Grazie Tyrion ^^
Lo so, questo pezzo non mi è piaciuto molto, come dicevo prima :\
Le domande mi sembravano starci bene, forse per dare una sorta di enfasi allo scritto, però proverò a riscriverlo togliendole come hai soncigliato tu. poi ti saprò dire cosa mi soddisfa di più!
Però il resto, grazie davvero e no, non credo tu sia un vecchio porco :P
sposto nella Locanda dell’Uomo Inginocchiato ^_^
Dato che evidentemente il tema 'Il surrealismo' non ispira più di tanto, ho pensato di passare ad un nuovo tema in anticipo.
In particolare, questa volta, voglio proporvi due paesaggi per ispirarvi. Si accettano descrizioni, ma anche racconti ambientati... in questi luoghi. Spazio all'immaginazione e soprattutto alle sfere sensoriali! Con il loro utilizzo il risultato potrebbe... sorprendervi.
Ecco a voi i due paesaggi:
- l'Antartico
http://www.globalgeografia.com/album/antar...e_antartico.jpg;
- Salto del Angel, Venezuela
http://www.tripcentre.org/tripmagazine/wp-...l-venezuela.jpg
Appena possibile, farò la mia scelta e presenterò il mio racconto-descrizione come esempio.
Buon divertimento! ^_^
Io sicuramente scegliero' l'antartico!!! ^_^
io propongo questo pezzo sul surrealismo... non è mio ma è l'autore è sicuramente il Dalì della comunicazione scritta
bisognerebbe analizzarlo tanto è fuori
"ù.ù
Mi chiamo Ai (cioè, non mi chiamo Ai, ma mi va assai bene essere chiamata Ai), ho 18 anni (ç.ç) e scrivo dal freddo Nord, coff, Torino.
Fui iniziata a questa saga da una mia cara amica, interruppi la lettura all'inizio de Il Grande Inverno quest'estate...e pensavo che non sarei mai riuscita a continuarlo. Una noiosissima conferenza di filosofia a scuola questo febbraio cambio tutto. Sono partita spedita a leggere tutto e mi ci sono intrippata un sacco *__________* Mai nessuna saga o libro o qualsiasi cosa mi ha appassionata tanto negli ultimi anni. Certi livelli di entusiasmo risalgono a elementari o medie XD.
Ho iniziato a lurkare per informarmi su eventuali congetture sui prossimi libri, o riflessioni su eventi oscuri, roba varia, insomma, sono una guardona!
Ritengo opportuno informarvi che lo scorso weekend ho suggerito alla cara amica che mi ha fatto consocere la saga di chiamare il suo sedere La Barriera *___*. Aveva già chiamato le tette Jaime e Tyrion quest'estate...date un nome anche voi alle vostre parti del corpo *òòòòòò*
*tossicchia e si guarda intorno imbarazzata*"
°ò°
/me mod mode: on
Facciamo che basta OT e spam? °_°
/me mod mode: off
io propongo questo pezzo sul surrealismo... non è mio ma è l'autore è sicuramente il Dalì della comunicazione scrittabisognerebbe analizzarlo tanto è fuori
"ù.ù
Mi chiamo Ai (cioè, non mi chiamo Ai, ma mi va assai bene essere chiamata Ai), ho 18 anni (ç.ç) e scrivo dal freddo Nord, coff, Torino.
Fui iniziata a questa saga da una mia cara amica, interruppi la lettura all'inizio de Il Grande Inverno quest'estate...e pensavo che non sarei mai riuscita a continuarlo. Una noiosissima conferenza di filosofia a scuola questo febbraio cambio tutto. Sono partita spedita a leggere tutto e mi ci sono intrippata un sacco *__________* Mai nessuna saga o libro o qualsiasi cosa mi ha appassionata tanto negli ultimi anni. Certi livelli di entusiasmo risalgono a elementari o medie XD.
Ho iniziato a lurkare per informarmi su eventuali congetture sui prossimi libri, o riflessioni su eventi oscuri, roba varia, insomma, sono una guardona!
Ritengo opportuno informarvi che lo scorso weekend ho suggerito alla cara amica che mi ha fatto consocere la saga di chiamare il suo sedere La Barriera *___*. Aveva già chiamato le tette Jaime e Tyrion quest'estate...date un nome anche voi alle vostre parti del corpo *òòòòòò*
*tossicchia e si guarda intorno imbarazzata*"
dai Balon, non facciamo cadere in basso questo topic e inizia a lavorare su questo tema. Scusate il ritardo del mio testo, lo inserirò appena lo avrò finito.
Grazie per l'intervento di Qhorin. Chiunque vorrà andare in Ot, dovrà passare sul mio cadavere! -_- Ne ferisce più la penna, che la spada... :figo: :D
perchè? è eccezionale come stream of consciousness... siete un po' fuori ultimamente con gli OT, eh?
nel topic della "politica" (che si chiama XVI legislatura, ops, ci mettiamo a commentare i regolamenti del Senato?), che per un anno è stato usato per "attualità e varie" dai mod stessi, non si può più parlare di orientamenti politici con attenzione sui temi comunitari...
qui mi chiedono di parlare di surrealismo (tema alquanto vago e personalizzabile, visto che in terra terra vuol dire "sparare caxxate"), e io posto un pezzo che vale James Joyce, però è OT...
bravo chi vi capisce...
A questo punto, propongo un pezzo che (probabilmente) continuerò a scrivere, per un breve racconto. Potrei postare nuovi pezzi del racconto appena li avrò terminati... intanto mi affido ai vostri commenti riguardo questa prima parte.
Il tema scelto è: l'Antartico.
Prologo
Terra di Maud
Polo antartico
13 ottobre 2098
Il vento soffiava sollevando nuvole di polvere gelida, fischiando la sua furia sui picchi innevati e sulle rocce glaciali dell’immenso deserto.
-Maledizione, Hoss…!- Frederick imprecò a denti stretti, sotto il suo cappuccio d’orso –Qui il ghiaccio è troppo sottile! Non reggerà il nostro peso!
Hoss, il vecchio capo della spedizione, si ritrasse veloce dalla sponda del fiume congelato, mentre il ghiaccio scricchiolava, come la risata di un folle. Il pesante giubbotto polare non lo aiutava molto in agilità.
-Può darsi, Fred- esclamò Todok, ironico –che il ghiaccio in realtà non regga il tuo, di peso.
Todok, belloccio trentenne della Terra del fuoco, di professione fotografo estremo, non aveva tutti i torti. Le risate rauche dei membri della spedizione fecero solo incupire l’imponente uomo battistrada di nome Frederick.
Il gigantesco uomo trasse un lungo sorso d’acqua dalla sua enorme borraccia, con i lacci che la mantenevano al suo collo da toro. Se il fotografo ci fosse andato più pesante, con quel commento, nessuno del gruppo avrebbe scommesso una moneta bucata sulla bella dentatura del giovane.
-Non possiamo guadare il fiume- tagliò corto Hoss, il comandante. Era un esploratore sui sessant’anni, con oltre quaranta di esperienza, e la sua parola dettava legge in quello strano manipolo di uomini.
Il vento aveva iniziato a calmarsi, ma non c’era allegria negli occhi del gruppo. Sarebbe stata dura, come sempre. Più si avvicinavano al polo, più le tempeste diventavano frequenti, e il sole ormai non durava più di sei ore, in quel panorama di grandi vallate e ripide rocce livide per il gelo. A volte il sottile confine tra la vita e la morte era dato solo dal cappuccio di pelliccia, che proteggeva il volto dai coltelli del vento. E la luna … era sempre lì, immobile in quel deserto dalla lunghissima notte, fioca tra le costellazioni che i nativi chiamavano Trinirika, gli estremi confini del mondo.
-Siamo nella stagione della notte, e le ore di luce diventano sempre di meno, man mano che ci avviciniamo al polo- la voce ruvida del professor Takloff arrivò da dietro i suoi folti baffi neri. Il geologo aveva iniziato a perdere colpi subito dopo la prima bufera, che li aveva portati ad accamparsi tutti in una grotta.
Il giovane Jeff era alla fine del gruppo, ma non gli sfuggì lo sguardo di Hoss, il vecchio capitano della spedizione, mentre la pallida sagoma del sole riluceva lontanissima dietro gli strati di nuvole. Jeff si rivolse all’anziano capo:
–Sono sedici giorni di marcia- il ragazzo li aveva contati tutti, da quando avevano lasciato la base di Tullord Hill. –Abbiamo viaggiato a sud, poi a sud est, e di nuovo a sud. La base meteorologica sarà presto vicina, la parte peggiore del viaggio è passata.-
Gli occhi azzurro ghiaccio di Hoss arrivarono a trovare il giovane membro della spedizione, e gli fecero un accennato occhiolino. Jeff aveva sedici anni, era un giovane alto e dalle braccia forti, e chiudeva il gruppo nella loro avanzata in quell’oceano di ghiaccio. Quando nonno Hoss l’aveva preso con sé, Jeff l’aveva seguito in ogni spedizione, dall’età di tredici anni. Così Jeff era cresciuto conoscendo i ghiacci del polo australe, osservando gli sterminati spazi delle terre della regina Maud, gli iceberg che si allargavano nel mare a strati verso l’oceano aperto.
Viveva nella Terra del Fuoco, dove nonno Hoss rimaneva per mesi interi, alla base di Tullord della National Geographic… aveva degli amici, certo, e anche una ragazza che aveva trovato il suo corpo piacevole più di una volta, ma il suo cuore era lì con il nonno, lì dove si sentiva vivo.
Jeff armeggiò con l’imponente zaino che reggeva sulla schiena, la borraccia che ondeggiava sul suo ampio petto.
Il professor Takloff marciava al suo fianco. Era un alto svedese dai prominenti baffi scuri e dagli occhiali larghi e lucenti. Aveva ben più di un solo giubbotto a coprirgli il torace, e tutte le cinghie dei suoi strumenti lo rendevano professionale, ma anche ridicolo rispetto al resto del gruppo.
-E’ strano, Lothal- disse l’uomo a bassa voce, rivolto alla sua giovane compagna. La sua assistente era una giovane donna sui trent’anni, che ben più d’una volta aveva occhieggiato Jeff e Todok, il fotografo. Il professore non si era mai interessato ai capelli fluidi della ragazza, né al suo seno ben disegnato, e le parlava come se fosse l’unica del gruppo che potesse capirlo realmente. Era chiaro che il professore non condivideva nulla di quello che decidevano tutti i membri della spedizione, ed era del tutto sprovvisto di determinazione, come tutti gli intellettuali. Perfino quando una battuta faceva irruzione nell’atmosfera del gruppo, lui rimaneva impassibile, tra le risate generali.
-E’ strano- ripetè il professore, mentre Jeff sorseggiava acqua dalla sua borraccia. –Non ho ancora visto pinguini, e non è nel loro comportamento nascondersi. Questa non è la stagione della cova, e sono due settimane che vaghiamo in questo deserto senza neanche vederne l’ombra-
Lothal fece un rigido segno di assenso, il viso quasi del tutto coperto dal grande cappuccio di pelle. Gli esploratori procederono fiancheggiando il corso d’acqua ghiacciato. Avevano ripreso a salire, approfittando delle ultime ore di luce.
-Non stiamo vagando- Jeff richiuse la propria borraccia e strinse le brache del proprio zaino, mentre fiocchi di livida neve gli vorticavano attorno –Arriveremo presto al rifugio, e da lì finalmente potremo riorganizzarci e ricevere notizie dalla National.-
Takloff sbuffò e riprese a calcolare le coordinate con uno dei suoi trabiccoli nelle tante tasche del suo giubbotto, le mane imbottite di due strati di guanti.
Erano decenni che la casa dei meteorologi sorgeva in un punto imprecisato poco lontano dal polo. Quando era sorto l’istituto, ben prima della nascita di Jeff, la sede dei meteorologi era notevole e con almeno una decina di persone che vi si dedicavano. Poi, con il passare del tempo, il mondo aveva pian piano dimenticato quell’insignificante località di frontiera, e i fondi scarsi avevano ridotto i meteorologi ai soli due fratelli fondatori, Wilhelm e Luwor.
Il vecchio Hoss aveva fatto rapporto anche alla National della situazione, ma il mondo, troppo preso dai suoi affari, si era dimenticato di quanto fosse importante l’attività di quei famosi fratelli. Troppo freddo, e troppo poca gente disposta a congelarsi in quei territori dispersi.
Il mondo rifiutava quel luogo dove l’uomo era portato all’estremo, dove ancora le macchine non vincevano la furia della Terra e l’avanzare del ghiaccio.
Alla fine, il gruppo si arrese al passare del tempo, e l’atmosfera tornò al silenzio, con il solo fischio del vento polare. Sotto la sua crosta superficiale di ghiaccio, il fiume scorreva protetto dalle intemperie, in un attutito riversarsi di acqua di sorgente. Non c’erano guadi, e continuavano a marciare accanto al corso d’acqua, un passo dopo l’altro, con la fatica che accompagnava ogni movimento. Gli stivali di Jeff affondavano nella neve fino al ginocchio.
Jeff sudò, ma si asciugò il sudore, per evitare che congelasse. Sul mento gli era cresciuta una barba di due settimane, ricca di fili di neve che lo rendevano stranamente più vecchio dei suoi sedici anni.
Il sole durò le solite sei modeste ore, e presto scomparve oltre un ennesimo artiglio di ghiaccio che si levava verso il cielo. Qualche sfumatura livida di tramonto, poi, le stelle.
Va bene, non mi piace molto... Però calma: è strano che non mi piaccia, perché in generale tu sai scrivere molto meglio di cosí. Quindi cosa c'è che non va?
A parte i dettagli, che hanno una importanza relativamente minore (e poi ci sono davvero pochi dettagli da correggere), credo che la ragione sia nel fatto che non stai scrivendo di te stesso. Non ci sei tu, in questo scritto (o se ci sei, ci sei solo molto superficialmente): piuttosto, mi sembra che tu stia cercando di scrivere un romanzo avventuroso, alla maniera in cui si scrive un romanzo avventuroso "tipico". E questo secondo me è un peccato. Puoi fare cose ben migliori, se scrivi a modo tuo delle cose che conosci.
Credo che sia importante scrivere di cose che si conosce. Non credo che tu sia mai stato in Antartica (magari ci sei stato, eh!, ma non credo). Quindi, perché scrivere di Antartica? Certo, il tema era quello! :unsure: Però dovrebbe sempre essere possibile scrivere di Antartica dal proprio punto di vista - cioè dal punto di vista di chi non ci è mai stato (io parlo e parlo, e sta a me poi cercare di mostrare come fare questa cosa - e non ho ancora la più pallida idea di che cosa scriverò: magari stavolta, vigliaccamente, passo!).
In generale poi ho l'impressione che ci sia molto di superfluo, alcuni concetti sono ripetuti più volte - e non occorre. Forse c'è un residuo di paura che il lettore possa "non capire". Cioè un po' di paura a "fidarsi" - ma non solo del lettore: anche di se' stessi. Ma è sempre meglio lasciare una cosa non detta, piuttosto che dirla due volte (e spesso anche una sola volta è "troppo"). Ad esempio, "che il ghiaccio in realtà non regga il tuo, di peso... l’imponente uomo battistrada di nome Frederick... Il gigantesco uomo trasse un lungo sorso d’acqua...", in frasi vicinissime fra di loro; o anche, "Todok, belloccio trentenne... la bella dentatura del giovane...". E non occorre specificare che quella prima frase è "ironica", dato che è evidente che lo è.
Poi ci sono alcuni dettagli che forse sono sbagliati in senso ingenuo (nel senso cioè che si capisce che lo scrittore non è mai stato in Antartica). Ad esempio, il sole al polo si muove in cerchi orizzontali (non tramonta mai, oppure è costantemente sotto l'orizzonte). Vicino al polo questo cerchio orizzontale si inclina un po', permettendo albe e tramonti, questo è vero: ma non si inclina di molto! Quindi in realtà i tramonti sono lentissimi, e il crepuscolo dura un'eternità (anzi, secondo me se il sole sta su 6 ore, sarebbe verosimile che la notte resti comunque sempre luminosa, al punto da non permettere mai la visione delle stelle). Il tramonto dura davvero pochissimo, nello scritto (una frase). Ovviamente dipende molto da quanto distanti siamo dal polo... ma qui sembra che siamo ben oltre il circolo polare antartico.
Poi, ci sono alcune (poche) immagini surreali/metaforiche davvero troppo spinte, per i miei gusti. Una ogni tanto magari può andare - ma tu all'inizio lo fai spesso. E non sempre sono riuscite. Ammetto che è anche una questione di gusti personali, ma io preferisco una scrittura semplice: mi sembra più vera. Mentre mi distraggono dalla storia espressioni (anche ridondanti) come "Il vento soffiava ... fischiando la sua furia", "il ghiaccio scricchiolava, come la risata di un folle", "proteggeva il volto dai coltelli del vento"... "Coltelli" è una immagine davvero troppo concreta, specifica - al lettore balza in testa l'immagine di un coltello con tanto di manico, ecc... Userei immagini più vaghe (ad esempio, "lame", ma questo ha il difetto di essere un po' scontato... Boh).
Poi, ci sono alcune espressioni macchinose (di nuovo: poche per fortuna!), come "aveva [...] anche una ragazza che aveva trovato il suo corpo piacevole più di una volta". Eh? O anche: "Il professore non si era mai interessato ai capelli fluidi della ragazza, né al suo seno ben disegnato..."... Oltretutto distrae molto (credo) fornire dettagli dell'anatomia della ragazza nella stessa frase in cui si vuole dire che il prof questi dettagli li ignora. Certo, può averli notati, ma allora... :unsure: ... che porco! :D
Il 90% del testo nel complesso va bene - soprattutto dopo i primi cinque o sei paragrafi. È come se tu avessi bisogno di "scaldare" un po' il motore prima di lanciarti. D'altra parte sappiamo bene che l'inizio di una storia è sempre la parte più difficile...
Lord Alexander, mi dispiace dirlo ma concordo con i suggerimenti che ti ha dato già Tyrion. Credo che in questo brano siano venute meno le tue abilità pricipali: la capacità descrittiva e la scelta delle parole. Ti segno qualche spunto, anche perchè sono convinto che tu abbia già trovato molte cose su cui lavorare. Cerco di non ripetere quanto già detto.
Prima però una considerazione da lettore. Scegli meglio i nomi dei tuoi protagonisti, specialmente se vuoi scrivere un racconto utilizzando quest'ambientazione. Todok, Takloff, Tullord Hill, Lothal sembrano più nomi adatti ad un fantasy che ad un Sci-Fi, Thriller ambientato sulla terra.
Prologo
Terra di Maud
Polo antartico
13 ottobre 2098
Il vento soffiava sollevando nuvole di polvere gelida, fischiando la sua furia sui picchi innevati e sulle rocce glaciali dell’immenso deserto.
-Maledizione, Hoss…!- Frederick imprecò a denti stretti, sotto il suo cappuccio d’orso –Qui il ghiaccio è troppo sottile! Non reggerà il nostro peso!
Hoss, il vecchio capo della spedizione, si ritrasse veloce dalla sponda del fiume congelato, mentre il ghiaccio scricchiolava, come la risata di un folle. Il pesante giubbotto polare non lo aiutava molto in agilità.
-Può darsi, Fred- esclamò Todok, ironico –che il ghiaccio in realtà non regga il tuo, di peso.
Todok, belloccio trentenne della Terra del fuoco, di professione fotografo estremo, non aveva tutti i torti. Le risate rauche dei membri della spedizione fecero solo incupire l’imponente uomo battistrada di nome Frederick. (oltre le considerazioni espresse da Tyrion questo periodo mi sembra ancora macchinoso, grezzo)
Il gigantesco uomo trasse un lungo sorso d’acqua dalla sua enorme borraccia, con i lacci che la mantenevano al suo collo da toro. Se il fotografo ci fosse andato più pesante, con quel commento, nessuno del gruppo avrebbe scommesso una moneta bucata sulla bella dentatura del giovane.
-Non possiamo guadare il fiume- tagliò corto Hoss, il comandante. Era un esploratore sui sessant’anni, con oltre quaranta di esperienza, e la sua parola dettava legge in quello strano manipolo di uomini.
Il vento aveva iniziato a calmarsi, ma non c’era allegria negli occhi del gruppo. Sarebbe stata dura, come sempre. Più si avvicinavano al polo, più le tempeste diventavano frequenti, e il sole ormai non durava più di sei ore, in quel panorama di grandi vallate e ripide rocce livide per il gelo. (se non sei sicuro di ciò che descrivi, cerca con google! ) A volte il sottile confine tra la vita e la morte era dato solo dal cappuccio di pelliccia (nel 2098 ancora in giro con le pellicce? Quando ne hai la possibilità inventa.), che proteggeva il volto dai coltelli del vento. E la luna … era sempre lì, (quindi adesso è giorno, tramonto, notte? non so capisce) immobile in quel deserto dalla lunghissima notte, fioca tra le costellazioni che i nativi chiamavano Trinirika, gli estremi confini del mondo.
-Siamo nella stagione della notte, e le ore di luce diventano sempre di meno, man mano che ci avviciniamo al polo- la voce ruvida del professor Takloff arrivò da dietro i suoi folti baffi neri. Il geologo aveva iniziato a perdere colpi subito dopo la prima bufera, che li aveva portati ad accamparsi tutti in una grotta. (Questo dialogo è inutile così com'è. Gli altri sono tutti esperti, non c'è bisogno ricordare loro che sono nella stagione della notte. Se vuoi che il lettore sappia quest'informazione devi trovare un altro modo)
Il giovane Jeff era alla fine del gruppo, ma non gli sfuggì lo sguardo di Hoss, il vecchio capitano della spedizione, mentre la pallida sagoma del sole riluceva lontanissima dietro gli strati di nuvole. Jeff si rivolse all’anziano capo:
–Sono sedici giorni di marcia- il ragazzo li aveva contati tutti, da quando avevano lasciato la base di Tullord Hill. –Abbiamo viaggiato a sud, poi a sud est, e di nuovo a sud. La base meteorologica sarà presto vicina, la parte peggiore del viaggio è passata.-
Gli occhi azzurro ghiaccio di Hoss arrivarono a trovare il giovane membro della spedizione, e gli fecero un accennato occhiolino. Jeff aveva sedici anni, era un giovane alto e dalle braccia forti, e chiudeva il gruppo nella loro avanzata in quell’oceano di ghiaccio. (concetto ripetuto) Quando nonno Hoss l’aveva preso con sé, Jeff l’aveva seguito in ogni spedizione, dall’età di tredici anni. Così Jeff era cresciuto conoscendo i ghiacci del polo australe, osservando gli sterminati spazi delle terre della regina Maud, gli iceberg che si allargavano nel mare a strati verso l’oceano aperto.
Viveva nella Terra del Fuoco, dove nonno Hoss rimaneva per mesi interi, alla base di Tullord della National Geographic… aveva degli amici, certo, e anche una ragazza che aveva trovato il suo corpo piacevole più di una volta, ma il suo cuore era lì con il nonno, lì dove si sentiva vivo.
Jeff armeggiò con l’imponente zaino che reggeva sulla schiena, la borraccia che ondeggiava sul suo ampio petto.
Il professor Takloff marciava al suo fianco. Era un alto svedese dai prominenti baffi scuri e dagli occhiali larghi e lucenti. Aveva ben più di un solo giubbotto a coprirgli il torace, e tutte le cinghie dei suoi strumenti lo rendevano professionale, ma anche ridicolo rispetto al resto del gruppo.
-E’ strano, Lothal- disse l’uomo a bassa voce, rivolto alla sua giovane compagna.(dalle premesse sembrerebbe che il prof si riferisca a Jeff quando parla) La sua assistente era una giovane donna sui trent’anni, che ben più d’una volta aveva occhieggiato Jeff e Todok, il fotografo. Il professore non si era mai interessato ai capelli fluidi della ragazza, né al suo seno ben disegnato, e le parlava come se fosse l’unica del gruppo che potesse capirlo realmente. Era chiaro che il professore non condivideva nulla di quello che decidevano tutti i membri della spedizione, ed era del tutto sprovvisto di determinazione, come tutti gli intellettuali. Perfino quando una battuta faceva irruzione nell’atmosfera del gruppo, lui rimaneva impassibile, tra le risate generali.
-E’ strano- ripetè il professore, mentre Jeff sorseggiava acqua dalla sua borraccia. –Non ho ancora visto pinguini, e non è nel loro comportamento nascondersi. Questa non è la stagione della cova, e sono due settimane che vaghiamo in questo deserto senza neanche vederne l’ombra-
Lothal fece un rigido segno di assenso, il viso quasi del tutto coperto dal grande cappuccio di pelle. Gli esploratori procederono (procedettero, o si può dire in entrambi i modi?) fiancheggiando il corso d’acqua ghiacciato. Avevano ripreso a salire, approfittando delle ultime ore di luce.(di nuovo luce?)
-Non stiamo vagando- Jeff richiuse la propria borraccia e strinse le brache del proprio zaino, mentre fiocchi di livida neve gli vorticavano attorno –Arriveremo presto al rifugio, e da lì finalmente potremo riorganizzarci e ricevere notizie dalla National.-
Takloff sbuffò e riprese a calcolare le coordinate con uno dei suoi trabiccoli nelle tante tasche del suo giubbotto, le mane imbottite di due strati di guanti.
Erano decenni che la casa dei meteorologi sorgeva in un punto imprecisato poco lontano dal polo. Quando era sorto l’istituto, ben prima della nascita di Jeff, la sede dei meteorologi era notevole e con almeno una decina di persone che vi si dedicavano. Poi, con il passare del tempo, il mondo aveva pian piano dimenticato quell’insignificante località di frontiera, e i fondi scarsi avevano ridotto i meteorologi ai soli due fratelli fondatori, Wilhelm e Luwor.
Il vecchio Hoss aveva fatto rapporto anche alla National della situazione, ma il mondo, troppo preso dai suoi affari, si era dimenticato di quanto fosse importante l’attività di quei famosi fratelli. Troppo freddo, e troppo poca gente disposta a congelarsi in quei territori dispersi.
Il mondo rifiutava quel luogo dove l’uomo era portato all’estremo, dove ancora le macchine non vincevano la furia della Terra e l’avanzare del ghiaccio.
Alla fine, il gruppo si arrese al passare del tempo, e l’atmosfera tornò al silenzio, con il solo fischio del vento polare. Sotto la sua crosta superficiale di ghiaccio, il fiume scorreva protetto dalle intemperie, in un attutito riversarsi di acqua di sorgente. Non c’erano guadi, e continuavano a marciare accanto al corso d’acqua, un passo dopo l’altro, con la fatica che accompagnava ogni movimento. Gli stivali di Jeff affondavano nella neve fino al ginocchio. (a queste latitudini il ghiaccio dovrebbe essere molto spesso, abbastanza da non poter distinguere dove passa un fiume)
Jeff sudò, ma si asciugò il sudore, per evitare che congelasse. (frase eliminabile, trascurabile) Sul mento gli era cresciuta una barba di due settimane, ricca di fili di neve che lo rendevano stranamente più vecchio dei suoi sedici anni.
Il sole durò le solite sei modeste ore, e presto scomparve oltre un ennesimo artiglio di ghiaccio che si levava verso il cielo. Qualche sfumatura livida di tramonto, poi, le stelle.
Direi, quindi, che il problema principale che hai avuto stavolta è stata la presentazione dei tuoi personaggi, e in generale l'integrazione tra parte descrittiva e parte dialogata-narrativa. Ovviamente su questo è inutile dire secondo me dovresti riorganizzare il periodo in questo modo o fare in quest'altro. Credo che tu stesso ti accorga che in certi punti le parole non scorrono come dovrebbero. Se hai intenzione di lavorarci ancora e di finire il racconto, ti consiglio di rivedere questi aspetti.
Ora vedo se riesco a scrivere il mio pezzo. Questi giorni sono molto occupato :unsure: :unsure:
Come mia abitudine nelle descrizioni sono un'incompetente, perciò scelgo il tema artico e posto un pezzo che spero possa comunque rientrare nei canoni :unsure:
non ho avuto tepo di rileggerlo bene,quindi perdonate eventuali erroracci grammaticali o di battitura :unsure:
E’ qui che sono stato creato, ed è un ottimo posto dove nascere. Non credo che montagne abbiano mai avuto il profilo arrotondato né penso che sia mai esistita vegetazione in questo luogo. Non ho mai scorto alcun animale, né ho mai rinvenuto tracce nella neve che facessero pensare alla loro presenza prima della mia nascita. E’ un ottimo luogo dove nascere. Ho gli occhi del mio creatore tutti per me.
So di non essere il primo della mia specie, né sarò l’ultimo. Alle volte, mentre vagavo per le distese gelate mi è successo d’incontrare una creatura come me. Ero geloso, ma felice che qualcuno condividesse questo mondo. Felice per il mio creatore.
Ma nessuna è mai durata.
Spesso risciuvo a incontrare più volte la stessa creatura. Una volta accadde che nello stesso giorno ne incontrassi due differenti. Ricordo quanto mi sentii felice e minacciato.
Ma tutte scompaiono. Sono tentativi falliti.
Il mio creatore prolunga la loro agonia il più possibile, nella speranza di salvarle. Nessuna ha mai funzionato a lungo.
E allora prerisce non vederle, le sue creature perdute.
La neve cade incessante, qui. Sottili cristalli scendono lentamente dal cielo azzurro e terso, ogni cosa è perennemente coperta dal loro soffice manto. Non ci sono mai nubi a screziare il cielo, che è sempre azzurro e limpido.
C’è un luogo dove non mi spingo mai . Lì l’acqua è inquieta, e non è mai ricoperta del tutto da una lastra di ghiaccio, come negli altri laghi. Suppongo per via della sua vastità. Lo spero.
Mi piacciono le acque scure e pesanti che questo mondo. Mi piace calpestare la neve pastosa sulle rive, vedere come il manto ghiacciato da sottilissima pellicola si trasforma e s’inspessisce.
Non percorro mai quei pavimenti di ghiaccio, ma non perché io tema di sprofondare nelle acque gelate per non riemergere più; so bene che non è questa la volontà del mio creatore, e di conseguenza non è quella di questo luogo. Né mi è stato concesso di poter percepire il freddo, e nemmeno di patirlo.
Pur sapendo che non è il suo scopo intaccarmi, l’idea di avvicinarmi troppo mi rende inquieto.
C’è un lago le cui acque sono instabili, e ho timore a conoscerne la ragione.
Accadde una volta che mi ritrovassi a poca distanza dalle sue sponde: vagavo per la gola dove i venti di innumerevoli stagioni a cui io non mi è stato dato di assistere hanno scolpito in modo preciso e terribile le torri di ghiaccio che un tempo svettavano frastagliate. Non avevo mai percorso prima quel luogo, e non sapevo che il lago si trovasse così poco lontano. Ipnotizzato da quelle figure trasparenti e immobili non mi accorsi dei segnali, e una distanza troppo esigua mi separava ormai dalla riva.
Capii subito che le acque non apparivano come avrebbero dovuto. Anche l’aria aveva qualcosa di sbagliato, e l’immobilità a me così familiare lì mi era ostile.
Fuggii, percorrendo di corsa la gola dove non soffia più alcun vento da molto tempo. Notai come le sue sculture apparissero diverse, se viste dalla faccia opposta.
Mi è stato raccontato che furono i venti a modellare quelle terribili figure, ma non ne sono sicuro.
Quel luogo mi fa paura, e temo di sapere quale sia la sua funzione.
Innumerevoli creature hanno lasciato le loro orme sulla neve appena posata, ma nessuna è mai sopravvissuta. E il mio creatore preferisce non vederle, le sue opere perdute.
Ho paura. Il modo di cadere della neve sta cambiando. In modo impercettibile, ma non per me. Io risiedo da sempre in questo luogo, da sempre osservo i leggerissimi cristalli che incessanti si posano al suolo. Stanno cambiando, e l’aria comincia a muoversi, ha perso la sua immobilità. E’ questo il vento, che innumerevoli anni fa non mi fu concesso di vedere, quando scolpì le tetre figure della gola? Ho paura.
Le prime macchie porpora le scorsi molte ore quando il la luce era ancora sul punto di sorgere, una striscia densa che si staglia sul suolo bianco. Ovunque io proceda, quella rossa ombra strascicata non mi abbandona, e dapprima ne fui divertito, e incuriosito. Ora comincio a chiedermi il motivo della sua presenza, il suo significato.
Continuo a muovermi, nella speranza che si esaurisca. Cammino in linea retta e non mi volto mai.
Non voglio vederla.
Mi ritrovo all’imboccatura della gola. Non mi sono reso conto di aver percorso tanta strada, ma proseguo. Le pareti perfettamente lisce e trasparenti mi restituiscono l’immagine del suolo alle mie spalle, vedo la striscia che si assottiglia. Aumento il passo, continua a estinguersi.
Ho quasi raggiunto la ristretta banda di terreno che separa la gola dalla riva del lago, ma non mi fermo. E’ quasi scomparsa la striscia adesso, s’interrompe, riprende meno precisa. Non mi fermo.
Ora non ci sono più le gentile mura della gola ad avvisarmi, ma so già che da ormai tre passi la stria si è interrotta. Sono a pochi passi dalla riva.
Non mi volto, ma abbasso lo sguardo sul mio petto. Vedo la macchia ormai scura, i bordi della ferita ormai pallidi.
Come le altre creature prima di me, riesco a fare ancora pochi passi, poi le forze mi abbandonano.
Cado nell’acqua scura e fredda.
Wow. Stupendo. Ci sono imperfezioni minime, ma indegne di nota (nulla che non elimineresti tu stesso da una attenta rilettura). Il finale può essere accorciato (il lettore capisce in fretta, e gli tocca leggere una lunga parte che descrive quello che ha già capito).
Comunque, a mio parere un pezzo davvero originale, e scritto davvero bene.
Come mia abitudine nelle descrizioni sono un'incompetente, perciò scelgo il tema artico e posto un pezzo che spero possa comunque rientrare nei canoni :unsure:
non ho avuto tepo di rileggerlo bene,quindi perdonate eventuali erroracci grammaticali o di battitura :unsure:
Perchè ci sono giusto quelli, qualche refuso, qualche parola piazzata in più nella stesura che andrebbe cancellata. Ma scommetto che roleggendo sai già dove guardare. :D
Comunque a parte le distrazioni, è davvero un ottimo brano. Sono felice che ci sia un altro dilettante che vuole condividere la sua prosa con noi. :lol: :lol:
Forse se c'è una cosa che stona con tutto il resto del brano è il primo periodo:
E’ qui che sono stato creato, ed è un ottimo posto dove nascere. Non credo che montagne abbiano mai avuto il profilo arrotondato né penso che sia mai esistita vegetazione in questo luogo. Non ho mai scorto alcun animale, né ho mai rinvenuto tracce nella neve che facessero pensare alla loro presenza prima della mia nascita. E’ un ottimo luogo dove nascere. Ho gli occhi del mio creatore tutti per me.
Perchè già subito dopo continui dicendo:
So di non essere il primo della mia specie, né sarò l’ultimo. Alle volte, mentre vagavo per le distese gelate mi è successo d’incontrare una creatura come me. Ero geloso, ma felice che qualcuno condividesse questo mondo. Felice per il mio creatore.
Ma nessuna è mai durata.
Spesso risciuvo a incontrare più volte la stessa creatura. Una volta accadde che nello stesso giorno ne incontrassi due differenti. Ricordo quanto mi sentii felice e minacciato.
Allora il contrasto tra solitudine del primo periodo e questa presenza del resto del brano, soprattutto la grotta, spiazza il lettore. Secondo me potresti sistemarlo facilmente. :wub: :(