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Secondo Megacontest di Scrittura Creativa
di Viserion
creato il 08 aprile 2014

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Ser Lostdream
Confratello
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Ser Lostdream
Confratello

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630 messaggi
Inviato il 30 aprile 2014 11:09

Finalmente si è accesa la lampadina! Ho un'idea!!!

.....Devo "solo" metterla in prosa ora...



Lady Monica
Pasticcera Reale della Barriera
Guardiani della Notte
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Lady Monica
Pasticcera Reale della Barriera



Guardiani della Notte

12543 messaggi
Inviato il 01 maggio 2014 14:43

Megacontest di scrittura creativa
Titolo: la Legge Infame
Totale battute: 7184

10 maggio 2006

Si sistemò per l’ennesima volta il papillon del completo e si passò le mani tra i capelli: sapeva che si stava spettinando e che sua madre lo avrebbe sgridato ancora, ma era troppo nervoso per pensare ai rimproveri della donna.
Stava per sposare Mara, la donna della sua vita, era normale che non riuscisse a stare fermo.
“Stefano, sei atteso in sala municipale.” Lui si voltò: il suo migliore amico, nonchè il suo testimone Fabio gli sorrideva benevolo, di certo stava capendo la confusione che aveva in testa, lui aveva convolato a giuste nozze un annetto prima. Sospirò e annuì. Doveva prendere un bel respiro e buttarsi in quella nuova avventura. Razionalmente sapeva che dopo aver convissuto per due anni la vita matrimoniale non sarebbe stata poi questo grande cambiamento, ma era più che altro la forma che cambiava. Sembrava tutto molto più serio e lui non era per nulla una persona seria. Sì aveva un lavoro abbastanza stabile come architetto, aveva un bel appartamento arredato al meglio, ma avere una moglie era qualcosa di così... definitivo.
Arrivato alla sala municipale, diede la mano al Sindaco che gli sorrise benevolente con la fascia tricolore lucida e la giacca sbottonata. Intorno a lui un profumo quasi intossicante di rosa, fiore che addobbava tutta la stanza, come aveva chiesto Mara. Sua madre già piangeva e tirava su col naso, blaterando con la suocera di nipoti e nipotine. Poi finalmente si fece silenzio e dalla porta centrale si fece avanti la sposa, portata a braccetto da un orgogliosissimo padre.
Mara era stupenda nel suo vestito colore del cielo terso di primavera, il suo bouchet di rose rosse e il suo sorriso smagliante.
Non vide l’ora di essere suo marito.

7 novembre 2009

L’ennesima macchia rossa sul salvaslip la fece cadere di nuovo nella disperazione. Mara cercò di non piangere, ma non ce la fece, calde lacrime iniziarono a scenderle sulle gote.
Quando si era sposata con Stefano non avevano neppure preso in considerazione la questione figli. Erano giovani, con dei lavori affermati, l’ultima cosa che volevano era impelagarsi in poppate notturne, cambi pannolini e pasti degni dell’esorcista, volevano solo restare insieme, loro due e basta. Poi era arrivato quel momento in cui guardando gli amici che spingevano il passeggino e le era scattato dentro qualche cosa e nonostante l’iniziale perplessità di Ste avevano iniziato seriamente a provarci.
E dopo due anni era ancora li alle prese con le mestruazioni: si soffiò il naso con un pezzo di carta e si asciugò il viso, cercando di non fargli capire il suo stato d’animo.
“Il signor Panchelli potrebbe anche smetterla di fare richieste assurde.” Sentì il marito che parlava con un suo collaboratore al telefono e andò in camera a sistemare il bucato così da ritrovare ancora meglio la calma. Lanciò un’occhiata all’enorme busta gialla dell’ospedale, detentrice della sua infelicità, e sospirò.
“Ah, qui sei, ti stavo cercando: usciamo?”
“Dove?”
“Come dove? A cena dai tuoi.” Era vero, se lo stava dimenticando, aveva la testa tutta da un’altra parte. Stefano dovette accorgersene “Tutto ok?”
“Sì certo, mi è solo venuto il ciclo, ho qualche crampo, niente di grave.” Vide il suo sorriso spegnersi sulle labbra.
“Mi spiace.”
“No, vabbè, sapevamo che la cura non avrebbe dato risultati certi.”
“Lo so, Mara, ma... adesso che facciamo?” Lei lo guardò negli occhi e fece spallucce.
“Possiamo adottare un bambino, ce ne sono tanti che hanno bisogno dell’amore di una famiglia.”
“Oppure restiamo in due.”

8 aprile 2014

“Faccia un mazzo di tulipani di tutti i colori.” Il fioraio annuì ed iniziò a prendere un fiore alla volta per poi legarli con qualche foglia di verde e una bella carta colorata: erano i fiori preferiti di Mara e Stefano voleva prenderli per tirarla su. Il giorno precedente avevano avuto la risposta alla loro domanda di adozione per una bambina bielorussa e non era andata bene. Era stata una vera e propria mazzata, sua moglie si era chiusa in camera per tutta la sera a piangere da sola.
Lui la capiva fino ad un certo punto: la sofferenza l’aveva provata molto tempo prima.

“Purtroppo le notizie non sono buone.” Il ginecologo aveva l’aria di uno che avrebbe preferito ingoiare una rana viva piuttosto che parlare con loro in quel momento. Sentì Mara che gli stringeva spasmodicamente la mano e fu in quel momento che capì veramente che non sarebbe mai potuto diventare padre, non importava cosa avesse detto il medico, lo sapeva e basta. “Voi soffrite di quella che viene chiamata sterilità di coppia e precisamente una sterilità cervicale.”
“Quindi è colpa mia.”
“No signora, qui non parliamo di colpa. Voi siete entrambi fertili, gli esami parlano chiaro, solo che non siete compatibili tra voi. Se, paradossalmente, decideste di avere altri partner, questi potrebbero procreare. Per farvi capire meglio, è come se si scatenasse una reazione allergica, ma mentre di norma la sola inseminazione artificiale bypassa questo problema, tra voi non succede e l’embrione non riesce ad impiantarsi.”
“E quindi?” il medico allargò le braccia sconsolato.
“L’unica piccola possibilità per voi è la fecondazione eterologa, ma la legge 40 del 2004 la vieta in Italia, infatti non ci sono banche del seme nel nostro stato e purtroppo non ci saranno a breve.”


Stefano ricordava benissimo che il ginecologo aveva parlato ancora a lungo con loro, per, magari, poterli aiutare a scegliere un centro estero per la fecondazione. Mara si era asciugata le lacrime e annuiva concentrata e sicura che avrebbero fatto anche quel passo, ma a lui era caduto il mondo addosso. Amava Mara da quando ne aveva memoria, erano fatti l’una per l’altro e non avrebbe mai pensato ad una diversa da avere al suo fianco fino a quando non sarebbero diventati vecchi, insieme come nel film Up (che non voleva dire a nessuno, ma lo aveva fatto piangere come una fontana). La sola frase “Non siete compatibili” lo aveva annientato, si sentì come se avesse fallito nei confronti di sua moglie. Ci aveva messo mesi a riprendersi e quel che fu peggio fu l’impossibilità di andare fuori Italia per provare la fecondazione eterologa, dato che a causa della crisi Mara era stata licenziata e lui aveva subito un drastico calo di richieste.
Arrivato a casa la vide sul divano che stava guardando attentamente un telegiornale qualsiasi.
“Ehy amore, perchè non vieni a vedere la tua piccola sorpresa?”
“Uhm... dopo.” Stefano si stupì: non era da lei reagire così freddamente quando si nominava un regalo, fosse anche una polpetta in più nel piatto la cena.
“Qualcosa di interessante?” Mara si voltò e gli sorrise raggiante.
“Forse smetteremo di essere solo in due.**”

La Legge Infame: http://www.camera.it/parlam/leggi/04040L.htm
**L’8 aprile 2014 la Consulta dello Stato ha giudicato incostituzionale la Legge 40 del 2004, dando via, il quindi ad una possibile fecondazione eterologa anche per le coppie sterili. C’è da ricordare che tutti i paesi occidentali e laici hanno da decenni banche del seme regolarizzate per coloro che non possono avere figli. E se non ci credete, guardate la prima scena della prima stagione di The Big Bang Theory https://www.youtube.com/watch?v=lolBZzkB7RM


È Frittella il nostro Re

Fa i pasticci, fa i bignè 

Io ne mangio pure tre

È Frittella il nostro Re!!! 

 

 

You're mine. Mine, as I'm yours. And if we die, we die. All men must die, Jon Snow. But first we'll live.

 

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La cosa bella di essere guardiani? l'affetto con cui veniamo ripagati, ma anche il rispetto, la riconoscenza. E' un impegno che dà molto onore e tanta gloria (Cit @Maya )

H
hacktuhana
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hacktuhana
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H

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Inviato il 02 maggio 2014 0:05

Che spettacolo Lady!

 

Non si può non applaudire al vero messaggio che il racconto porta!

 

Mi piace questa scelta, è come se chi scrive, prima racconta una storia, triste storia di una coppia, e poi uscisse dal racconto per rivolgersi direttamente al lettore, prendendo una netta e decisa posizione su un argomento che in Italia ha fatto davvero discutere!

 

Complimenti, il contest si è arricchito ancora!



Maya
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Guardiani della Notte
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Maya
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Guardiani della Notte

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Inviato il 02 maggio 2014 10:53

Arrivata un'idea... era così ovvio. Proprio lì, davanti ai miei occhi.

 

Nel frattempo, grandissima Monica che nel suo "Monica-day" ha completato e postato il suo racconto. Non l'ho ancora letto, ma rimedierò quanto prima.


"Il peccato più sciocco del diavolo è la vanità" (La ragazza nella nebbia - Donato Carrisi)

 

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K
kinginthenorth
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kinginthenorth
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K

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Inviato il 02 maggio 2014 15:57

Mi sono messo in pari con i racconti, sono tutti molto belli! aspetto questi altri cinque giorni fino alla chiusura del contest prima di commentarli tutti :)


Y
Ygritte baciata dal fuoco
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Ygritte baciata dal fuoco
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Y

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Inviato il 04 maggio 2014 21:39

Non riesco a inviare il racconto! Help! Ho due parolacce ma ho cambiato le lettere al centro, eppure niente!

Mi arrendo, chiedo l'aiuto dei mod!


K
kinginthenorth
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kinginthenorth
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K

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Inviato il 04 maggio 2014 21:42

Non riesco a inviare il racconto! Help! Ho due parolacce ma ho cambiato le lettere al centro, eppure niente!

Mi arrendo, chiedo l'aiuto dei mod!

 

hai provato a mettere uno spazio a metà parola?


Y
Ygritte baciata dal fuoco
Confratello
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Ygritte baciata dal fuoco
Confratello

Y

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Inviato il 04 maggio 2014 21:46

Kinginthenorth ho provato ma non riesco uguale, non riesco nemmeno a fare "rispondi" al tuo post....boh


Y
Ygritte baciata dal fuoco
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Ygritte baciata dal fuoco
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Y

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Inviato il 04 maggio 2014 21:49

*******ne


K
kinginthenorth
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kinginthenorth
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K

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Inviato il 04 maggio 2014 21:57

*******ne

 

 

ahahahah ygritte stai facendo prove parolacce? :)


Y
Ygritte baciata dal fuoco
Confratello
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Ygritte baciata dal fuoco
Confratello

Y

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Inviato il 04 maggio 2014 22:03

Scusate se ho messo un post con la prova delle parole, ho finalmente capito (grandissima Monica!) il problema e ora posso inviare il racconto!

 

Megacontest di scrittura creativa

Tema: Due

Titolo: Rasiel & Kamael

Totale caratteri con lettercount: 9950

 

 

Due si trovava davanti a un estraneo: biondo, occhi azzurri, lineamenti delicati ma un po' ordinario. Quello era l'aspetto che aveva scelto per la sua missione sul Green Planet.

Aveva accettato di buon grado l'assegnazione al piccolo pianeta eliocentrico. Il suo lungo addestramento era finito. Erano in tanti a scegliere di diventare human guardian, ma solo i migliori riuscivano a finire la formazione. Gli altri venivano inviati ai dipartimenti interni, oppure sceglievano di rimettersi nel circolo del sangue.

Gli “HG” erano gli unici mutaforma. Era l'esame finale, e la percentuale di fallimenti era molto bassa, perchè chi era in grado di iscriversi alla prova, era anche capace di superarla. Modificare il proprio aspetto, in modo da farsi percepire differente, era la lezione più complessa: il flusso di energia doveva rimanere costante, e il pensiero doveva focalizzare i dettagli da mostrare. Kamael, detto anche Due, era il secondo ad esserci riuscito del suo corso. Rasiel gli aveva soffiato il primo posto anche in quell'occasione.

I Superiors gli avevano dato dei consigli, prima della partenza. Il primo includeva proprio Rasiel, con il quale doveva stabilire almeno un rapporto di tolleranza. Dovevano restare insieme e, in caso di emergenza, fare affidamento uno con l'altro. Per Kamael era peggio di una beffa. L'altro Engen, coi suoi modi da spaccone, era completamente diverso da lui. Non riusciva a farselo piacere.

Avrebbero impiegato diversi eoni per arrivare, costretti a stare nella sfera di trasporto, e si sarebbero annoiati parecchio se non avessero cercato di interagire uno con l'altro.

Quel primo viaggio era stato formativo: avevano visto insieme il flusso del tempo, e il vortice che si creava alla base dell'Empireo rifletteva ogni colore esistente. Era magnifico, e averlo studiato sui glasscreens non sminuiva la sorpresa. Poi un brusco cambio di velocità li aveva fatti sobbalzare, ed erano entrati nell'atmosfera del pianeta. «Tra poco scendiamo! Non sei emozionato? Io diventerò Lucien. Non intendo alterare la mia fisionomia, richiederebbe troppa energia. Resterò così, a parte le ali e le antenne, e forse aggiusterò un po' la forma del naso. Sarò una bellezza per gli standard terrestri. Avrò successo all'università e con le ragazze, e intendo spassarmela un c****o! Tu che farai?»

Due non aveva molto da dire. Era vero, il suo compagno di viaggio era bellissimo. I lunghi capelli neri e gli occhi verdi, ammiccanti e intelligenti, incorniciavano il viso più bello di tutti gli Engen. Kamael si sentiva banale al confronto. Inoltre, era spaesato e la sicurezza dell'altro lo mandava in confusione.

«Mi chiamerò Jacob, e verrò con te all'università. Dobbiamo restare uniti, non sappiamo quando potrebbero colpire. Che ne dici di essere mio fratello?»

Si era pentito appena lo aveva detto, ma sapeva che era l'unica soluzione. Se gli Evon si fossero manifestati, non avrebbero avuto possibilità di sopravvivere da soli.

Appena aveva toccato il suolo, la sfera si era sciolta in minuscole gocce argentee, e avevano iniziato a camminare. Erano atterrati poco distante dalla città, in un bosco a qualche chilometro dalle prime case, giusto per non attirare l'attenzione.

«Mica ce la faremo a piedi fino al campus, eh, Due?» aveva sbottato Rasiel.

«Hai un'idea migliore?» aveva replicato, sarcastico. Per tutta risposta, il giovane aveva ridacchiato. Socchiudendo gli occhi per richiamare tutta la concentrazione di cui necessitava, aveva materializzato un'auto: una sportiva decappottabile rosso fuoco.

«Ti pare il caso, eh? Dove accidenti l'hai rubata?» Aveva iniziato a parlare, e la sua voce saliva di tono man a mano che procedeva, ma l'altro non lo ascoltava.

«Tranquillo, per così poco. Appena arriviamo la rimetto dove l'ho presa, ok? Calmati. »

All'università erano arrivati in cinque minuti, e tutto era nuovo, ma non lo era. I Superiors avevano fatto un ottimo lavoro, ed era come se entrambi avessero sempre vissuto lì.

Lucien era subito andato a cercare i suoi amici della confraternita. Jacob era andato a mettersi a letto, perchè voleva rimanere solo.

Al mattino aveva ritrovato la calma. Si era avviato al corso di Storia delle religioni, felice di non vedere il fratello in giro. Durante la notte non era rientrato, e supponeva che fosse a smaltire i postumi della notte brava in camera di qualche ragazza.

Michael, il suo migliore amico, lo aspettava sulle scale. Indossava dei jeans molto logori e una maglietta stinta. Era il più bravo del corso di Filosofia, ma era un borsista e come tale veniva ignorato dalla maggior parte degli studenti.

Jacob e i suoi amici avevano formato una piccola confraternita. Leggevano molto e si scambiavano libri e pareri, intrattenevano dibattiti e trovavano piacere nella reciproca compagnia. Solo un paio di ragazze ne facevano parte, e l'Engen pensava che Christina non fosse niente male, ma non aveva il coraggio di avvicinarla.

I Superiors non si erano fatti sentire, per cui tutto procedeva bene. Inoltre, Due non captava alcun pericolo. A mensa incontrò Lucien, splendido nel suo completo da motociclista. Lo rincorse.

«Sei forse impazzito?» gli sbottò in faccia. «Non devi attirare l'attenzione, idiota!» ma lui gli rise in faccia.

«Non capirai mai niente, fallito!» Si abbassò fino a sussurrargli all'orecchio: «Pensi davvero che a qualcuno importi che cosa facciamo noi? Non ho intenzione di stare qui ad aspettare la fine, della missione o della mia vita. Voglio sentirmi libero!» Con questo fece spallucce, e si stava avviando, quando Kamael gli inviò un messaggio telepatico: “Attirerai gli Evon e saranno guai!”.

Non me ne frega un c***o, c******e!” e con questo chiuse la comunicazione.

Durante la cena Jacob era fuori di sé. L'elettricità nell'aria amplificava il senso di pericolo. Sentiva che presto sarebbe dovuto entrare in azione. Stava accadendo in fretta, lui era spaventato e Lucien non gli rispondeva.

Giocava col piatto di stufato, quando Michael arrivò di corsa. C'era un raduno di motociclisti fuori dal campus, e molti studenti aspettavano l'inizio della gara. Si alzò di scatto dal tavolo. Fuori già rombavano i motori. Stava per cominciare.

Jacob mise a fuoco i centauri. Uno era chiaramente Lucien, con il casco nero lucido, i pantaloni di pelle e il giubotto col simbolo della sua confraternita. Il giovane al suo fianco non era illuminato dai lampioni, ma lo percepiva. La sua immagine oscillava. I suoi occhi erano completamente neri. Un Evon, senza alcun dubbio. Ne intuiva altri, li intorno, ma non sapeva dire quanti fossero. Il suo pensiero corse rapido a Lucien: “Fratello, è ora, dobbiamo combattere”, e in lontananza gli arrivò la risposta: “Lasciami fare, e non si farà male nessuno, te lo prometto!”.

Il panico lo stava assalendo, e provò a lanciare un allarme a tutti gli Engen, ma erano troppo distanti e la sua telepatia non era così potente da superare centinaia di chilometri. Si concentrò, in attesa. Le moto partirono come frecce, e nello stesso tempo un albero del cortile prese fuoco. Un capanello di persone cominciò a correre, cercando il modo per spegnere l'incendio. Jacob si accorse che le ombre stavano aumentando e sembrava tutto più buio. Accanto a lui, Michael tremava, ma non c'era nessuna brezza nell'aria. E finalmente eccoli, una decina di Evon, strisciare dagli anfratti più oscuri, allungandosi nelle pozze di tenebra proiettate in terra. L'amico aveva gli occhi girati, e del fumo gli usciva dal naso. Kamael raccolse tutte le sue forze e chiamò Rasiel, poi lanciò un vortice di energia bianca. Le ombre si ritrassero per attaccare di nuovo. Con un ultimo slancio in avanti perse del tutto la forma umana, cinse Michael con le braccia e distese le enormi ali bianche, spiccando il volo.

L'aria sul viso, rigato di lacrime, lo aiutava a pensare rapidamente. Cercò la mente di Rasiel, ma la sentiva debole, distante. “Fratello aiutami, sono stato attaccato e sono in volo. Michael è ferito. Fai attenzione”. Voleva essere veloce, ma il peso del corpo esanime non lo aiutava. Non poteva continuare così. Lui era invisibile, l'altro no. Doveva lasciarlo in buone mani, sapeva che era in coma e avrebbe fatto di tutto per tenerlo in vita. Atterrò e lo prese tra le braccia, ritornando ad essere Jacob. I suoi amici erano poco distanti, gli correvano incontro allarmati. Lo depose ai piedi di Christina, le disse di chiamare un'ambulanza, si girò e corse via.

A distanza di sicurezza si librò nell'aria, cercando qualunque segno della presenza nemica. Erano distanti, doveva sbrigarsi.

Le ondate di energia lo colpirono prima ancora di vederli. Lo riconosceva, quel bosco. Uno spiazzo era già carbonizzato. Al centro giravano, come animali, l'Engen e l'Evon. L'oscura creatura brandiva una frusta, con la quale provava a intrappolare l'altro, ma Rasiel la evitava all'ultimo secondo. E rideva. Si intromise nei suoi pensieri: “Fratello, hai bisogno di me?”

Sei arrivato, finalmente” gli arrivò in un sussurro. “Non durerò a lungo, la mia energia sta finendo”.

Erano le parole che voleva sentire, e nello stesso tempo non avrebbe mai voluto che venissero pronunciate. Il grande Rasiel aveva bisogno di lui, era arrivato il momento dell'Unione. L'aveva fatto solo una volta, per una manciata di secondi, e non era convinto che avrebbe funzionato. Si sforzò di avvicinare la sua mente a quella dell'altro, di assumerne il colore, la forma. La consistenza stessa del suo essere doveva plasmarsi, da due diventavano uno. Solo insieme potevano avere qualche speranza di riuscita. Rasiel si accasciò al suolo appena in tempo. Kamael cadde in avanti. Una forma nuova si stagliava contro il cielo, emanando potenza e luce. Le ombre si dileguarono. L'Evon in forma umana si contorse al suolo, perdendo sostanza. Presto non fu altro che un cumulo di cenere. Il nuovo essere Superiore si guardò intorno, alla ricerca degli involucri che erano stati i due Engen. Sospirò, e si divise.


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hacktuhana
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hacktuhana
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Inviato il 04 maggio 2014 22:33

Brava Ygritte!

 

Bel racconto, come sempre del resto, anche te :)

 

Mi è piaciuto un casin... <img alt=" />



Viserion
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Guardiani della Notte
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Viserion
Sommo Drago Dorato della Confraternita



Guardiani della Notte

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Inviato il 05 maggio 2014 0:54 Autore

Cari scrittori vi ricordo che il tempo per la consegna dei vostri pezzi è agli sgoccioli, perché mercoledì partiranno le votazioni. Sollecitate i colleghi della confraternita perché siete davvero pochi stavolta! ;)


Addio Got

4e2873278157328e2f4166b6a679e037.jpg

"Lo scempio ha due teste"

H
hacktuhana
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Inviato il 05 maggio 2014 1:12

Daje Dajeeeeeeeeee

 

Fate due più due e ottenete il racconto!

 

Dai! <img alt=" />



Maya
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Maya
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Guardiani della Notte

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Inviato il 05 maggio 2014 11:02

Ce l'ho fatta e non ci speravo più! Ecco il mio fuori concorso.

Non ho ancora finito di leggere i vostri racconti, ma nel frattempo bravi tutti e scusate se il mio tema vi è risultato ostico, giuro che non era mia intenzione, anzi.

II Megacontest di Scrittura Creativa

Tema: Il numero due

Titolo: Il numero due

(FUORI CONCORSO)

Totale caratteri con lettercount: 9906

Accade tutto in un attimo. Un attimo di silenzio, sospeso nel tempo, come un fermo immagine. Poi la botta, il capogiro, le fiamme, la paura.

Io ho paura del fuoco!

Neanche il tempo di pensare, poi due braccia mi afferrano e mi trascinano via come se fossi un oggetto senza peso e senza volontà. Sento i rumori, le voci intorno a me, l’aria fresca che mi accarezza il volto, l’erba che mi sfiora le pelle. Una luce calda e gialla mi acceca. Poi tutto si spegne.

Sono leggero. Sono aria. Sono morto?

 

Ad un certo punto, la luce si riaccende, ma è diversa: è fredda e blu. Non mi acceca, mi stordisce. Tutto intorno a me giro, pulsa. Chiudo gli occhi e cerco solo di respirare.

Sento il mio corpo, un pezzo alla volta. Tutti i pezzi sono scollegati tra loro, ma credo di essere tutto intero. Sento i piedi e le gambe, tutte due, anche se è come se un milione di spilli premessero in altrettanti punti. Cerco di muoverle, ma le sento pesanti. Riesco però a muovere le dita dei piedi. Piano, piano, piano. Mi sento già molto sollevato! Poi sento le braccia, le mani e le dita. Apro e chiudo i palmi. Prima uno alla volta, poi insieme.

Mi sento come se avessi un enorme macigno sullo stomaco. In compenso, la testa è leggera e sembra quasi volersi staccare dal corpo per volare via, come un palloncino, se non fosse per il collo che la tiene ancorata al busto.

Poi provo a riaprire gli occhi e a guardarmi intorno.

Dove sono?

Non riesco a mettere a fuoco e mi fa male la testa. Devo pensare, ma ogni pensiero è una lama che mi taglia il cranio per poter uscire. Devo capire. Devo ricordare.

 

“Piloti, accendete i vostri motori”.

La mia mente si spegne nel momento preciso in cui inizio a far rombare il motore. Tutto ciò che esiste al di fuori dell’abitacolo non importa più nulla. La mia dimensione è questa e lo sarà fino alla bandiera a scacchi. Respira.

Ogni gara è un punto zero. Non importa un accidenti quello che hai fatto prima, conta solo quello che farai da qui fino alla fine.

Sono troppi anni che corro per non riconoscere il giorno in cui non ce n’è per nessuno. Questo è uno di quelli, oggi è il giorno in cui batterò Hans Meyer. Lui ha la fantasia e l’incoscienza dei debuttanti. Io l’esperienza e la malizia di chi ha già corso e vinto tutto. Lui è forse la stella che nasce, ma io non sono ancora il sole che tramonta ed oggi se ne accorgeranno tutti, anche il mio giovane rivale.

Concentrazione.

Se voglio battere Hans devo passarlo dove non si aspetta. Lui sarà così stordito, che potrò rosicchiargli ancora qualche decimo prezioso. Sono diversi giri che gli sto dietro ed ho capito che oggi ne ho più di lui e di tutti gli altri. Posso passarlo, staccarlo ed andarmene via. Devo solo trovare il punto giusto per superarlo.

La curva che ho in mente è una curva impossibile.

Dobbiamo arrivare insieme all’entrata in curva, ma io devo ritardare la frenata di una frazione di secondo, prendere la corda più avanti ed uscire più veloce. Mi basta una frazione di secondo.

Un frazione di secondo che in quel punto non esiste e non è mai esistita ed io lo so.

Quel che succede quando vuoi disperatamente vincere, è che l’arroganza e la disperazione prendono il sopravvento. Pensi che tu puoi fare quello che ad altri non riesce, puoi violare la regole della fisica, puoi creare un precedente, puoi compiere l’azione impossibile, perché la tua voglia di vincere è maggiore di quella degli altri. Ed è proprio questo l’errore. In una gara automobilistica, vogliono tutti vincere e tutti allo stesso modo, sempre.

Io odio perdere.

Il mio odio in questo senso non è qualcosa che hanno tutti. Io odio perdere il controllo,perdere la pazienza, perdere, in generale. Soprattutto, però, odio perdere una gara, anche perché quando succede poi perdo anche la pazienza, il controllo e tante altre cose di conseguenza e la mia perdita diventa rabbia. C’è di buono che la rabbia mi costringe a mettermi in discussione, a lottare, a rischiare ed è lì che ricomincio a vincere e a vivere. E’ come una spirale, che si stringe sempre di più mentre la percorri. Più vado avanti più diventa difficile, ma non posso fermarmi e non posso tornare indietro, quindi non mi resta che cercare di vincere sempre di più e perdere sempre meno.

Io però non voglio solo vincere. Voglio battere Hans.

Non è solo una questione di questa gara o di vincere il campionato, o il titolo. Ho vinto molte gare e per tre volte il titolo. Non è questo. Quello che voglio, anzi devo fare è dimostrare che non sono finito, che il ragazzino appena arrivato non mi sta mandando in pensione, che merito ancora il sedile migliore e la squadra migliore, che ci può essere un’altra stagione per me, anzi ancora molte altre. Io sono ancora il numero uno e qualche gara persa non conta niente.

Un millesimo di secondo, non chiedo altro.

Mi serve solo un piccolissimo spazio di tempo per entrare in curva più veloce di quanto Hans o chiunque altro al mondo abbia mai fatto. Solo un millesimo di secondo, una percentuale di tempo così piccola che non si riesce a calcolare. Ci avviciniamo alla curva, sempre di più, sempre di più. Lui frena di botto. Io aspetto.

Troppo tardi.

Sapevo che non ce l’avrei fatta, nel momento esatto in cui mi convincevo che invece potevo riuscire. Non ero indeciso, né dubbioso, solo consapevolmente in torto. Non sbaglio mai nelle mie analisi, ma persevero nella mia cocciutaggine di pilota, oltre ogni ragionevole evidenza. Tutto qui.

 

-Jackson? Jax, guardami. Sei sveglio? Venite… si è svegliato!-

Sento passi, voci ed all’improvviso mi accorgo che sono circondato da volti e mani che non conosco. Chiudo gli occhi e quando li apro, vedo solo il sorriso buono di Gianfranco, capomeccanico, cuoco, amico e certi giorni anche padre. Troneggia sopra di me, un gigante buono, con mani grosse e delicate, una mente sottile e pensieri puri.

-Che botta, Gian!– , dico guardandolo nei suoi stanchi occhi grigi, quando finalmente siamo soli.

-Come ti senti?-.

-Come se mi avessero masticato, sputato a terra e calpestato-. Vedo un sorriso incerto comparire sul volto segnato dalle rughe di Gian. -Quanto tempo è che sto qui?-.

-Una settimana-.

-Bene. Temevo di più. A questo punto non posso davvero permettermi un altro zero. Il crucco se ne sta lì, in cima, nella sua sicurezza di avere già il titolo in tasca, ma ora sono molto più inca**ato del solito e…-, Gianfranco mi sta fissando ed i suoi occhi di ghiaccio si stanno sciogliendo. -Che c’è?-.

-Non credo sarà possibile-. La sua voce è strozzata.

-Lo so che vuoi dire: “prenditi il tuo tempo”, “se non sarà quest’anno sarà il prossimo”, ma io sto già meglio. Farò fisioterapia. E poi ci sono antidolorifici e compagnia bella. Le gare si vincono con la testa e la mia testa funziona alla grande e io...-

-Jax-, Gianfranco m’interrompe. –Non puoi più farlo. Il tuo bacino… c’è una lesione ed è molto grave. I medici dicono… che non è una cosa temporanea-.

-Ma che ca**o stai dicendo? Muovo i piedi e le mani. Vaglielo a dire, Gian, li ho mossi, giuro-.

Mentre parlo, Gian si copre la mano con gli occhi e lo sento singhiozzare.

-Gian, ca**o, guardami. Ora ti faccio vedere. Vecchio scemo, guardami. Mi vuoi guardare! Aiutami, aiutami a mettermi seduto, Gian!-. Lui continua a frignare e non mi ascolta. Cerco di tirarmi su. Le mie braccia cercano un appoggio per mettermi seduto.

Dai, forza, un bel colpo di reni.

Ci provo una volta, due, tre. Sembro una tartaruga rivoltata che non riesce girarsi.

-Gian, porca p****na, mi vuoi aiutare?-.

Gian si scopre il viso. E’ rosso e rigato dalle lacrime. Non l’ho mai visto piangere.

-Jax-, sussurra scuotendo la testa. Lentamente Gian solleva il lenzuolo., mi prende una mano e me la porta verso il bacino. -Che ca**o, fai?-. La lascia scivolare ed io sento una cosa fredda. Le mie mani tremano. C’è una specie di gabbia di alluminio e gomma piuma, che mi avvolge il bacino. – Che ca**o è?-, sussurro. –Che ca**o è? Che ca**o è? Dimmi, che ca**è questa m***a!-. La mia voce diventa un urlo. Gian si allontana. Il suo volto è stravolto. Io ricomincio a lottare per tirarmi su, ma non serve a nulla. Non ci riesco, non posso farlo. Mai più. Fine della corsa. Fine di tutte le corse.

 

Sono passati un paio di anni dall’incidente. Da circa sei mesi riesco a guardarmi allo specchio. Ho smesso di lottare contro me stesso e ho reimparato a fare tutto. Ora posso camminare, muovermi e anche stare seduto, anche se in modi grotteschi, che non hanno nulla a che fare con me. Tra qualche settimana potrò tornare a casa. Dopo di che… non lo so.

Sto percorrendo uno dei candidi corridoi della mia attuale residenza per menomati di prestigio in cerca di un recupero che non può arrivare, quando sento i rumori provenire dalla saletta TV. In genere, non vi presto alcuna attenzione, ma oggi non riesco a trattenermi.

La sala è quasi vuota. C’è solo un ragazzino, non avrà più di dodici anni. E’ sulla sedia a rotelle e fissa lo schermo come ipnotizzato dalle immagini e dalle parole che le commentano.

“-… oggi per Hans Meyer non si tratta solo di vincere una corsa, ma di tenersi stretto il titolo. Bisogna dire che dopo il ritiro di Jackson Becker, il tedesco non ha più avuto di fronte a sé un vero rivale. Sei d’accordo Al?-

-Assolutamente, Tim! Jax era davvero l’unico capace di mettergli i bastoni tra le ruote, è proprio il caso di dirlo. Ecco. Stanno per partire…”.

I miei occhi non riescono a staccarsi dalle immagini che scorrono sempre più veloci. Chiudo gli occhi e quando li riapro il mondo intorno a me non esiste, ci sono solo il rombo dei motori, la pista e l’orizzonte.

Una voce mi riporta alla realtà: -quello è troppo forte. E’ proprio il numero uno!-, mi dice il ragazzino, indicando Hans che sfreccia sull’asfalto come se non ci fosse un domani.

-Sì, ma non sarà per sempre-, sento me stesso dire.

Il ragazzino si volta e mi guarda, aggrottando le sopracciglia. –E tu chi sei per dirlo?-

-Io? Io sono il numero due-.


"Il peccato più sciocco del diavolo è la vanità" (La ragazza nella nebbia - Donato Carrisi)

 

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