Dico un'ovvietà: non c'è una cosa migliore dell'altra, matrimonio, convivenza, "singletudine", non in senso assoluto almeno. Tutto dipende dalle persone. L'ideale sarebbe avere una buona consapevolezza di se stessi in modo tale da scegliere l'ipotesi a sé più confacente. Non esistono neanche amori di serie a e amori di serie b. Non ho mai considerato amore di serie b quello del tipo "non voglio formalizzare il mio sentimento, voglio essere libero di scegliere ogni singolo giorno della mia vita se stare accanto al mio compagno o meno", anche se non è un tipo di amore che si confà al mio modo di essere, mentre magari è l'ideale per qualcun altro, e di certo esistono coppie che stanno insieme da una vita e non hanno mai sentito la necessità di formalizzare il loro rapporto. Così come non penso si possa dare meno valore all'amore formalizzato attraverso il matrimonio, e nonostante l'incremento delle separazioni esistono ancora matrimoni che funzionano perché i due sposi vogliono farli funzionare e si impegnano a farlo.
Insomma la cosa più importante credo sia operare le proprie scelte consapevolmente, e penso che nessuno possa venire a sindacare sulle scelte e sulle preferenza altrui.
Dico un'ovvietà: non c'è una cosa migliore dell'altra, matrimonio, convivenza, "singletudine", non in senso assoluto almeno. Tutto dipende dalle persone. L'ideale sarebbe avere una buona consapevolezza di se stessi in modo tale da scegliere l'ipotesi a sé più confacente. Non esistono neanche amori di serie a e amori di serie b. Non ho mai considerato amore di serie b quello del tipo "non voglio formalizzare il mio sentimento, voglio essere libero di scegliere ogni singolo giorno della mia vita se stare accanto al mio compagno o meno", anche se non è un tipo di amore che si confà al mio modo di essere, mentre magari è l'ideale per qualcun altro, e di certo esistono coppie che stanno insieme da una vita e non hanno mai sentito la necessità di formalizzare il loro rapporto. Così come non penso si possa dare meno valore all'amore formalizzato attraverso il matrimonio, e nonostante l'incremento delle separazioni esistono ancora matrimoni che funzionano perché i due sposi vogliono farli funzionare e si impegnano a farlo.
Insomma la cosa più importante credo sia operare le proprie scelte consapevolmente, e penso che nessuno possa venire a sindacare sulle scelte e sulle preferenza altrui.
Sono d'accordo su quasi tutto, soprattutto sul fatto che non c'è niente di giusto e sbagliato in generale e che è solo questione di persone.
Quello su cui non sono d'accordo è l'idea che traspare da questo e altri post, che ci sia una differenza: che ci possa essere più impegno se c'è matrimonio, e che dopo il matrimonio non ci sia comunque la scelta quotidiana del rimanere con la persona sposata.
Non esiste questa differenza nel rapporto (o nell'amare, per usare termini tuoi):quantità e qualità d'impegno, possibilità di scelta, durata di una coppia, sono tutte questioni che esistono indipendentemente dall'essere sposati o non esserlo.
Innanzitutto, oggi la Chiesa prevede anche riti che prevedono che solo uno degli sposi sia credente e l'altro sposo non riceva i sacramenti. Quindi la parte religiosa riguarda solo uno dei due, mentre il sacerdote funge da ufficiale civile per entrambi.
Penso, quindi, che ci sia poco di ipocrita se lo si dichiara fin dall'inizio e si approfitta di questa possibilità. Si concede, così, a entrambi di salvaguardare le proprie convinzioni.
Non chiedetemi come funziona esattamente... non lo so. So che c'è questa possibilità ma non mi sono informata nel dettaglio.
Perché da non credente dovrei considerare come ufficiale civile un sacerdote? Lo trovo un furbesco escamotage dell'istituzione per garantirsi comunque il monopolio del rito matrimoniale di stampo cattolico.
Non so se si attui in tutte le parrocchie comunque, ad un mio amico senza cresima che ha chiesto di sposarsi, il sacerdote ha imposto tassativamente il sacramento con la giustificazione "si fa così, altrimenti andate a fingere di sposarvi in comune". Ovviamente la sposa praticante amareggiata da come il parrocco ha trattato il suo futuro compagno di vita, ha preferito la soluzione civile piuttosto che il rito cattolico che vedeva il mio amico come quasi un reietto...insomma ha scelto l'amore sull'istituzione.
Da atea troverei comunque questa soluzione altrettanto ipocrita, rabbrividisco al pensiero di un sacerdote in duplice veste istituzionale...no mi dispiace, non fa proprio per me.
In teoria dovrebbe attuarsi ovunque (e per ovunque intendo in tutto il mondo cattolico, dall'Alaska alla Nuova Zelanda), perchè, se ho capito bene (ribadisco che non ricordo bene tutta la questione, eh), erano decisioni prese dal Vaticano e quindi valide per tutti i cattolici del mondo.
Detto questo, i sacerdoti sono esseri umani e a volte più retrogradi che mai. Il che non è affatto una scusa per il comportamento di quel parroco, anzi, un'aggravante, per quel che mi riguarda.
Rispondendo alla tua prima domanda, perché esiste un concordato tra Chiesa e Stato italiano, che quindi influenza anche te, in quanto cittadina italiana. Naturalmente la cosa può non piacere (a me non piace), ma legalmente un prete è anche ufficiale di stato civile, tant'è che, terminato di celebrare il matrimonio religioso, passa appunto a leggere gli articoli.
Esatto. Limitatamente alla celebrazione del matrimonio, il sacerdote diventa ufficiale di stato civile, esattamente allo stesso modo in cui io lo sono stata per la celebrazione del matrimonio dei miei amici. La sola differenza è che non ha bisogno della delega del sindaco, perchè il Concordato riconosce questa funzione a tutti i sacerdoti qualora celebrino un matrimonio.
Sinceramente non lo trovo nè ipocrita nè strano, proprio perchè non è un'esclusiva dei sacerdoti: chiunque goda dei diritti di cittadinanza passiva può essere temporaneamente investito dei poteri di ufficiale di stato civile per determinate funzioni (è la stessa identica cosa che succede per i Presidenti di Seggio durante le consultazioni elettorali o referendarie, che in più godono di poteri di polizia limitatamente al loro seggio).
E' una facilitazione che semplifica l'iter burocratico agli sposi... se badate, in realtà le cerimonie sono infatti distinte: il prete non legge i fatidici 3 articoli di legge durante il rito religioso (che senza di essi col cavolo che viene riconosciuto), ma li legge dopo, quando si passa alle firme. Sono quindi due momenti ben distinti.
Se tu fossi seguace di un qualsiasi culto religioso privo di accordi con lo Stato Italiano riguardo al matrimonio, volessi sposarti secondo le regole del tuo culto e non volessi prenderti la briga di andare in Comune in un secondo momento per il rito civile, dovresti solo scegliere come celebrante qualcuno che possa essere delegato dal sindaco e chiedere la delega.
I cattolici sono avvantaggiati perchè esiste un'entità temporale, riconosciuta come Stato autonomo, che quindi può trattare con gli Stati per ottenere determinate concessioni.
Badate che la Chiesta Cattolica non ha in vigore il solo Concordato con lo Stato Italiano. Ci sono anche il Concordato con il Portogallo, la Spagna e i vari Lander tedeschi, come minimo, anche se non ricordo i dettagli dei singoli trattati.
E non è nemmeno l'unico accordo che lo Stato Italiano ha con confessioni religiose: http://www.governo.it/Presidenza/USRI/confessioni/intese_indice.html#2
Se badate i valdesi hanno un accordo in vigore dal 1984 (stesso anno del Concordato, anche se il Concordato è una revisione dei Patti Lateranensi del 1929). A ben vedere, il Concordato con la Chiesa Cattolica ha aperto la strada ad altri accordi simili, purchè esista un'entità centrale con cui lo Stato Italiano possa confrontarsi e che vigili sull'applicazione degli accordi.
E aperta parentesi.
Ci sono uomini che il divorzio ha gettato sul lastrico, vero, ma anche donne che una mattina si sono svegliate e si sono ritrovate sole, con i figli a carico, il mutuo da pagare, un lavoro precario ed il contro corrente svuotato da un omuncolo che se n'è andato chissà dove e non ha avuto nemmeno il coraggio di chiedere un divorzio.
La parità dei sessi riguarda pure le fregature!
No su questo non sono pienamente d'accordo, per quanto esistano mariti codardi (ahimè na caterva) esistono altrettante mogli che non si accorgono (o non vogliono accorgersi) dell'eventuale malessere del marito. Ci sarà una ragione per cui questo è fuggito? Spesso una volta accasate le conviventi ma in special modo le mogli e madri, danno molte cose per scontato in primis il rapporto di coppia con il proprio compagno/marito.
Le donne non sono sempre le "vittime" della situazione, le tradite e abbandonate...se vivi solo per i figli trascurando la persona con cui l'hai generati, beh se ti lascia, fa benone.
Prima che mi si possa accusare di maschilismo, ho subito un tradimento con abbandono e col senno del poi lo dico senza tanti patemi d'animo, me lo sono ampiamente meritato
Non giustifico un marito che abbandona i figli, ma un marito che abbandona una moglie ormai assente o incurante del rapporto di coppia, sì. Fa bene!
Vabbé, allora a questo punto dobbiamo pure chiederci come mai una moglie è arrivata ad ignorare il marito ecc. Mi pare però che andiamo fuori tema.
A mio parere l'impegno profuso in una relazione di coppia non varia automaticamente a seconda che le due persone siano marito e moglie, conviventi o fidanzati. Detto ciò, tuttavia, credo che cambi in parte l'approccio al rapporto di coppia. Magari la mia non è una regola generale, e sinceramente non ho ancora sperimentato la cosa, visto che non sono sposata né convivo al momento, quindi il mio è un discorso teorico. L'approccio alla convivenza penso che privilegi l'aspetto della libertà, quello al matrimonio l'aspetto della stabilità. Privilegiare non significa automaticamente che una cosa escluda l'altra: marito e moglie non hanno i ceppi ai piedi e ci sono convivenze che durano per tutta la vita. La convivenza, inoltre, la vedo più come un qualcosa di privato ed individuale, il matrimonio ha una caratterizzazione più sociale e comunitaria. C'è poi l'aspetto religioso, che può conferire al matrimonio una particolare valenza spirituale per chi è credente.
A mio parere l'impegno profuso in una relazione di coppia non varia automaticamente a seconda che le due persone siano marito e moglie, conviventi o fidanzati. Detto ciò, tuttavia, credo che cambi in parte l'approccio al rapporto di coppia. Magari la mia non è una regola generale, e sinceramente non ho ancora sperimentato la cosa, visto che non sono sposata né convivo al momento, quindi il mio è un discorso teorico. L'approccio alla convivenza penso che privilegi l'aspetto della libertà, quello al matrimonio l'aspetto della stabilità. Privilegiare non significa automaticamente che una cosa escluda l'altra: marito e moglie non hanno i ceppi ai piedi e ci sono convivenze che durano per tutta la vita. La convivenza, inoltre, la vedo più come un qualcosa di privato ed individuale, il matrimonio ha una caratterizzazione più sociale e comunitaria. C'è poi l'aspetto religioso, che può conferire al matrimonio una particolare valenza spirituale per chi è credente.
Concordo in tutto con Eveline.
Ma anche per me vale il discorso che non sono sposata e non convivo, al massimo ho osservato altri che si sono sposati o convivono
A volte, poi, subentrano necessità di tipo diverso.
Torno per esempio ai miei soliti due amici (sono un crogiolo di esempi su questo tema!). Hanno convissuto per alcuni anni, ma, essendo lui di San Marino e avendo scelto di vivere a San Marino, c'era il problema della residenza di lei: non poteva portare la residenza a San Marino come semplice convivente, anzi... se avessero scoperto la convivenza avrebbero pure potuto passare dei guai.
Il tutto non era un problema per loro, finchè sono stati loro due. Ma quando hanno deciso di volere dei figli hanno dovuto pensare a come avrebbero potuto gestire la cosa e alle tutele per i bambini (ad oggi ne hanno uno e mezzo... la seconda nascerà a breve). Per tutelare i bambini e dare uno status riconosciuto anche a lei hanno deciso di sposarsi civilmente.
Poi una volta deciso che era da fare, hanno deciso che valeva la pena di rendere davvero speciale quel momento e di condividerlo con amici e famigliari e hanno curato ogni minimo dettaglio (pensate che hanno fatto, a mano, sia gli inviti sia le bomboniere ... e i tavoli avevano nomi tipo "La Barriera", "Grande Inverno", "Nido dell'Aquila",... ), però il matrimonio era diventato una necessità nel momento in cui hanno deciso di costruire una famiglia.
Mamma mia quanto scrivete :p
Ho dato una scorsa alla discussione, e provo a fare qualche commento random anch'io.
Intanto, quanto al tema mi pare maggioritario negli ultimi post, imho sarebbe naif pensare che una relazione (di qualunque tipo) possa andare avanti senza nessun impegno, riservandosi ogni giorno di ridecidere tutto da capo (non è vietato, eh: non è mica un obbligo avere una relazione stabile); ma sono d'accordo con chi dice che il matrimonio non ha il monopolio dell'impegno :)
Quanto al tema sollevato da Balon e Metamorfo, è abbastanza vero che c'è una giurisprudenza tradizionalmente un po' sbilanciata, ma imho la storia è un po' diversa da come è stata messa.
In primo luogo, vanno differenziati gli effetti del matrimonio dall'incidenza dei figli: di affidamento e di assegni se ci sono figli si parla comunque, con uno sbilanciamento a favore della madre comunque, anche in assenza di matrimonio. Quindi più che dire "non trascrivete", direi "non fate figli" ;p In realtà è pieno il mondo di padri (soprattutto) che fanno figli senza metterci la testa e poi diventano come uccel di bosco, quindi non condivido neppure l'assunto di partenza sui poveri padri... e trovo parecchio sbilanciato (peggio della giurisprudenza :p) dire che se la donna sposa un *bip* che se ne fugge è colpa della donna che non ha saputo scegliere, e se invece è l'uomo a sposare una *bip* che ti rovina in sede di divorzio è colpa del matrimonio. Ma dai ;)
In generale, secondo me sul matrimonio si fa molta confusione. Leggo di matrimonio religioso = festa con amici e parenti, ma quasi tutte le persone che conosco che si sono sposate in comune hanno fatto festa con amici e parenti, e francamente penso che anche in caso di matrimonio religioso di possa tranquillamente fare senza la grande festa... è una questione di scelte individuali, soprattutto. Se uno vuole la festa, che faccia la festa senza scomodare Dio o lo Stato, per quel che mi riguarda :) E sì, lo so che c'è un impatto sociale che sembra imporre determinate prassi, ma penso che le nostre generazioni debbano essere capaci di emanciparsene, ecco... e piano piano succederà.
Alla fine dei conti, il matrimonio è un atto che comporta determinati effetti giuridici: studiateli, se li volete sposatevi, se non li volete fate a meno. Il matrimonio concordatario ha un valore importante per i credenti, che va al di là della trascrizione, e spero che sembra meno gente lo faccia a cuor leggero, solo perché è tradizione.
Quanto all'altro tema che mi aveva colpito, su matrimonio religioso, non credenti e ipocrisia, io la vedo così: se uno fa quotidiana professione viscerale anticlericalismo, beh sì, sarebbe un po' ipocrita a sfruttare la Chiesa per il matrimonio; ma tra questo ed un credente esistono milioni di sfumature, cui questo ragionamento imho non si applica affatto (non è necessario essere anticlericali per essere non credenti o non praticanti, per esempio).
Infine, last but not least... i figli.
Io sono d'accordo con Maya ed Erin che hanno detto che non ci si deve annullare per i figli, e purtroppo mi pare che in giro questo capiti spesso, soprattutto alle mamme. Però dire questo non vuol dire che con uno o più figli la vita o lo spazio di manovra per quel che riguarda lavoro e hobby resti lo stesso.
Evviva!
Koorlick riesce sempre a spiegare in poco quello che non spiego in molto.
A scanso di equivoco, rispetto a quanto da me scritto, sottoscrivo anche la parte figli. Lo spazio per altro che non sia famiglia e lavoro quando arrivano i figli si riduce drasticamente (i primi mesi quasi totalmente, tanto che persino la doccia richiede tattica e programmazione). Tuttavia, un po' alla volta si riconquistano spazi. Certo, non è tutto uguale a prima, ma per certi versi è migliore in un modo che mai avreste immaginato.
Intanto, quanto al tema mi pare maggioritario negli ultimi post, imho sarebbe naif pensare che una relazione (di qualunque tipo) possa andare avanti senza nessun impegno, riservandosi ogni giorno di ridecidere tutto da capo (non è vietato, eh: non è mica un obbligo avere una relazione stabile);
Sta cosa che ho detto continuate a interpretarla in modo sbagliato.
Pare che abbiate capito che intendessi che rinnovare ogni giorno la propria volontà di stare con l'altra persona significa che se una mattina ti svegli e ti rode, saluti il/la partner e te ne vai.
Continuate a pensare che una relazione del genere non presupponga il lottare anche strenuamente per non far crollare il rapporto.
No.
No no scusa, immaginavo che tu intendessi questo, ma volevo precisare ;)
Forse non hai notato le parole successive: ...sono d'accordo con chi dice che il matrimonio non ha il monopolio dell'impegno :)
Poi è chiaro che io parlo di impegno, tu parli di scelta, ma non credo che nello specifico i due concetti siano molto lontani, sempre in qualche modo di una lotta quotidiana si tratta.
Tranquillo, era solo una precisazione.
Tra l'altro, i vostri post confermano la mia tesi, per cui, fatte salve le motivazioni di carattere burocratico-amministrative, chi si sposa lo fa anche per l'idea che con quell'atto la relazione acquisisca una forza maggiore, e la coppia una sicurezza e stabilità che altrimenti non avrebbe.
Io invece sostengo che si tratta soltanto di un'illusione, sia perchè una coppia può avere lo stesso impegno e la stessa voglia di lottare per mantenere la relazione senza sposarsi, sia perchè il giorno in cui uno dei due sposi o entrambi, dopo aver provato di tutto per mantenere la relazione, scopriranno che non si sopportano più, porranno a termine la relazione, esattamente come farà chi non è sposato (o almeno dovrebbe).
Quindi devo dedurre che la tua tesi è che non sussista la benché minima differenza tra matrimonio e convivenza, a parte la questione burocratica? E che chi si sposa lo fa solo per l'illusione di avere più stabilità o per altre motivazioni di carattere giuridico o ancora perché in quanto credente riconosce la valenza spirituale del matrimonio?
Personalmente la vedo in modo diverso, ma sono opinioni. La questione dell'impegno per quanto mi riguarda l'ho spiegata nel mio post precedente, e ribadisco che non vedo distinzioni di fondo da quel punto di vista tra sposati e conviventi. Secondo me, e ripeto secondo me, esiste comunque una differenza di approccio al rapporto. Poi che questo non valga per tutte le coppie e che ci siano eccezioni è vero. D'altronde ogni relazione, così come ogni persona, è qualcosa a sé, ed è difficile generalizzare.
Quindi devo dedurre che la tua tesi è che non sussista la benché minima differenza tra matrimonio e convivenza, a parte la questione burocratica? E che chi si sposa lo fa solo per l'illusione di avere più stabilità o per altre motivazioni di carattere giuridico o ancora perché in quanto credente riconosce la valenza spirituale del matrimonio?
Esatto.
Si può aggiungere che oltre agli aspetti burocratico-amministrativi positivi, nel matrimonio ci possono essere anche quelli negativi: a parte le possibili problematiche di natura economica di cui si parlava prima, credo ci siano anche dei tempi da aspettare prima di potersi risposare, e altre problematiche legali relative alla separazione e al divorzio.
Sulla valenza spirituale, a me sembra che ammettendo l'esistenza del Dio cristiano, una promessa fatta ovunque avrebbe la stessa valenza, anzi, direi che il Dio onniscente, conoscendo la mente di tutti, sa già se, in cuor suo una persona ama l'altra o comunque si sta impegnando per restargli accanto tutta la vita.
Formalizzare il tutto in Chiesa mi sembra superfluo, e in qualche modo anche non umile, perchè sarebbe meglio lasciar leggere a Dio le proprie intenzioni, piuttosto che fare una promessa che già si sa non poter mantenere con certezza.
Senza quella promessa (che poi si rischia di rimangiarsi) si evita anche di rischiare di mentire.
Ma qui sono io che, da non credente, faccio della religione/spiritualità qualcosa di più serio filosofico di quanto sia nella realtà.
Riguardo all'illusione di stabilità (l'idea che il matrimonio "stringa i lacci" del rapporto), aggiungerei anche illusione di sicurezza.
L'idea che con la fede al dito, lui/lei ci penseranno di più a "volgere la testa altrove", e gli altri ci penseranno di più ad avvicinarsi al proprio lui/lei.
Che lo si voglia ammettere o no, nella maggior parte dei casi, questa idea (spesso incoscia) esiste.
E' anch'essa soltanto un'illusione, perchè sono cose che dipendono da com'è la persona e da com'è il rapporto.
Infine, credo che ci siano occasioni in cui il matrimonio, proprio per le convinzioni che si porta dietro, possa portare dei rapporti a trascinarsi oltre la naturale durata, con sofferenze per uno o entrambi i coniugi.
Con "oltre la naturale durata" intendo dopo che è stato fatto tutto il possibile per tenere in piedi la relazione, quando finito tutto ciò che è giusto fare per non rompere, si continua a trascinarsi e a farsi del male per non rompere la promessa, per non declinare il progetto di vita che si sperava di seguire, per non ammettere a se stessi, a Dio, agli invitati alle nozze e al mondo intero di che si è sbagliato.
E questo è quanto.
questione spinosa
dove è inutile fare statistiche perchè ognuno è un caso a se
mi attirerò antipatie soprattutto dai maschietti come me
ma ragazze
9 volte su 10 un uomo che vuole convivere è per poter lasciare la valigia pronta dietro la porta,e scappare al momento opportuno
sulle donne non so
magari ci credono veramente che sia la stessa cosa
ma da quel che vedo mi sembrano piu inclini a metter su famiglia,e di solito coincide con il matrimonio
ma ragazze
9 volte su 10 un uomo che vuole convivere è per poter lasciare la valigia pronta dietro la porta,e scappare al momento opportuno
Ed ecco un'altra conferma del tipo di mentalità che rende il matrimonio così comune.