ho già un'ideuzza in mente.
E ora che ho di nuovo il mio pc e la mia decente connessione non ci saranno problemi!
mwahahhahahaha!
Questo è un mio racconto fuori concorso. è in argomento ma è stato presentato qualche anno fa a un concorso letterario.
LE COLONNE DI AFHÉF
Afhéf era stato condannato. Con le sue parole aveva recato offesa alla famiglia reale e lui era solo un servo, molto ben considerato, ma pur sempre solo un servo, poco più di uno schiavo. La condanna era la morte. Inappellabile.
Sapeva che quella che gli avevano riservato era una fine spaventosa. Doveva salire in cima alle colonne d’Ercole e gettarsi oltre queste. Quelle colonne che delineavano la fine del mare e del mondo.
Immaginava che quelle acque l’avrebbero divorato, dilaniato, come tanti prima di lui, e alla famiglia non sarebbero rimasti nemmeno dei poveri resti da seppellire.
Era la prova peggiore che potesse esserci, totalmente ignota e chi l’aveva provata non era tornato per raccontarlo.
Maledetti quei mercanti ateniesi di passaggio e le loro parole: uguaglianza, democrazia. Non avevano forse anche loro dei servi a cui comandavano per ogni atto della vita? Eppure i loro discorsi gli erano parsi tanto affascinanti. Che le persone potessero essere tutte uguali in modo che nessuno avesse diritto di vita o di morte su qualcun altro! La sua colpa era di aver fatto proprie e poi manifestato quelle idee.
Chi avrebbe pensato ai suoi genitori quando fossero diventati troppo vecchi per essere utili a qualcuno? Sua moglie era giovane e bella, sicuramente avrebbe trovato un altro marito. Ma come sarebbe stata trattata? E il figlio che da poco avevano avuto? Come sarebbe stato considerato dal nuovo padre? Cominciò a pensare a tutte le cose che non aveva avuto il tempo d’insegnargli, mentre con la fune rituale s’inerpicava sempre più in alto.
Per anni si era chiesto come avessero fatto quegli antichi a costruire quelle colonne così imponenti. Ora non ci pensava più.
Gli avevano lasciato due alternative sul come morire. Se si fosse lanciato dalle colonne nelle acque ignote, i suoi famigliari non l’avrebbero seguito nell’aldilà. Se invece avesse deciso per un’altra opzione, come il rogo o lo smembramento, tutti i suoi cari avrebbero seguito la sua sorte.
Tutti lo consideravano molto coraggioso a fare quella scelta. Afhéf, tra sé, pensava che forse la sua poteva essere in realtà codardia, perché non era abbastanza forte da sopportare la vista della morte delle persone che amava.
Gli era costato grande fatica arrivare alla cima, anche a causa delle due dita della mano sinistra che aveva perso tempo prima sul lavoro e che non gli permettevano di afferrare saldamente la fune. Afhéf era un carpentiere, lavorava per un costruttore d’imbarcazioni che si occupava anche di quelle per la famiglia reale. Un uomo che, per quanto gli fosse possibile, si era battuto per evitare ad Afhéf la sentenza di morte.
Ora il condannato guardava l'acqua, pareva quella calma in cui si divertiva da piccolo, giocando con gli amici, tuffandosi e nuotando. Allora però non aveva paura, nemmeno s’immaginava che potesse esisterne così tanta di paura.
I suoi famigliari lo guardavano con le lacrime agli occhi, smarriti e addolorati, ponendosi le stesse domande. Si trovavano tra le altre persone che assistevano ed erano guardati da alcuni con rispetto, da altri con pena e da altri ancora con il disprezzo che la consuetudine voleva fosse portato a chi aveva offeso la famiglia reale.
Venne riletta la sentenza e a lui, dall’alto, sembrò una nenia incomprensibile. Non importava, tanto l’aveva ascoltata durante l’udienza con i dieci saggi e a quella con il rappresentante del re che aveva confermato la condanna.
Cominciò il battere ritmato dei tamburi. Poi smise, era giunto il momento.
Inspirò ed espirò profondamente, varie volte, e si lanciò. Voleva che il suo tuffo fosse ricordato e cercò di farlo in modo perfetto.
Entrò in acqua proprio mentre il sole stava sparendo all’orizzonte e, prima ancora di riemergere, era già stato preso dal terrore. Appena riuscì a immettere nei polmoni la prima boccata d’aria, cominciò a guardarsi intorno, voltandosi a scatti nell’acqua appena increspata.
Come sarebbe morto? Risucchiato da un vortice? Inghiottito dolcemente ma inesorabilmente da qualche creatura? Divorato da un mostro orrendo?
Dopo un tempo che non avrebbe saputo definire, con la luna alta nel cielo, vide qualcosa che si avvicinava. Il terrore e la fatica gli impedivano di fare movimenti sciolti e rischiava da un momento all’altro che i crampi lo bloccassero definitivamente.
Da lontano si profilò qualcosa d’informe e spaventoso. Avanzava lento e implacabile. L’istinto suggerì ad Afhéf la fuga, ma dove mai sarebbe potuto scappare?
Si abbandonò e si lasciò sprofondare nell’oscurità del mare, abbassando le palpebre. Con gli occhi chiusi, vide ugualmente l’ombra che gli nascose la luce della luna. Immaginò di essere prossimo a essere inghiottito e così stava per aprire la bocca, sperando d’annegare prima di provare dolore.
Riapparse la luce. Afhéf aprì gli occhi. Riconobbe qualcosa di famigliare in quello che gli stava passando sopra. Allo stremo delle forze riemerse. Aveva visto bene: un albero.
Lo vide che si allontanava lentamente da lui. Forse era stato trasportato dal vicino fiume. Forse spinto da un Dio pietoso. Cominciò a pensare a qualcosa che nemmeno aveva preso in considerazione fino a quel momento. Un solo pensiero, fugace come un battito di cuore. La salvezza.
Con le ultime forze rimaste nuotò fino a raggiungere l’albero e dapprima vi si aggrappò con forza, poi, dopo aver ripreso un po’ di fiato, vi salì a cavalcioni e si lasciò andare a riposare tra i rami che si aprivano ampi, dando all’albero stabilità nell’acqua.
Si alzò il vento e i rami più fini, incurvati, sembrarono avvolgere Afhéf, mentre andavano formandosi lievi colline d’acqua che lo sollevavano e riabbassavano dolcemente.
Le nubi annerirono la notte, e l’uomo ne venne inghiottito.
Molti anni dopo, sulla pagina storico-scientifica di un quotidiano:
Scoperta una nuova tomba a Tenerife
Durante gli scavi a Tenerife, nel ricostruire la storia di quella che gli esperti dichiarano essere una civiltà mai scoperta prima (i più fantasiosi pensano che si tratti addirittura dei resti della famosa Atlantide), è stata trovata la tomba di un uomo che, dai primi rilievi, pare essere il fondatore o uno dei fondatori di tale civiltà. Una delle notizie trapelate informa che alla mummia scoperta mancano due dita.
Gli studiosi comunque procedono con cautela.
Sono proprio contento che tu l'abbia postato lo stesso e complimenti per l'onesta di aver detto di averlo già pubblicato. Confesso che sarebbe stato molto difficile capire che l'avevi fatto, quindi tanto di cappello. Sono certo che riceverai le stesse attenzioni date ai partecipanti!
Addio Got
"Lo scempio ha due teste"
Ciao a tutti, ecco il mio :-)
MEGACONTEST DI SCRITTURA CREATIVA
TITOLO: IL BIGLIETTO DELLA VITA
CARATTERI: 7678
Johnny osservò incredulo la strana ragazzina che si allontanava da casa sua. Rimase fermo sull’uscio della porta, rigirandosi tra le dita quello strano foglio ingiallito dal tempo, dono di una misteriosa bambina che adesso correva spensierata lungo la strada inondata dal calore di una mattina di luglio. L’unica traccia di intelletto umano in quel pezzo di carta era un numero: 2. Nessun’altra scritta, né altra indicazione, solo quella cifra disegnata con una grafia sottile e curvilinea. Si domandò cosa potesse significare, ma più cercava di trovare una risposta, più quel numero sembrava schernirlo, irriverente nella sicurezza della sua cartacea dimensione irraggiungibile dai comuni mortali. Conservò il biglietto nella tasca posteriore dei jeans logori, chiuse la porta, salì le scale e tornò a distendersi sul letto. Provò ad addormentarsi, ma era tutt’altro che sereno. La sua mente, peregrina e vagabonda, si allontanava da quel pensiero per poi tornarci nuovamente. Quel numero cominciava ad ossessionarlo, sentiva crescere l’ansia dentro di sé. Voleva carpirne il significato, ma si sentiva come se dovesse affrontare un drago che vigila sul tesoro datogli in consegna. Si girò dall’altro lato, allontanandosi da quel singolo raggio di sole che, penetrando da uno spiraglio della finestra socchiusa, riscaldava il lato sinistro del suo giaciglio. Chiuse gli occhi, sentì le forze abbandonarlo, e cedette al sonno. Fu un incubo. Invaso dal terrore voleva gridare, ma non aveva voce, voleva osservare, ma i suoi occhi lo tradivano. Si svegliò sudato, il suo cuore pulsava velocemente, il sangue nelle arterie era come un passeggero che correva disperatamente in una grande strada con l’intento di raggiungere una meta che in realtà non conosceva neanche lui. Non sapeva quanto avesse dormito, l’ombra aveva invaso la stanza, sembrava un mondo in bianco e nero. I suoi occhi erano stranamente abituati all’oscurità, si trovava a suo agio, e non se ne spiegava il perché. Cercò di drizzarsi sulle gambe stanche, ci riuscì solo al secondo tentativo. Barcollò per un attimo. Riacquistato l’equilibrio estrasse il silenzioso biglietto che riposava nella sua tasca, lo squadrò, e capì. Si rinnovò di una misteriosa energia, scese le scale che lo separavano dal piano terra, aprì la porta e si sentì colmato di oro e calore. Il sole era sull’orizzonte, aveva trovato rifugio ad ovest, riempiendo il soffitto della Terra con una pennellata di arancio e sfumature di viola. Cominciò a camminare, non aveva ancora riacquistato tutte le forze. Più i passi si susseguivano, ritmici e sincronizzati col pulsare del suo cuore, più le scariche d’adrenalina aumentavano. Senza rendersene conto si ritrovò a camminare a passo veloce. Nel giro di due minuti stava correndo, ripentendosi in testa mille e mille volte quel numero: 2.
Come ho fatto a non pensarci prima?
Girò al secondo incrocio, la strada era deserta, ma lui non si domandò il perché. Non c’era nessuno in quel posto, ma a lui non importava. Ciò che contava adesso era raggiungere la meta. I suoi muscoli si contraevano e rilassavano in una veloce successione, i suoi polmoni si riempivano d’ossigeno, alimentando la sua corsa. Le sue gambe erano come pistoni, i suoi piedi si muovevano così velocemente che per un attimo, un singolo infinito attimo gli parse di volare. Guardò dietro di sé, vide l’oscurità raggiungerlo. Le nubi cominciarono ad invadere il cielo, nascondendo gli sprazzi di arancio e viola, facendoli loro prigionieri. Aumentò la velocità, non doveva farsi raggiungere dal Grigio, no, lui voleva rimanere alla luce, voleva sentire il sapore del calore sulla sua pelle, guardare l’oro con cui il sole colmava il suo piccolo mondo. Si comandò di non cedere, supplicò il suo corpo di non abbandonarlo, di combattere con lui. Ma il Grigio guadagnava terreno. Gli colpì le caviglie, furono le prime a cedere.
No, non adesso, manca poco e sarò arrivato al 2.
Caracollò a terra sbucciandosi mani e ginocchia, ma quasi non si rese conto del sangue che tingeva di rosso l’asfalto che lo stava accogliendo. Sentì i piedi freddi. Le nubi con la loro carica d’oscurità ormai erano quasi sopra di lui. Ma non cedette. Johnny tentò di alzarsi, a fatica riprese la lenta marcia. Voltò a sinistra e si ritrovò lì, al numero 2 di Sunset Lane, una delle vie principali della città, davanti la vecchia libreria. L’insegna era spenta, il Grigio l’aveva già raggiunta da tempo. Si guardò intorno. L’oscurità troneggiava su quel posto, il sole, cavaliere del Bene, era ormai sparito. Si mosse lento, soffermò lo sguardo per qualche altro secondo sulla scritta BookStore che spiccava sopra la porta d’ingresso della libreria, e aprì la porta. Un tintinnio di campanelli lo accompagnò dentro un locale spoglio del fascino che l’aveva sempre caratterizzato. Sparsi tutt’intorno a lui c’erano decine, centinaia di fogli, e in ognuno di essi c’era scritto un 2. La cosa che lo stupì di più la notò solo dieci secondi dopo. Due persone di spalle, assomigliavano ai suoi genitori, sembravano singhiozzare in un angolo della libreria. Si fece largo tra la polvere e i cadaveri dei ratti, spostandoli delicatamente con la punta del piede. Fuori dei corvi cominciarono a gracchiare la loro nenia. Si avvicinò ai due individui, poggiò la mano sulle loro spalle, li chiamò, ma non risposero. Erano assorti nelle loro lacrime e nel dolore, nessuna voce riusciva a raggiungerli, nessun tocco scalfiva il gelo che li aveva accolti, paralizzati. Qualcuno poi lo raggiunse alle spalle. Si voltò di scatto, ignorando per un attimo i suoi genitori, e la vide. Lunghi capelli castani le scivolavano sulle spalle. Gli occhi lo fissavano intensamente. Parlò.
«Johnny.»
Lo sguardo del ragazzo si mosse da lei ai genitori, e viceversa. Poi si rivolse a lei.
«Dove sono? Perchè stanno piangendo? Cosa mi succede? Là fuori è tutto buio, le nubi mi hanno raggiunto, cosa devo fare?»
La ragazza lo guardò impassibile, poi indicò la strada che aveva abbandonato poco prima. Le sue labbra si mossero sinuose, le parole uscirono flebili, quasi sussurrate.
«Ricorda Johnny. Niente di tutto quello che stai vedendo è reale. Ti trovi dentro te stesso. Ricorda Johnny. Ho sprecato tutte le mie forze per riuscire a consegnarti quel biglietto»
«Quella bambina eri tu?»
«Io sono te Johnny, quella bambina non è altro che te stesso. Stai sognando Johnny, ed è ora di svegliarti. Guarda i tuoi genitori, oppressi e frustati dal dolore. Guardali Johnny, ricorda e risvegliati.»
E lì Johnny ricordò. Gli tornò in mente la libreria, il sole estivo che illuminava Sunset Lane, i profumi di gigli e frittelle che inebriavano l’aria quella mattina. Ricordò che voleva regalare un libro alla sua migliore amica, rammentò la strada, la macchina, il buio.
«Sono stato investito mentre venivo qui vero?»
La ragazza annuì silenziosamente.
«Sono in coma. Nulla di tutto questo è reale.»
Non appena pronunciò quelle parole, le nubi si diradarono, l’alba vinse la lotta e fece la sua comparsa sul campo di battaglia, sventolando fiera lo stendardo bianco. La luce era vivida e intensa, le parole della ragazza invece sempre più sottili e lontane…
Hai ricordato Johnny, adesso è ora di svegliarsi… Svegliati Johnny. Svegliati.
Aprì gli occhi. Le pupille sembravano infilargli nel cervello centinaia di aghi. Non era abituato alla luce. Sussurrò di chiudere le finestre, quando la madre, addormentata nella poltrona accanto al suo letto d’ospedale, si svegliò e corse da lui ad abbracciarlo e a piangere gioia e commozione.
«Mamma, da quanto sono in coma?»
«Due anni Johnny, sono passati due anni.»
La strinse in un abbraccio, sussurrando un grazie a quella misteriosa fanciulla.
Bene! Arrivano i primi scritti e...
Ben arrivato a Senzavolto anche se fuori concorso ad una lettura veloce, debbo dire che mi è piaciuto(evvai!), e speriamo che prossimamente ti aggreghi anche tu al gruppo dei contestuali " />
Devo leggere quello di uno dei tanti re del nord thkinginthenorth, che già allo scorsco contest(la sua prima partecipazione), mi aveva colpito per ritmo di narrazione e capacità di scrittura. Vediamo con calma però
Forza ragazzi!!!
Nebbia totale. " />
Non ci credo Eddard! Tu sei un vulcano di idee!!!<br /><br />Benvenuto Senza volto (ti posso chiedere come mai non sei più Senza faccia? Sono indiscreta?).<br /><br />Non sono ancora riuscita a leggere i due ultimi racconti, ma mi metterò presto in riga! " />
Va be, Sabato e Domenica comincio a spremere le meningi e a far venirmi in mente qualcosa.
Scusa se rompo ancora ma con due intendi anche tipo l'essere/arrivare secondi?
Non ci credo Eddard! Tu sei un vulcano di idee!!!<br /><br />Benvenuto Senza volto (ti posso chiedere come mai non sei più Senza faccia? Sono indiscreta?).<br /><br />Non sono ancora riuscita a leggere i due ultimi racconti, ma mi metterò presto in riga! " />
Senza volto era il nome che avevo scelto dall'inizio. Però, al primo collegamento, mi diceva che qualcosa era andato storto. Avendo poca pazienza non avevo aspettato e avevo aperto un altro account con il nome di senza faccia. Su mia richiesta, l'amministrazione mi ha fatto tornare senza volto. " />
Sono proprio contento che tu l'abbia postato lo stesso e complimenti per l'onesta di aver detto di averlo già pubblicato. Confesso che sarebbe stato molto difficile capire che l'avevi fatto, quindi tanto di cappello. Sono certo che riceverai le stesse attenzioni date ai partecipanti!
No. Non è stato pubblicato. è stato inviato ad un concorso letterario nella precedente versione, ma non è stato selezionato per la pubblicazione.
1: Eddard Greyjoy libera la casella di posta che ho la necessità di comunicare con te.
2: Giacché sei senza ispirazione, ti fornisco uno spunto a patto di non mettere nomi “di una difficoltà astronomica” (parole del saggio Nonno Hack).
Ti piace raccontare storie di pirati, ebbene metti su una zattera dopo una battaglia pazzesca tra due galeoni due personaggi, un bucaniere sdentato, disgustoso e puzzolente e un corsaro bello come un arcangelo, che sono scampati al naufragio delle loro rispettive imbarcazioni.
Dopo due giorni che il corsaro non faceva pipì non potendone più è costretto a calare i pantaloni, e qui si scopre il perché. A questo punto ha inizio la storia vera e propria dei due naufraghi che dura per due settimane e mezzo. Alla fine sono salvati da due brigantini di passaggio, e chissà che a conclusione di tutto ciò non nascano anche due bei gemelli.
Ah! Dimenticavo ce n’era anche un terzo ma se lo sono mangiato, se no la storia non poteva essere a due.
Perdindirindina! Dai e dai, scrivi scrivi e questo post è diventato un minicontest, sono 1160 caratteri spazi inclusi, quasi quasi continuo io, ci metto il titolo, e così sono bello che a posto.
No. Non è stato pubblicato. è stato inviato ad un concorso letterario nella precedente versione, ma non è stato selezionato per la pubblicazione.
Bella storia.
Mi è piaciuto, ben scritto e ben impaginato, cosa che rende piacevole la lettura.
A tutti coloro che vogliano contattarmi, vi informo che ho liberato la casella.
Intanto ho un' ideuzza in mente per il contest.
Eheheh il pirata ha sempre le sue risorse...
Dai Eddard...
Intanto, complimenti a Kinginthenorth, la storia mi è piaciuta, è una tematica che ho immaginato più volte, e direi che l'hai resa molto bene!
Bravo!(e sono DUE) " />