Arriviamo alla conclusione di questo topic analizzando il percorso ed ipotizzando congrue mete finali dell'ultimo dei nostri personaggi.
Desidero ringraziare anticipatamente ciascuno di voi per i preziosi contributi dati puntualmente alla discussione, dai fedelissimi, i punti fissi, a chi è passato da qui in maniera più sporadica.
Un grazie particolare, ovviamente, a chi questo topic lo ha pensato ed aperto.
Pezzo di @JonSnow; Beric Dondarrion:
Il suo destino in ASOIAF è già noto. Eppure GoT ha scelto di donargli un qualcosa di diverso, ma non meno significativo. Il suo personaggio, nonostante tutto, può contare su una determinata profondità di pensiero anche nella controparte televisiva.
Un uomo tornato dalla morte molteplici volte, lasciandosi di continuo pezzi alle spalle. Un qualcuno che ha constatato il nulla, il totale vuoto che tutto dimora dall'altro lato del tempo. Eppure ciononostante egli continua ad avere fede e a combattere. Non per convinzioni radicate, non per fanatismo, ma per semplice percezione. Per una pulsione interiore che lo sospinge a questo e all'impossibilità di fare altrimenti.
Egli mette fine alla razionalità quasi con poesia, saggiando sé stesso di concetti di profondità disarmante che, ironicamente, tendono ad avere un senso compiuto anche sotto il profilo puramente logico. Beric decide di smetterla di interrogarsi, di seguire solo ciò che avverte nella sua intimità; decide di non sminuire ciò che prova, il fenomeno introspettivo e sovrannaturale che quotidianamente lo invade, investendolo di comprovato fatalismo.
Non ha senso parlare a sé stessi, riscoprendosi interlocutori limitati o presuntuosi. Tutto ha uno scopo, tutto deve compiersi per un qualcosa che supera l'umana comprensione. Cosa può, dunque, la capacità del semplice uomo dinanzi ad una prospettiva che la sovrasta? Vi è un'unica saggezza possibile: l'amore per la vita, per la propria, per quella degli altri e per ciò che essa comporti.
Relazionarsi quindi alla morte come un'interruzione finale e definitiva e non come un quesito di ignoto. Nel suo modo di intendere le cose, non solo la morte assume una sua validità razionale, ma è la vita stessa ad incrementare il suo valore, in quanto unica prospettiva in cui l'uomo assurge a tutto sé stesso, l'unica prospettiva di cui esso deve preoccuparsi. L'onorarla e al tempo stesso proteggere quella altrui.
Di conseguenza Beric ha fede nella sua divinità perché ha fede nella vita, nella sua accezione più passionale. Ed è per difendere questa filosofia e questa fede che egli si sacrificherà per un altro personaggio. La sua è morte certa. Per cui mi limiterò alle opzioni sui pg che potrebbe riportare in vita.
A) Jon Snow ancora una volta. Beric stabilisce una sorta di legame con lui nella 7.
B) Il Mastino. L'unico pg rimasto a cui egli è collegato.
C) Tormund, se nella caduta della Barriera fosse perito.
D) Daenerys. Ma è l'ipotesi più remota, a mio avviso.
”My faith's in people, I guess. Individuals. And I'm happy to say that, for the most part, they haven't let me down.”
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"Dreams don't mean anything, Dolores. They're just noise, they're not real." "What is real?" "That wich is irreplaceable."
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"Gli umani sono strane creature, ogni loro azione è guidata dal desiderio, i loro caratteri forgiati dalla sofferenza. Per quanto essi provino, non potranno mai liberarsi dall'essere eternamente schiavi dei loro sentimenti. Finchè la tempesta li sconvolgerà dall'interno non riusciranno a trovare pace. Né da vivi, né da morti. E quindi, giorno dopo giorno, faranno ciò che è necessario.
La sofferenza sarà la loro nave.. il desiderio la loro bussola."
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Take my Heart when You go _ Take Mine in It's Place.
Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza; ti salverò da ogni malinconia
perché sei un Essere speciale ed io avrò cura di te. Io sì, che avrò cura di te.
Beric nei libri è uno dei miei personaggi preferiti! So che alcuni di voi ancora piangono l' assenza di Lady Stonehearth, ma io sono felice che l' abbiano salvato, anche per lui, il Mastino e Thoros sono un trio fantastico. Non riesco a immaginarmi il suo futuro, ma l' idea del sacrificio mi piace.
PS: Questo post è stato fantastico, mi dispiace solo di essere arrivata in ritardo.
"Gli dei esistono" ripetè a se stessa. "E anche i veri cavalieri. Tutto questo non può essere una menzogna".
Comitato Pro Brandon Stark; Comitato S.P.A. Salvate il piccolo Aemon (in difesa del figlio di Mance, del figlio di Gilly e di tutti gli altri bimbi di ASOIAF); Comitato QUANDO C'ERA LUI (Meglio Tywin di quella psicopatica di sua figlia); Comitato A.T.P.A. (Aemon Targaryen pro-pro-prozio dell'anno); Comitato E.S.S.S. (Eddard Stark Santo Subito); Comitato E.T.S.T. (Eddison Tollett li seppellirà tutti); Comitato M.E.F.H. (Martin esci fuori Howland) gemellato con M.E.F.W. (Martin esci fuori Willas); Comitato T.M.G.M.S. (Theon Mezzo Greyjoy Mezzo Stark); Comitato Y.L.J.E.M. (Ygritte levati, Jon è mio), Comitato T+S: Tyrion+Sansa (possibilmente a regnare su Castel Granito); Comitato Pro Jojen e Meera Reed; Comitato G.M.S.S. (Giù le mani da Sansa Stark); Comitato L'unico Vero Aegon (ovvero l'Egg delle novelle);
E per finire, Beric. In un mondo ossessionato dal possesso, dall'avidità di avere e dal potere materiale, Beric è la figura spirituale per eccellenza. Beric è la fede. E, come ha scritto meravigliosamente @JonSnow; , la fede è irrazionalità. E’ arrendersi di fronte alla considerazione che la mente umana è uno strumento troppo povero e limitato, per abbracciare qualcosa di immenso. Che non si misura l’infinito con uno strumento finito. O neanche, perché questi sono già ragionamenti: e la fede è sospenderlo, il ragionamento. Per istinto, più che per scelta. In un darsi senza più pensieri nè domande. E’ scegliere di chiudere gli occhi e buttarsi in una nuvola.
Non vorrei parlare di me a sproposito, ma una cosa la devo dire, per indicare –vagamente- da che terreno scaturisce ciò che scriverò: io mi definisco "non credente, ma sperante". Sono da sempre alla ricerca di un elemento spirituale, perché penso –per motivi miei personali- che la vita, senza, non abbia senso. Conosco troppo bene il mio carattere razionale ed ipercritico per non aver capito, ormai da tempo, che non lo troverò mai; ma non posso fare a meno di continuare a cercare: ormai la ricerca stessa è diventata un modo, il mio modo, per riempire questo vuoto. La domanda, il fatto che continui a pormela, sta diventando la mia risposta.
Da qui, intanto, scaturisce una fote empatia per Beric: personaggio non solo spirituale, ma l'unico che, tra tanti esaltati (i Passeri nei loro eccessi che spesso sfociano in violenze sul prossimo belle e buone) o distruttivi (Melisandre), che appaiono aver contrapposto il proprio credo al senso di umanità più elementare, non ha perso il senso dell'umanità, anzi: attraverso la propria fede, lo ha reso ancora più vasto e profondo.
Nel mio eterno vagabondare sull'orlo di una fede che non ho ma cerco, mi trovo, a volte, a riflettere su alcuni aspetti delle religioni e di quella che più mi è vicina, come sensibilità; anche se in modo del tutto autonomo ed “anarchico”. Cosa c’entra con Beric? C’entra, perché ho ritrovato in lui una cosa che ho pensato, solo pochi giorni fa, sul cosa significa “pregare”. Per molti –anche per me, quando l’ho fatto, in momenti difficili che non è il caso di ricordare- ha significato chiedere. Chiedere, per ottenere. Per me o per un altra persona, ma sempre e solo chiedere. E’ la forma di preghiera più spontanea e immediata... ma un giorno mi sono accorta che, probabilmente, non è preghiera. Perché ho pensato al Padre Nostro –una delle colonne della preghiera cattolica- e per la prima volta ne ho capito il significato. Cosa si “chiede”, per se stessi, in quella preghiera? Quasi nulla. Il pane quotidiano: la stretta sopravvivenza. Il minimo. E poi la liberazione dal Male, che è ancora una richiesta ma già diversa, spirituale, dell’anima. Tutto il resto, è non un chiedere, ma l'esatto contrario: un offrirsi. Un accettare. “Sia fatta la tua volontà”: quanto è potente, che portata colossale, devastante ha questa frase, che tanti pronunciano con leggerezza? Questa è assoluta rinuncia non solo a chiedere qualcosa per sé, che sarebbe già tantissimo; ma, ancor più a monte, rinuncia a se stessi in assoluto. E' la cosa più forte, estrema e di una difficoltà enorme (non solo nella religione ma anche per un laico o un ateo, nei confronti della vita e di certi passaggi che a volte impone): l'accettazione. Totale. Che non è rassegnazione, perchè la rassegnazione è passiva, imposta e sofferta. Mentre l'accettazione è scelta, conquista attiva e appagata di se'.
Ecco: e questo, è anche Beric. Beric è offerta di sè; Beric è accettazione. Totale e senza domande: perché quando ti fidi veramente di chi ti sta tenendo per mano, non hai bisogno di chiedergli dove ti sta portando. Neanche se hai gli occhi bendati, se non vedi e non sai. Non senti il bisogno di chiedergli qual è la meta, perchè sai che sarà la migliore. Se non per te, per gli altri e per il mondo. E quindi, di riflesso, se credi davvero, se davvero accetti la sua volontà, anche per te.
Ed è singolare come, nel suo ormai famoso dialogo con Jon, i due, che appartengono a due modi diversissimi di affrontare la vita, quasi a due lati diversi dell'esistenza, si scoprano così sorprendentemente vicini. E non solo per aver vissuto la stessa esperienza di ritorno dalla morte, dal nulla: questo è solo il punto di partenza, quello che dà origine al dialogo, al momento di confronto. Ma il punto di arrivo, è molto più pregno di significato.
Jon non crede in alcun dio, è pragmatico e cerca risposte concrete, tangibili, nel tracciato della vita terrena. Vita che risposte, non solo in Got o Asoiaf ma spesso anche nella real life, quasi mai ne ha. A Melisandre, in un momento cupo, livido, aveva domandato che razza di dio possa essere così indifferente all’uomo, così crudele nei suoi confronti. In quel famoso dialogo con Beric all’inizio della spedizione oltre Barriera, in un’atmosfera che all’esordio è quasi altrettanto cupa, ma poi diventa man mano meno negativa –perché il suo interlocutore stesso è meno cupo e negativo- Jon (ancora l’uomo delle domande, perché non in pace, ferito e tradito dalla vita, colmo di amarezza e immensamente stanco dal peso immane che l'esistenza gli ha posto sulle spalle, senza spiegazione alcuna) gli pone, in un altro modo, quasi la stessa domanda: “Perché il tuo dio mi vuole vivo?”
“Non lo so.", risponde Beric, con candida semplicità.
“Perché servire un dio, allora, se non si sa cosa vuole?”
E Beric risponde: “Non credo tocchi a noi capire”.
Ecco: il credere oltre e contro la razionalità, di cui ha parlato così bene e a fondo @JonSnow; . E, insieme, l’accettazione. Assoluta.
Accettazione e abbandono. Rinunciando a qualsiasi difesa di sé, della propria individualità o della propria stessa esistenza: ecco, questa è la fede. Questo è Beric.
Beric che, in Got, a prima vista, appare molto meno straziato, sia fisicamente che psicologicamente, della sua controparte in Asoiaf. La quale è ormai un guscio vuoto, un grumo di dolore tenuto insieme solo dalla cieca, ossessiva fedeltà ad un compito, dalla pura ostinazione a resistere. Eppure, Got-Beric non è, come sembra ad uno sguardo superficiale, una specie di picaresco compagnone alla Robin Hood. Quest'uomo è pur sempre quel Beric che ha detto chiaramente ad Arya, quando per un attimo ha sperato che suo padre potesse essere riportato in vita, “ Non gli augurerei mai la mia vita”. Beric che “perde un pezzo ogni volta che torna indietro”.
Ma anche, nonostante questo, Beric che, in Got, ha ancora la forza di sorridere. Di parlare a Jon con una specie di serena, pacata, luminosa dolcezza. Di offrirgli una guida ed un momento di luce nel buio delle domande e dell’assenza di risposte in cui lui, Jon, da troppo tempo brancola alla cieca e completamente solo.
Interessante, anche, il confronto tra due dialoghi che ho citato e che entrambi partono da Jon –l’uomo che si pone domande e che vuole una risposta concreta, tangibile; anche spirituale, ma di quella spiritualità che nasce da un ideale, non da un credo religioso che non gli apparterrà mai o da un dio intangibile ed invisibile. Da Melisandre, dicevo, ha ricevuto la più dura, sconfortata e sconfortante delle risposte. Un secco, autoconclusivo ribadire la propria fede, che nulla spiega nè tantomeno rassicura, e tanto trasmette di stanchezza, dolore, amarezza. All’opposto, da Beric riceve una risposta più articolata, aperta ad uno spiraglio di positività –anche se una positività enormemente impegnativa, perchè passa attraverso il sacrificio di sè per il bene del prossimo- ed in qualche modo accettabile anche per un non credente, se uomo dagli ideali altissimi: “Combattiamo per la vita. Anche se la morte vincerà sempre, noi combattiamo per la vita". (per inciso, eccolo far capolino di nuovo, il paradosso, la rinuncia alla logica, perlomeno a quella più bassa) "Se non la nostra, quella altrui. E non abbiamo bisogno di capire altro.” (rinuncia alla logica, di nuovo, ed accettazione). Ecco, a differenza di quella di Melisandre, fondata esclusivamente su una fede personalissima ed opinabile, questa è una risposta che anche l'ateo Jon può accettare. Che può dare un senso, finalmente, al suo cammino di sacrificio e rinuncia a se stesso. Non renderlo meno pesante, perché Beric gli ribadisce chiaramente ciò che Jon già sa, che con tutta probabilità stanno camminando verso il baratro; ma almeno trovargli uno scopo, un significato, una meta, un mantra: combattiamo per la vita.
Tra l’altro, in certi momenti mi sembra quasi strano, pensare che sia Beric –l’uomo che per sei volte ha sacrificato parti di sé tornando al di qua della linea che nessuno oltrepassa due volte, eppure non ha perso il sorriso - che Melisandre –l’artefice di roghi umani ed immolazioni- parlino dello stesso dio. Sembra quasi che Melisandre ne abbia colto quasi solo il volto buio, Beric anche e soprattutto quello più luminoso. La prima quello minaccioso, duro, crudele, indifferente ai piccoli, insignificanti esseri umani e votato alla morte; Beric quello più benigno, aperto alla speranza e votato alla vita. Addirittura, anche se in entrambi ricorre la frase celeberrima, “la notte è buia e piena di terrori”, nel parlare di Beric è controbilanciata, stemperata, a volte quasi superata dall’idea della luce, molto più presente che in quello di Melisandre. “Signore della Luce, scendi a spezzare le nostre tenebre”, prega sul compagno, amico e guida spirituale Thoros, morto. Suppongo sia anche questa un’immagine derivata dallo zoroastrismo, ma, curiosamente e, penso, casualmente, per inciso mi ricorda tantissimo “e gli uomini scelsero le tenebre piuttosto che la luce” (vangelo di Giovanni, credo). Be’: Beric, nella vita e nel suo dio, ha scelto la luce.
Ancora sull'accettazione, cito (malamente, perché a memoria) una famosa frase di Steve Jobs , da quel discorso che finchè era in vita conoscevamo in pochissimi, ma poi –ah, come la morte rende mainstream – è diventato popolare come le frasette da baci Perugina: “Sono convinto che un giorno i puntini si uniranno, e ne verrà fuori un disegno di senso compiuto”.
Ecco: Beric ha la stessa fiducia, la stessa fede. Che il disegno superiore esista, anche se lui, povero e limitato essere umano, non avrà mai modo di vederlo. Perchè lo si può cogliere, nella sua interezza, solo da molto in alto. Ma non solo: Beric sente di essere, in quel disegno, lui stesso un puntino.
Che, per quanto minuscolo ed uno fra tantissimi –non un eroe né l’Unico, l’Eletto, l'A.A.- in quel disegno ha un ruolo fondamentale. Perchè se anche solo un puntino venisse a mancare, cedesse, venisse meno al proprio ruolo, tutto il disegno potrebbe dissolversi.
E lui lo sa, lo accetta e, anzi, è pago di questo: essere un puntino. In un disegno che non vede per intero, nè non potrà vedere mai. Ma nella cui esistenza crede ed alla cui esistenza si affida.
Con fiducia e abbandono.
Ciecamente.
Ecco, questo è "avere fede".
E questo è Beric.
Grazie, @Figlia dell' estate, sarebbe piaciuto anche a me tu partecipassi fin dall'inizio, ma l'importante è averci raggiunti in questo spazio.
Anche a me il lord della Folgore piace moltissimo, a dire il vero più nella versione GoT che in quella ASOIAF, in cui lo trovo spesso fin troppo cinico; è come se avesse smarrito se stesso e lo scopo per cui la Fratellanza senza Vessilli era sorta, ed è come se, man mano che si allontana alla sua missione si si avvicina, di contro, ad un concetto di giustizia sommaria, del tutto approssimativa, del tutto perentoria e personale, che ha come primo, ultimo ed unico fine non quello di accertare le responsabilità bensì di porre in essere l'esecuzione della pena, quasi sempre capitale, svuotando di fatto il concetto di giustizia stesso di qualsivoglia significato, quella stessa King's justice che lui, Beric, era stato incaricato di portare a Gregor Clagane da Ned Stark in veste di Primo Cavaliere del Re.
Questo nei libri, e per me va un po' a macchiare tutto ciò che di positivo i fuorilegge di Beric hanno fatto per le popolazioni che abitano le Terre dei Fiumi, divenendone i beniamini.
E' però, il suo, un percorso assolutamente coerente con quanto da lui visto e vissuto sia durante la Guerra dei Cinque Re sia dopo, durante il banchetto di corvi che ne è seguito. Di fronte a tanto scempio, a tanta devastazione, al cospetto di tanta bruttura si convince che non esiste giustizia se non quella che l'uomo si procura da sé, pertanto il suo diventa ad un certo punto mero giustizialismo.
In Got, invece, hanno deciso di darne una visione meno sovversiva e più intimista, e per farlo hanno introdotto il culto di R'hllor, lo hanno in parte svuotato di quelle caratteristiche che nei libri ne facevano un temuto fuorilegge e gli hanno affidato il compito di contrapporsi a Melisandre ed al suo misticismo, quasi un contraltare alla sua fede cieca ed al suo fanatismo; entrambi strumenti del Dio della Luce, ma mentre la prima è completamente persuasa dell'utilità della sua missione, per Beric il fine ultimo ancora rimane un'incognita, così come ancora gli rimane oscuro il perchè proprio lui.
E lo dice chiaramente a Melisandre, there is no 'other side', I've been to darkness.
A lui appartiene una delle pagine per me più belle di ASOIAF, quella nella grotta, in cui rivela come, ogni volta che viene riportato in vita, egli perda parti di sé, parti di ricordi e parti di coscienza di quella che era stata la sua vita prima della guerra.
"Fire consumes. It consumes, and when it is done there's nothing left. Nothing. […] Six times, Thoros? Six time is too many."
Si domanda quanto a lungo un uomo possa rimanere tale una volta privato delle sue memorie, ossia di ciò che ne compongono l'essenza stessa.
Ecco, io credo che il significato del percorso di Beric sia tutto qui, consumare l'ultima vita che gli rimane donandola, molto probabilmente allo stesso Jon, con cui un legame si è già creato nella 6x07. Lui ha già compreso che c'è un unico motivo per cui il Dio della Luce ha riportato in vita non altri che loro due.
Ed anche se la morte vincerà sempre, loro la combatteranno. Per chi non è abbastanza forte per farlo da sé.
We can defende those who can't defende themselves.
”My faith's in people, I guess. Individuals. And I'm happy to say that, for the most part, they haven't let me down.”
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"Gli umani sono strane creature, ogni loro azione è guidata dal desiderio, i loro caratteri forgiati dalla sofferenza. Per quanto essi provino, non potranno mai liberarsi dall'essere eternamente schiavi dei loro sentimenti. Finchè la tempesta li sconvolgerà dall'interno non riusciranno a trovare pace. Né da vivi, né da morti. E quindi, giorno dopo giorno, faranno ciò che è necessario.
La sofferenza sarà la loro nave.. il desiderio la loro bussola."
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Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza; ti salverò da ogni malinconia
perché sei un Essere speciale ed io avrò cura di te. Io sì, che avrò cura di te.
Be', l'"incidente" dell'orso che ha ucciso Thoros è stato chiaramente -almeno secondo me- funzionale a riportare Beric nelle stesse condizioni degli altri: un essere umano con una sola vita da giocarsi. Anzi, a questo punto, da sacrificare. Digressione delle mie (ma prometto che sarò brevissima. Del resto, ho imparato da questo forum, e da una persona in particolare, ad usare la vita per cercare di capire Asoiaf, ed Asoiaf per cercare di capire la vita): vent'anni o giù di lì, una mia amica era stata per un'ora ad ascoltarmi, una sera, sedute su una panchina sotto casa, mentre le parlavo di qualcosa che mi stava facendo male. L' avevo ringraziata, e lei mi aveva risposto: "Non ringraziare: questa volta hai ricevuto qualcosa da me, in un'altra situazione lo restituirai a qualcun altro. Nella vita riceviamo e restituiamo. Quasi mai alla stessa persona, ma cosa importa? Globalmente, non rimarremo in debito nè in credito, è questo che conta". Ecco: Beric ha ricevuto, molte volte, da Thoros (e anche richiamare in vita, lo sappiamo da Asoiaf, costa). Arriverà il momento in cui sarà lui, a dare. A qualcun altro; ma comunque il bilancio sarà pareggiato. In un passaggio di testimone, verso colui che ha già individuato come l'altro prescelto, e di portata e peso, nella Storia, immensamente maggiore del suo.
Posso intervenire ancora? Scusate, ma a parte che è un'idea che mi è venuta solo ora, preferisco comunque spezzare i miei post (non a casaccio, ma in corrispondenza agli argomenti), perchè sono talmente lunghi che almeno li alleggerisco un po'; se no faccio scappare tutti
So che stiamo parlando di Beric, e il mio intervento resterà centrato su di lui; ma non posso considerarlo isolato dal contesto, dai personaggi con cui interagisce o a cui, idealmente, si contrappone: significherebbe, almeno per me, perdere troppi di elementi interessanti, rivelatori. E allora, volevo condividere ancora due riflessioni sul confronto tra Mel e lui; e, anche, su come si pongono verso Jon e la domanda che, non a caso, Jon -l'uomo di ideali altissimi ma non di fede, l'uomo che cerca, esige risposte; ma le cerca e vuole sulla terra, non in un ipotetico cielo in cui ha smesso di credere da un pezzo, da quando la vita gli ha aperto gli occhi nel modo più crudele- pone ad entrambi.
Melisandre dà una risposta che ha valore solo per chi condivide la sua fede, e pure una paricolare fase personale della fede, quello della crisi superata ma che ha lasciato il segno; quello dello sconforto e dell’amarezza. Una risposta che, pertanto, vale solo per lei, non potrà mai raggiungere Jon. Al contrario, la risposta di Beric alla domanda, in sostanza tanto simile, di Jon, pur affondando le radici nella fede, e profondamente, è una risposta universale. Che parla della vita, dell’essere umano. Che mette questo come centro e fine ultimo, sopra ogni cosa. E che , paradossalmente, quindi vale anche a prescindere dalla fede. Che può raggiungere –e raggiunge, profondamente, Jon- perché appartiene ad un territorio in cui la fede si sovrappone a valori ed ideali profondamente umani. Altissimi, vertiginosi; accessibili a pochissimi, perchè richiedono la scelta estrema: essere disponibili al sacrificio ultimo, al dono totale di sé. Ma è una scelta che, nei termini in cui la concepisce Beric –il sacrificio non per proclamare al mondo la propria fede in un dio, o non solo; ma prima di tutto il sacrificio per altri esseri umani, morire perchè altri possano vivere- si presta ad essere concepita sia in senso religioso, come atipico martirio, sia in senso laico o ateo: e allora si chiama eroismo.
Cambiando il punto di vista, cambia il nome; ma la sostanza rimane la stessa: io dono la mia vita perchè tu, che probabilmente neanche conosco, che forse non sei ancora nemmeno nato, possa vivere.
Mi colpisce anche come il rapporto di Beric con il concetto di luce (leggi: la speranza, il lato benevolo del Dio Rosso) sia profondamente diverso da quello di Mel. Questa appare concentrata quasi esclusivamente sulla tenebra, e quindi sulla lotta contro di essa: il concetto di luce, allora, nasce spontaneamente, però più che altro come contrapposizione. Ma in lei e per lei la luce è più che altro, o almeno io la percepisco così, non so quanto razionalmente ma molto nettamente, una sorta di (scusatemi la strana espressione) non-tenebra. La luce è, o dovrebbe essere, l’antidoto, la via di fuga, la salvezza, la speranza: ma nei discorsi, negli atteggiamenti di Mel, per qualche motivo la sua idea, la sua presenza, ti sfiora appena. Perchè c'è pochissima speranza, in come Mel si pone. O, se c'è, non la senti, non ti arriva. Ciò che percepisci fortissimo, soverchiante, angosciante, in lei, è la vicinanza delle tenebre. Il pericolo incombente, la minaccia che non perdona.
In Beric, invece, percepisci molto di più la luce. Ci sono alcune sua frasi –non ricordo esattamente in che puntata o serie, ma le ricordo abbastanza- in cui l’immagine della luce ricorre spesso, ed in un modo tale che senti che è in questo che lui crede, che è questo che vede. Oltre le tenebre e, forse, più ancora delle tenebre. Ed è questo che lo tiene in vita, alla fine: il soffio di Thoros lo richiama da questa parte della linea, ma è questo che riempie la vita che Thoros gli ha restituito: non il terrore delle tenebre, ma la speranza della luce.
Così pure, la fede di Mel è cupa, rivolta ad un dio dal volto crudele, sanguinario, spesso incomprensibile –le visioni mal interpretate, gli errori fatali su Stannis e Shereen- ed a volte (per un certo periodo arriverà a pensarlo) remoto ed indifferente. Quella di Beric si sviluppa nello stesso contesto storico cupo e disperato, anzi, considerata la reale età di Melisandre, in un momento storico ancora più buio; eppure in qualche modo è positiva, costruttiva. Se non per se stesso e le persone che gli sono vicine e combattono con lui, se non per la generazione presente, per quelle future. Perché Beric, a differenza di Mel, sa guardare lontano. Oltre le tenebre. Oltre “la notte buia e piena di terrori”. E sa immaginare, sperare, credere in qualcosa che verrà dopo. In una primavera che lui non arriverà a vedere, ma che scalderà altri corpi, altre storie, altre vite.
E questa è l’unica risposta che per Jon può avere qualche valore. Anche se non gli restituisce ciò che la vita gli ha tolto: l’innocenza, i propri cari, se stesso. Anzi, lo chiama a compiere ancora un passo, che potrebbe essere qulìello estremo. Potrebbe essere, dopo il tanto di sé che ha già sacrificato, il sacrificio totale, assoluto. Strana combinazione: poco fa, facendo colazione, leggevo distrattamente la quarta di copertina di un libro comprato ieri, di Par Lagerkvist (torno al mio grande amore, gli autori scandinavi). E ho trovato questo gioiello di frase, che mi ha fatto passare in un attimo dal dormiveglia catatonico vagamente deambulante allo stato di veglia vigile: "E' l'assenza la condizione umana, la separazione, la mancanza. Nessuna risposta è possibile."
Impossibile, per me, non aver pensato a Jon: perchè questa descrizione è una parte, sebbene piccola e parzialissima, di lui. E alla risposta, l'unica di qualche valore, che Beric gli offre. Curioso come libri diversissimi, di autori e contesti lontani che più non si potrebbe, a volte sembrino "parlarsi", comunicare l'un l'altro. Perchè l'essere umano è semrpe lo stesso, con le stesse lotte e gli stessi dubbi. E sì, forse è così: di fronte a quanto di atroce, folle e disumano avviene in Asoiaf ed in Got, semplicemente "nessuna risposta è possibile". Eppure, quella di Beric è ciò che più si avvicina, ad una risposta.
Una risposta che non lenisce il dolore di Jon e non allevia il peso sulle sue spalle, anzi, lo aggrava ancora. Ma almeno è un tentativo di spiegazione. Per una volta tanto, dopo una vita di domande, finalmente Jon ha trovato, in Beric, qualcosa che somiglia ad una risposta.
"Beric è la fede", ho scritto ieri, banalmente (in un post brutto e scialbo, per inciso, di cui vi chiedo scusa: ce l'avevo messa tutta, come sempre, impiegandoci anche un tempo assurdo; ma si vede che non ero proprio in vena). Oggi aggiungo: Jon è la domanda, Beric è la risposta. Parziale, incompleta. Priva di certezze, perchè la battaglia, lo scontro epocale che si sta avvicinando potrebbe anche venire perso, e perchè, comunque, e Beric per primo ne è ben consapevole, la Morte vince e vincerà sempre.
Una risposta, soprattutto, che non cancella il dolore ma, anzi, ne richede altro. Ma è l'unico straccio di risposta a cui un essere umano che si ponga delle domande, e voglia restare al di fuori di una fede in qualcosa di superiore, può aspirare.
Beric secondo il vangelo di Martin
"Povero Beric Dondarrion! È sempre meno Beric. I suoi ricordi sbiadiscono, è pieno di cicatrici e fisicamente è sempre più provato, perché non è più un uomo. Il suo cuore non batte, il suo sangue non scorre nelle vene. È una creatura, ma non più umana, ed è animato dal fuoco anziché dal ghiaccio, ora che stiamo tornando a tutta la faccenda del ghiaccio e del fuoco".
Martin non è un credente e vuole ridicolizzare le religioni facendole apparire come fanatismo estremo che genera morti in quantità enorme o come una leggenda consolatoria per i deboli ed i vessati
Inoltre i suoi resuscitati non rinascono nella gloria della luce,non sono come un Cristo risorto e trasfigurato dalla grazia ,no sono povere cose che perdono identità ed agiscono come automi,sono anche loro Zombie sia pure schierati sull’altro lato della barricata
Il suo Beric quindi è una rappresentazione del suo essere ateo neanche devoto,una sorta di parodia allo stato larvale per non urtare la suscettibilità dei suoi lettori credenti.Non fa porre le domande che il Beric di GoT fa porre,
E passiamo al Beric di Got
Innanzitutto è stato ricastato l’attore ed hanno fatto bene perché il primo era anonimo e non bucava lo schermo mentre il nuovo Beric ha classe e carisma da vendere e lo vediamo nel bellissimo confronto scontro con il mastino in cui già intravediamo il nuovo Beric,quello che vuole aiutare i deboli ma facendo un cosa non giusta e cioè vendendo Gendry per raggiungere uno scopo superiore
Poi lo rivediamo nelle scene in cui con i suoi sodali sta per giustiziare dei malfattori e assistiamo ad un bel siparietto con Sandor che prelude al suo reclutamento prima poco consapevole poi via via sempre più convinto.E questa volta Beric fa la cosa giusta perché quella feccia aveva massacrato gente innocente e meritava la morte
In seguito vediamo Beric che parte per la missione oltre la barriera con la compagnia dell’estraneo soprattutto per essere l’ultimo e più importante mentore di Jon
Non è vero che Jon Snow è ateo,Jon ha giurato di fronte ai suoi dei e crede in essi perché il padre gli ha infuso quella religione che voleva gli uomini forti,leali,coraggiosi,sinceri se volevano una ricompensa nell’aldila .Solo che dopo la sua morte Jon non ha trovato il Valhalla dei guerrieri onesti,coraggiosi e leali ed è CONFUSO soprattutto perché il Dio in nome del quale è stato riportato in vita è un Dio crudele con gli uomini ,dato che non ha CARITA’ .
Ecco il punto chiave, Beric ricorda a Jon che la sua missione è difendere i deboli contro un nemico che vince sempre, qui non c’entra la religione o essere ateo o meglio ateo devoto vero ( per il quale è aperto il regno dei cieli vedi parole di Ratzinger,grandissimo teologo e Bergoglio).Egli gli trasmette la più grande delle tre virtu’ teologali cristiane e cioe la carità
E L' Apostolo san Paolo ha dato un ineguagliabile quadro della carità: “La carità è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa la carità, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (1 Cor 13,4-7)
Se non avessi la carità, dice ancora l'Apostolo, “non sono nulla”. E tutto ciò che è privilegio, servizio, perfino virtù... senza la carità, « niente mi giova ». La carità è superiore a tutte le virtù. È la prima delle virtù teologali: “Queste le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità” (1 Cor 13,13).
L'esercizio di tutte le virtù è animato e ispirato dalla carità. Questa è il « vincolo di perfezione » (Col 3,14); è la forma delle virtù; le articola e le ordina tra loro; è sorgente e termine della loro pratica cristiana. La carità garantisce e purifica la nostra capacità umana di amare. La eleva alla perfezione soprannaturale dell'amore divino.
La pratica della vita morale animata dalla carità dà al cristiano la libertà spirituale dei figli di Dio. Egli non sta davanti a Dio come uno schiavo, nel timore servile, né come il mercenario in cerca del salario, ma come un figlio che corrisponde all'amore di colui che “ci ha amati per primo” (1 Gv 4,19): "O ci allontaniamo dal male per timore del castigo e siamo nella disposizione dello schiavo. O ci lasciamo prendere dall'attrattiva della ricompensa e siamo simili ai mercenari. Oppure è per il bene in se stesso e per l'amore di colui che comanda che noi obbediamo [...] e allora siamo nella disposizione dei figli”. San Basilio Magno
La carità ha come frutti la gioia, la pace e la misericordia; esige la generosità e la correzione fraterna; è benevolenza; suscita la reciprocità, si dimostra sempre disinteressata e benefica; è amicizia e comunione.
“Il compimento di tutte le nostre opere è l'amore. Qui è il nostro fine; per questo noi corriamo, verso questa meta corriamo; quando saremo giunti, vi troveremo riposo”. San'Agostino
Chi non ha la carità e trama odiando e spettegolando e manipolando solo gli altri non sarà mai sereno e appagato ,Ateo o meno che sia.
E Beric fa capire a Jon che, come dice un mio amico, non vale la pena scannarsi per cose di poco conto tra le persone perlomeno quelle di"buona volonta" ( esistono gli odiatori di professione che vivono male ma sono irrecuperabili) e che tutti dovremmo essere in armonia l'uno con l'altro, al di là di fazioni e rancori, l'odio non porta nulla se non altro odio, eppure siamo fatti della stessa pelle e delle stesse ossa, oltre che dalla stessa carne.Questa è la sola e vera Carità quella che sarà la stella polare di Jon.
Cio’ premesso per me Beric è destinato a morire per atto estremo di carità magari dando il bacio della vita a chi è necessario sopravviva per un bene superiore e cioè la salvezza dell’umanità
Concludo ringraziando tutti coloro che hanno partecipato alla grande riuscita di questo 3d,in particolare Metamorfo che lo ha pensato,JonSnow; sempre molto profondo in quello che scrive e soprattutto la tenace e lucida nelle sue analisi Porcelain che lo ha portato avanti con grande impegno ,sagacia e spirito critico.
Ringrazio il mio caro amico JonSnow; per aver ideato e creato le immagini dei miei bellissimi ed elegantissimi avatar e firma
;
« I am a wolf and I fear nobody. »
''They were insulting Jon and you sat there and listened.''
''Offend them and Jon loses his army.''
''Not if they lose their heads first.''
« Leave just ONE wolf alive and sheeps will NEVER be safe. »
« When the snows fall and the white winds blow, the lone wolf dies, but the pack survives. »
''I lupi sani e le donne sane hanno in comune talune caratteristiche psichiche: sensibilità acuta, spirito giocoso, e grande devozione. Lupi e donne sono affini per natura, sono curiosi di sapere e possiedono grande forza e resistenza. Sono profondamente intuitivi e si occupano intensamente dei loro piccoli, del compagno, del gruppo. Sono esperti nell'arte di adattarsi a circostanze sempre mutevoli; sono fieramente gagliardi e molto coraggiosi. Eppure le due specie sono state entrambe perseguitate''.
Scusandomi per la scarsa presenza di questi ultimi giorni, durante i quali impegni extra forum mi hanno impedito di riuscire a seguire questa ultima nostra analisi come merita e come avrei voluto, solo adesso riesco a recuperare tutti gli interventi ed a godermi lo scampolo di questo 3d bellissimo, in cui mi avete tutti, indistintamente, accompagnata e supportata, stimolata e spesso fatto cambiare idea, siete stati insomma dei perfetti compagni di viaggio, ognuno coi propri tempi, coi propri modi, con le proprie tenaci convinzioni, col proprio sentire ed anche, perchè no, col proprio cortese e rispettoso dissentire.
Perchè questi 3d sono certa nascano anche per questo, non per lisciarci il pelo vicendevolmente di volta in volta, ma per affermare le nostre singole individualità, nel rispetto di quelle altrui, poiché è solo nella libertà di dissentire che nasce e cresce la stima reciproca.
Per cui, ancora una volta, indistintamente e singolarmente vi dico grazie.
Tornando, ora, al nostro Beric, Lord della Folgore, folgorato, mi verrebbe da dire con una battutaccia, sulla via di Damasco, per ricollegarmi ai vostri paralleli mistici e spirituali, non posso che apprezzarne anche io, come già detto in precedenza, il cambio di direzione che gli impongono in GoT; il personaggio ne guadagna, il carisma dell'attore scelto nel recasting gioca molto a suo favore.
Il primo Beric, quello che vediamo nella Sala del Trono di fronte ad un azzoppato Ned Stark, ha ben poca presenza scenica, non brilla, non si fa ricordare, il secondo, eccome se lo fa.
Quasi un volerci marcare la differenza tra chi era fino a quel momento Dondarrion, uno tra tanti, un cavaliere ma non di particolare risma, e chi diverrà da quel momento in avanti, quando riceve il dono da Thoros di Myr, un dono che capiamo fin da subito non essergli di particolare conforto, anzi, causa inizialmente in lui quasi uno smarrimento.
E' nel confronto con Sandor Clagane nella famosa grotta che saggiamo la nuova pasta di Beric, uno che porta la giustizia non del re ma la propria, quella di un uomo retto, laddove manca o è mancata.
E' un uomo che dal momento in cui viene riportato in vita crede, crede con fermezza ma mai con fanatismo, mai con cecità, mai senza porsi domande, ed a quelle domande egli tenta di darsi una risposta.
Emblematico che sia per Jon l'ultimo mentore, il più improbabile, quasi per caso in quella bislacca missione oltre la Barriera che tanto ha fatto storcere il naso a molti; eppure è in quella situazione, portati ai propri limiti fisici e psicologici, con di fronte una probabilissima disfatta, che egli ha con Jon uno dei dialoghi più intensi a mio avviso di tutta la serie.
Death is the enemy, the first enemy and the last.
Questa frase racchiude tutto quanto Jon ancora non ha ancora voluto capire, che la morte vincerà sempre, eppure c'è bisogno di combatterla fino alla fine, fino allo stremo; gli ricorda inoltre il vero significato delle parole che pronunciò durante il giuramento di fronte all'albero diga, quando divenne confratello dei Guardiani della Notte: io sono lo scudo che veglia sui domini degli uomini. Jon è Re del Nord, ma è ancora un Guardiano della Notte, e deve tenere fede a quel giuramento, pronunciato in una fase della sua vita che sembra ormai così lontana, quando quelle parole sembravano mera ritualità.
Beric riporta Jon alla sua responsabilità, nei confronti del suo popolo e verso l'umanità, tutta, che ha giurato di proteggere.
E' poi certamente pertinente il dualismo messo in evidenza da @Stella di Valyria con Melisandre, la loro contrapposizione tra un concetto fideistico positivo del primo ed uno invece profondamente di sacrificio della seconda.
Ma qui torniamo alle diverse caratterizzazioni dei due personaggi.
”My faith's in people, I guess. Individuals. And I'm happy to say that, for the most part, they haven't let me down.”
___
"Dreams don't mean anything, Dolores. They're just noise, they're not real." "What is real?" "That wich is irreplaceable."
___
"Gli umani sono strane creature, ogni loro azione è guidata dal desiderio, i loro caratteri forgiati dalla sofferenza. Per quanto essi provino, non potranno mai liberarsi dall'essere eternamente schiavi dei loro sentimenti. Finchè la tempesta li sconvolgerà dall'interno non riusciranno a trovare pace. Né da vivi, né da morti. E quindi, giorno dopo giorno, faranno ciò che è necessario.
La sofferenza sarà la loro nave.. il desiderio la loro bussola."
___
Take my Heart when You go _ Take Mine in It's Place.
Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza; ti salverò da ogni malinconia
perché sei un Essere speciale ed io avrò cura di te. Io sì, che avrò cura di te.
Anche da parte mia, un ringraziamento ai "pochi ma buoni" che hanno condiviso questo cammino. Faticoso e impegnativo, per certi aspetti non esattamente una passeggiata, ma di grande arricchimento personale, come qualunque scambio tra persone pensanti, rispettose del prossimo ed aperte al dialogo ed ai punti di vista di tutti, anche di quelli diversi dai propri. Grazie, quindi, a tutti: a chi ha avuto l'idea iniziale ed ha lasciato i propri contributi -altissimi- per "esserci" comunque, anche quando non era presente fisicamente; a chi ha raccolto il testimone e portato avanti per tutto questo tempo il compito che si era assunta, con grande profondità, garbo, equilibrio e saggezza, e a tutti coloro che hanno condiviso, attraverso le proprie riflessioni mai banali e scontate, un pezzetto di sè. A tutti, un saluto ed un abbraccio
Ieri sera su Sky hanno trasmesso la puntata di GOT in cui il mastino è sottoposto al “giudizio del Dio rosso “ in seguito alle accuse di Arya
Tutto si collega a quanto mostrato nella settima stagione ,ci hanno raccontato di Thoros che era ateo e fingeva pratiche religiose ,salvo poi resuscitare Beric.
Quando Sandor uccide Beric ,viene detto che evidentemente il Dio rosso aveva progetti per lui prima che andasse all’inferno ...
Ed è stata bella la parte in cui Beric pur consapevole del dolore per ogni morte subita , aveva già accettato il suo destino allora ancora imperscrutabile con grande disponibilità e serenità
Bellissima puntata peraltro
Ringrazio il mio caro amico JonSnow; per aver ideato e creato le immagini dei miei bellissimi ed elegantissimi avatar e firma
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''I lupi sani e le donne sane hanno in comune talune caratteristiche psichiche: sensibilità acuta, spirito giocoso, e grande devozione. Lupi e donne sono affini per natura, sono curiosi di sapere e possiedono grande forza e resistenza. Sono profondamente intuitivi e si occupano intensamente dei loro piccoli, del compagno, del gruppo. Sono esperti nell'arte di adattarsi a circostanze sempre mutevoli; sono fieramente gagliardi e molto coraggiosi. Eppure le due specie sono state entrambe perseguitate''.
Ho fatto spesso il re watching in questi mesi per scrivere di volta in volta sui personaggi del topic, ed anche io mi sono resa conto di quanto dici, ossia che moltissimi dialoghi che sembravano quasi buttati lì, in particolare nelle prime stagioni, si ricollegano invece con quanto abbiamo visto nella S7.
Ci sono particolari che non avevo colto e che alla luce di quanto ora sappiamo assumono tutt'altra concretezza.
Come anche sono tantissimi i richiami, i tributi a scene delle stagioni precedenti, uno su tutti, la prima che mi viene in mente, quando Jaime si confronta con Cersei nel chiosco di Approdo, quello con la famosa mappa di Westeros dipinta (che già questo tra l'altro è un richiamo al tavolo scolpito di Dragonstone) e lei parla della possibilità di fondare una dinastia che duri mille anni, dove Jaime cerca di farla ragionare sull'assurdità che sta dicendo, essendo loro due gli ultimi Lannister rimasti in vita "..a dinastyy for who?" (di Tyrion non sa ancora nulla); Cersei cita il padre, il grande Tywin, nella memorabile scena dello sventramento del cervo in cui lo vediamo per la prima volta.. "it's the family name that lives on it's all, not you personal glory, not your honour, but family."
E come dimenticare non notate il fil rouge, la dinastia, da cui i Lannister paiono essere ossessionati, nella scena sempre tra Tywin ed Arya ad Harrenhal.. "This will be my last war, win or lose. This is the one I'll be remembered for, the War of Five Kings they're calling it. My legacy will be determinated in the coming months..[…] it's what remains of you when you gone."
Davvero notevoli tutti questi rimandi tra le varie stagioni.
”My faith's in people, I guess. Individuals. And I'm happy to say that, for the most part, they haven't let me down.”
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La sofferenza sarà la loro nave.. il desiderio la loro bussola."
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l'argomento lo tratta anche jaime quando chiede a tywin di risparmiare tyrion nella 4x06........
rivedendo qualche episodio della terza ho notato anche quanto arya ritenga meglio il tornare indietro come ha fatto beric(nello specifico chiedeva a thoros se potesse farlo con ned), pur avendole detto il prezzo che pagava nel tornare, in contrapposizione al jon della sesta stagione quasi derelitto e che chiede a melisandre di non riportarlo ancora in vita prima della battaglia per grande inverno.....
" A Grande Inverno giuriamo la fedeltà della Torre delle Acque Grigie. Cuore e focolare e raccolto a te noi doniamo, mio lord. Le nostre spade, le lance e le frecce sono al tuo comando. Da’ misericordia ai nostri deboli, aiuta i nostri inermi e fa’ giustizia per tutti. Noi mai ti volteremo le spalle. Lo giuro sulla terra e sull’acqua. Lo giuro sul bronzo e sul ferro. Lo giuriamo sul ghiaccio e sul fuoco. "
Già, grande osservazione, un bel parallelo: la spiegazione che mi do è semplice, Arya è una bimbetta che soffre ancora moltissimo per la morte del padre, e vorrebbe con tutta se stessa riaverlo con se, ad ogni costo.. solo per una volta, non per sei. Comprensibilissimo, se ci mettiamo nei suoi panni.
Mentre Jon pre - Battaglia dei Bastardi sa già cosa c'è dopo la morte, in quel limbo in cui presumibilmente ha vagato la sua anima, forse dentro Ghost, cioè l'oscurità, il nulla. Il nulla è ciò che Jon ha percepito in quella fase, dove magari non era ancora nel suo Valhalla, per dirlo con parole di Ice, ed a quel nulla vuole ritornare se dovesse morire ancora, nel pieno di quel nichilismo che ne permea il comportamento fino a quando non esce vincitore da quella battaglia.
”My faith's in people, I guess. Individuals. And I'm happy to say that, for the most part, they haven't let me down.”
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Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza; ti salverò da ogni malinconia
perché sei un Essere speciale ed io avrò cura di te. Io sì, che avrò cura di te.
16 hours fa, porcelain.ivory.steel dice:Ho fatto spesso il re watching in questi mesi per scrivere di volta in volta sui personaggi del topic, ed anche io mi sono resa conto di quanto dici, ossia che moltissimi dialoghi che sembravano quasi buttati lì, in particolare nelle prime stagioni, si ricollegano invece con quanto abbiamo visto nella S7.
Ci sono particolari che non avevo colto e che alla luce di quanto ora sappiamo assumono tutt'altra concretezza.
Mi attacco immediatamente e ne approfitto per buttare lì una piccola osservazione fatta settimane fa, ma che pensavo non avrei più potuto inserire (Per inciso, scusate se scriverò malissimo, ma ho passato un nottataccia peggio che ai vecchi tempi dell'insonnia micidiale. E, come sonniferi, ho preso di tutto, tanto come effetto mi sembrava tutto acqua fresca. Be', dato come mi sento ora, posso dirlo: non lo era. Mi ha fatto dormire pochissime ore, ma accidenti, se non lo era ). Scusate l'OT ma è solo per giustificare che non so come scriverò, perchè sono una persona reduce da semi-involontaria overdose di sonniferi. A questo punto, ebbene sì... Quindi, siate indulgenti sullo stile.
Vorrei aggiungere una cosetta su Jaime.
N.b. Mi riferirò senza distinzione ad ASOIAF ed a GOT, perché la scena è pressoché identica, dato che parliamo della prima puntata, quando nella serie c’era ancora moltissimo dei libri.
Ho notato solo dopo uno dei mille virtuosismi del nostro George: una parte della fase iniziale del percorso di Jaime, o meglio, del suo punto di partenza, ci viene annunciata e spiegata chiaramente, in modo così esplicito e diretto che più non si protrebbe, in una delle primisime scene in cui lo vediamo agire. Ma, come sempre (vedi la madre di Jon), Martin, da quel prestigiatore talentuosissimo che è, si diverte a metterci la chiave di lettura proprio sotto il naso...e fare in modo che in quel momento, per un attimo, guardiamo da un’altra parte. O che guardiamo proprio lì, ma, per qualche raffinatezza psicologica di cui è maestro, non riusciamo comuqnue a vederla.
Quando Jaime butta giù dalla torre Bran, commenta il gesto con quella famosa frase: “Ah, le cose che farei, per amore”. Ecco, volevo solo far notare questo: che in questa manciata di parole è raccontata metà del primo Jaime. Una metà che impiegheremo tempo libri a scoprire e di cui lui stesso -qeusto è l'apice del virtuosismo e del paradosso- per riconoscerla, impiegherà tempo, vita e dolore. Perchè evidentemente, la pronuncia alla leggera, come una battuta semiseria; inconsapevole, lui per primo, che sta descrivendo esattamente se stesso, compreso quel lato di sè che scoprirà con tanta fatica e dopo un cammino tanto lungo. Eppure, almeno per noi spettatori e lettori, con il senno di poi, è già tutto lì: lui che compie un gesto crudele, orribile... "per amore" della sorella. E lascia intendere chiaramente che farebbe ben altro: "Le cose che farei...". Plurale. Riferimento ad altri gesti, altre follie. Qualsiasi cosa, probabilmente. Per lei. Leggi: Jaime agisce, Jaime esiste per assecondare lei. Tutto il suo agire, potenzialmente, è per lei. Per fare, per essere quello che lei desidera. Perché ha plasmato e plasma tutto se stesso su di lei.
Ma- è questo che mi colpisce ed affascina, anche per il perfezionismo della tecnica narrativa- la frase, sia per il lettore che per lo spettatore, non ha presa alcuna. Scivola via come un nulla o, anzi, paradossalmente, come ulteriore prova dell'assoluta mancanza di sentimenti di Jaime. Nel libro, perché il lettore è scosso dal colpo di scena improvviso e in quel momento il suo pensiero è tutto su Bran, e Jaime gli appare solamente come il suo assassino, colui che, per definizione, non può avere un cuore (ah, quanto la vita è pià complicata e difficile dei clichè con cui, spesso, cerchiamo di interpretarla); nella serie perché, con grande acume del regista, viene pronunciata da Jaime in un modo raffinatissimo: con leggerezza un po blasè, indifferente, annoiata persino. Come una battuta distratta, ironica e supremamente cinica: agli antipodi, quindi, dell'amore. E quelle due parole fondamentali, che sono il fulcro di tutto il primo Jaime, la sua dannazione e ciò che l'ha portato tanto lontano da se stesso da renderlo l'uomo che è in quel momento, "per amore", così scivolano via come se fossero niente, o peggio, una cinica beffa. Ci sembrano solamente il tocco di cinismo supremo, pronunciate da un uomo che, sia per come lo abbiamo appena visto agire, senza coscienza nè pietà -perchè le ha annullate in lei, la coscienza e la pietà; le ha consegnate a lei e lei le ha gettate via: ma noi non lo capiamo, non ce ne rendiamo conto perchè siamo schiavi dei luoghi comuni e dei clichè- sia per l'etichetta che abbiamo immediatamente imparato ad associare a lui, quel "kinglsalyer" che, non conoscendone il contesto, racconta amoralità e tradimento; sia, ancora, per l'altra scena che abbiamo appena visto, tra i due, e perchè l'incesto, almeno nella cultura del nostro tempo, non depone esattamente a favore dei personaggi, almeno se introdotto brutalemtne, in modo così volutamente non mediato, senza spiegazione alcuna, crudo, subito fisico e quindi di proposito ancora più disturbante (ci sono libri che riescono a renderlo con una delicatezza infinita, quello stesso tema, seppure comunicandoti tutto il tormento ed il senso di colpa del personaggi: e qui cito il mio amatissimo, stupendo, adorato Middlesex) abbiamo già catalogato come assolutamente incapace di amore.
E così noi, spettatori o lettori, accettiamo la spiegazione più evidente ed ovvia, in una specie rasoio di Occam inconsapevole che, qui, si rivelerà sbagliato che più non si potrebbe. Come, forse, lo è quasi sempre, quando si tratta di analizzare degli esseri umani, anche nella vita reale: perchè noi siamo complessi, siamo la complessità fatta carne e sangue. E la spiegazione più semplice e ovvia, spesso è anche la più lontana dal vero.
E così, che cosa vede, lo spettatore? Un Jaime crudele e spietato, nel ruolo attivo della dinamica di coppia: perchè è colui che agisce e quindi –sembra, in un passaggio che facciamo nella nostra mente, tanto automatico quanto sbagliato- decide; e una Cersei che sicuramente un angelo non è, dato che si preoccupa esclusivamente delle possibili consegnuenze del gesto; ma intanto appare in disparte, non interviene nel dialogo tra Jaime e Bran, spessso -mi pare- non è neanche inquadrata: così, tra i due “amanti diabolici”, la classifichiamo immediatamente come la parte passiva. Insomma: l'esatto, totale opposto di quello che è in realtà: ma quanti capitoli o puntate impiegheremo, per scoprirlo? Eppure... eppure era già tutto lì. Ce l'avevano detto chiaramente, Martin e D&D, mettendolo sulle labbra di un Jaime ancora inconsapevole che stava descrivendo se stesso e la propria, ancora inconsapevole, tragedia. La portata enorme, quasi morbosa -perchè lo rende incapace di valutare con la propria mente ed il prorpio cuore, cieco e sordo- dell'amore di cui è schiavo probabilmente da sempre, e la propria totale e per molti versi ingenua sudditanza ad un amore tossico e malato, per una donna, al contrario, freddamente lucida e consapevole, che lo manipola a piacimento.
E ce l'avevano già detto, tutto questo.
Nel finale della prima puntata.
(Bene: questo è come scrivo, dopo dose tripla di sonniferi diversi: prolissa come sempre, ma esattamente come al solito. Niente: su di me i sonniferi non fanno nulla... tranne farmi venire un gran mal di testa il giorno dopo. Scusate l'Ot, ma è uno sfogo, perchè stanotte ho scoperto che, dopo otto mesi, non sto guarendo neanche un po'. E, anzi, va sempre peggio)
Giustissimo, che poi è praticamente lo stesso concetto che un nuovo Jaime, già liberatosi - per lo meno nei libri - almeno razionalmente dell'ombra opprimente di Cersei, pronuncia al cospetto di uno sfinito Edmure Tully tenuto in cattività in una tenda da accampamento, a Delta delle Acque: the things I do for love..
Sono concetti che si rincorrono continuamente, nel corso delle stagioni, sul finale terribile di quella prima puntata, con un bimbo gettato giù da una torre, vediamo un uomo cinico e sprezzante di ogni cosa, di ogni essere umano che non sia se stesso e sua sorella, la sua amante.
Quel gesto e quella frase lo descrivono già, ci dicono quanto egli sia istintivo, impulsivo, passionale, e quanto in nome di quell'amore, inaccettabile per la società ma di cui lui è vittima consapevole e senziente, è disposto a fare.
Dopo, solo molto dopo, scopriamo tutto ciò che c'è dietro quella facciata così sfrontata, boriosa ed insolente: un uomo pieno di contraddizioni, con addosso tutto il peso dell'etichetta che ormai da anni si porta addosso, vestendola come una seconda armatura.
Ma questo all'inizio non lo possiamo sapere, non lo possiamo capire, vediamo solo il gesto deprecabile del sacrificare finanche la vita di un bambino per salvaguardare il suo amore segreto con la sorella.
Penso che ci siano frasi che descrivono un personaggio e che ne abbracciano tutto l'arco narrativo: quella che tu hai citato è una di quelle che descrive Jaime. Ne ha moltissime altre, per me come sai è forse il personaggio migliore della saga, per complessità, profondità e caratterizzazione.
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La sofferenza sarà la loro nave.. il desiderio la loro bussola."
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