STALIN E LO STALINISMO
Oggi più nessuno crede nel mito di Stalin, se non qualche irriducibile vetero-comunista. Ma la critica dello stalinismo non è mai stata facile, come invece in Occidente si è sempre voluto far credere. Da noi lo stalinismo è stato liquidato senza un'analisi politica e ideologica seria: da un lato perché gli intellettuali di sinistra, fino a ieri, non volevano rinnegare l'esperienza del "socialismo reale", dall'altra perché gli intellettuali borghesi non volevano confrontarsi seriamente col marxismo. E così ci si è limitati a evidenziare dello stalinismo gli aspetti che più suscitano riprovazione e sdegno, come ad es. i gulag, la collettivizzazione forzata dei contadini, la burocratizzazione del sistema, ecc.
In realtà, nelle opere e negli slogans di Stalin è difficile, di primo acchito, trovare una discordanza con i concetti abituali del marxismo. Lo è soprattutto se ci si limita a considerare in maniera isolata certe sue affermazioni, evitando di collocarle in un quadro d'insieme ove risultino interdipendenti. La verità non è mai la somma di affermazioni giuste e separate. Ancora oggi, purtroppo, molti sono dell'avviso che le deviazioni staliniane dal marxismo riguarderebbero tre soli elementi, considerati peraltro di secondaria importanza:
§ La riduzione dell'uomo comune a mero ingranaggio del sistema,
§ L'idea del partito come casta di privilegiati,
§ La concezione secondo cui l'edificazione del socialismo comporta l'acuirsi della lotta di classe (di qui l'uso della violenza come metodo di regolazione dei problemi socio-politici).
L'economia del nostro discorso però ha un'unica finalità: quella d'indicare alcuni fondamentali aspetti dello stalinismo che la coscienza politica del periodo in cui esso s'è formato, non è stata capace di cogliere nella loro pericolosità. Vediamo anzitutto la pretesa concordanza che si vuole vedere in Marx, Lenin e Stalin circa il rifiuto del valore mercantile e del mercato nel contesto del socialismo, che è l'affermazione dell'idea di uno scambio diretto dei prodotti in virtù di una pianificazione autoritaria dall'alto.
Ora, nessuno è in grado di dimostrare in quali opere Marx raccomanda di misconoscere i meccanismi del mercato e della formazione dei prezzi, nonché d'introdurre lo scambio diretto dei prodotti e la pianificazione statale in condizioni analoghe a quelle che si verificarono in Russia dopo il 1917. Non è forse vero che Marx, Engels e Lenin riferivano la possibilità di superare i rapporti merce-valore a un regime sociale in grado di sorgere sulla base del capitalismo altamente evoluto? Il socialismo non doveva forse costituire un'alternativa a quel capitalismo capace di socializzare il processo produttivo, di creare un lavoratore altamente qualificato, ecc.? Solo in questa tappa lo scambio diretto dei prodotti e la realizzazione di piani orientati verso i bisogni degli uomini diventano possibili e cominciano a giocare un ruolo progressista.
Nella situazione successiva all'Ottobre 1917, il problema principale era quello di trovare un'alternativa a un'economia caratterizzata da una pluralità enorme di strutture economiche, soprattutto quelle di tipo piccolo-borghese (senza dimenticare la presenza dei rapporti semi-feudali). Lenin non aveva dubbi nell'affermare che in quelle condizioni il socialismo non poteva essere costruito in modo "immediato". Al massimo si poteva parlare di "transizione" verso il socialismo. Lenin anzi si rendeva conto che il capitalismo privato della piccola borghesia era ostile non solo al socialismo ma anche al capitalismo di stato. Ecco perché pensava che i socialisti russi dovessero prendere lezioni dai tedeschi su come costruire il capitalismo statale.
Viceversa, per Stalin e il suo entourage il primato spettava alla volontà politica, alla violenza politica (di qui l'uso di metodi terroristici), con cui essi cercavano di regolare tutti i problemi dello sviluppo economico e culturale, senza pensare se le condizioni per la realizzazione di questi o quegli obiettivi fossero effettivamente mature.
Ovviamente ciò non va imputato a una presunta "perfidia politica" o ad una "malattia mentale" di Stalin. La questione è molto più complessa e riguarda, se vogliamo, le tendenze storiche oggettive, le quali non possono essere interpretate ricorrendo alle concezioni filosofiche tradizionali. La storia della filosofia non ci è di nessun aiuto per comprendere a fondo l'ideologia stalinista. Che senso avrebbe, infatti, applicare -come alcuni fanno- il concetto di "idealismo soggettivo estremo" a una figura come Stalin, quando lo stesso concetto lo si applica a filosofi come Fichte, Berkeley, Bogdanov?
Lo stalinismo, in realtà, non ha precedenti storici. Esso è l'ideologia e la dittatura dell'élite burocratica, capeggiata da un despota ritenuto onnipotente: un'ideologia volontarista e antiumanista, che usa la violenza in tutte le sue forme. Ancora oggi gli stalinisti si considerano come veri demiurghi della storia: "I quadri decidono tutto", diceva Stalin. Ai loro occhi, la realtà sociale non è un sistema organico di rapporti interumani, che si sviluppa in virtù di leggi proprie, attraverso gradi successivi di maturità, ma è una materia prima come l'argilla, che si può manipolare a proprio piacimento, usando la volontà politica, una buona organizzazione, una disciplina di ferro e potenti mezzi di violenza. In questo senso lo stalinismo è un sistema fondato sulla menzogna più sfacciata, sul cinismo ideologico e sulla doppia morale.
Quali radici poteva avere un fenomeno così mostruoso? La formazione delle premesse dello stalinismo vanno ricercate negli anni 1924-29. Le sue fonti ideologiche risiedono in un marxismo semplificato, mentre quelle socio-politiche in una strumentalizzazione della Rivoluzione d'Ottobre. A dir il vero la volgarizzazione del marxismo era peculiare a tutto la direzione bolscevica: Zinoviev, Trotski, Kamenev, Bucharin, Piatakov..., salvo Lenin. L'atmosfera di lotta, prima durante e dopo l'Ottobre, li aveva portati ad attribuire un grande ruolo all'iniziativa storica, all'attività umana, all'esigenza di "trasformare" il mondo più che di "interpretarlo". I fatti sembravano dar loro ragione: la rivoluzione procedeva sconfiggendo, uno dopo l'altro, i suoi nemici, superando, uno dopo l'altro, i suoi problemi.
Le radici dello stalinismo stanno proprio in questo orientamento gauchiste, soggettivistico sul piano ideologico e volontaristico su quello politico: atteggiamento che trovò subito appoggi molti vasti nella mentalità primitiva di una parte assai considerevole di masse rivoluzionarie.
Naturalmente esiste una certa differenza fra gli errori in buona fede di Bucharin, che tendeva a esagerare le possibilità del popolo rivoluzionario (e dei suoi capi) nella storia, e la politica deliberatamente impopolare degli stalinisti, almeno così come essa appare alla fine degli anni '20. A dir il vero, la differenza principale, all'interno del bolscevismo, tra stalinisti e antistalinisti, non stava tanto negli obiettivi da perseguire: nessuno era favorevole allo zarismo, né alla dittatura militare di Kornilov, né alla guerra, al parassitismo e all'arbitrio del capitale. I problemi tuttavia sorgevano quando si doveva stabilire il modo di liquidare la vecchia società e di edificare quella nuova.
Nella storia del movimento rivoluzionario russo si erano già viste all'opera due diversi approcci della realtà: quello autoritario dei gruppi cospirativi, che avrebbe poi portato al comunismo da caserma, di Zainchevsky, Nechaev e Tkachov; e quello democratico di Radishev, Herzen, Lavrov, Dobroljubov e Chernyshevsky, che valorizzava l'attività creativa e storica del popolo.
L'orientamento autoritario dello stalinismo è stato appoggiato dagli strati sociali meno evoluti, più marginali, il cui odio per il regime sociale oppressivo, antecedente alla rivoluzione, aveva assunto un carattere totalmente distruttivo. Questi strati sociali possono combattere l'oppressore con grande eroismo, sono capaci di enormi sacrifici, ma possono anche trasformare in una legge generale della nuova società le loro istanze non sviluppate, la loro inferiorità culturale, i loro rozzi principi morali, frutto di un'esistenza subumana, condotta nel passato regime. I successi straordinari dell'Ottobre e il basso livello culturale d'una parte considerevole della popolazione provocarono l'euforia generale dell'onnipotenza.
Lenin fu uno dei pochi ad andare contro corrente. Sono noti i suoi appelli ad apprendere le tecniche del commercio presso gli specialisti, a servirsi di tutta la cultura del passato, a sviluppare l'industria in modo scientifico, a promuovere i principi cooperativistici nelle campagne, sulla base del libero consenso, della persuasione, usando esempi concreti di successo: in una parola, a unire in modo dialettico la direzione centralizzata con la democrazia operaia. L'entusiasmo andava combinato -a suo avviso- con l'interesse materiale dei lavoratori, altrimenti si sarebbe caduti nella retorica e nella demagogia.
Stalin la pensava diversamente. A suo parere, era necessario creare in pochissimi anni e con una terapia d'urto i necessari rapporti socialisti nelle campagne, trasformando i contadini in colcosiani (ed eliminando i recalcitranti). Nell'arco di due-tre piani quinquennali l'URSS avrebbe dovuto superare i paesi più progrediti del mondo, altrimenti sarebbe stata la fine della rivoluzione. La religione doveva essere estirpata con la forza. Questi e altri principi furono appoggiati da quella parte di popolo meno evoluta, meno istruita, e, almeno in un primo momento, la loro applicazione conseguì notevoli risultati, anche se a prezzo di enormi sacrifici e soprattutto di spaventosi soprusi.
Il meccanismo generale che permette ai regimi "bonapartisti" (ivi incluso lo staliniano) di formarsi una propria base sociale, è descritto perfettamente da Marx ne Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte. Il bonapartismo -come noto- trova la sua linfa vitale negli strati sociali più oppressi: negli anni '40 del secolo scorso si trattava soprattutto dei contadini. Una volta poi realizzati i principi della burocrazia, del militarismo e dell'apparato repressivo statale, il bonapartismo non ebbe bisogno neppure dell'appoggio dei contadini, i quali anzi furono soggetti a feroci persecuzioni. Questo perché la base sociale più adeguata dei regimi bonapartisti maturi (incluso quindi lo stalinismo) è la burocrazia, non la classe contadina.
Lo stalinismo s'è trasformato da sistema volontarista, legato a una certa base popolare, il cui entusiasmo post-rivoluzionario era ancora molto vivo, a sistema burocratico e impopolare verso la metà degli anni '30, cioè nel momento in cui lo sviluppo dell'economia nazionale, alzando il livello culturale del Paese, aveva portato i lavoratori ad un'opposizione sempre più consapevole ai metodi dittatoriali del regime. Ciò tuttavia non impedì il rafforzamento della burocrazia. Le ragioni sono più di una.
a. Anzitutto bisogna ricordare che all'inizio degli anni '20 il sistema economico era caratterizzato da "isole produttive" poco legate tra loro. I funzionari statali realizzavano sul piano politico-amministrativo quei collegamenti che mancavano sul piano economico.
b. In secondo luogo va considerato il fatto che l'ignoranza dei lavoratori ostacolava fortemente una partecipazione reale alla gestione economica, ovvero un controllo effettivo degli organi statali e amministrativi.
c. In terzo luogo va detto che il sistema burocratico non ha mai smesso di servirsi, coscientemente, del volontarismo e del soggettivismo per autolegittimarsi (lo attesta p.es. l'ideologia del culto della personalità).
Queste ragioni però, se fanno pensare che la burocrazia era inevitabile, non devono far pensare che il rafforzamento della burocrazia doveva necessariamente portare allo stalinismo, cioè al dominio totale e incondizionato della burocrazia. Le alternative allo stalinismo sono state ben visibili sin dall'inizio degli anni '20, alla vigilia della NEP, nonché nel 1927, durante il XV Congresso del partito, ed anche nel 1956, col XX Congresso. Lo stesso Lenin aveva chiaramente detto che la burocrazia era il pericolo maggiore della rivoluzione, la fonte di una possibile "reazione termidoriana". Se le sue indicazioni fossero state seguite con coerenza e decisione, probabilmente i destini dell'URSS sarebbero stati diversi.
Il programma di Lenin per indebolire la burocrazia era basato sulla Nuova Politica Economica, sull'estensione delle cooperative, sulle forme di produzione capitalistico-statali, sulle concessioni al capitale estero d'investire in URSS, sugli incentivi economici per i lavoratori (onde eliminare la costrizione extra-economica), sulla partecipazione degli operai e dei contadini all'attività degli organi superiori del potere statale, sul controllo dell'attività dei quadri dirigenti del partito, sullo sviluppo della cultura generale del popolo.
Morto Lenin, i tentativi di Trotski e Preobrazhensky di creare un sistema burocratico sulla base dell'accumulazione socialista primitiva fallirono grazie soprattutto al ruolo teorico giocato da Bucharin nel corso del XV Congresso del partito bolscevico (1927).
Giustamente venne rifiutata l'idea di sviluppare l'economia nazionale contro gli interessi dei contadini, drenando risorse e mezzi dalla campagna alla città, trasformando officine e fabbriche in caserme di operai, stimolando l'intensificazione del lavoro con la violenza gius-politica. Tuttavia, già verso la fine degli anni '20 le forze della "guardia leninista" avevano perso la loro influenza. Le Note di un economista (1928) di Bucharin e la piattaforma di Ryutin (1932) furono forse gli ultimi importanti tentativi di proseguire sulla via leninista.
Il leninismo uscì sconfitto dallo scontro con lo stalinismo semplicemente perché esso cercò di frenare l'evoluzione verso il comunismo da caserma con dei metodi non meno burocratici e autoritari. Si pensava cioè di poter conseguire un obiettivo diverso usando gli stessi mezzi.
In seguito, il XX e XXII Congresso del Pcus, nonché gli sviluppi seguenti all'aprile 1985, hanno dimostrato che un'alternativa allo stalinismo è sempre possibile. Il corso della storia non presenta mai degli avvenimenti inevitabili o irreversibili, ma sempre delle alternative soggette a determinate scelte e destinate a ricomparire ogniqualvolta le decisioni prese si rivelano fallimentari. Ovviamente resta falsa la tesi secondo cui nella storia "tutto è possibile" o che "tutto dipende dall'uomo". Qui si vuole soltanto affermare che non esiste mai un'unica via da seguire, né si può sapere in anticipo quale soluzione avrà la meglio. I risultati, generalmente, dipendono da numerosi fatti concreti.
Nell'epoca di Brezhnev la tendenza antiburocratica si esprimeva nelle forme dello stalinismo "popolare", quello della fine degli anni '20. Il sogno era di veder improvvisamente apparire all'orizzonte un uomo forte come Stalin, capace di difendere il popolo dal potere totalizzante della burocrazia. Questa forma di stalinismo non è così pericolosa come quella burocratica, in quanto può essere superata da un'opera di paziente istruzione, dall'estensione della glasnost e dei principi democratici, in virtù dei quali gli uomini si rendono conto di quanto la loro forza sia sufficiente per liquidare non solo la burocrazia, ma anche l'esigenza di contare sulla potenza mitica di una personalità carismatica.
Trent'anni fa anche Kruschev cercò di finirla con lo stalinismo e la burocrazia usando metodi burocratici. Ben lungi dal promuovere lo sviluppo dei meccanismi sociali della democrazia, egli considerò la sua personalità come garanzia ultima contro il ritorno dello stalinismo. In tal modo non comprese che né il XX Congresso né la crescita della democrazia tra il 1956 e il 1961 potevano essere il risultato della sua azione personale (anche se bisogna riconoscergli un certo coraggio politico). Sopravvalutando se stesso, Kruschev non fece che ostacolare, in definitiva, il processo di smantellamento dello stalinismo. Basta qui ricordare il modo con cui egli trattava gli intellettuali (scrittori, artisti, giornalisti) o con cui distribuiva i posti di presidente, di segretario del C.C. ecc. Non a caso, sotto il suo potere, Lysenko e soci tornarono in auge, mentre i neo-stalinisti Suslov e Brezhnev iniziarono la loro carriera politica.
Senza saperlo, fu proprio il krusciovismo a porre le basi del sistema amministrativo di comando neo-stalinista. In sostanza si può parlare di "socialismo democratico sovietico" solo per alcuni momenti storici veramente significativi: gli anni 1917-29, il periodo bellico 1941-45 (qui, in effetti, lo slancio patriottico e il sentimento di responsabilità personale per i destini della Nazione diedero luogo ad alcuni processi di destalinizzazione), relativamente gli anni 1953-65 e infine dal 1985 ad oggi.
Questo è un saggio di Christopher ANDREW, presidente della facoltà di storia dell'università di Cambridge, dove insegna storia moderna e contemporanea. E' uno dei massimi studiosi di Intelligence Mondiali e autore di vari libri sui servizi segreti, fra cui "L'Archivio Mitrokhin", "Le Attività Segrete del KGB in Occidente" e "La Storia Segreta del KGB".
Spero che possa interessare a qualcuno
L'intelligence in un mondo multipolare
Di Christopher ANDREW
Il dibattito attualmente in corso per defìnire quali siano oggi e quali dovranno essere in futuro le priorità dell'attività d'intelligence risulta caratterizzato da profonda confusione. Confusione che scaturisce da due cause principali: la prima ed anche la più ovvia è riconducibile alla fìne della Guerra Fredda. Nell'arco di circa mezzo secolo di contrapposizione tra Est ed Ovest la società globale è mutata ad un ritmo più rapido ed in forma più sostanziale di quanto non fosse mai accaduto prima nella storia dell'umanità eppure, in tutto quel periodo, le priorità per il mondo dell'intelligence sono rimaste sempre le stesse sia ad Est quanto ad Ovest. Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, il KGB ha sempre considerato gli Stati Uniti il suo "principale avversario", mentre la CIA, congiuntamente ai principali Servizi degli alleati occidentali, ha fatto altrettanto con l'Unione Sovietica, ritenendola il suo obiettivo prioritario.
L'attuale mondo multipolare è al contempo meno pericoloso e più confuso rispetto al periodo della Guerra Fredda che lo ha preceduto, ed oggi, per la prima volta dopo oltre mezzo secolo, l'intelligence occidentale non riesce ad individuare con precisione quale sia il proprio obiettivo.
La confusione che caratterizza il dibattito sulle priorità dell'intelligence scaturisce comunque anche dalla carenza di conoscenza complessiva tanto dei risultati raggiunti nel passato quanto delle aspettative per il futuro. Anche nell'ambito della vita personale, nessuno di noi non può non tenere nella giusta considerazione le lezioni dell'esperienza passata. La stessa semplice ma importante verità è valida anche per l'attività informativa, tuttavia gli insegnamenti dell'esperienza vengono sottovalutati più nel mondo dell'intelligence di quanto non lo siano in altri settori quali l'amministrazione statuale o le relazioni internazionali. Coloro che non comprendono gli errori del passato sono per forza di cose condannati a ripeterli e la storia dell'intelligence è ricchissima di esempi di errori ripetuti.
Si dimentica facilmente che, in questo settore, a tutt'oggi molto è ancora sconosciuto anche su alcuni degli aspetti fondamentali, quali ad esempio l'intelligence economica. Un terzo degli analisti della CIA è oggi impegnato nello studio di questioni di natura economica ed è addirittura possibile affermare che nell'ambito della CIA siano presenti più esperti di problemi economici internazionali di quanti non ve ne siano globalmente in tutti gli uffici governativi statunitensi (1) . Tuttavia, se si fa eccezione per un certo numero di studi (peraltro alquanto limitati) circa i vari aspetti dello spionaggio commerciale e tecnologico, a tutt'oggi non vi è una pubblicazione che fornisca una valutazione attendibile, fondata su elementi documentari adeguati, circa i successi o i fallimenti di uno qualunque dei principali organismi informativi nel campo dell'intelligence economica. I case studies economici dell'Intelligence and Policy Project dell'Università di Harvard e la parziale declassifica della storia interna dell'intelligence economica della CIA di Maurice C. Ernst hanno contribuito ad avviare una raccolta dei dati del settore per quanto concerne gli Stati Uniti (2) Vi sono tuttavia ancora controversie aperte negli USA su alcuni punti focali quali, ad esempio, l'accuratezza delle valutazioni della CIA circa le difficoltà dell'economia sovietica negli anni '80. In senso più ampio si può affermare che fino ad oggi scarsi sono stati i tentativi di definire con precisione quanto il mondo dell'intelligence può offrire come suo contributo specifico sulle tendenze economiche internazionali a fronte dell'enorme volume di dati provenienti invece da fonti aperte.
Le attuali limitazioni dell'intelligence economica sono emerse con forza nei primi mesi del 1995 nel corso della crisi finanziaria messicana, opportunamente definita da Michel Camdessus, Direttore Generale del Fondo Monetario Internazionale, "la prima crisi finanziaria del ventunesimo secolo". Le analisi della CIA circa le capacità dello Stato messicano di mantenere il livello del cambio sono risultate di gran lunga più accurate di quelle dello stesso Ministero del Tesoro statunitense, almeno stando ad un rapporto stilato successivamente dalla Commissione del Senato sui Servizi d'Intelligence nel quale, commentando le analisi elaborate dalla CIA, i commissari affermarono di essere rimasti "favorevolmente colpiti dal loro alto livello qualitativo" (3) . L'esperienza della crisi messicana ha contribuito a mettere a nudo le difficoltà della comunità d'intelligence di fronte alla nuova era di ingenti trasferimenti finanziari attraverso i confini nazionali. L'ultimo Vice Direttore del National Council degli Stati Uniti in proposito riconosceva che "il Governo degli Stati Uniti non dispone di alcun mezzo atto a controllare i movimenti della sua valuta, per non parlare poi degli spostamenti di fondi meno tangibili" (4) . Se il mondo dell'intelligence possa o debba monitorare tali flussi è un interrogativo che rimane a tutt'oggi privo di risposta.
Tenendo quindi presente quanto l'incompletezza della nostra conoscenza del passato inibisca la nostra capacità valutativa relativamente al ruolo futuro dell'intelligence, vorrei tentare comunque di offrire qualche spunto di riflessione circa l'attività di raccolta informativa e le priorità d'intelligence in un mondo multipolare.
La raccolta informativa
E' possibile affermare che nel prossimo futuro le tre principali categorie in cui si differenzierà l'attività di raccolta informativa continueranno ad essere le stesse del periodo della Guerra Fredda:
- HUMINT: intelligence che deriva da fonti umane;
- SIGINT : intelligence che deriva dall'analisi delle intercettazioni di segnali trasmessi in forma verbale e non;
- IMINT : intelligence che deriva da immagini di vario tipo ottenute grazie ai satelliti spia o con altri mezzi.
Nessuna valutazione relativa alla loro futura utilità può prescindere dai risultati del passato. Relativamente alla SIGINT durante la Guerra Fredda si sa molto meno di quanto non si sappia circa la HUMINT e l'IMINT, con il risultato che molta della letteratura sulla storia recente dell'intelligence dà dell'attività di raccolta informativa una visione distorta.
HUMINT è certamente il sistema di raccolta informativa più antico. A differenza degli altri due può inoltre vantare autorità divina. Nell'anno 1250 circa a.C., Dio istruì Mosè affinché inviasse agenti "per spiare la terra di Cana" e gli fornì indicazioni utili su come reclutare tali agenti. Quaranta anni più tardi, la discesa finale verso la Terra Promessa venne preceduta da un'altra operazione di intelligence nella quale uno degli agenti suddetti, Giosuè, venne aiutato da una "talpa", Rahab la Prostituta, infiltrata nel campo nemico.
La teoria secondo la quale la fine della Guerra Fredda ha posto bruscamente termine a tremila anni di spionaggio è priva di alcun fondamento. Nel corso della Guerra Fredda, l'HUMINT è stata messa un po' in ombra da nuovi strumenti tecnici di raccolta informativa; le spie, tuttavia, hanno sicuramente giocato un ruolo significativo in occasione di alcuni dei più gravi momenti di crisi tra Est ed Ovest.
Il successo nell'interpretazione dell'IMINT raccolta dagli aerei spia americani durante la crisi dei missili sovietici a Cuba del 1963, è stato in gran parte dovuto alle informazioni fornite da un agente anglo-americano presente nell'intelligence militare sovietica, il Colonnello Oleg Penkovsky. Parallelamente, la fonte dalla quale si è appreso dei timori sovietici relativi al possibile "first strike" da parte della NATO nel corso del primo mandato presidenziale di Ronald Reagan, sarebbe stato un agente britannico nel KGB, il Colonnello Oleg Gordievsky. Nel novembre 1983, Gordievsky fu in grado di rivelare il contenuto allarmistico di telegrammi inviati dalla Centrale di Mosca alla residentura del KGB a Londra a proposito del timore che l'esercitazione NATO "ABLE ARCHER 83", focalizzata sulle procedure di rilascio del nucleare, potesse essere utilizzata come copertura per un attacco a sorpresa (5) . L'HUMINT potrebbe addirittura rivelarsi più importante in un mondo multipolare che non nel bipolarismo della Guerra Fredda. Alcuni regimi e gruppi terroristici sono oggi molto meno prevedibili nei loro comportamenti di quanto non fossero le due superpotenze antagoniste. Nell'attività di monitoraggio degli imprevedibili comportamenti di Saddam Hussein, per fare un esempio, o dei terroristi fondamentalisti, non vi è mezzo più efficace di una spia ben posizionata.
A differenza della HUMINT, la SIGINT è stata inspiegabilmente trascurata anche da alcuni importanti studi sull'attività d'intelligence. Nessuna storia della Seconda Guerra Mondiale passa oggi sotto silenzio il contributo offerto dai "codebreakers" anglo-americani nell'accelerare la vittoria alleata sulla Germania e sul Giappone (se non fosse stato per i loro successi, la prima bomba atomica sarebbe stata con ogni probabilità lanciata nell'agosto del 1945 non su Hiroshima ma, come previsto originariamente, sulla Germania che continuava a resistere). Eppure, nonostante la nutrita letteratura esistente sul ruolo svolto dalla SIGINT nella Seconda Guerra Mondiale, nella maggioranza dei testi di storia sulla Guerra Fredda non se ne trova menzione alcuna.
L'accordo segreto UKUSA (SIGINT -Sharing agreement, per la gestione congiunta dei risultati dell'attività d'intercettazione delle comunicazioni) stipulato nel 1948 da Gran Bretagna e Stati Uniti ed ancora in vigore, rimane alla base del rapporto privilegiato esistente tra le due Nazioni, ma invariabilmente non ve ne è traccia sui testi di relazioni internazionali. Proprio grazie a questo accordo, si può affermare che la Gran Bretagna e gli Stati Uniti condividono oggi più segreti di ogni altra potenza indipendente nella storia del tempo di pace.
La quantità di SIGINT raccolta durante la Guerra Fredda è stata ancora maggiore rispetto al periodo della Seconda Guerra Mondiale. Si tende a dimenticare che il KGB, come peraltro il GRU, era un'agenzia impegnata nella SIGINT oltre che nell'HUMINT. Nel 1960, ad esempio, la direzione responsabile per la SIGINT del KGB ha decodificato 209.000 messaggi diplomatici inviati da rappresenanti di 51 Stati. Non meno di 133.200 di queste intercettazioni sono giunte al Comitato Centrale (6) . Il volume di SIGINT raccolta dal KGB e dal GRU durante la Guerra Fredda risulta quindi sensibilmente maggiore rispetto al periodo precedente.
Sia gli Stati Uniti che la Gran Bretagna sono stati molto più lenti nel rendere pubblici i dati relativi alla SIGINT del primo periodo della Guerra Fredda che non quelli della Seconda Guerra Mondiale. I primi parziali dati classificati relativi alla fine degli anni '40 sono stati resi pubblici a Washington soltanto nell'estate del 1995.
Sebbene esistano centinaia (forse migliaia) di libri sulla CIA, sulla più consistente e meglio finanziata Agenzia statunitense impegnata a tempo pieno nella SIGINT, la National Security Agency (NSA), esiste soltanto uno studio, peraltro già datato. Sebbene l'NSA abbia, nella sua attività di decodificazione dei messaggi cifrati più segreti, meno successo oggi rispetto ai tempi dell"'Ultra Secret" nel conflitto mondiale, continua tuttavia a produrre una quantità di materiale informativo impressionante.
Il ruolo determinante svolto dalla SIGINT nel corso della Guerra Fredda emerge, comunque, anche dai pochi e frammentari dati finora disponibili: è stata infatti di rilevanza cruciale nel corso nella Guerra di Corea, il momento più spinoso del primo periodo di Guerra Fredda, ed è stata preziosa anche durante l'ultima crisi della Guerra Fredda, il fallito coup a Mosca del 1991. In relazione a quest'ultimo evento è probabile che il Presidente Bush abbia ottenuto le informazioni più utili grazie al successo dell'NSA nel "monitorare" le comunicazioni tra due dei principali protagonisti della vicenda, il Direttore del KGB Vladimir Kryuchkov ed il Ministro della Difesa Dmitri Yazov, con le postazioni militari sparse sul territorio dell'ex Unione Sovietica. Bush in quella occasione prese una decisione senza precedenti, trasmise parte di queste informazioni a Boris Eltsin e, rivolgendosi ai responsabili dell'NSA, si espresse in questi termini :
"Negli anni ho imparato ad apprezzare sempre più il grande valore della SIGINT. Quale Presidente e Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate posso assicurarvi che "l'intelligence delle comunicazioni" svolge un ruolo primario nell'ambito del processo decisionale con il quale viene definito il corso della politica estera del Paese" (7) . La SIGINT senza dubbio continuerà ad essere una delle principali attività informative anche in un mondo multipolare, tuttavia la sua rilevanza potrebbe ridursi. Lo sviluppo dei sistemi di comunicazione a fibre ottiche sottrarrà un numero sempre maggiore di messaggi al campo di azione dei satelliti o delle stazioni SIGINT a terra. Parallelamente il lavoro dei "codebreakers" verrà reso sempre più difficile dai nuovi sistemi cifra sempre più sofisticati e sempre meno dispendiosi, disponibili tra breve anche sul libero mercato.
La IMINT ha svolto un ruolo ancora più importante della SIGINT nella seconda metà della Guerra Fredda. I trattati SALT e START sul controllo degli armamenti, per esempio, sono scaturiti da quelli che eufemisticamente sono stati definiti "gli strumenti tecnici nazionali", cioè la capacità delle due superpotenze di monitorare la forza d'attacco nucleare dell'avversario grazie ai satelliti spia e ad altri strumenti tecnici, compresi mezzi telemetrici per la raccolta informativa. La IMINT rimane di importanza primaria per il controllo degli armamenti e per il mantenimento della pace in un mondo multipolare. Dalla fine della Guerra Fredda, tuttavia, sta rapidamente cessando di essere monopolio esclusivo delle superpotenze.. Entro un decennio saranno infatti disponibili sul mercato sistemi in grado di produrre immagini con una risoluzione ad un metro. La Russia sta già vendendo fotografie scattate da satelliti spia con risoluzione a due o tre metri. Da resoconti stampa si è appreso inoltre di piani russi per porre sul mercato immagini fino ad una risoluzione di 0.75m (8) . Un decennio fa, la funzione principale dell'IMINT e della SIGINT occidentale, soprattuto statunitensi, era quella di monitorare la forza di attacco sovietica. Dalla fine della Guerra Fredda gli stessi sistemi sono stati progressivamente impiegati dalle Forze Armate statunitensi quale supporto alle operazioni militari: l'operazione DESERT STORM dell'inizio del 1991, sotto questo aspetto, diverrà sicuramente un punto di riferimento e un modello per conflitti futuri. In quella occasione come mai prima, l'intelligence si è affermata quale moltiplicatore di forza su ampia scala. L'enorme vantaggio informativo delle forze delle Nazioni Unite nella Guerra del Golfo ha infatti reso possibile la sorprendentemente rapida sconfitta delle forze di Saddam. Il quarto Esercito del mondo è stato infatti sgominato con sole 100 ore di battaglia terrestre e con la perdita di soli 148 militari americani ed un numero ancora inferiore di militari alleati. L'enorme superiorità dell'intelligence statunitense ha reso possibile l'individuazione con una precisione senza precedenti (anche se non sempre infallibile) e la rapida distruzione del sistema di comando e di controllo militare di Saddam.
Mentre le truppe irachene combattevano la loro guerra di terra praticamente alla cieca, la coalizione poteva far conto su un sistema di IMINT sofisticatissimo. Uno studio realizzato a guerra finita dal Congresso ha messo in evidenza l'altissima qualità del contributo offerto all'operazione da tre nuovi strumenti tattici di raccolta informativa - il JSTARS, l'ASARS e l'UAV.
L' Air Force-Army JOINT SURVEILLANCE AND TARGET ATTACK RADAR SYSTEM (JSTARS - Sistema Radar unifícato dell'Areonautica e dell'Esercito di Ricognizione e di Attacco), sebbene fosse ancora in fase di sperimentazione quando venne lanciata l'operazione DESERT SHIELD, è riuscito a fornire ai responsabili delle operazioni, pressoché in tempo reale ed indipendentemente dalle condizioni meteorologiche, informazioni sugli obiettivi da colpire.
L'Aviazione degli Stati Uniti ha poi utilizzato aerei del tipo U-2 dotati di ADVANCED SYNTHETIC APERTURE RADAR SYSTEMS (ASARS) in grado di localizzare veicoli in movimento e di fornire immagini ad alta risoluzione di obiettivi fissi, sia di notte che di giorno.
L'UAV (UNMANNED AERIAL VEHICLE - veicolo aereo comandato a distanza) utilizzato in quella occasione per la prima volta, è riuscito a produrre preziosissima IMINT tattica per le unità della Marina, dell'Esercito e per quelle anfibie. In una occasione militari iracheni hanno offerto la propria resa ad un UAV che volava sopra di loro (9) . L'utilizzazione di questi velivoli si diffonderà sicuramente in futuro, ma la CIA li sta usando già dal 1994 per raccogliere informazioni sulla ex Iugoslavia.
Inoltre, il sistema di comunicazioni dell'avversario è per forza di cose più vulnerabile alla SIGINT in tempo di guerra che non in tempo di pace.
Durante l'operazione DESERT STORM si sono verificati, inevitabilmente, anche insuccessi dal punto di vista dell'intelligence. Tra questi il carente coordinamento tra le varie agenzie per un migliore sfruttamento dell'IMINT. La Guerra del Golfo ha inoltre contribuito a far emergere drammaticamente lo scollamento esistente tra coloro che progettano satelliti spia e coloro che disegnano armamenti di precisione guidati elettronicamente. Con il miglioramento della collaborazione tra questi due gruppi di esperti, migliorerà sostanzialmente il vantaggio militare a favore degli Stati Uniti e dei loro alleati NATO nell'evento di guerre contro regimi del tipo di quello iracheno. E' quasi certo che altri conflitti di questo tipo si verificheranno ancora; infatti pur essendo fínita la Guerra Fredda non si può dire che siamo entrati in una era di pace permanente.
Le priorità dell'intelligence in un mondo multipolare
Tra le minacce alla sicurezza europea che dalla fine della Guerra Fredda hanno acquisito maggior spessore va annnoverato il crimine internazionale. L'intelligence economica ha quindi acquisito maggior importanza, ma il prossimo secolo sarà sicuramente portatore di nuove priorità informative, alcune delle quali imprevedibili. Una tuttavia, la più prevedibile tra le minacce alla nostra sicurezza all'inizio del prossimo millennio è, secondo il mio parere, la proliferazione delle armi di distruzione di massa.
Il dibattito attualmente in corso circa le priorità dell'attività d'intelligence risulta penalizzato oltre che da una carenza di prospettiva storica anche da una lacunosa informazione circa le effettive possibilità offerte dagli attuali sistemi per la raccolta informativa.
La proliferazione viene da alcuni considerata una sorta di epilogo di breve durata del ben più pericoloso "armistizio nucleare" rimasto in vigore per cinquant'anni tra Est ed Ovest. Altri ritengono anche che essa rappresenti un pericolo limitato, ingigantito ad arte dalle stesse agenzie d'intelligence ansiose di trovare nuovi spazi operativi dopo la fine della Guerra Fredda. Se il problema della proliferazione venisse invece inquadrato in una prospettiva storica, ci si renderebbe conto che si tratta di un problema antico quanto l'homo sapiens e, con ogni probabilità, destinato a vivere tanto quanto la società umana. Qualunque invenzione umana, a partire dalla ruota, prima o poi si è diffusa in tutto il mondo. Sarebbe da ingenui ritenere che le armi di distruzione di massa possano rappresentare la prima eccezione a questa inderogabile legge storica. Il principale compito delle agenzie di intelligence all'inizio del prossimo millennio dovrà essere proprio il monitoraggio ed il rallentamento di questa tendenza comunque irreversibile.
Rispetto alla tanto pubblicizzata minaccia della proliferazione nucleare, un maggiore e più immediato pericolo può provenire dallo sviluppo delle armi chimiche e biologiche. Durante la Guerra Fredda la minaccia di una catastrofe nucleare causata dalla due superpotenze aveva contribuito a distogliere l'attenzione dalla terribile eredità lasciata dagli esperimenti effettuati dai tedeschi e dai giapponesi nel corso della Seconda Guerra Mondiale proprio nel settore delle armi chimiche. I giapponesi lanciarono pulci infettate dalla peste su alcune città cinesi per provocare epidemie e introdussero nei sistemi di approvvigionamento idrico e nei pozzi colture di batteri di colera e di tifo. Lo Zyclon-B è stata l'arma principale usata nella più atroce azione di guerra dell'età moderna: il tentativo di Hitler di eliminare il popolo ebraico. Il Sarin, il gas nervino usato nel marzo del 1995 nell'attentato alla metropolitana di Tokio, era stato originariamente sviluppato dagli scienziati nazisti.
Dato che la Guerra Fredda ci aveva portato a considerare prioritaria la minaccia nucleare, anche il pericolo rappresentato dagli studi sovietici per la preparazione della guerra chimica e biologica è stato sostanzialmente ignorato dal resto della comunità internazionale. Si trattava invece di un programma su vasta scala.
Qualche tempo fa per la BBC ho intervistato Vladimir Pasechnik, eminente scienziato ed ex Generale di divisione, attualmente residente in Gran Bretagna in un luogo segreto. Pasechnik è stato uno dei direttori scientifici di Biopreparat, un istituto sovietico con circa 15.000 dipendenti che ufficialmente sviluppava biotecnologia destinata ai settori medico ed agricolo, ma che nella realtà portava avanti il più vasto ed avanzato programma di guerra biologica nella storia del mondo. Tra i suoi risultati più eclatanti, un forma estremamente virulenta di encefalite e una di peste bubbonica resistente a moltissimi antibiotici.
Nel corso dei suoi incontri con Ronald Reagan e con Margaret Thatcher, Michail Gorbacev ha sempre negato l'esistenza di un programma di sviluppo di armi biologiche. Sebbene il SIS, il Servizio Informativo esterno britannico, insistesse sulla inaffidabilità delle dichiarazioni di Gorbacev, i ministri britannici si mostravano scettici. Nel 1989 Vladimir Pasechnik stabilì un contatto con il SIS durante un suo viaggio di lavoro in Francia e fuggì poi in Gran Bretagna dove ha fornito su Biopreparat un contributo informativo senza precedenti, condiviso anche dalla CIA.
Nel corso di una visita effettuata a Mosca nel 1991, il Premier britannico John Major ebbe un'accesa discussione con Gorbacev sull'argomento e, al reiterarsi dei dinieghi di quest'ultimo, egli urlò: "Tanto noi sappiamo tutto!". A distanza di qualche tempo Eltsin ammetteva l'esistenza del programma e prometteva di interromperlo (10) .
La tanto decantata minaccia della proliferazione nucleare proveniente dall'ex URSS è oggi un pericolo di gran lunga inferiore rispetto a quello meno pubblicizzato legato alla diffusione delle formidabili conoscenze sulla produzione di altre armi di distruzione di massa. Oggi è molto più facile portare fuori dalla Russia armi biologiche che materiale nucleare. Tutto quanto è necessario agli ex scienziati di Biopreparat per ricostruirsi una vita agiata in qualche Stato estero, magari sponsor del terrorismo, è già memorizzato nei loro cervelli; mentre la maggior parte delle sostanze necessarie per la produzione di armamenti di distruzione di massa è reperibile ovunque. E' quindi facile immaginare quali possano essere gli incentivi per uno scienziato russo che sia pronto ad emigrare e a vendere le proprie conoscenze al miglior offerente.
Basti pensare che un ricercatore agli alti gradi dell'Accademia delle Scienze russa guadagna attualmente $70 al mese, mentre solo una camera d'albergo al centro di Mosca ne costa $200 e più per notte.
Il caso di Biopreparat nel corso degli anni '80 venne sostanzialmente ignorato dall'intelligence occidentale e la stessa cosa è avvenuta all'inizio degli anni '90 con il programma iracheno per lo sviluppo di armi chimiche e biologiche, trascurato dall'Ovest in favore di quello nucleare. Invece Saddam Hussein, Muammar Gheddafl ed altri sognano da tempo di poter continuare il programma di guerra biologica nazista. Già alcuni anni fa Saddam utilizzò il Sarin per annientare la popolazione della città ribelle di Halabjah. L'unico motivo per cui egli non ha osato utilizzare armi chimiche nel corso della Guerra del Golfo del 1991 è stato il suo timore di una rappresaglia. Un generale israeliano di recente mi ha detto: "Egli temeva che se avesse messo testate chimiche sui suoi Scud noi lo avremmo annientato con il nucleare" (11) .
Dopo la fíne della guerra, Saddam è riuscito ad occultare gran parte delle sue armi chimiche, ma informazioni ottenute da defezionisti e da altre fonti hanno comunque indicato la presenza di un arsenale vastissimo. Secondo il Commissario Speciale delle Nazioni Unite, Rolf Ekeus, con la quantità di armi chimiche in possesso dell'Iraq sarebbe possibile "distruggere l'intera popolazione mondiale non una, ma molte volte"'.
La proliferazione di armi di distruzione di massa è destinata a minacciare la sicurezza europea ed il nuovo ordine internazionale multipolare del XXI secolo con tre tipi di crisi, di fronte alle quali l'intelligence dovrà svolgere un ruolo di primaria importanza:
1) potrebbero verificarsi crisi in cui regimi in possesso di tali armi decidano di minacciare direttamente l'Occidente;
2) potrebbe accadere che due Paesi del Terzo Mondo in guerra tra loro considerino il ricorso ad armi di questo tipo;
3) tale uso potrebbe esser fatto da gruppi terroristici.
Non si tratta solo di speculazioni teoriche su eventi che potrebbero verificarsi forse in futuro. Infatti, casi riconducibili a tutti e tre gli esempi citati si sono già verificati e tutto fa pensare che all'alba del nuovo millennio ve ne saranno molti altri. E' mia opinione che episodi di crisi del tipo di quelli sopraindicati costituiranno le principali priorità future per le comunità d'intelligence occidentali.
1) Crisi in cui regimi in possesso di armi di distruzione di massa minaccino direttamente l'Occidente
Il Paese del Terzo Mondo che ha più da vicino minacciato l'Occidente con armi di distruzione di massa è stato l'Iraq. L'attacco israeliano contro il reattore iracheno di Osiraq del 1981, scaturito da attività d'intelligence sul programma nucleare di Saddam, ebbe un'importanza cruciale e pochi se ne resero conto all'epoca. Se non fosse stato per quell'attacco, molto probabilmente un decennio più tardi Saddam sarebbe entrato nella Guerra del Golfo con un vasto arsenale nucleare. La stessa decisione di George Bush di lanciare le due operazioni DESERT SHIELD e DESERT STORM fu fortemente influenzata dagli allarmanti rapporti d'intelligence sui tentativi di Saddam di dotarsi di arsenali chimici, biologici e nucleari. Secondo Robert Gates, allora Primo Consigliere del Presidente per l'Intelligence (nominato poi Direttore dell'Intelligence Centrale nel 1991): "Tutto ciò ha contribuito a far sì che Bush non seguisse le indicazioni dei suoi Segretari di Stato e della Difesa che volevano stabilire una linea difensiva (in Arabia Saudita) e fermarsi lì. Ritengo che Margaret Thatcher non abbia temuto neanche per un momento un'indecisione da parte di Bush, egli era persino pronto ad affrontare un "impeachment"; avrebbe cacciato Saddam Hussein dal Kuwait a qualunque prezzo ed io stesso ho sentito il Presidente affermarlo" (12) .
Se non fosse stato per la DESERT STORM oggi probabilmente l'Iraq sarebbe una potenza nucleare. Altre sfide all'Occidente, simili a quella lanciata da Saddam, si materializzeranno ancora in futuro da parte di regimi impegnati a dotarsi di un arsenale di armamenti di distruzione di massa. La superiorità del sistema informativo americano su quelli dei Paesi del Terzo Mondo sarà, così come dimostrato nella Guerra del Golfo, di importanza vitale negli eventuali conflitti che si verificheranno.
Attualmente il più pericoloso tra questi regimi è probabilmente l'Iran, che già nel 1985 con l'Ayatollah Khomeini avviò un suo programma nucleare. L'intelligence da allora ha svolto un ruolo molto importante nel monitoraggio dello sviluppo nucleare iraniano. Ufficialmente Teheran sostiene che il suo programma è limitato a scopi civili, tuttavia secondo un resoconto informativo occidentale, probabilmente di buona affidabilità, il Presidente Rafsanjani all'inizio dell'anno in corso avrebbe affermato privatamente che l'Iran aveva completato la prima fase nella produzione di un ordigno nucleare ed avrebbe espresso apprezzamento per il contributo offerto da scienziati e tecnici cinesi e russi, i quali dirigono tutte le strutture iraniane ove si effettua ricerca nucleare. I resoconti informativi hanno provocato l'intervento dei Governi occidentali che hanno esercitato pressioni sia su Mosca che su Pechino affinché limitassero la natura e la scala della loro assistenza e delle vendite nel campo nucleare all'Iran. Tale intervento, tuttavia, ha prodotto soltanto risultati parziali, in particolare relativamente alla Cina. Secondo recenti rapporti informativi, esperti cinesi avrebbero quasi completato la costruzione di un impianto per l'arricchimento dell'uranio presso il centro atomico di Kuraj, a circa 100 miglia da Teheran, che è camuffato all'interno di un complesso ospedaliero. L'arricchimento dell'uranio è naturalmente uno stadio vitale nello sviluppo di armamenti nucleari.
2) Conflitti nel Terzo Mondo in occasione dei quali i contendenti potrebbero fare uso di armi di distruzione di massa
La compressione del mondo in un "villagio globale" ha contribuito ad incrementare la minaccia ai danni della sicurezza occidentale anche a seguito dell'uso di armi di distruzione di massa non direttamente contro obiettivi occidentali.
Il primo incidente di questo tipo si è verificato nella primavera del 1990 nel subcontinente indiano ed è stato pressoché ignorato dai mass media. In quella occasione l'India ammassò ingenti truppe, circa 200.000 uomini, comprese cinque brigate della sua principale forza di attacco, al confine con il Pakistan, nel territorio conteso del Kashmir. In un conflitto di tipo convenzionale, il Pakistan avrebbe rischiato una seconda umiliazione dopo la disastrosa sconfitta subita nel dicembre 1971 dopo sole due settimane di guerra. In una serie di rapporti di intelligence sottoposti al Presidente Bush si giungeva alla conclusione che alla metà del mese di maggio il Pakistan aveva già assemblato sei testate nucleari e che, probabilmente, le aveva già montate sui suoi F-16 di fabbricazione statunitense. Gli analisti della CIA sospettavano che la responsabilità della gestione del nucleare fosse non nelle mani del Primo Ministro Benazir Bhutto, bensì in quelle del Presidente Ghulam Ishaq Khan e del Generale Mirza Aslam Beg, Capo di Stato Maggiore dell'Esercito. La CIA riteneva che ambedue potessero, di fronte alla possibilità di subire un'altra umiliazione per mano dell'Esercito indiano, ordinare un attacco nucleare contro Nuova Delhi. L'India, dotata a sua volta di un arsenale nucleare più vasto di quello del suo vicino, con ogni probabilità non avrebbe esitato a rispondere con gli stessi mezzi. Robert Gates a questo proposito ricorda che "la comunità d'intelligence non riteneva che vi fosse un rischio immediato di conflitto nucleare, si prevedeva però che da una serie di scontri si sarebbe giunti ad una guerra convenzionale che si sarebbe poi necessariamente trasformata in nucleare". Richard J. Kerr, Vice Direttore della Central Intelligence e responsabile del coordinamento delle valutazioni informative nel maggio 1990, era convinto che "la situazione fosse vicina al punto di rottura....... il mondo dell'intelligence riteneva che senza un intervento esterno i due contendenti avrebbero potuto effettuare valutazioni errate, facendo magari precipitare il confronto verso un conflitto nucleare".
Verso la metà di maggio, Bush inviò Gates in veste di suo rappresentante personale in missione urgente prima presso il Presidente Khan ed il Generale Beg a Islamabad, poi a Nuova Delhi dal Primo Ministro indiano, Vishawanath Pratap Singh. Gates recapitò loro delle missive personali del Presidente nelle quali egli esortava i contendenti alla moderazione. Gates ricorda a proposito: "Uno degli elementi sui quali puntai più esplicitamente fu il fatto che io non ero un diplomatico bensì un funzionario d'intelligence e che la mia visita scaturiva dalla preoccupazione nutrita dall'Amministrazione americana la quale temeva che le due parti potessero scivolare verso un confronto militare senza neanche rendersene conto". Per dimostrare ai contendenti l'accuratezza dell'intelligence raccolta dagli americani, Gates "riferì ai pachistani e poi agli indiani, con estrema dovizia di particolari, tutti i movimenti delle rispettive forze armate finanche la disposizione dei singoli aerei e delle singole unità fíno a livello delle compagnie, nonché le distanze tra le unità di artiglieria ed il numero dei carri armati posizionati nei vari luoghi". Durante la prima tappa del suo viaggio, ad Islamabad, Gates dichiarò al Generale Beg, alla presenza del Presidente Khan: "Generale, i nostri militari hanno simulato tutti gli scenari di guerra ipotizzabili tra voi e gli indiani, e non vi è alcuna possibilità di una vostra vittoria". Più tardi Gates affermò: "Non vorrei mai dover giocare a poker con Beg, nel corso del nostro incontro non ha mai mutato espressione del viso". Khan disse poi a Gates che poteva segretamente offrire agli indiani l'assicurazione che i campi di addestramento presenti in Pakistan per i "combattenti per la libertà del Kashmir" sarebbero stati chiusi. Il 21 maggio, in occasione di un incontro con i leader indiani a Nuova Delhi, Gates ottenne l'autorizzazione per gli addetti militari statunitensi a recarsi nella regione di frontiera del Kashmir e nel vicino Rajasthan. Al termine della visita essi comunicarono che le forze indiane stavano per terminare le loro operazioni militari e che non vi erano segnali indicanti un'imminente invasione (13) .
A due settimane circa dalla visita di Gates a Nuova Delhi, rapporti informativi statunitensi rivelarono l'inizio di un programma di incontri regolari tra alti funzionari dei Ministeri degli Esteri indiano e pakistano ed il raggiungimento di un accordo tra i due Governi per l'attuazione di misure volte a incrementare la fiducia reciproca. A tutt'oggi non è ancora chiaro quanto effettivamente grave fosse la crisi e l'effettiva portata del ruolo di Gates nel disinnescare la tensione, ma non vi è dubbio che nel corso del XXI secolo di crisi simili se ne verificheranno altre e forse più gravi.
Così come è avvenuto nel maggio 1990, l'intelligence avrà un ruolo cruciale da svolgere nel porre in allerta, prima che un conflitto abbia inizio, gli Stati Uniti ed i loro alleati NATO nel caso in cui vi sia un serio rischio di ricorso ad armi di distruzione di massa. Mentre i colloqui di pace erano in corso a Dayton, nell'Ohio nel novembre 1995, le forze delle Nazioni Unite scoprirono i resti di una fabbrica serba vicino Mostar per la produzione di gas nervino Sarin" (14) .
3) Utilizzazione di armi di distruzione di massa da parte di gruppi terroristici
Fino alla fine degli anni '80 una delle caratteristiche peculiari del terrorismo era il numero relativamente esiguo di vittime. Nel corso dei cento anni precedenti l'attentato di Oklahoma City si sono verificati una decina circa di attentati terroristici che hanno provocato la morte di circa 100 persone. I terroristi tradizionali, pur se pronti senza eccessive preoccupazioni a fare qualche vittima, erano più interessati a suscitare panico ed a pubblicizzare la propria causa che non a compiere stragi.
Tutto ciò sta mutando. I terroristi religiosi o ispirati da culti vari sono molto più pericolosi dei loro predecessori, in particolare quando si considerano coloro che giungono a credere di essere ispirati da Dio nella loro missione di distruzione delle forze di Satana. Trent'anni fa non esisteva in tutto il mondo un singolo gruppo terroristico di ispirazione religiosa. Ancora nel 1980 soltanto due delle 64 formazioni terroristiche note avevano matrice religiosa. Da allora, invece, soltanto i gruppi sciiti si sono resi responsabili di più di un quarto delle morti dovute ad atti di terrorismo. Lo Sceicco Omar Abdel Rahman, il leader religioso riconosciuto colpevole di aver ispirato l'attentato al World Trade Center di New York, rivolgendosi ai suoi seguaci ha affermato: "Dobbiamo essere terroristi.... il Grande Allah ha detto 'Preparate le vostre forze al limite massimo delle vostre capacità, [disseminate] i semi della guerra per incutere terrore ai nemici di Allah!" (15) .
I terroristi plagiati al punto di credere di essere autori della volontà di Dio giungono facilmente a sentirsi depositari di un'autorizzazione divina ad uccidere indiscriminatamente. I fondamentalisti sciiti responsabili del fallito attentato alle World Trade Center miravano ad uccidere decine di migliaia di abitanti di New York. Altrettanto volevano coloro che per liberare i responsabili dell'attentato avevano pianificato di radere al suolo parte del centro di New York, compreso l'edificio delle Nazioni Unite. Nel dicembre del 1994, un gruppo di dirottatori algerini fondamentalisti venne catturato all'aeroporto di Marsiglia a bordo di un aereo dell'Air Algerie che, secondo i loro piani, doveva schiantarsi sul centro di Parigi con conseguenze spaventose ed enorme perdita di vite umane.
Oltre ad essere più sanguinaria, la nuova generazione di terroristi opera utilizzando armi sempre più pericolose. Nei casi del World Trade Center e di Okhlaoma City gli attentatori hanno utilizzato esplosivi tradizionali. Tuttavia i loro successori non si limiteranno alla bomba e al proiettile: regimi come quello iracheno, iraniano, libico, o sudanese sono perfettamente in grado di fornire armi di distruzione di massa a gruppi terroristici. L'uso del gas nervino Sarin nella metropolitana di Tokio, nel marzo '95, ha confermato alcune previsioni secondo le quali gruppi terroristici sarebbero già in grado di produrre autonomamente armi di distruzione di massa. Prima o poi un'organizzazione terroristica in qualche luogo del mondo riuscirà anche a procurarsi armi nucleari. Nel corso di un'intervista per la BBC, William Colby, l'ex Direttore della Central Intelligence mi ha detto: "E' altamente improbabile che oggi un'arma nucleare giunga negli Stati Uniti montata su un missile; è più probabile invece che vi giunga a bordo di una nave da carico che getta l'ancora nel porto di New York" (16) . Nell'estate del 1985, le Autorità di sicurezza britanniche condussero un'esercitazione basata sull'ipotesi che un piccolo ordigno nucleare fosse stato fatto esplodere a Coventry nelle West Midlands (17) . Il leader dei ribelli ceceni, Shamil Basayev, in più di un'occasione ha minacciato il ricorso ad armi nucleari, biologiche o chimiche contro Mosca o altrove in Russia nell'ambito della lotta per l'indipendenza cecena. Nel novembre 1995, Basayev annunciò di aver collocato materiale radioattivo a Mosca per dare una prova della fondatezza delle proprie minacce. Un involucro contenente cesio radioattivo venne successivamente rinvenuto in un parco di Mosca e il Servizio di Sicurezza Federale russo affermò che poteva essere stato depositato lì da separatisti ceceni (18) .
Il problema principale di cui devono tener conto sia i Servizi d'intelligence che i loro Governi è l'atteggiamento dell'opinione pubblica: i rischi della proliferazione non verrano presi sul serio fino a quando non si verificherà una catastrofe. Attualmente, proponendo misure volte a contrastare la proliferazione non si ottengono voti. Siamo in una situazione simile a quella che precedette il disastro di Chernobyl dieci anni fà. Molti esperti occidentali che avevano studiato le centrali nucleari del Blocco sovietico erano consapevoli della loro pericolosità e del rischio concreto di incidenti nucleari, eppure prima del disastro né i Governi occidentali, né tantomeno l'opinione pubblica occidentale prestarono ascolto ai loro avvertimenti.
Purtroppo la distanza tra la percezione pubblica e le priorità dell'intelligence in un mondo multipolare rimane preoccupantemente vasta.
NOTE
(*) Il presente articolo costituisce il testo dell'intervento tenuto dal Prof. Andrew nell'ambito del ciclo di letture organizzate dal Centro "Gino Germani", tenutosi presso la LUISS il 23 novembre 1995. Lo stesso è stato pubblicato sulla rivista Modernizzazione e Sviluppo, anno VI, n. 2/3, 1995, edita dal medesimo Centro.
Traduzione dall'inglese a cura della Redazione.
(1) Vds. sull'argomento il rapporto della Twentieth Century Fund Task Force (New York) della quale l'autore è membro, Future of United States Intelligence Agencies, in uscita nel 1996.
(2) Un ampio studio sull'intelligence economica americana è in corso di elaborazione da parte del Professor Philip Zelikov dell'Università di Harvard. Vds. il suo articolo sull'argomento in uscita in Intelligence and National Security nel 1997.
(3) Vds. lo studio del Professor Zelikov sulla crisi messicana, di prossima pubblicazione.
(4) Questo sarà con ogni probabilità tra gli argomenti esaminati nel rapporto della Twentieth Century Fund Task Force on the Future of United States Intelligence Agencies.
(5) Cristopher ANDREW & Oleg GORDIEVSKIJ, La Storia Segreta del KGB, (Milano: Rizzoli, 1991), pp. 614-38. Cristopher ANDREW & Oleg GORDIEVSKIJ, Comrade Kryuchkov's Insstructions: Top Secret Files on KGB Foreign Operations, 1975-1985(Stanford, California: Stanford University Press, 1993). pp 67-90.
(6) KGB to Krushchev, "Report for 1961", 14 febb. 1961, nei "dossier speciali" del Comitato Centrale del PCUS; citato da Vladislav M. Zubok, "Spy vs.Spy: The KGB vs. the CIA, 1960-1962", Cold War International History Project Bulletin (Woodrow Wilson center, Washington, D.C.), n. 4, (Autunno 1994), p.23.
(7) Cristopher ANDREW, For the President't Eyes Only: Secret Intelligence and the American Presidency from Washington to Bush, (Londra/New York:Harper Collins, 1995), pp 187-9,506,530.
(8) James R. ASKER, "High-Resolution Imagery Seen as a Threat Opportunity", Aviation Week and Space Tecnology, 23 maggio 1994.
(9) ANDREW C., For the President's Eyes Only, pp.522-3
(10) Intervista dell'autore con Pasechnik, trasmessa nel corso della serie della BBC New Spies for Old? (1995, prodotta da Dennis Sewell). James ADAMS, the New Spies, (Londra, Hutchinson,1994).
(11) "Iraq's Weapons Could Wipe Out the World, Says UN", Daily Telegraph, 12 ottobre 1995.
(12) C. ANDREW, For the President's Eyes Only, pp.521-2 .
(13) C. ANDREW, ibid., pp. 516-17. Seymour M. HERSH, "On the Nuclear Edge", New Yorker, 29 marzo 1993.
(14) "Nerve Gas Factories Discovered in Serbia", The Times, 27 novembre 1995.
(15) Bruce HOFFMAN, "Responding to Terrorism across the Political Spectrum", Terrorism and Political Violence, vol. VI (1994), n.3.
(16) Intervista dell'autore a Colby, trasmessa nella serie della BBC Radio 4, New Spies for Old? (prodotta da Dennis Sewell).
(17) "Doomsday at the Cabinet Office", The Times, 21 agosto 1995.
(18) "Rebel's Nuclear Threat to Moscow", Daily Telegraph, 25 novembre 1995.
BIOPREPARAT
Nel 1972 gli USA firmavano con URSS, Gran Bretagna e altri Paesi fra i quali l’Iraq, la Biological Weapons Convention (Convenzione per gli Armamenti Biologici o BWC) per il divieto di costruzione e stoccaggio di armi batteriologice, ma la Convenzione si sarebbe poi rivelata inutile in quanto non esistevano strutture di controllo affidabili. Il comportamento assunto in seguito dal Governo di Baghdad lo dimostra. E lo dimostra anche il fatto che un anno dopo, nel 1973, in URSS su suggerimento di uno dei fondatori della biologia molecolare sovietica, Yuri Ovchinnikov, veniva costituita una struttura per la ricerca e la produzione di biotecnologie per scopi civili denominata Biopreparat, nei pressi di Mosca, diretta però da un militare, il generale V.I. Ogarkov e posta sotto il controllo del Ministero della Difesa. L’anno seguente veniva aperto l’Istituto di Biologia Molecolare di Koltsovo, nei pressi di Novosibirsk, in Siberia, al quale ne avrebbero fatto seguito altri. Nessuno poteva sapere quali ricerche venissero condotte e quali materiali prodotti perché nessun indizio sarebbe trapelato sino alla primavera del 1979 quando si sarebbe verificato l’incidente di Sverdlovsk. Solo allora iniziarono a nascere dei sospetti che però vennero mitigati dall’intervento di molte “teste d’uovo” americane fra le quali Matthew Meselson, biochimico di Harvard e principale artefice della BWC che convinse il Presidente Jimmy Carter della non pericolosità della situazione. Ma nell’autunno del 1989 Vladimir Pasechnik, uno dei migliori ricercatosi del Biopreparat sovietico defezionò in Inghilterra dove chiese asilo e iniziò a parlare lasciando allibiti i servizi di sicurezza britannici prima e USA poi, che non ricevettero certo i complimenti del Presidente George Bush e del Premier Margaret Thatcher. Questi decisero quindi di operare forti pressioni sul Presidente sovietico Mikhail Gorbaciov nel tentativo di stabilire quanto grande potesse essere il danno subito e di riuscire a ripararlo o a ridurlo almeno in parte, ma oramai si era arrivati al 1990 e l’Unione Sovietica era ai suoi ultimi sussulti. Inoltre la minaccia biologica e chimica che preoccupava adesso gli Stati Uniti proveniva da tutt’altra parte: dall’Iraq di Saddam Hussein che Bush si preparava ad attaccare. Solo dopo si sarebbe appreso che in URSS si trovavano circa 50 stabilimenti per la produzione di armi biologiche, almeno 15 dei quali di primo livello. Fra questi l’Istituto di Microbiologia Applicata di Obolensk a una sessantina di chilometri da Mosca dove ci si occupava del batterio Yersinia Pestis; poi l’Istituto di Biologia Molecolare di Koltsovo dove le attività erano focalizzate sull’Ebola, sul virus di Marburg, sulle febbri emorragiche del Congo, della Crimea, della Bolivia, sull’encefalite trasmessa dalle zecche e sulla encefalite equina venezuelana o VEE; al Kombinat 19 di Sverdlovsk tutto era invece puntato sul Bacillus Anthracis e così via. Decine di migliaia di persone, fra scienziati, tecnici e assistenti furono impegnati nel programma. Il loro lavoro era prestigioso e ben retribuito. Sotto Biopreparat furono studiate nuove forme di antrace, di tularemia, di brucellosi, di peste , di tifo, di febbre di Q, di vaiolo, di tossina botulina, di ebola, di marburg e di encefalite equina venezuelana. Ma il programma del Biopreparat prevedeva anche lo studio degli Organismi Chimerici e la loro applicazione in campo pratico. Nella mitologia antica una Chimera era una bestia che era la combinazione di più mostri ( Es. Mostro con testa e corpo da leone, una seconda testa di Capra sul dorso e coda da serpente ). Oggi per Animali Chimerici si intendono quegli organismi costituiti da due o più cellule appartenenti a specie diverse, derivate o da anormale distribuzione cromosomica nelle cellule originarie o da innesto naturale o artificiale ( Organismo i cui tessuti presentano più genomi ). Tra l'altro, i russi generarono il veepox , una combinazione l'encefalite equina venezuelana del e la vaiolo. In pratica, tramite tecniche di ingegneria genetica, i russi univano le caratteristiche volute da fonti multiple, al fine di generare un organismo molto più patogeno e virulento dei precedenti.Con il crollo dell’ex Unione Sovietica e del blocco comunista, gli istituti di ricerca e laboratori non sopravvissero al crollo del sistema, e il Programma denominato Biopreparat ce**o praticamente di esistere. Attualmente Biopreparat esiste ancora, ma è una società per azioni con sede a Mosca che produce cosmetici, liquori e altri prodotti. Gli scienziati e i ricercatori che presero parte al programma migrarono in paesi come l’Iraq, L’Iran e molti altri dove vendettero le loro conoscenze al miglior offerente.
Tanga 1914
Quando combattono le vespe africane
L'Africa Orientale Tedesca fu lo scenario di uno dei più interessanti quanto meno conosciuti capitoli della Grande Guerra.
Protagonista indiscusso di questo scacchiere fu Paul v. Lettow-Vorbeck, comandante in capo delle forze armate tedesche nella regione, un uomo di eccezionali capacità militari e detentore di un significativo primato nella Prima Guerra Mondiale: fu l'unico comandante a non aver subito sconfitte di rilievo durante tutto il corso della guerra.
In particolare brillò per il benvenuto che seppe dare allo sbarco britannico a Tanga, un porto della colonia tedesca, che diede inizio alla campagna.
Lo sbarco di Tanga è forse la peggiore operazione anfibia della storia militare.
Se ne possono citare un'altra decina in ordine sparso: lo sbarco nella baia di Suvla (1915), la conquista del Madagascar (1895), le spedizioni di Cartagena (1740), Cadice (1625), Walcheren (1809) e Hispaniola (1654), la Baia dei Porci (1961), lo sbarco in Irlanda del 1798, l'operazione di soccorso alla Norvegia (1940), Salerno (1943) e, infine, l`attacco contro la Francia del 1694.
La maggior parte di queste operazioni vedono come protagonisti i Britannici, che vengono ritenuti specialisti in materia di operazioni anfibie. Ma credo si tratti di una pura questione di probabilità statistica, perché solo chi fa, sbaglia.
Prendete l’atlante geografico che usavate a scuola e cercate Tanga.
Trovata? E’ nell’odierna Tanzania, quasi al confine con la Nigeria...
Ci vollero 4 anni (e 12 giorni) e l'impegno di oltre 200.000 uomini per aver ragione di una forza che non superò mai le 15.000 unità tra Askari, la grande maggioranza, e coloni tedeschi in divisa.
4 anni (e 12 giorni) per conquistare una colonia tedesca potenzialmente autonoma, completamente isolata dalla madrepatria e per di più assolutamente priva di una qualsiasi importanza strategica.
La responsabilità di questa monumentale assurdità della Prima Guerra Mondiale - che pure ne conobbe di veramente grandi - va equamente divisa tra il comandante della guarnigione tedesca Paul v. Lettow-Vorbeck e lo Stato Maggiore Britannico: a quest'ultimo vanno tutte le colpe, al primo i meriti.
Dato che la guerra era “Mondiale”, il nemico doveva essere combattuto in ogni continente: non c'era altro motivo che questo dietro l'attacco della colonia tedesca dell'Africa Orientale programmato dai britannici.
Il territorio era, come anticipato, di un'importanza strategica nulla e oltretutto selvaggio, ostile e aspro come pochi: composto di paludi, pianure aride e giungle impenetrabili, percorso da animali feroci come leoni, rinoceronti e da aggressive bande di babbuini che attaccavano spietatamente chi invadeva il loro territorio, ma soprattutto abitato da più piccoli e da ancora peggiori nemici: la zanzara anofele, la mosca tze-tze e altri innumerevoli minacce ambientali.
L’assoluta inutilità di questa territorio non portava alla logica conseguenza che potesse essere semplicemente ignorato: significava solo, per lo stato maggiore britannico, che in quell`operazione venissero impiegate truppe di terza scelta, nella fattispecie le unità meno combattive dell'Armata Indiana.
Questo era un grave errore, perchè una volta deciso in sede strategica il ricorso alla forza militare, l'entità dell`impegno deve essere proporzionata alla difficoltà degli ostacoli che verranno incontrati e non all'importanza dell`obiettivo.
La combattività delle forze che le truppe britanniche avrebbero dovuto fronteggiare venne ampiamente sottovalutata, in particolare dal comandante della spedizione il Maggior Generale Aitken.
Ora, se ho definito le truppe britanniche di terza scelta, non altrettanto si poteva dire di Aitken, che come militare si meritava una qualifica ancora inferiore.
Aitken era un individuo come se ne incontrano tanti nella vita di tutti i giorni, ma che mai dovrebbero trovarsi al comando di una cosa qualsiasi: incapace di senso critico, imbevuto di luoghi comuni, di pregiudizi e di razzismo antiafricano, nutriva una stima in se stesso assolutamente ingiustificata ed una commovente quanto grottescamente esagerata fiducia nelle capacità delle truppe al suo comando, che riteneva avrebbero fatto strage dei “negri”.
Infatuato delle proprie erronee convinzioni, era incapace di ascoltare i consigli di quanti tentarono di metterlo in guardia avvertendolo che gli Askari tedeschi non dovevano essere sottostimati. Addirittura rinunciò all'aiuto dei King's African Rifles, perchè il suo razzismo non faceva distinzione tra negri amici e negri nemici.
In realtà degli 8.000 uomini al suo comando solo un paio di unità erano poco più che mediocri e si sarebbero dimostrate in grado di competere con le truppe tedesche, in particolare il North Lancashire Regiment. I reggimenti indiani non erano stati preparati a sufficienza: male addestrati, male equipaggiati, peggio guidati. Quelli ai quali era stato fornito il moderno fucile Lee-Enfield, ad esempio, non avevano ricevuto istruzioni su come usarlo, c`erano soldati provenienti da tutte le parti dell`India e nella medesima unità magari venivano parlate una dozzina di lingue diverse, professati credi religiosi incompatibili, si tenevano diversissime abitudini alimentari, e vigevano profonde differenze di casta.
Gli ufficiali, poi, erano, secondo le parole del capitano inglese Meinertzhagen (britannico nonostane il nome) "più simili a fossili che ad energici e attivi militari", da poco assegnati alle unità e perfetti sconosciuti gli uni per le altre.
Per assicurarsi poi che questi uomini dessero il peggio di sè, i britannici presero altre precauzioni.
Innanzitutto fecero di tutto affinchè la sorpresa strategica venisse in ogni modo a mancare: applicarono una bella etichetta, "Indian Expeditionary Force B, Mombasa East Africa", sui bagagli depositati nel porto di Bombay; quindi annunciarono con entusiastici titoli di giornale il suo imminente invio contro i tedeschi, tanto sulla stampa dell'Africa Orientale Britannica quanto su quella della madrepatria; e per finire ci furono messaggi radio in chiaro tra il convoglio e Mombasa, e lettere di residenti tedeschi nell'Africa Orientale Britannica e loro conoscenti a Tanga.
Caso mai qualche tedesco fosse rimasto all'oscuro della cosa poi, il convoglio fece il viaggio sempre sottocosta, in modo da essere ben visibile.
Altre precauzioni garantirono che il morale delle truppe diventasse irrecuperabile.
Innanzitutto gli uomini vennero imbarcati prima che fosse ben chiaro il momento della partenza, e così rimasero più di due settimane stipati come sardine sulle navi in un caldo orribile. In tutto questo periodo e in quello del viaggio, non venne fatto alcun conto delle differenze di casta e di alimentazione dei sepoy, che così trascorsero il tempo tra la diarrea causata dai cibi a cui non erano abituati, le liti tra le caste e il vomito del mal di mare.
Quando l`allegra compagnia arrivò finalmente a Mombasa, Aitken si rifiutò di far scendere i suoi uomini a terra per farli riprendere, con la motivazione che la cosa poteva allertare i tedeschi: in questo modo i poveri soldati poterono vomitare anche quel poco che erano riusciti a risparmiare fino ad allora.
Oramai, però, si era giunti in zona di guerra e le cose si fecero più brutte.
Ad aggiungersi all'insipienza di Aitken venne quella del capitano Caulfield, comandante delle navi da guerra di scorta al convoglio.
Egli fu il primo ad entrare in contatto con i tedeschi il 3 novembre 1914: aveva il compito di annunciare al governatore dell'Africa Orientale Tedesca, Von Schnee, che la tregua era rotta e doveva evacuare la città: i tedeschi potevano decidere tra la resa del porto o la guerra.
Von Schnee era assente e al suo posto c'era un certo Auracher, un semplice funzionario, che si recò sull'ammiraglia britannica per parlamentare e ricevere l'ultimatum di Caulfield.
Il funzionario non poteva prendere decisioni di questa gravità e quindi chiese al capitano nemico di aspettate mentre egli andava a chiedere lumi ai suoi superiori. Caulfield trovò la cosa ragionevole, ma prima che il tedesco si congedasse per espletare la sua missione, chiese se il porto di Tanga fosse minato e Auracher dovette confermare questi sospetti, ammettendo che il porto era pieno di mine come una scodella di brodo zeppa di pastina.
Così, mentre l'ufficiale britannico attendeva la risposta, Auracher corse prima a spedire un messaggio a von Lettow avvertendolo che gli inglesi erano arrivati, poi a casa ad indossare l`uniforme della milizia tedesca per raggiungere l`unità dove prestava servizio.
Dopo qualche tempo Caulfield realizzò di essere stato raggirato e diede inizio alla laboriosa operazione di bonifica delle mine del porto di Tanga.
Questa impresa era appena iniziata quando Caulfield fu raggiunto dal resto del convoglio: così i poveri sepoy sconvolti dal viaggio in mare dovettero rimandare ancora il raggiungimento dell'agognata terra ferma.
Di mine, però, nel porto di Tanga non ce n'era nemmeno l'ombra: rifiuti di ogni genere, tanti, ma mine nessuna.
Incapace di ammettere di essere stato preso in giro anche in questa occasione, Caulfield proibì alle truppe di sbarcare nel porto della città, perchè secondo lui vi erano senza dubbio altre insidie nascoste, e convinse Aitken a scegliere come luogo per lo sbarco un punto ad un paio di chilometri a sud della città.
Effettivamente questo era il luogo peggiore dove effettuare uno sbarco e non poteva essere individuato con maggiore imperizia o sfortuna, fate voi: era una palude di mangrovie dove vivevano solo sanguisughe, vipere d'acqua, zanzare e mosche tze-tze, separato dalla città da un terreno difficilissimo e da una fitta piantagione di alberi di cacao.
In questo scenario d'incubo le truppe anglo-indiane vennero fatte sbarcare, ovviamente, in modo che la confusione rendesse le cose ancora più complicate, assieme ai bagagli e ai materiali che furono scaricati dove capitava, fosse pure nell'acqua alta.
Quando le truppe britanniche furono finalmente pronte, erano trascorse ben 48 ore che avevano consentito a von Lettow di preparare al meglio la propria difesa e di richiamare a Tanga altre unità, portando il totale delle truppe al suo comando a circa ottocento uomini: il rapporto di forze era a suo sfavore di dieci a uno ma era ugualmente intenzionato a resistere.
I britannici iniziarono a procedere lentamente tra la fitta vegetazione: di fronte a loro, invisibili, gli askari occultati in ripari accuratamente predesposti li colpivano inesorabilmente.
Tre ufficiali, esasperati da questa situazione, si spinsero in avanscoperta su una collina e furono immediatamente abbattuti dal fuoco dei cecchini.
Ma era ancora nulla: il suono di una cornetta fece scattare in un assalto alla baionetta un gruppo di Askari che colpirono di sorpresa il 13th Rajput, un reggimento che aveva la nomea di essere il peggiore di tutto il Commonwealth. Non si smentì in questa occasione: tutti gli indiani si diedero immediatamente alla fuga (un centinaio di questi corse fino al mare per tuffarsi in acqua), lasciando i propri 12 ufficiali britannici a farsi ammazzare sul posto. Il già citato Meinertzhagen, che tentava di fermare i fuggitivi, dovette difendersi dalle sciabolate di un ufficiale indiano in fuga, e lo uccise con un colpo di pistola a bruciapelo.
250 Askari avevano respinto una forza dieci volte superiore causando oltre 300 tra morti e feriti, soprattutto tra ufficiali e sottufficiali.
Aitken aveva visto fallire miseramente la sua prima avanzata, ma non intendeva cambiare i propri piani. Ordinò di rinnovare l'attacco, che questa volta era guidato dagli inglesi del Lancashire.
Dato che la sorpresa era assolutamente fuori discussione, Aitken non trovò di meglio che ordinare in pratica un attacco alla baionetta contro i nidi di mitragliatrici e gli sbarramenti di filo spinato predisposti dai tedeschi.
Con enorme fatica e sostenendo pesantissime perdite i britannici riuscirono a superare le difese in alcuni punti: i Lancs arrivarono fino all`ospedale di Tanga e anche due reggimenti Kashmiri penetrarono in città: i primi, però, furono costretti a ripiegare quando Aitken ordinò tardivamente ed inopportunamente di aprire il bombardamento della città (e l'unico colpo che abbia causato perdite cascò appunto sull'ospedale), mentre i secondi cedettero di schianto sotto un contrattacco degli Askari.
Nel frattempo un altro reggimento, il 63th Palmacottah, semplicemente si dissolveva sotto il tiro incorciato e i suoi uomini in fuga costrinsero un altro reggimento, il 98th Infantry, a ripiegare su un fianco: per colmo di sventura questi capitarono su favi di terribili api africane che, irritatissime, si accanirono sugli indiani come e peggio degli askari, costringendoli ad una fuga ignominiosa fino al mare, dove andarono a raggiungere i resti del 13th Rajput.
L`ultima unità ancora non compromessa da Aitken era il 101st Grenadiers che tentò di tappare i buchi apertisi da queste inaspettate ritirate, ma senza successo.
Ad Aitken non rimase che ordinare il reimbarco immediato, il 5 novembre: in due giorni erano morti 800 uomini, altri 500 erano i feriti e ben 250 gli scomparsi, con ogni probabilità affogati. Gli avversari avevano 15 europei e 54 askari fuori combattimento, tra morti e feriti, e potevano consolarsi con tutto il materiale abbandonato dagli inglesi in fuga: fucili, mitragliatrici, cibo, vestiti, coperte, motociclette e equipaggiamento per telegrafi: quanto serviva al comandante tedesco per un intero anno di guerra.
Così finì questa ingloriosa operazione anfibia: ma ci sono altri dettagli da raccontare per completare il quadro: ad esempio che mentre infuriava la battaglia un gruppo di marinai sbarcò direttamente a Tanga con una barca a remi e comperò dai locali dei viveri freschi, e poi che i Lancs, impegnati in retroguardia il giorno dell'evacuazione si divertirono a fare il bagno suscitando le scandalizzate reazioni dei tedeschi. Ma non è tutto: al ritorno a Mombasa la spedizione fu fermata dagli ufficiali doganali che chiesero il pagamento di una tassa del 5% sul valore dei beni trasportati! I Lancs si impegnarono a convincere i doganieri con le loro baionette e alla fine la spedizione trovò pace.
Non altrettanto accadde ad Aitken: al suo ritorno a Londra Kitchener, il Segretario alla Guerra della corona britannica, si rifiutò di riceverlo e anzi lo fece degradare a colonnello e lo mandò in pensione a metà paga.
Paul Emil von Lettow-Vorbeck
Le imprese di Paul Emil von Lettow-Vorbeck (1870-1964) durante la campagna di Tanga sono descritte da lui stesso nel suo libro "Campagne dell'Africa Orientale", e così le sintetizza:
"La nostra piccola banda, che al massimo comprese 300 europei e 14.000 ascari, per l'intera guerra ha detenuto una posizione di estremo vantaggio. Secondo quanto mi è stato detto da ufficiali inglesi, sono stati sul campo 137 generali, e in tutto sono stati impiegati contro di noi 300.000 uomini.
I caduti nemici non sono stati inferiori a 60.000, se la stampa inglese valuta in numero di 20.000 solo gli europei e gli indiani morti o uccisi e a questi vanno aggiunti i soldati africani caduti. Il nemico ha lasciato dietro di sé sul campo di battaglia 140.000 tra cavalli e muli. E nonostante l'enorme superiorità di forze a disposizione del nemico, la nostra piccola forza, che al momento dell'armistizio contava solo circa 1.400 fucili, ha tenuto il campo sempre pronta all'azione e sostenuta dalla più alta determinazione".
Ma più che il racconto della guerra, due altri episodi ci aiutano a capire meglio la sua figura.
Von Lettow-Vorbeck dopo la guerra venne dimenticato tanto in patria quanto nel resto d'Europa. Non aveva aderito al nazismo, nonostante le profferte di Hitler in persona.
Anzi, pare che fosse stato particolarmente esplicito nel suo rifiuto, spiegando al Füher che una sua adesione al nazismo era “anatomicamente impossibile”.
Questo vecchio orgoglioso tornò, da privato cittadino, nel secondo dopoguerra nei luoghi scenario delle sue gesta: e qui, a sua insaputa, era ad attenderlo un'accoglienza degna di un eroe: in centinaia lo salutarono cantando "Haya Safari", l’inno delle truppe indigene. In terra d'Africa non lo avevano dimenticato, ma avevano conservato vivo il suo mito.
Va considerato che le colonie tedesche erano senza dubbio le meglio organizzate e le più equilibrate, soprattutto se paragonate al razzismo spietato del vicino Congo belga. Il ricordo dei colonizzatori era migliore che altrove, ma soprattutto il ricordo di von Lettow-Vorbeck aveva un peso non indifferente: quest'uomo aveva dimostrato come i "negri" potevano battersi alla pari coi bianchi, e aveva costretto gli alleati ad armare altri "negri" per rispondere adeguatamente alla minaccia tedesca.
Questo significò molto per l'orgoglio della gente africana: e aiutò più di quanto si possa pensare la nascita dei movimenti di indipendenza.
Una cosa altrettanto eccezionale avvenne negli anni Sessanta.
Finalmente i tedeschi si decisero a saldarre ai loro ascari quanto ancora dovevano delle paghe di guerra.
Il commissariato tedesco aveva a suo tempo assegnato speciali bonifici alle truppe indigene, ma al momento del pagamento pochissimi, dopo quasi 50 anni, tra i vecchi guerrieri che si erano presentati agli ufficiali pagatori potevano mostrare quel documento.
Era necessario un espediente e fu brillantemente trovato.
Se volevano essere pagati, i vecchi soldati dovevano ripetere la lunga serie di esercizi col fucile prescritti dagli ordinamenti del tempo.
Nessuno tra i vecchi Askari sbagliò il minimo movimento.
un bellissimo articolo Endordil!però non riesco ad inquadrarlo in un determinato contesto storico sopratutto l'inizio!
MIGLIAIA DI SOLDATI BORBONICI DEPORTATI NEI LAGER DEL NORD
Cinquemiladuecentododici condanne a morte, 6564 arresti, 54 paesi rasi al suolo, 1 milione di morti. Queste le cifre della repressione consumata all'indomani dell'Unità d'Italia dai Savoia. La prima pulizia etnica della modernità occidentale operata sulle popolazioni meridionali dettata dalla Legge Pica, promulgata dal governo Minghetti del 15 agosto 1863 "… per la repressione del brigantaggio nel Meridione"[1]. Questa legge istituiva, sotto l'egida savoiarda, tribunali di guerra per il Sud ed i soldati ebbero carta bianca, le fucilazioni, anche di vecchi, donne e bambini, divennero cosa ordinaria e non straordinaria. Un genocidio la cui portata è mitigata solo dalla fuga e dall'emigrazione forzata, nell'inesorabile comandamento di destino: "O briganti, o emigranti". Lemkin, che ha definito il primo concetto di genocidio, sosteneva: "… genocidio non significa necessariamente la distruzione immediata di una nazione…esso intende designare un piano coordinato di differenti azioni miranti a distruggere i fondamenti essenziali della vita dei gruppi nazionali. Obiettivi di un piano siffatto sarebbero la disintegrazione delle istituzioni politiche e sociali, della cultura, della lingua, dei sentimenti nazionali, della religione e della vita economica dei gruppi nazionali e la distruzione della sicurezza personale, della libertà, della salute, della dignità e persino delle vite degli individui…non a causa delle loro qualità individuali, ma in quanto membri del gruppo nazionale".
Deportazioni, l'incubo della reclusione, persecuzione della Chiesa cattolica, profanazioni dei templi, fucilazioni di massa, stupri, perfino bambine (figlie di briganti) costretti ai ferri carcerari. Una pagina non ancora scritta è quella relativa alle carceri in cui furono rinchiusi i soldati "vinti". Il governo piemontese dovette affrontare il problema dei prigionieri, 1700 ufficiali dell'esercito borbonico (su un giornale satirico dell'epoca era rappresentata la caricatura dell'esercito borbonico: il soldato con la testa di leone, l'ufficiale con la testa d'asino, il generale senza testa) e 24.000 soldati, senza contare quelli che ancora resistevano nelle fortezze di Gaeta, Messina e Civitella del Tronto. Ma il problema fu risolto con la boria del vincitore, non con la pietas che sarebbe stata più utile, forse necessaria. Un primo tentativo di risolvere il problema ci fu con il decreto del 20 dicembre 1860, anche se le prime deportazioni dei soldati duosiciliani incominciarono già verso ottobre del 1860, in quanto la resistenza duosiciliana era iniziata con episodi isolati e non coordinati nell'agosto del 1860, dopo lo sbarco dei garibaldini e dalla stampa fu presentata come espressione di criminalità comune. Il decreto chiamava alle armi gli uomini che sarebbero stati di leva negli anni dal 1857 al 1860 nell'esercito delle Due Sicilie, ma si rivelò un fallimento. Si presentarono solo 20.000 uomini sui previsti 72.000; gli altri si diedero alla macchia e furono chiamati briganti.
A migliaia questi uomini furono concentrati dei depositi di Napoli o nelle carceri, poi trasferiti con il decreto del 20 gennaio 1861, che istituì "Depositi d'uffiziali d'ogni arma dello sciolto esercito delle Due Sicilie". La Marmora ordinò ai procuratori di "non porre in libertà nessuno dei detenuti senza l'assenso dell'esercito".
Per la maggior parte furono stipati nelle navi peggio degli animali (anche se molti percorsero a piedi l'intero tragitto) e fatti sbarcare a Genova, da dove, attraversando laceri ed affamati la via Assarotti, venivano smistati in vari campi di concentramento istituiti a Fenestrelle, S. Maurizio Canavese, Alessandria, nel forte di S. Benigno in Genova, Milano, Bergamo, Forte di Priamar presso Savona, Parma, Modena, Bologna, Ascoli Piceno ed altre località del Nord. Presso il Forte di Priamar fu relegato l'aiutante maggiore Giuseppe Santomartino, che difendeva la fortezza di Civitella del Tronto. Alla caduta del baluardo abruzzese, Santomartino fu processato dai Piemontesi e condannato a morte. In seguito alle pressioni dei francesi la condanna fu commutata in 24 anni di carcere da scontare nel forte presso Savona. Poco dopo il suo arrivo, una notte, fu trovato morto, lasciando moglie e cinque figli. Si disse che aveva tentato di fuggire. Un esempio di morte sospetta su cui non fu mai aperta un'inchiesta per accertare le vere cause del decesso. In quei luoghi, veri e propri lager, ma istituiti per un trattamento di "correzione ed idoneità al servizio", i prigionieri, appena coperti da cenci di tela, potevano mangiare una sozza brodaglia con un po' di pane nero raffermo, subendo dei trattamenti veramente bestiali, ogni tipo di nefandezze fisiche e morali. Per oltre dieci anni, tutti quelli che venivano catturati, oltre 40.000, furono fatti deliberatamente morire a migliaia per fame, stenti, maltrattamenti e malattie.
Quelli deportati a Fenestrelle[2], fortezza situata a quasi duemila metri di altezza, sulle montagne piemontesi, sulla sinistra del Chisone, ufficiali, sottufficiali e soldati (tutti quei militari borbonici che non vollero finire il servizio militare obbligatorio nell'esercito sabaudo, tutti quelli che si dichiararono apertamente fedeli al Re Francesco II, quelli che giurarono aperta resistenza ai piemontesi) subirono il trattamento più feroce. Fenestrelle, più che un forte, era un insieme di forti, protetti da altissimi bastioni ed uniti da una scala, scavata nella roccia, di 4000 gradini. Era una ciclopica cortina bastionata cui la naturale asperità dei luoghi ed il rigore del clima conferivano un aspetto sinistro. Faceva tanto spavento come la relegazione in Siberia. I detenuti tentarono anche di organizzare una rivolta il 22 agosto del 1861 per impadronirsi della fortezza, ma fu scoperta in tempo ed il tentativo ebbe come risultato l'inasprimento delle pene con i più costretti con palle al piede da 16 chili, ceppi e catene. Erano stretti insieme assassini, sacerdoti, giovanetti, vecchi, miseri popolani e uomini di cultura. Senza pagliericci, senza coperte, senza luce. Un carcerato venne ucciso da una sentinella solo perché aveva proferito ingiurie contro i Savoia. Vennero smontati i vetri e gli infissi per rieducare con il freddo i segregati. Laceri e poco nutriti era usuale vederli appoggiati a ridosso dei muraglioni, nel tentativo disperato di catturare i timidi raggi solari invernali, ricordando forse con nostalgia il caldo di altri climi mediterranei. Spesso le persone imprigionate non sapevano nemmeno di cosa fossero accusati ed erano loro sequestrati tutti i beni. Spesso la ragione per cui erano stati catturati era proprio solo per rubare loro il danaro che possedevano. Molti non erano nemmeno registrati, sicché solo dopo molti anni venivano processati e condannati senza alcuna spiegazione logica.
Pochissimi riuscirono a sopravvivere: la vita in quelle condizioni, anche per le gelide temperature che dovevano sopportare senza alcun riparo, non superava i tre mesi. E proprio a Fenestrelle furono vilmente imprigionati la maggior parte di quei valorosi soldati che, in esecuzione degli accordi intervenuti dopo la resa di Gaeta, dovevano invece essere lasciati liberi alla fine delle ostilità. Dopo sei mesi di eroica resistenza dovettero subire un trattamento infame che incominciò subito dopo essere stati disarmati, venendo derubati di tutto e vigliaccamente insultati dalle truppe piemontesi. La liberazione avveniva solo con la morte ed i corpi venivano disciolti nella calce viva collocata in una grande vasca situata nel retro della chiesa che sorgeva all'ingresso del Forte. Una morte senza onore, senza tombe, senza lapidi e senza ricordo, affinché non restassero tracce dei misfatti compiuti. Ancora oggi, entrando a Fenestrelle, su un muro è ancora visibile l'iscrizione: "Ognuno vale non in quanto è ma in quanto produce". Non era più gradevole il campo impiantato nelle "lande di San Martino" presso Torino per la "rieducazione" dei militari sbandati, rieducazione che procedeva con metodi di inaudita crudeltà. Così, in questi luoghi terribili, i fratelli "liberati", maceri, cenciosi, affamati, affaticati, venivano rieducati e tormentati dai fratelli "liberatori".
Altre migliaia di "liberati" venivano confinati nelle isole, a Gorgonia, Capraia, Giglio, all'Elba, Ponza, in Sardegna, nella Maremma malarica. Tutte le atrocità che si susseguirono per anni sono documentate negli Atti Parlamentari, nelle relazioni delle Commissioni d'Inchiesta sul Brigantaggio, nei vari carteggi parlamentari dell'epoca e negli Archivi di Stato dei capoluoghi dove si svolsero i fatti. Francesco Proto Carafa, duca di Maddaloni, sosteneva in Parlamento: "Ma che dico di un governo che strappa dal seno delle famiglie tanti vecchi generali, tanti onorati ufficiali solo per il sospetto che nutrissero amore per il loro Re sventurato, e rilegagli a vivere nelle fortezze di Alessandria ed in altre inospitali terre del Piemonte…Sono essi trattati peggio che i galeotti. Perché il governo piemontese abbia a spiegar loro tanto lusso di crudeltà? Perché abbia a torturare con la fame e con l'inerzia e la prigione uomini nati in Italia come noi?". Ma della mozione presentata non fu autorizzata la pubblicazione negli Atti Parlamentari, vietandosene la discussione in aula[3]. Il generale Enrico Della Rocca, che condusse l'assedio di Gaeta, nella sua autobiografia riporta una lettera alla moglie, in cui dice: "Partiranno, soldati ed ufficiali, per Napoli e Torino", precisando, a proposito della resa di Capua, "le truppe furono avviate a piedi a Napoli per essere trasportate in uno dei porti di S.M. il Re di Sardegna.
Erano 11.500 uomini"[4]. Alfredo Comandini, deputato mazziniano dell'età giolittiana, che compilò "L'Italia nei Cento Anni (1801-1900) del secolo XIX giorno per giorno illustrata", riporta un'incisione del 1861, ripresa da "Mondo Illustrato" di quell'anno, raffigurante dei soldati borbonici detenuti nel campo di concentramento di S. Maurizio, una località sita a 25 chilometri da Torino. Egli annota che, nel settembre del 1861, quando il campo fu visitato dai ministri Bastogi e Ricasoli, erano detenuti 3.000 soldati delle Due Sicilie e nel mese successivo erano arrivati a 12.447 uomini.
Il 18 ottobre 1861 alcuni prigionieri militari e civili capitolati a Gaeta e prigionieri a Ponza scrissero a Biagio Cognetti, direttore di "Stampa Meridionale", per denunciare lo stato di detenzione in cui versavano, in palese violazione della Capitolazione, che prevedeva il ritorno alle famiglie dei prigionieri dopo 15 giorni dalla caduta di Messina e Civitella del Tronto ed erano già trascorsi 8 mesi. Il 19 novembre 1861 il generale Manfredo Fanti inviava un dispaccio al Conte di Cavour chiedendo di noleggiare all'estero dei vapori per trasportare a Genova 40.000 prigionieri di guerra. Cavour così scriveva al luogotenente Farini due giorni dopo: "Ho pregato La Marmora di visitare lui stesso i prigionieri napoletani che sono a Milano", ammettendo, in tal modo, l'esistenza di un altro campo di prigionia situato nel capoluogo lombardo per ospitare soldati napoletani. Questa la risposta del La Marmora: "…non ti devo lasciar ignorare che i prigionieri napoletani dimostrano un pessimo spirito. Su 1600 che si trovano a Milano non arriveranno a 100 quelli che acconsentono a prendere servizio. Sono tutti coperti di rogna e di verminia…e quel che è più dimostrano avversione a prendere da noi servizio. Jeri a taluni che con arroganza pretendevano aver il diritto di andare a casa perché non volevano prestare un nuovo giuramento, avendo giurato fedeltà a Francesco Secondo, gli rinfacciai altamente che per il loro Re erano scappati, e ora per la Patria comune, e per il Re eletto si rifiutavano a servire, che erano un branco di car…che avessimo trovato modo di metterli alla ragione".
Le atrocità commesse dai Piemontesi si volsero anche contro i magistrati, i dipendenti pubblici e le classi colte, che resistettero passivamente con l'astensione ai suffragi elettorali e la diffusione ad ogni livello della stampa legittimista clandestina contro l'occupazione savoiarda. Particolarmente eloquente è anche un brano tratto da Civiltà Cattolica: "Per vincere la resistenza dei prigionieri di guerra, già trasportati in Piemonte e Lombardia, si ebbe ricorso ad un espediente crudele e disumano, che fa fremere. Quei meschinelli, appena coperti da cenci di tela, rifiniti di fame perché tenuti a mezza razione con cattivo pane ed acqua ed una sozza broda, furono fatti scortare nelle gelide casematte di Fenestrelle e d'altri luoghi posti nei più aspri luoghi delle Alpi. Uomini nati e cresciuti in clima sì caldo e dolce, come quello delle Due Sicilie, eccoli gittati, peggio che non si fa coi negri schiavi, a spasimare di fame e di stento per le ghiacciaie". Ancora possiamo leggere dal diario del soldato borbonico Giuseppe Conforti, nato a Catanzaro il 14.3.1836 (abbreviato per amor di sintesi): "Nella mia uscita fu principio la guerra del 1860, dopo questa campagna che per aver tradimenti si sono perduto tutto e noi altri povere soldati manggiando erba dovettimo fuggire, aggiunti alla provincia della Basilicata sortí un prete nemico di Dio e del mondo con una porzione di quei giudei e ci voleva condicendo che meritavamo di essere uccisi per la federtà che avevamo portato allo notro patrone. Ci hanno portato innanzi a un carnefice Piemontesa condicendo perché aveva tardato tanto ad abbandonare quell'assassino di Borbone. Io li sono risposto che non poteva giammai abbandonarlo perché aveva giurato fedeltà a lui e lui mi à ditto che dovevo tornare indietro asservire sotto la Bandiera d' Italia. Il terzo giorno sono scappato, giunto a Girifarchio dove teneva mio fratello sacerdote vedendomi redutto a quello misero stato e dicendo mal del mio Re io li risposi che il mio Re no aveva colpa del nostri patimenti che sono stato le nostri soperiori traditori; siamo fatto questioni e lo sono lasciato".
"Allo mio paese sono stato arrestato e dopo 7 mesi di scurre priggione mi anno fatto partire per il Piemonte. Il 15 gennaio del 1862 ci anno portato affare il giuramento, in quello stesso anno sono stato 3 volte all'ospidale e in pregiona a pane e accua. Principio del 1863 fuggito da sotto le armi di vittorio, il 24 sono giunto in Roma, il giorno 30 sono andato alludienza del mio desiderato e amato dal Re', Francesco 2 e li ò raccontato tutti i miei ragioni"[5]. Un ulteriore passo avanti nella studio di questa fase poco "chiara" del post unificazione è stato fatto recentemente, quando un ricercatore trovò dei documenti presso l'Archivio Storico del Ministero degli Esteri attestanti che, nel 1869, il governo italiano voleva acquistare un'isola dall'Argentina per relegarvi i soldati napoletani prigionieri, quindi dovevano essere ancora tanti[6]. Questi uomini del Sud finirono i loro giorni in terra straniera ed ostile, certamente con il commosso ricordo e la struggente nostalgia della Patria lontana. Molti di loro erano poco più che ragazzi[7]. Era la politica della criminalizzazione del dissenso, il rifiuto di ammettere l'esistenza di valori diversi dai propri, il rifiuto di negare ai "liberati" di credere ancora nei valori in cui avevano creduto. I combattenti delle Due Sicilie, i soldati dell'ex esercito borbonico ed i tanti civili detenuti nei "lager dei Savoia", uomini in gran parte anonimi per la pallida memoria che ne è giunta fino a noi, vissero un eroismo fatto di gesti concreti, ed in molti casi ordinari, a cui non è estraneo chiunque sia capace di adempiere fedelmente il proprio compito fino in fondo, sapendo opporsi ai tentativi sovvertitori, con la libertà interiore di chi non si lascia asservire dallo "spirito del tempo".
--------------------------------------------------------------------------------
NOTE
[1] Legge Pica: Art.1: Fino al 31 dicembre nelle province infestate dal brigantaggio, e che tali saranno dichiarate con decreto reale, i componenti comitiva, o banda armata composta almeno di tre persone, la quale vada scorrendo le pubbliche strade o le campagne per commettere crimini o delitti, ed i loro complici, saranno giudicati dai tribunali militari; Art.2: I colpevoli del reato di brigantaggio, i quali armata mano oppongono resistenza alla forza pubblica, saranno puniti con la fucilazione; Art.3: Sarà accordata a coloro che si sono già costituiti, o si costituiranno volontariamente nel termine di un mese dalla pubblicazione della presente legge, la diminuzione da uno a tre gradi di pena; Art.4: Il Governo avrà inoltre facoltà di assegnare, per un tempo non maggiore di un anno, un domicilio coatto agli oziosi, ai vagabondi, alle persone sospette, secondo la designazione del Codice Penale, nonché ai manutengoli e camorristi; Art.5: In aumento dell'articolo 95 del bilancio approvato per 1863 è aperto al Ministero dell'Interno il credito di un milione di lire per sopperire alle spese di repressione del brigantaggio. (Fonte: Atti parlamentari. Camera dei Deputati)
[2] Il luogo non era nuovo a situazioni del genere perché già Napoleone se ne era servito per detenervi i prigionieri politici ed un illustre napoletano, Don Vincenzo Baccher, il padre degli eroici fratelli realisti fucilati dalla Repubblica Partenopea il 13 giugno del 1799, che vi aveva passato 9 anni, dal 1806 al 1815, tornando a Napoli alla venerabile età di 82 anni.
[3] Giovanni De Matteo, Brigantaggio e Risorgimento - legittimisti e briganti tra i Borbone ed i Savoia, Guida Editore, Napoli, 2000.
[4] Questa informazione e tutte le seguenti sono state reperite nei saggi "I campi di concentramento", di Francesco Maurizio Di Giovine, nella rivista L'Alfiere, Napoli, novembre 1993, pag. 11 e "A proposito del campo di concentramento di Fenestrelle", dello stesso autore, pubblicato su L'Alfiere, dicembre 2002, pag. 8.
[5] Fulvio Izzo, I Lager dei Savoia, Controcorrente, Napoli 1999.
[6] S. Grilli, Cayenna all'italiana, Il Giornale, 22 marzo 1997.
[7] Sul sito www.duesicilie.org/Caduti.html è possibile ritrovare i nomi, con data di nascita e provenienza di alcuni martiri di Fenestrelle, nel periodo compreso tra il 1860 ed il 1865. Erano poco più che ragazzi: il più giovane aveva 22 anni, il più vecchio 32.
Telegramma Zimmermann
Il Telegramma Zimmermann è un telegramma inviato il 16 gennaio 1917, al culmine della prima guerra mondiale, dal Segretario agli Esteri dell'Impero Germanico, Arthur Zimmermann, all'ambasciatore tedesco in Messico, Heinrich von Eckardt. In esso si istruiva l'ambasciatore tedesco ad approcciare il governo messicano con la proposta di formare un'alleanza contro gli Stati Uniti. Venne intercettato dai britannici e il suo contenuto accelerò l'ingresso in guerra degli USA.
Il telegramma
Il telegramma, completamente decifrato e tradotto.Il messaggio di Zimmermann comprendeva proposte per un'alleanza tedesca con il Messico, mentre la Germania avrebbe cercato di mantenere la neutralità con gli Stati Uniti. Se questa politica avesse dovuto fallire, veniva suggerito nel messaggio, il governo messicano avrebbe dovuto fare causa comune con la Germania, cercando di persuadere il governo giapponese ad unirsi alla nuova alleanza, ed attaccare gli USA. La Germania da parte sua prometteva supporto economico e la restituzione al Messico degli ex-territori di Texas, Nuovo Messico e Arizona (persi durante la Guerra Messicano-Americana del 1846-1848).
La risposta messicana
Un generale incaricato dal presidente messicano, Venustiano Carranza, valutò le reali possibilità di una conquista delle ex-province, e giunse alla conclusione che la cosa non avrebbe funzionato. Occupare i tre stati avrebbe con tutta probabilità causato futuri problemi e forse la guerra con gli USA; il Messico non sarebbe stato inoltre in grado di accogliere una numerosa popolazione di discendenza inglese all'interno dei suoi confini; e la Germania non sarebbe stata in grado di fornire gli armamenti necessari per le ostilità che sarebbero sicuramente sorte. Carranza declinò la proposta di Zimmermann il 14 aprile, quando gli USA avevano già dichiarato guerra alla Germania.
L'intercettazione britannica
Il telegramma venne intercettato e decifrato in maniera sufficente a comprenderne il senso dai decifratori Nigel de Grey e William Montgomery dell'unità di spionaggio della Marina Militare britannica denominata Room 40, comandata dall'ammiraglio William R. Hall. Ciò fu possibile perché il codice usato dai tedeschi (0075) era stato parzialmente criptoanalizzato usando, tra le altre tecniche, messaggi in chiaro catturati e una versione precedente del cifrario presa a Wilhelm Wassmus, un agente tedesco che operava in Medio Oriente.
Il governo britannico, che voleva rendere pubblico il telegramma incriminante, si trovò ad affrontare un dilemma: se avesse prodotto apertamente il telegramma, i tedeschi avrebbero sospettato che il loro codice era stato decifrato; se non lo avesse fatto, avrebbe perso un'opportunità promettente di trascinare gli Stati Uniti nel conflitto – il messaggio venne inviato in un periodo in cui i sentimenti anti-tedeschi negi USA erano particolarmente accentuati, a causa della perdita di circa 200 vite di cittadini statunitensi per via degli attacchi sottomarini dei tedeschi.
Ci fu anche un ulteriore problema — i britannici non potevano nemmeno mostrarlo in via confidenziale al governo statunitense. A causa della sua importanza, il messaggio era stato inviato da Berlino all'ambasciatore tedesco a Washington, Conte Johann von Bernstorff, per inoltrare la trasmissione all'ambasciatore in Messico attraverso tre strade diverse. I britannici lo avevano ottenuto da una di queste — gli statunitensi avevano dato accesso alla Germania alle loro linee telegrafiche private diplomatiche, nel tentativo di incoraggiare l'iniziativa di pace del presidente Wilson. I tedeschi non avevano paura di usarle perché i messaggi erano cifrati e perché per principio gli Stati Uniti all'epoca non leggevano la corrispondenza diplomatica della altre nazioni, né avevano capacità di decifrarla. Il cavo telegrafico andava dall'ambasciata statunitense di Berlino fino a Copenaghen, e da li via cavo sottomarino negli USA, passando dalla Gran Bretagna (dove veniva tenuto sotto controllo). Per i britannici, rivelare la fonte del telegramma agli USA avrebbe anche significato ammettere che stavano intercettando le comunicazioni diplomatiche statunitensi.
La soluzione britannica
Il governo britannico suppose che l'ambasciata tedesca a Washington avesse inviato il messaggio all'ambasciata in Messico attraverso il sistema telegrafico commerciale, e quindi ne doveva esistere una copia all'ufficio telegrafico pubblico di Città del Messico. Se potevano ottenerne una copia, potevano passarla al governo statunitense dichiarando che l'avevano scoperta grazie allo spionaggio in Messico. A questo scopo contattarono un agente britannico in Messico, noto solo come Mr. H., che riuscì ad ottenerne una copia. Per la gioia dei decifratori britannici, il messaggio era stato inviato da Washington nel Messico utilizzando il vecchio cifrario, quello posseduto anche da Wassmus, e potè quindi essere decifrato completamente — questo avvenne probabilmente perché l'ambasciata tedesca in Messico non aveva un cifrario più recente.
Il telegramma venne consegnato dall'Ammiraglio Hall al Ministro degli Esteri britannico, Arthur James Balfour, che a sua volta contattò l'ambasciatore statunitense a Londra, Walter Page, e gli consegnò il telegramma il 21 febbraio. Due giorni dopo quest'ultimo lo consegnò al presidente statunitense Woodrow Wilson.
L'effetto negli Stati Uniti
Il sentimento popolare negli Stati Uniti a quell'epoca era generalmente anti-messicano ed anti-tedesco. Il Generale John J. Pershing aveva per lungo tempo dato la caccia al bandito-rivoluzionario Pancho Villa, che aveva compiuto diverse incursioni oltre confine. Questa era una grossa spesa per il governo statunitense, e Wilson era incline a interrompere la ricerca fino a quando in Messico non si sarebbero tenute nuove elezioni, insediato un nuovo governo, e promulgata una nuova costituzione (una convenzione costituente, che avrebbe adottato la Costituzione messicana del 1917, era all'epoca in fase di svolgimento). La notizia del telegramma esacerbò la tensione tra USA e Messico, poiché un tale trattato, se in vigore, avrebbe ostacolato l'elezione di un nuovo governo messicano più amichevole nei confronti degli interessi statunitensi.
Il 1 marzo, il governo statunitense diede una copia in chiaro del telegramma alla stampa. Inizialmente l'opinione pubblica statunitense credette che il telegramma fosse un falso, progettato per portare la nazione in guerra a fianco degli Alleati. Questa opinione venne rafforzata dai diplomatici tedeschi, giapponesi e messicani, e dai pacifisti e dalle lobby pro-germaniche degli Stati Uniti, che denunciarono all'unisono il telegramma come contraffatto.
Il discorso di Arthur Zimmermann
Comunque, con una mossa inaspettata, Zimmermann ne confermò l'autenticità il 3 marzo, e successivamente in un discorso del 29 marzo 1917. Il discorso intendeva spiegare la sua verisone della storia. Egli iniziò spiegando che non aveva scritto una lettera a Carranza, ma aveva dato istruzioni all'ambasciatore tedesco tramite un "percorso che gli era sembrato sicuro".
Egli disse inoltre che nonostante l'offensiva sottomarina, si augurava che gli USA sarebbero rimasti neutrali. La sua proposta al governo messicano sarebbe stata portata avanti solo se gli USA avessero dichiarato guerra, e credeva che le sue istruzioni fossero "assolutamente leali nei confronti degli Stati Uniti". In effetti, egli incolpò il presidente Wilson di aver rotto le relazioni con la Germania "con straordinaria durezza" dopo l'intercettazione del telegramma, e che quindi l'ambasciatore tedesco "non ebbe più la possibilità di spiegare l'attitudine dei tedeschi, e che il governo statunitense aveva declinato l'invito a negoziare".
C'era dell'onestà nel discorso, poiché Zimmermann aveva avuto nel frattempo occasione di riflettere sull'impatto del telegramma e sulle sue conseguenze, eppure era pronto a presentare le sue idee originali. Comunque, egli rivelò anche che era stato seriamente male informato sulla reale forza degli Stati Uniti nei confronti del suo vicino meridionale, ma che era colpa dei servizi segreti tedeschi.
Dichiarazione di guerra
Anche se il telegramma iniziava dichiarando che la Germania era estremamente interessata a mantenere la neutralità statunitense, mentre al tempo stesso attaccava i suoi bastimenti, questa conferma di una fondamentale innimicizia evocò un'esplosione di sentimenti anti-tedeschi. Wilson rispose a queste manifestazioni di ostilità tedesca nei confronti degli USA chiedendo al Congresso di armare le navi americane, così che potessero difendersi dai potenziali attacchi sottomarini dei tedeschi. Pochi giorni dopo, il 2 aprile 1917, Wilson chiese al Congress di dichiarare guerra alla Germania. Il 6 aprile il Congresso accettò, facendo entrare gli Stati Uniti nella prima guerra mondiale.
I sottomarini tedeschi avevano in precedenza attaccato navi statunitensi nei pressi delle Isole Britanniche, quindi il telegramma non fu l'unica causa dell'entrata in guerra; giocò però un ruolo decisivo nell'orientare l'opinione pubblica statunitense. Venne percepita come cosa particolarmente perfida che il telegramma venne inizialmente trasferito dall'ambasciata statunitense a Berlino a quella tedesca a Washington, prima di essere inoltrato in Messico. Una volta che l'opinione pubblica ritenne autentico il telegramma, divenne praticamente inevitabile che gli USA facessero il loro ingresso nella Grande Guerra.
Interessantissimi come al solito i tuoi saggi, Giò. Non avevo mai sentito parlare di questo telegramma. Mi intriga molto questa storia. Sarebbe stato un bello scherzo da parte della Germania. Con Giappone e Messico ad attanagliare gli USA e Germania e Austria spopolare in Europa, uscita la Russia dai giochi. Sarebbe potuto cambiare l'esito della storia.
Ma la cosa che mi turba un po' è : se questa cose è vera ed è provata, perchè allo scoppio della seconda guerra mondiale Hitler non ha riallaciato i contatti con il messico ??? Sarebbe stata una mossa davvero geniale che avrebbe aperto un altro fronte di guerra e che avrebbe senza dubbio tenuto impegnati gli amerciani.
perchè di italia ne aveva già una Imho...
Sarebbe stato un bello scherzo da parte della Germania. Con Giappone e Messico ad attanagliare gli USA e Germania e Austria spopolare in Europa, uscita la Russia dai giochi. Sarebbe potuto cambiare l'esito della storia.
Il Giappone era a fianco dell'Intesa, quindi alleato degli Stati Uniti.
Germania ed Austria in Europa non spopolavano affatto, anzi, nonostante un esercito complessivo numericamente superiore, non riuscirono mai ad andare oltre le famose trincee e, nel momento in cui la Russia uscì dai giochi, la loro sconfitta era ormai inevitabile. La società e l'economia erano spompate definitivamente, lo spostamento di truppe dall'est sui fronti occidentale e meridionale permise solo quattro inutili attacchi suicidi in Francia e Caporetto.
Certo se non fossero arrivati gli americani la guerra avrebbe potuto durare magari un po' di più, ma l'esito sarebbe rimasto lo stesso.
Il giappone era a fianco dell'intesa, ma il piano tedesco prevdeva un alleanza con il giappone, cosa che si concretizzerà prima della seconda guerra mondiale nel patto Anticommitern. In Europa siamo stati noi i voltagabbana ( Tanto per cambiare ) e se non si fosse aperto il fronte italiano le forze tedesche e austriche, una volta uscita la Russia dai giochi, avrebbero potuto tutte convergere a occidente per piegare la restitenza degli alleati. Ma come al solito noi roviniamo tutto. Siamo del tutto incapaci di compiere qualcosa di buono o di portarlo fino in fondo !!
perchè di italia ne aveva già una Imho...
Sul fatto che il Messico fosse una sorta di Italia, non c'è dubbio, ma poteva essere comunque una spina nel fianco degli americani. La sua sconfitta era pressochè certa, ma almeno avrebbe potuto rivelarsi utile per qualcun altro.
Ma la cosa che mi turba un po' è : se questa cose è vera ed è provata, perchè allo scoppio della seconda guerra mondiale Hitler non ha riallaciato i contatti con il messico ??? Sarebbe stata una mossa davvero geniale che avrebbe aperto un altro fronte di guerra e che avrebbe senza dubbio tenuto impegnati gli amerciani.
Suppongo che avesse capito che il Messico non aveva molta voglia di suicidarsi. Forse avrebbe potuto posporre l'intervento americano ma dubito che il Messico sarebbe stato capace di resistere... ogni volta che ci ha provato contro gli USA ha perso.
Germania ed Austria in Europa non spopolavano affatto, anzi, nonostante un esercito complessivo numericamente superiore, non riuscirono mai ad andare oltre le famose trincee e, nel momento in cui la Russia uscì dai giochi, la loro sconfitta era ormai inevitabile. La società e l'economia erano spompate definitivamente, lo spostamento di truppe dall'est sui fronti occidentale e meridionale permise solo quattro inutili attacchi suicidi in Francia e Caporetto.
Certo se non fossero arrivati gli americani la guerra avrebbe potuto durare magari un po' di più, ma l'esito sarebbe rimasto lo stesso.
Concordo, le ultime grandi offensive tedesche nella primavera 1918 sebbene di grande successo inizialmente. vennero assorbite e poi respinte esclusivamente da Francia e Regno Unito, le truppe americane presero parte solo alla controffensiva finale che, sebbene con più difficoltà, sarebbe andata in porto anche senza di loro.
come diceva il mio professore di storia al liceo "gli stati uniti hanno preso tanto e con il minimo sforzo"sempre paragonato agli sforzi di italia francia e inghilterra!