fumare: la paura del dolore inibisce la ricerca del piacere; il dolore per la solitudine spinge il naufrago a gettarsi giù dalle scogliere, ecc)
Ogni individuo, per meglio realizzare queste sue pulsioni, tende a formare gruppi sociali più o meno vasti, ad aggregarsi.
Tuttavia in questi gruppi sociali le varie pulsioni spesso confliggono; allora ogni gruppo sociale, in base alle pulsioni quantitativamente (tutti/molti vogliono votare; tutti/molti volgiono fare sacrifici umani) o qualitativamente (Berlusconi non vuole essere condannato/i grandi feudatari vogliono fare la guerra) più "forti", stabilisce delle regole (che possono essere le più varie) per massimizzare il soddisfacimento di tali pulsioni.
Infine, considerato il nostro sistema di nervi/recettori/ormoni/sinapsi, esistono esperienze fisiche che nessun individuo, ma proprio nessuno, riesce a sopportare (il rifiuto universale di certi livelli di dolore)
L'esempio più lampante è la tortura, ma potrebbero anche esserci situazioni psicologico umanamente insopportabili (mi vengono in mente le umiliazioni dei lager)
Riassumendo, è possibile identificare come atteggiamenti comuni ad ogni individuo in ogni tempo e luogo il sopravvivere e/o evitare il dolore e/o ricercare il piacere, l'aggregarsi in società (se possibile) e regolarle onde meglio soddisfare le pulsioni di cui sopra, e una soglia di dolore massima.
; quindi universali.
Ora, collegando il discorso all'ambito giuridico, non si potrebbe a buona ragione parlare di "diritti universali" la tutela di tali atteggiamenti?
In quanto, senza eccezioni, ad ogni uomo appaiono come giusti/autoevidenti/accettabili se rapportati a sè stesso.
Appunto, lo hai detto tu stesso sono atteggiamenti che spiegano (e giustificano) l'esigenza di aggregazione. L'esigenza di sopravvivenza, invece, può anche prescindere da ciò: classico esempio dello sfigato su un'isola deserta.
normalmente è come dici, ma ci sono delle eccezioni che impediscono che tale sia la regola.
Su un isola deserta la maggior parte delle persone cercherebbe di sopravvivere, ma può capitare che per qualcuno la solitudine sia insopportabile e si getti dalle scogliere...
insomma non si potrebbe spiegare ogni comportamento umano se non alla luce dell'istinto di sopravvivenza, e/o di fuga dall dolore e/o di ricerca del piacere.
Ho capito il tuo ragionamento; è sensato anche se a mio modesto avviso trova un ostacolo nel "senza eccezioni", per il semplice motivo che le eccezioni esistono a causa della complessità dei sentimenti umani derivante dall'uso dell'intelletto, che un animale 'semplice' non possiede; hai fatto tu stesso il caso del solitario suicida.
Nello specifico poi la categoria "evitare il dolore e/o ricercare il piacere" è troppo soggetta a fattori soggettivi: non è da escludere - come dicevo prima - il caso di un uomo che rifugge il piacere o che si fa infliggere (o, addirittura si autoinfligge) dolore.
Tutto sto sproloquio per dire che - imho - non esistono diritti _universali_ nell'accezione cioè che valgono per _tutta_ la razza umana. Nell'ambito di un'aggregazione, invece, possono esistere diritti che valgono per tutti i membri di quella aggregazione.
Nello specifico poi la categoria "evitare il dolore e/o ricercare il piacere" è troppo soggetta a fattori soggettivi: non è da escludere - come dicevo prima - il caso di un uomo che rifugge il piacere o che si fa infliggere (o, addirittura si autoinfligge) dolore
Questo non potrebbe però derivare dal fatto che il dolore genera in qualche modo piacere o soddisfazione? Anche escludendo i masochisti, chi si flagellava per fede lo faceva per una ricerca di spiritualità e di redenzione dovuta a qualcosa in cui credeva: lo faceva per provare dolore in sé, o perché si sentiva meglio a farlo (provando dolore) che a non farlo (provando vergogna, disagio, esclusione sociale, e in generale malessere, per non aver espiato, cercato la spiritualità, ecc.)? Si tratta quindi veramente di qualcosa che esce da quello schema?
ehm, bisogrebbe chiederlo a chi lo faceva... ^_^
scherzi a parte, già il fatto che siano possibili più alternativa comporta l'esclusione dallo schema di Balon.
Cioè, se ho ben capito la qualificazione di "universale" debba valere per tutti gli uomini, basta anche una sola eccezione all'interno di una qualsiasi delle categorie (tranne credo quella dell'associazionismo, in quanto è una conseguenza) elencate da Balon a negare la qualifica universale.
Ciò perchè - imho (ma potrei sbagliarmi in quanto so veramente poco di antropologia) - i comportamenti umani sono dettati da tante variabili (alcun ancora sconosciute all'esperienza stessa e, quindi, non classificabili) che li rendono relativi (nel senso di non universali); altrimenti dovremmo avere situazioni standard in cui si conosce a priori il comportamento umano in determinate circostanze.
In sostanza, se anche l'istinto di sopravvivenza (il più potente istinto umano) può venir meno (come nell'esempio dello stesso Balon) figuriamoci gli altri che ne sono un'emanazione.
scherzi a parte, già il fatto che siano possibili più alternativa comporta l'esclusione dallo schema di Balon.Cioè, se ho ben capito la qualificazione di "universale" debba valere per tutti gli uomini, basta anche una sola eccezione all'interno di una qualsiasi delle categorie (tranne credo quella dell'associazionismo, in quanto è una conseguenza) elencate da Balon a negare la qualifica universale.
Ciò perchè - imho (ma potrei sbagliarmi in quanto so veramente poco di antropologia) - i comportamenti umani sono dettati da tante variabili (alcun ancora sconosciute all'esperienza stessa e, quindi, non classificabili) che li rendono relativi (nel senso di non universali); altrimenti dovremmo avere situazioni standard in cui si conosce a priori il comportamento umano in determinate circostanze
Il mio dubbio è se sia veramente un'eccezione; nel senso, la ricerca del piacere, ma cos'è il piacere? il rifuggire dal dolore, ma cos'è il dolore? Il comportamento umano non sarebbe conosciuto a priori anche in assenza di eccezioni a quello schema, perché "piacere" e "dolore", soprattutto in relazione l'uno all'altro, non sono uguali per tutti: fumare fa male? Sí. Ma per qualcuno il piacere che ne ricava è superiore ai disagi, e quindi fuma; per altri è inferiore, e quindi non fumano. Ma il fumo fa male in entrambi i casi, quello che cambia è la percezione relativa di questo male rispetto al piacere.
Ora, ovviamente non posso dire per certo cosa pensavano/provavano quelli che si fustigavano, ma se lo facevano per riappacificarsi con Dio, per avvicinarsi a lui, mi pare sensato, per quanto magari non certo, supporre che la questione fosse "Il dolore delle fustigazioni è inferiore al dolore che proverei nel non farlo/al piacere che provo nell'avvicinarmi a Dio". Poi se sia cosí o no è un altro discorso, ma la possibilità non mi pare assurda.
Il mio dubbio è se sia veramente un'eccezione; nel senso, la ricerca del piacere, ma cos'è il piacere? il rifuggire dal dolore, ma cos'è il dolore? Il comportamento umano non sarebbe conosciuto a priori anche in assenza di eccezioni a quello schema, perché "piacere" e "dolore", soprattutto in relazione l'uno all'altro, non sono uguali per tutti: fumare fa male? Sí. Ma per qualcuno il piacere che ne ricava è superiore ai disagi, e quindi fuma; per altri è inferiore, e quindi non fumano. Ma il fumo fa male in entrambi i casi, quello che cambia è la percezione relativa di questo male rispetto al piacere.
Ora, ovviamente non posso dire per certo cosa pensavano/provavano quelli che si fustigavano, ma se lo facevano per riappacificarsi con Dio, per avvicinarsi a lui, mi pare sensato, per quanto magari non certo, supporre che la questione fosse "Il dolore delle fustigazioni è inferiore al dolore che proverei nel non farlo/al piacere che provo nell'avvicinarmi a Dio". Poi se sia cosí o no è un altro discorso, ma la possibilità non mi pare assurda.
Ma l'indeterminatezza di definire il dolore/piacere e, quindi, la fuga/ricerca di questi - che condivido sia chiaro - non comporta la perdita dello status di "universale" ^_^
Cioè se non può essere definito con esattezza cos'è il dolore ed il piacere in relazione ad un comportamento comune a _tutti_ gli uomini non diventa un concetto troppo indeterminato per essere univesale?
Avremmo solo determinati _comportamenti_ che soltanto all'interno di una aggregazione possono essere definiti di piacere e/o dolore, in quanto è qui che si sviluppa il "senso comune".
"Il dolore delle fustigazioni è inferiore al dolore che proverei nel non farlo/al piacere che provo nell'avvicinarmi a Dio". Poi se sia cosí o no è un altro discorso, ma la possibilità non mi pare assurda.
esatto; secondo me è proprio così.
Ognuno ha le sue preferenze, i suoi gusti, le sue paure, i suoi desideri.
E queste situazioni sono completamente soggettive, credo sia impossibile spiegare perchè una cosa piace o non piace.
Però, data la situazione soggettiva di ciascuno, ovvero cosa "piace/è utile" e cosa "non piace/è dannoso", nessuno potrà andare contro l'istinto di perseguire ciò che più piace e rifiutare ciò che meno piace.
Ti faccio un esempio provocatorio: se vivi con qualcuno che ami (i tuoi genitori, la tua ragazza) io ti sfido ad andare contro il tuo piacere. Prendi una padella e mentre questa persona amata dorme spaccagliela sulla testa. Mi ci gioco la vita che non lo farai, perchè non è non vuoi farlo, ma non puoi!
Per assurdo, se tu lo facessi veramente, allora saresti una di quelle poche persone per cui il piacere di dimostrare che si ha ragione e l'orgoglio sono superiori ai sentimenti interpersonali, e io avrei sbagliato a giudicare la tua situazione di preferenze soggettive.
Ma confermersti comunque la regola: date le tue preferenze, agisci di conseguenza.
In sostanza è come una regola matematica: in un'equazione si possono mettere tutti i numeri e le incognite a piacimento (i vari piaceri soggettivi) ma l'equazione si risolve comunque secondo determinate regole (ricerca paicere/fuga dolore); ovviamente i risultati possono essere i più diversi, ma non perchè la regola ammetta eccezzioni, quanto perchè le possibili combinazioni di numeri e di incognite sono infiniti
ho capito quello che vuoi dire, ma i diversi piaceri soggettivi hanno un senso se valutati all'interno di una aggregazione sociale; all'esterno si riducono ad essere solo una parte integrante (per quanto influente) dell'istinto di sopravvivenza, nel senso che un uomo tende a fare soltanto ciò che gli permette di sopravvivere, mettendo in secondo piano la ricerca del piacere, che pure può essere una conseguenza del citato istinto.
Nel momento in cui l'uomo decide di associarsi, allora perdendo importanza l'istinto di sopravvivenza acquistano valore gli altri aspetti che tu citi.
ho capito quello che vuoi dire, ma i diversi piaceri soggettivi hanno un senso se valutati all'interno di una aggregazione sociale; all'esterno si riducono ad essere solo una parte integrante (per quanto influente) dell'istinto di sopravvivenza, nel senso che un uomo tende a fare soltanto ciò che gli permette di sopravvivere, mettendo in secondo piano la ricerca del piacere, che pure può essere una conseguenza del citato istinto.Nel momento in cui l'uomo decide di associarsi, allora perdendo importanza l'istinto di sopravvivenza acquistano valore gli altri aspetti che tu citi.
sì, nel 99% dei casi è come dici tu... ma ci sono eccezioni... una persona fuori da ogni aggregazione sociale a cui venga un tumore al cervello che provoca dolori insopportabili probabilmente si getterà dalla prima rupe che trova.
Forse il discorso che fai tu è valido al 100% con i piaceri (forse nessun piacere può inibire la sopravvivenza fuori dalla società, dovrei pensarci), ma il dolore può inibire l'istinto di sopravvivenza ovunque ci si trovi.
mmm, sul piacere tendo a non avere dubbi, ma può darsi che sul dolore tu abbia ragione, sul fatto cioè che ci possa essere un margine - pur molto piccolo - di eccezionalità, anche se poi è difficile da dire con certezza...potrebbe dipendere dalla soglia del dolore o dalla intensià stessa dell'istinto di sopravvivenza che non è uguale per tutti o anche dalle caratteristiche (intensità ma soprattutto durata) stesse del dolore...in ogni caso, ti ripeto, è un buon spunto di riflessione :(