Le vie di Parigi erano deserte quel 31 Maggio 1786, immerse in un inquietante e insolito silenzio. La piazza principale era gremita di persone, borghesi e povera gente, accorsa per assistere alla condanna. Aspettavano con trepidante attesa l'arrivo della ladra, ognuno bisbigliando parole incomprensibili all'orecchio del compagno. Le guardie stavano in allerta, osservando con circospezione la folla immensa del popolo, occasionalmente facendo indietreggiare qualcuno che si era avvicinato troppo. Tutto quell'interessamento era strano, soprattutto per una contessa. Anche se ormai Jeanne Valois tutto era, meno che una nobildonna. Eppure un tempo il suo nome era sulle labbra di tutte le donne nobili, e in tutti i salotti francesi non c'era persona che parlasse di lei senza lodarne grazia e intelligenza.
Jeanne guardò la massa informe di straccioni che la circondava, gli occhi neri pieni di disprezzo e di odio. Lei non era come loro, si era elevata sopra le loro miserevoli teste da quando aveva scoperto la magia. Figlia di prostituta, ecco come solevano chiamarla quei vermi. No, lei era nobile, donna libera da tutto e tutti. Con il suo denaro aveva ottenuto titolo, amore, lusso e soprattutto indipendenza. La stessa indipendenza che in quel momento, mentre era trascinata da due soldati verso la piazza, le dava la forza di affrontare quell'umiliazione.
I soldati scaraventarono la donna a terra, come fosse un sacco di sterco. Lei rovinò nella polvere, battendo col viso sul pietriccio. Senza nemmeno un urlo o un'imprecazione, si alzò sulle ginocchia, il viso emaciato grondante di sangue. Una delle guardie avanzò verso di lei, brandendo un ferro incandescente con la punta a forma di V. Jeanne lo fissò come una cagna rabbiosa, pronta a dar battaglia. Non avrebbe permesso che la privassero della sua dignità di nobile per colpa dei capricci della regina, a costo di morire. Si issò in piedi e si slanciò in avanti, ringhiando ferocemente. I due uomini alle sue spalle l'afferrarono per i boccoli fulvi ormai sfatti, trattenendola a viva forza. La donna urlò furiosa, dimenando invano le braccia esili. Uno dei due che la teneva per i capelli le diede un calcio alla schiena, forzandola a piegarsi in avanti. Ci volle l'aiuto di una terza guardia per mantenerla mentre il simbolo incandescente veniva impresso a marchio sul suo petto, a designare il suo stato di ladra. Quando il dolore ebbe il sopravvento sulla sua ferocia, e quando il suo grido d'angoscia si estinse, la trascinarono al carcere della Salpetrière. La sbatterono in una cella buia e maleodorante, assieme alle altre sgualdrine.
************
Londra, 23 Agosto 1791
"Meglio la morte che l'umiliazione" si disse Jeanne, i passi dei soldati francesi che si avvicinavano sempre di più. Non era fuggita dal carcere per perdere nuovamente la libertà, preferiva finire la sua vita da donna nobile che da donna schiava. Aprì le imposte della finestra, montò sul davanzale, spiccò il salto nel vuoto. "Non avrò pace senza vendetta"pensò mentre precipitava verso terra. Il drappello la trovò sfracellata al suolo, il corpo mostruosamente contorto e il viso segnato da una sinistra smorfia di astio rabbioso. Al suo collo, brillava un filo di diamanti dal taglio impeccabile. Qualcuno fece per prenderlo, ma il generale lo bloccò. :<<Non toccarla! Era una strega!>>esclamò con terrore, portando via i suoi uomini dalla strada. Il corpo di Jeanne fu buttato in una fossa comune, e non ci fu alcun funerale. Nessuno desiderava ricordarla.
sicuramente migliore dei pezzi precedenti...comunque vediamo
Interessamente è sì sinonmo di interesse, ma ha una sfumatura diversa. In questo caso ci sta meglio interesse.
Nobili di ripete un po' troppo, forse è meglio se modifichi qualche frase.
Ci sono un po' troppi aggettivi, tipo quel volto emaciato grondante di sangue...basterebbe o l'uno o l'altro.
Le battute della tipa sono un po' stracotte, e volendo si potrebbero eliminare le virgolette. Visto che c'è un narratore onnisciente, tanto vale che racconti anche i pensieri della tipa. Qui ci sono un po' di gusti personali miei però, che preferisco eliminare al massimo i dialoghi quando non sono del tutto necessari.
Attuo subito alcuni cambiamenti! >_>
Le vie di Parigi erano deserte quel 31 Maggio 1786, immerse in un inquietante e insolito silenzio. La piazza principale era gremita di persone, borghesi e povera gente, accorsa per assistere alla condanna. Aspettavano con trepidante attesa l'arrivo della ladra, ognuno bisbigliando parole incomprensibili all'orecchio del compagno. Le guardie stavano in allerta, osservando con circospezione la folla immensa del popolo, occasionalmente facendo indietreggiare qualcuno che si era avvicinato troppo. Tutto quell'interessw era strano, soprattutto per una contessa. Anche se ormai Jeanne Valois tutto era, meno che una nobildonna. Eppure un tempo il suo nome era sulle labbra di tutte le donne nobili, e in tutti i salotti francesi non c'era persona che parlasse di lei senza lodarne grazia e intelligenza.
Jeanne guardò la massa informe di straccioni che la circondava, gli occhi neri pieni di disprezzo e di odio. Lei non era come loro, si era elevata sopra le loro miserevoli teste da quando aveva scoperto la magia. Figlia di prostituta, ecco come solevano chiamarla quei vermi. No, lei era nobile, donna libera da tutto e tutti. Con il suo denaro aveva ottenuto titolo, amore, lusso e soprattutto indipendenza. La stessa indipendenza che in quel momento, mentre era trascinata da due soldati verso la piazza, le dava la forza di affrontare quell'umiliazione.
I soldati scaraventarono la donna a terra, come fosse un sacco di sterco. Lei rovinò nella polvere, battendo col viso sul pietriccio. Senza nemmeno un urlo o un'imprecazione, si alzò sulle ginocchia, il viso grondante di sangue. Una delle guardie avanzò verso di lei, brandendo un ferro incandescente con la punta a forma di V. Jeanne lo fissò come una cagna rabbiosa, pronta a dar battaglia. Non avrebbe permesso che la privassero della sua dignità per colpa dei capricci della regina, a costo di morire. Si issò in piedi e si slanciò in avanti, ringhiando ferocemente. I due uomini alle sue spalle l'afferrarono per i boccoli fulvi ormai sfatti, trattenendola a viva forza. La donna urlò furiosa, dimenando invano le braccia esili. Uno dei due che la teneva per i capelli le diede un calcio alla schiena, forzandola a piegarsi in avanti. Ci volle l'aiuto di una terza guardia per mantenerla mentre il simbolo incandescente veniva impresso a marchio sul suo petto, a designare il suo stato di ladra. Quando il dolore ebbe il sopravvento sulla sua ferocia, e quando il suo grido d'angoscia si estinse, la trascinarono al carcere della Salpetrière. La sbatterono in una cella buia e maleodorante, assieme alle altre sgualdrine.
************
Londra, 23 Agosto 1791
<<Meglio la morte che l'umiliazione>> si disse Jeanne, i passi dei soldati francesi che si avvicinavano sempre di più. Non era fuggita dal carcere per perdere nuovamente la libertà, preferiva finire la sua vita da donna libera che da donna schiava. Aprì le imposte della finestra, montò sul davanzale, spiccò il salto nel vuoto. :<<Non avrò pace senza vendetta>> pensò mentre precipitava verso terra. Il drappello la trovò sfracellata al suolo, il corpo mostruosamente contorto e il viso segnato da una sinistra smorfia di astio rabbioso. Al suo collo, brillava un filo di diamanti dal taglio impeccabile. Qualcuno fece per prenderlo, ma il generale lo bloccò. :<<Non toccarla! Era una strega!>>esclamò con terrore, portando via i suoi uomini dalla strada. Il corpo di Jeanne fu buttato in una fossa comune, e non ci fu alcun funerale. Nessuno desiderava ricordarla.
Non posso leggere tutti i brani postati perche' sono al lavoro, pero' devo ammette che non mi dispiace il modo in cui scrivi (soprattutto data l'eta') e prometti bene.
Visto che pero' questo e' un thread di 'cattivi dentro' :unsure: (che senno' non servirebbe), tento anch'io qualche pallida osservazione, scusatemi se ripeto quanto gia' detto:
-Contenuto: alle osservazioni sullo stile tu hai fin troppo spesso opposto argomenti sul contenuto. Se non prendo una cantonata, questo romanzo ti e' necessario anche sotto l'aspetto catartico, vuoi incidere in maniere indelebile la tua esperienza, cio' che hai provato, e come l'hai vissuto. Sfortunatamente, pero' (e ti chiedo perdono se questo ti ferisce) oggigiorno siamo letteralmente bombardati da storie come questa, tanto che le storie d'amore tra giovani sono ormai un filone a se stante non sempre visto particolarmente bene. Avendo scelto il fantasy, forse puoi evitare questa prima difficolta', ma resta il fatto che dovrai metterci davvero piu' contenuto di questo, e il modo con cui proponi la storia deve essere piu' interessante della storia stessa, che si e' gia' vista spesso (da quel poco che ho capito, quindi prendila come l'osservazione superficiale di un potenziale lettore).
-Troisi. Si, non e' una parolaccia, e' una scrittrice che ha percorso la tua stessa strada prima di te, e (forse) con un po' piu' di umilta'. Puo' non piacere (ma le copertine sono notevoli :wacko: ) ma merita secondo me almeno il rispetto che si concede a chi ha saputo terminare un romanzo e ha saputo proporlo. Il minimo sindacale, se vogliamo, che pero' tu le neghi per qualche ragione sconosciuta. Questo comportamento, immaturo, temo si rifletta anche nei brani postati, come piu' volte sottolineato da altri.
-Stile. Io non sono esperto di politica editoriale, ma mi e' stato detto che la Mondadori cestina un manoscritto se contiene eccessivi errori nelle prime pagine. In ogni caso, temo che se vuoi pubblicarlo come lo hai pensato (e mi sembra che sia cosi') deve essere impeccabile, o te lo rivolteranno da cima a fondo. Vale quindi la pena spenderci altro tempo.
Un'ultima considerazione: ho l'impressione che tu ti sia costruita un'immagine di te stessa troppo idealizzata, o che tu voglia proporla agli altri (io sono dovuta crescere in fretta, io sono matura, io non sono come la Troisi, io...). Mi pare che abbia proiettato questa immagine anche sul tuo romanzo. Vera o no che sia, non tutti la percepiscono cosi', quindi visto che se lo pubblichi ti rivolgi agli altri, ascolta le loro critiche e rimboccati le maniche. E non temere di aspettare un po', che non si fa a gara con nessuno.
Complimenti comunque per la tenacia e auguri per il tuo progetto >_>
Ho inviato un mp a Manifredde per chiarimento, ma altre cose le posso dire qui.
Io non disprezzo Licia Troisi per invidia, ma ho un motivo molto più serio. Tutti possono scrivere e terminare un libro, ma non è detto che per questo sia roba buona per la quale sperticarsi in lodi! La Troisi non si documenta, non ha buone tecniche di scrittura, e soprattutto scrive cose spesso incoerenti tra loro. Lo stile è scorrevole, ma oltre questo niente più. Con ciò, non voglio dire di essere migliore, anche perchè nella brutta del mio racconto tendo ad essere molto peggio. Ma so l'importanza della corenza di ciò che si crea e di come lo si racconta. Per questo sto rivedendo pezzo per pezzo quello che ho scritto. Mi rendo conto di aver sbagliato ad inviarlo e di essere stata precipitosa, ma i motivi li ho già spiegati. Devo cambiare molte cose, riscrivere tutto il capitolo 5 e buona parte dell'8. Non importa, dagli errori si impara. Io non mi arrendo, prima o poi riuscirò nel mio intento! >_>
L'importante è che sviluppi un'autocritica come si deve, cerca di giustificarti il meno possibile quando crei qualcosa :P
Avevo promesso di non postare nulla fino a che il romanzo non fosse maturato, e mi attengo a questo. Posterò solo delle piccole particine modificate(che ritengo mature,ma sempre disposte a miglioramenti) tra l'altro secondo i consigli del forum.
Ho seguito il consiglio, mi sembra di AryaSnow, riguardo il rapporto Meg-Rose. Nella prima stesura non le facevo riconciliare, essendo di pareri troppo diversi per potersi capire. Poi cambiai per trovare un pretesto alla venuta di Meg nel mondo magico. Invece funziona molto di più la prima versione. In particolare, ho voluto prolungare il conflitto, non facendolo estinguere del tutto come mi è stato suggerito. Ditemi che ve ne pare:
Rose vide Meg affranta come non lo era mai stata,la pietà le colmò il cuore.L'abbracciò forte,ma sentì mentre l'avvolgeva con le braccia che qualcosa era cambiato tra di loro.La sentiva in un certo qual modo distante,lontana,fredda e diversa.Percepì che un abisso che le divideva.:<<Naescynn mi ha detto di andare da nonna Lea,ad Edimburgo.Ha detto che lei mi avrebbe aiutata a diventare un'apprendista>>disse Rose con tono più calmo <<Dovrai andare a scuola di magia>>precisò Meg con tono freddo<<puoi partire domani sera, tua nonna verrà a prenderti alla stazione>> <<Tornerò presto,mamma>> esordì Rose con tono dolce, cercando di confortarla.<<Non voglio sentire più niente su questo>> rispose Meg, la voce dura e tagliente come la lama di un coltello.Rose consumò il pasto in fretta e in silenzio, poi si alzò da tavola e si avviò verso il piano superiore. Aveva lacrime di rabbia e dolore appese alle ciglia, ma non disse nulla più alla madre, nè Meg le parlò.
Dato che ho ancora un pò di giorni per dedicarmi a questo topic, vorrei proporvi delle parti di un mio vecchissimo racconto, che conto presto di rivedere e di sistemare. Il racconto in realtà è più lungo, ho scelto di proporvi le sue parti più significative: l'inizio, la fine. Il significato è particolare, e l'insieme è inquadrato dal punto di vista di un bambino.
Il bambino che sognava di volare
Gli steli d’erba ondeggiavano leggeri sulla soglia dell’acqua. Nuvole grigie si spostavano nel cielo, accompagnando la superficie piatta del lago che si muoveva lenta nella foschia.
Le fronde più alte dei pini frusciavano silenziosamente al vento.
Isidor era seduto sulla sabbia, scalzo. La brezza gli scompigliava i capelli scuri e gli muoveva la maglietta e i pantaloncini strappati. Era un bambino di dodici anni molto intelligente e di una certa bellezza: aveva un viso bianco e sottile, morbido nei suoi pochi anni, con degli occhi e dei capelli scuri.
Era solo. Ascoltava il parlare della montagna e del lago, il vento freddo che spingeva le nuvole di pioggia.
I suoi piccoli piedi tremavano a contatto con la sabbia gelida.
- Dove sei stato? - chiese Arthur, il papà, sentendo il figlio entrare in casa chiudendo la porta.
Il vento soffiava forte sulla finestra della casetta facendo sbatacchiare le imposte.
Il padre di Isidor era un uomo alto, forte e robusto con capelli neri che iniziavano a diradarsi sulla nuca. Una persona energica e dal carattere rozzo. Lavorava in paese, ma il ragazzino non si era mai interessato al suo lavoro.
La mamma mescolava la zuppa sul fornello e il nonno leggeva tranquillo il suo giornale con i suoi occhiali spessi un dito, le gambe accavallate.
Erano tutti seduti a tavola per la cena ad aspettarlo.
- Sono andato al lago – rispose il ragazzino, sedendosi e guardando il piatto davantia lui. La mamma aveva appena posato sul tavolo una brocca d’acqua piena.
-Solo?
-Solo.
Ci fu un clangore di pentole.
-Isi!- lo sgridò Kate, la mamma- Quante volte te lo devo ripetere? Sei ancora troppo piccolo per andare così lontano da solo!
La signora Steven era una donna di mezz’altezza, i capelli scuri chiusi in una crocchia, il volto sottile come il figlio. Era una maestra ma, anche se affettuosa, spesso non condivideva le azioni del piccolo Isidor.
-Fa freddo fuori- continuò Arthur, severo –E’ ancora inverno e noi viviamo in montagna. Non puoi andare dove vuoi come se fosse estate!
A capotavola, nonno Vincent abbassò il giornale e imitò la faccia arrabbiata del figlio. Isidor sorrise divertito, e il vecchio gli fece l’occhiolino. Il bello era che il papà non se ne era nemmeno accorto. Vincent era sempre una persona simpatica. Aveva occhi azzurri e capelli bianchi radi sulla testa.
-Ma cosa vai a fare lì con quello freddo, tesoro? – chiese Kate, versando con il mestolo un po’ di zuppa al nonno –I tuoi compagni preferiscono restare in casa e giocare nella propria camera, invitando qualcun altro. Credo che ti farebbe bene.
-No, non me lo farebbe- rispose Isidor, guardando fuori dalla finestra. Il padre alzò lo sguardo dal piatto.
-Ma cosa ci trovi di tanto interessante in quel posto?
Isidor sospirò.
-E’ un posto speciale. Lì sento la natura.
Arthur strinse forte il cucchiaio con la sua manona sinistra. –Che cosa?
-Papà, è una metafora!- spiegò il ragazzino, seccato. Alla faccia stupida del marito, Kate rise.
-Sei come tuo nonno- mormorò Vincent, affettuoso.
-Fai meglio a non assomigliargli troppo, invece - esclamò la mamma al nonno, alzandosi per mettere a posto i piatti. –Il signorino ha lasciato tutta la sua camera in disordine.
-----------------------------------------------------------------------
Un pomeriggio, al tramonto, decisero entrambi di scendere oltre il paese e di proseguire, raggiungendo un torrente che portava al lago. Arrivati, si stesero insieme sulla sabbia ad osservare le nuvole plasmate dal vento.
-Sono stato qui tanti anni fa- raccontò Vincent, giocando con una pietra –Mi ricordo benissimo questo posto. Ma gli alberi che erano allora piccoli, ora sono grandi.
Isidor restò in silenzio, pensieroso.
-Chiudi gli occhi da bambino- continuò il vecchio –e quando li riapri il tempo è già passato e la tua gioventù è sfiorita, lasciandoti solo l’ardente desiderio di tornare indietro per rivivere quei ricordi che non torneranno mai più.
Isidor aprì la bocca e la richiuse.
-Il tempo passa- concluse il nonno.
Isidor si girò.
Gli occhi del vecchio si erano velati di tristezza.
-Dimmi, Isidor- continuò il nonno, osservando il cielo –Quando vieni qui, qual è la cosa che di più ti colpisce?
Il ragazzino ci riflettè molto sopra.
-Gli uccelli- rispose, guardando uno stormo di rondini volare verso il sole del tramonto, ormai quasi sparito tra le due montagne. Disegnavano magnifici disegni, così strani e cangianti…
-Mi chiedo sempre perché la natura ha creato l’uomo senza ali, senza permettergli di volare- continuò il ragazzino, pensieroso.
Vincent ammirava perso le rondini che scomparivano nell’infinito.
-Chi l’ha detto che non possiamo?- esclamò.
Passò un attimo di silenzio, in cui il ragazzino riflettè.
-No- esclamò Isidor, aggrottando le sopracciglia –No-
-Cosa no?
-L’uomo non può volare, nonno- spiegò il bambino –Non è nella sua natura.
Il vecchio sorrise e si girò da un lato per guardare il nipote.
-Sai- iniziò a raccontare Vincent, col sorriso sulle labbra –Mio padre diceva sempre che una cosa che non si può fare, si può sempre sognare.
Un sorriso illuminò il viso di Isidor. Iniziava a capire.
-Vedi- continuò il nonno, portandosi un dito sulla bocca –La natura non ha dato all’uomo le ali per volare come un gabbiano. Ma sai che cosa gli ha dato?
-No- rispose il ragazzino –Cosa?
-La fantasia-
Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
sarà perchè è spezzettato, ma come racconto non mi è piaciuto molto. Stilisticamente tutto okay, i dialoghi non ti fanno venir voglio di picchiare i personaggi e cose simili, ma nell'insieme mi pare banale, sia come protagonisti che come tema in sè. Si tratta di un argomento abusatissimo, raccontarlo in maniera originale non è facile.
(come al solito invito chiunqe legga i miei post a ricordarsi che con libri e film io non sono cattiva, ma malvagia)
Prendi questi consigli con le pinze perchè mancando tutta la parte centrale ovviamente si perde molto e alcune cose potrebbero avere un senso nel racconto intero. Qui, invece, i brani che hai postato perdono molto di incisività. Tutto Imho.
Il bambino che sognava di volare
Gli steli d’erba ondeggiavano leggeri sulla soglia dell’acqua. Nuvole grigie si spostavano nel cielo, accompagnando la superficie piatta del lago che si muoveva lenta nella foschia.
Le fronde più alte dei pini frusciavano silenziosamente al vento.
Isidor era seduto sulla sabbia, scalzo. La brezza gli scompigliava i capelli scuri e gli muoveva la maglietta e i pantaloncini strappati. Era un bambino di dodici anni molto intelligente e di una certa bellezza: aveva un viso bianco e sottile, morbido nei suoi pochi anni, con degli occhi e dei capelli scuri.
Era solo. Ascoltava il parlare della montagna e del lago, il vento freddo che spingeva le nuvole di pioggia.
I suoi piccoli piedi tremavano a contatto con la sabbia gelida.
Questo paragrafo è necessario? E' puramente descrittivo, non introduce elementi introspettivi e non aggiunge niente a ciò che verà detto nel paragrafo successivo. Io lo taglierei, ma se vuoi mantenerne la struttura, approfondiscilo. ^_^
- Dove sei stato? - chiese Arthur, il papà, sentendo il figlio entrare in casa chiudendo la porta.Il vento soffiava forte sulla finestra della casetta facendo sbatacchiare le imposte.
Il padre di Isidor era un uomo alto, forte e robusto con capelli neri che iniziavano a diradarsi sulla nuca. Una persona energica e dal carattere rozzo. Lavorava in paese, ma il ragazzino non si era mai interessato al suo lavoro.
La mamma mescolava la zuppa sul fornello e il nonno leggeva tranquillo il suo giornale con i suoi occhiali spessi un dito, le gambe accavallate.
Erano tutti seduti a tavola per la cena ad aspettarlo.
- Sono andato al lago – rispose il ragazzino, sedendosi e guardando il piatto davantia lui. La mamma aveva appena posato sul tavolo una brocca d’acqua piena.
-Solo?
-Solo.
Ci fu un clangore di pentole.
-Isi!- lo sgridò Kate, la mamma- Quante volte te lo devo ripetere? Sei ancora troppo piccolo per andare così lontano da solo!
La signora Steven era una donna di mezz’altezza, i capelli scuri chiusi in una crocchia, il volto sottile come il figlio. Era una maestra ma, anche se affettuosa, spesso non condivideva le azioni del piccolo Isidor.
-Fa freddo fuori- continuò Arthur, severo –E’ ancora inverno e noi viviamo in montagna. Non puoi andare dove vuoi come se fosse estate!
A capotavola, nonno Vincent abbassò il giornale e imitò la faccia arrabbiata del figlio. Isidor sorrise divertito, e il vecchio gli fece l’occhiolino. Il bello era che il papà non se ne era nemmeno accorto. Vincent era sempre una persona simpatica. Aveva occhi azzurri e capelli bianchi radi sulla testa.
-Ma cosa vai a fare lì con quello freddo, tesoro? – chiese Kate, versando con il mestolo un po’ di zuppa al nonno –I tuoi compagni preferiscono restare in casa e giocare nella propria camera, invitando qualcun altro. Credo che ti farebbe bene.
-No, non me lo farebbe- rispose Isidor, guardando fuori dalla finestra. Il padre alzò lo sguardo dal piatto.
-Ma cosa ci trovi di tanto interessante in quel posto?
Isidor sospirò.
-E’ un posto speciale. Lì sento la natura.
Arthur strinse forte il cucchiaio con la sua manona sinistra. –Che cosa?
-Papà, è una metafora!- spiegò il ragazzino, seccato. Alla faccia stupida del marito, Kate rise.
-Sei come tuo nonno- mormorò Vincent, affettuoso.
-Fai meglio a non assomigliargli troppo, invece - esclamò la mamma al nonno, alzandosi per mettere a posto i piatti. –Il signorino ha lasciato tutta la sua camera in disordine.
Il paragrafo è abbastanza godibile. Le parti in grassetto sono quelle che mi hanno convint di meno. I "!" secondo me danno un'enfasi eccessiva, ma sono gusti; le frasi in grassetto sono superflue e spezzano il ritmo della narrazione. Secondo me le puoitrascurare senza perdere nulla.
Un pomeriggio, al tramonto, [..]
Passò un attimo di silenzio, in cui il ragazzino riflettè.
-No- esclamò Isidor, aggrottando le sopracciglia –No-
-Cosa no?
-L’uomo non può volare, nonno- spiegò il bambino –Non è nella sua natura.
Il vecchio sorrise e si girò da un lato per guardare il nipote.
-Sai- iniziò a raccontare Vincent, col sorriso sulle labbra –Mio padre diceva sempre che una cosa che non si può fare, si può sempre sognare.
Un sorriso illuminò il viso di Isidor. Iniziava a capire.
-Vedi- continuò il nonno, portandosi un dito sulla bocca –La natura non ha dato all’uomo le ali per volare come un gabbiano. Ma sai che cosa gli ha dato?
-No- rispose il ragazzino –Cosa?
-La fantasia-
La fine del racconto, invece non mi ha convinto più di tanto. Il tema che hai scelto di raccontare era difficile, ma credo che avresti potuto fare meglio, soprattutto nell'ultimo paragrafo. La formula dialogo tra saggio e ragazzino è difficile da gestire e nella conquista della consapevolezza che fai compiere a Isidor manca il passaggio più importante: il cambiamento della visuale. In particola la chiusa, seppur ad effetto, mi ha lasciato un senso d'incompiuto proprio perchè al cambiamento annunciato non è seguito nulla, anzi hai deciso di chiudere il racconto. Ma come sempre tutto imho. >_>
prelato, complimenti per le tue analisi ^_^.
Sei proprio un lettore attento >_>
prelato, complimenti per le tue analisi ^_^.
Sei proprio un lettore attento >_>
Ho letto qualche recensione che hai fatto sul tuo blog e sono molto più curate. >_>
Comunque il principio guida delle mie "analisi" è uno solo: a che serve? Ogni cosa deve tendere a soddisfare un'esigenza. Se non ha uno scopo è superflua, perciò eliminabile.
Mi piace il racconto, ma anche io toglierei il paragrafo iniziale perchè appesantisce troppo.
ps:ho scritto un pezzo di cui vado fiera, perchè non mi ero mai cimentata in una cosa simile. Lo posto qui, ma se qualcuno si sente disturbato dal fatto che è una scena di violenza sessuale, la tolga subito.
Spoiler: attenzioni, scene "forti"
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La locanda quella sera era gremita di drow e licantropi, ma tutto il luogo era permeato da un silenzio denso di tensione. Unico rumore nella sala, il lieve canto di una serva intenta a distribuire i pasti.
Gwynneth conosceva molto bene il motivo di quel silenzio, ma suo malgrado non poteva fare a meno di essere felice. Ancora pochi minuti, e sarebbe stata libera da ogni vincolo verso il suo padrone. E poi via da Lykos, lontana da quell'arida terra coperta di polvere e cenere. Verso dove, ancora non lo sapeva.
Posò le ultime pietanze rimaste sui tavoli destinati, poi con un sospiro di stanchezza sciolse il grembiule che le cingeva la vita sottile e si massaggiò la schiena indolenzita. Il suo turno era finito, e finalmente dopo tanto tempo non ne avrebbe avuto mai più un altro. Fissò la finestra difronte a lei, osservando compiaciuta i rivoli d'acqua che ne solcavano i vetri. La pioggia scrosciava incessante da diverse ore, spazzando via i fiumi velenosi e le scorie putride della Fornace, cosa che allietava molto l'animo della fanciulla.
Mentre contemplava quella scena in silenzio, già fantasticando sui meravigliosi luoghi nei quali poter scappare quella notte stessa, un intenso dolore alle spalle la costrinse a terra in un atroce urlo. Non ebbe il tempo di riprendersi, che avvertì una fitta lancinante al capo, i lunghi capelli tesi da una forza che la ragazza non riusciva a vedere. Poi sentì il pesante e rabbioso respiro del suo padrone, e allora capì.
:<<Tu non smetterai di lavorare finchè non te lo dirò io,Gwynneth, o tu e la tua famiglia sarete sgozzati come polli>>sibilò la voce fredda e dura del licantropo, simile al ringhio feroce di un lupo.
Gwynneth incominciò a tremare convulsamente, gli spasmi scuotevano il suo corpo impedendole di respirare.
:<<Avevi promesso, Anax>>farfugliò con voce debole, piena di paura. Anax tirò ancora di più i capelli, fino a sollevarle il grazioso volto da terra.
Lo girò bruscamente con una mano verso di lui, osservandone i tratti fini ed eleganti con disgusto. Per quanto potesse sembrare attraente, era pur sempre la faccia di una bastarda.
:<<Io sono il tuo padrone, decido io quando te ne puoi andare>>le disse con voce irata<<e ora non è il caso. Ho bisogno di ragazze giovani per incrementare gli affari, e tu lo sai bene>>
<<Ti prego, io non voglio dare il mio corpo a nessuno!>>singhiozzò la serva disperata, accucciandosi ai piedi del grosso licantropo e tremando come una foglia.
Anax le diede uno schiaffo con la sua mano poderosa, mandandola a sbattere con la testa contro il tavolo vicino. Alcuni drow vicini si allarmarono, alzandosi in piedi, mentre i licantropi erano del tutto indifferenti.
:<<State fermi, è cosa mia>>disse minaccioso il licantropo, sollevando la ragazza per la veste logora<<è una schiava, la legge mi consente di punirla>>.
Nessuno dei drow ebbe da obbiettare;infondo, era solo una bastarda.
La sollevò di peso e la scaraventò sul tavolo difronte, intrappolandola sulla superficie lignea con le mani. Nemmeno allora lei tentò di difendersi. Si limitò a piangere e a tremare, coprendosi il volto insanguinato con le mani.
:<<Nemmeno la forza per dimenarti hai>>disse lui sprezzante, facendo pressione con le mani sul suo ventre fino a farla gemere di dolore<<fai pena. L'unica cosa buona che hai è il corpo. Ed ora, visto che mi hai disubbidito, come pegno mi prenderò quello>>
<<Ti prego, non farmi del male!>>esclamò lei fra le lacrime, ma quello che ricevette in risposta fu un pugno così forte da spezzarle il naso.
Pianse e gridò parole d'aiuto per tutto il tempo in cui Anax prese il suo corpo, con una violenza tale da ricoprirla di contusioni e ferite. Morse a sangue i suoi seni delicati, strinse con tanta forza le sue ginocchia da farle illividire.
Gli astanti rimasero impassibili, molti uscirono dal locale come se niente fosse. Quando il licantropo terminò quell'atroce tortura, abbandonando il possente corpo sopra quello minuto della ragazza soffocandola, la locanda era deserta.
Si scostò dopo qualche minuto, riallacciandosi i pantaloni e sistemandosi la tunica corta, pronto per chiudere il locale e aprire il circolo della prostituzione che da anni gli garantiva entrate fisse e guadagni sicuri.
:<<Vatti a lavare e mettiti una veste pulita, o così nessuno ti vorrà>>comandò con tono imperioso alla ragazza, il cui corpo martoriato ed inerme era disteso sul tavolo.
Non piangeva più ora, non aveva la forza di disperarsi. Il respiro era debole, un rantolo soffocato che moriva nella sua gola strozzata dal dispiacere. Aveva creduto di potercela fare, di potersi liberare e tornare dalla sua famiglia, garantire loro una vita serena. Invece aveva fallito.
Voleva morire, e non per quello che il padrone le aveva fatto, ma per quello che lei non era riuscita a dare a coloro che amava. Non li avrebbe mai più rivisti, lo sapeva. Quella consapevolezza era talmente amara da bruciare più delle ferite che le devastavano il corpo. Poi in mente le balenò un'idea, un'idea che non avrebbe mai osato far nascere in altri momenti, ma che allora pareva l'unica via d'uscita.
Si alzò senza dire nulla e andò nella bottega sul retro, seguendo con lo sguardo istante per istante Anax che puliva i tavoli. Trafficò con i cassetti fino a trovare quello che le serviva, poi sgusciò via dallo stanzino e rimase nascosta dietro il bancone.
:<<Sbrigati a cambiarti cretina, questa notte ho poche donne a disposizione e troppi clienti!>>gridò il padrone mentre era intento a lucidare un tavolo vicino al banco, dandole ancora di spalle.
Fu allora che Gwynneth agì, trovando il coraggio necessario nel suo amore verso la famiglia. Si alzò in piedi, montò sul bancone e spiccò il salto. Atterrò sul dorso del licantropo, che imprecando cominciò a scuotersi violentemente.
:<<Sporca bastarda che non sei altro, cosa credi di fare eh?!>>urlò con tono rabbioso, muovendosi con una tale forza che per poco la ragazza non finì sbalzata via.
La fanciulla levò in alto il coltello, chiuse gli occhi per la paura e affondò la lama nel collo di Anax gridando:
<<Laniare!>>.
Sentì il grido di Anax spegnersi all'improvviso, il suo respiro raschiare la gola con il fremente desiderio di poter uscire, ultimo alito di vita che lotta per non estinguersi. Aprì gli occhi solo quando cadde pesantemente a terra, accasciata sopra al corpo possente del padrone. Sangue scuro macchiava le sue piccole ed eleganti mani, gocciolando a terra per poi unirsi alla pozza scarlatta formata dal corpo esanime di Anax.
Lei si avvicinò a lui titubante, incredula per quello che aveva fatto. Lo toccò appena per accertarsi che fosse morto, e solo quando vide i suoi occhi grigi sbarrati si rassicurò. Si, averlo ucciso era rassicurante. Non era mai stata più felice di allora, nemmeno quando fantasticava sui suoi sogni di terre lontane. Il licantropo che l'aveva vessata e oppressa per un anno intero era morto, non l'avrebbe mai più tormentata. E lei era finalmente libera.
In un gesto di incredibile spontaneità, estrasse il coltello dalla gola di Anax e poi glielo pianto nella schiena, incidendo profondamente nella carne. Estrasse nuovamente e nuovamente trapassò la carne del cadavere, questa volta un braccio, riempiendosi di pura gioia mentre la lama affondava nel corpo dell'artefice di tutta la sua miseria.
Ripetè quell'operazione molte altre volte, riducendo il cadavere a brandelli, come fanno i licantropi a combattimento vinto. Poi si alzò, gettò via il coltello, e si precipitò fuori dal locale spalancando la porta.
Non aveva percorso nemmeno mezzo miglio, che una forte stretta la bloccò afferrandola per le braccia. Si girò, riconobbe una delle guardie notturne di turno alla Fornace. Il volto impallidì all'istante, le mani sporche di sangue presero a tremare.
:<<Tu sei una mezza drow, che ci fai fuori senza il tuo padrone?>>chiese aspramente il licantropo, stringendola così forte quasi da spezzarle le ossa.
:<<Io sono libera>>bisbigliò lei, in un sussurro appena percettibile. La guardia abbassò lo sguardo sul suo corpo vestito di stracci e coperto di sangue, poi rispose con durezza:
<<Questo lo deciderò io. Portami alla locanda, voglio parlare col tuo padrone>>.
La mezza drow rabbrividì a quella richiesta, ma il soldato la spinse bruscamente in avanti, e non potette tirarsi indietro nè fuggire. Ritornò sui propri passi, la guardia che la strattonava tenendola per mano. Giunsero sulla soglia della locanda, la guardia entrò trascinandosi la ragazza dietro, poi emise un gemito di sorpresa e di orrore. Rivolse lo sguardo di ghiaccio a Gwynneth, fissandole prima le mani insaguinate, poi la catena stretta attorno alla caviglia, simbolo della sua condizione.
:<<Tu sei una schiava, mi hai mentito. Seguimi alla Fornace>>
<<Oh no, vi prego!>>supplicò la fanciulla, cadendo in ginocchio<<io non volevo ucciderlo, lui mi ha violentata e io ho perso il senno!>>
<<Zitta, schiava!>>tuonò la guardia, costringendola ad alzarsi con la forza<<sconterai la pena alla Fornace. So già che lavoro è adatto al tuo corpicino. Carne per la truppa, a vita>>.
La trascinò verso la Fornace, non curandosi del suo fragile corpo che sfregava contro il duro pietriccio della piana desolata. Gwynneth non pianse, ma questa volta gridò e lottò furiosamente. Nessuno le avrebbe impedito di rivedere la sua famiglia.
pps:ho cercato di sistemare i dialoghi per renderli più leggibili, ma non so fare di meglio. Non mi sono mai curata dell'impaginazione ^_^
EDIT by Qho °_°
l'ho ancora solo iniziato, ma come al solito ti chiedo di sistemare l'impaginazione, così è illeggibile. Fai attenzione a scegliere quando "andare all'altro rigo" nei pezzi contenenti dialoghi ^_^
Mariateresa, ho messo precauzionalmente il racconto sotto spoiler, onde evitare che qualcuno legga qualcosa che possa "urtarlo" in qualche modo, e messo in grassetto la parte in cui avvisi circa la natura del contenuto.
Mi accodo inoltre anche io all'appello di Seethamaran Toral: aggiusta l'impaginazione, soprattutto quando ci sono i dialoghi, e il raccondo migliorerà di molto ^_^
Ho cercato di aggiustare, ma giuro non so fare di meglio. Non mi intendo di impaginazione...se non riuscite a leggerlo, non importa, mi arrendo ^_^