Domanda: non gliene frega nulla indipendentemente dalla motivazione per cui se ne va via o forse questa è importante?La donna incinta e professionale ha due valori, li mette a confronto e antepone il figlio. Le frega dell'azienda, le frega di più della maternità. Però è un ragionamento di cui l'azienda deve essere al corrente "ok io sono qui, sappi che se si verifica questa condizione che per me è prioritaria la anteporrò a te". La storia dell'offerta di lavoro migliore vale per tutti, uomini e donne, ed è scontato in partenza che chiunque si veda offrire migliore stipendio per un migliore posto magari vicino a casa accetterà di andarsene. Non è detto che una donna voglia figli, che li voglia adesso... in questo senso chiedere è giusto. Se poi la risposta è "ne voglio uno entro quest'anno" equivale a un "se è possibile mi assento entro l'anno", il che dà una certezza negativa all'azienda.
Lieto di sentire che anche una persona che non mette al primo posto il lavoro che fa può tuttavia esserne interessata e non fregarsene.
Sul resto del discorso, non è proprio così. Se a te offrissero un lavoro da 55.000 euro annui in Zambia, ci andresti? Oppure se te lo offrissero anche a Venezia Mestre, ma, per dire, a fare il guardiano del faro e passare mesi senza vedere nessuno?
Lo stipendio non è l'unica sirena possibile.
Eppure le aziende non chiedono "per quale tipo di lavoro ci lasceresti?" oppure "consideri questo lavoro come un passaggio verso posti migliori o pensi sia il lavoro della tua vita?", mentre la prima cosa che chiedono ad una ragazza è "sei per caso fidanzata o sposata?".
Il concetto è piuttosto sottile: un'azienda considera sostenibile perdere un dipendente in maniera definitiva (affrontando i costi di una nuova formazione e le difficoltà di trovarselo alla concorrenza, o in alternativa quelli di un rilancio per non farlo andare via) quando questo cambia lavoro, mentre non considera sostenibile una perdita temporanea come la maternità.
Paga il fatto che mi ha formato, paga il fatto che ha investito tempo e risorse su di me, paga il fatto che magari io sono andato alla concorrenza e posso sfruttare quanto ho appreso contro chi me lo ha insegnato.Se ci tiene, può rilanciare. Se io fossi un top manager che porta tutto alla diretta concorrente, mi vedrei offrire quasi qualsiasi cosa io chieda.
E rilanciando paga lo stesso. <_< Sei proprio certa, ripeto la domanda, che la perdita definitiva di un lavoratore per cambio lavoro sia meno onerosa per l'azienda rispetto alla perdita temporeanea per maternità?
Nel post precedente, hai parlato dei costi della maternità per l'azienda, ma non mi pare che il perdere un dipendente (o il pagare per trattenerlo) sia proprio economico...
Quindi, sostanzialmente, tu dici che un'azienda preferisce scartare le donne perché non saprebbe come convincerle a non fare figli e non assentarsi dal lavoro...Non c'è niente che possa offrire. Sono due scale di valori diverse. Per me ognuno nella vita deve seguire quello che è più importante, l'azienda nella sua logica si trova solo un dipendente inaffidabile.
Inaffidabile?!?
Ma allora, dal punto di vista dell'azienda, qualsiasi assenza più pesante dell'influenza dovrebbe essere segno di inaffidabilità.
"Oh, l'Avvocato Pierfranco si è rotto dodici ossa facendo bungee-jumping domenica, che persona inaffidabile, ha messo a repentaglio l'azienda per la sua passione per lo sport estremo."
"Cavolo, l'Ingegner Elvio ha abbandonato l'azienda per andare a lavorare in Brasile, come faremo? Se rilanciamo dovremo rinunciare alle nuove assunzioni, quindi in tutti i casi la sua scelta ci costa moltissimo."
Non sono forse segni di inaffidabilità al pari di:
"Puffarbacco, la Dottoressa Rocchina aspetta un bambino."
Non sarebbero da mettere sullo stesso identico piano, anche da parte delle aziende?
Cerchiamo di non confondere la dedizione al lavoro con la dedizione all'azienda (le famose parole da te scritte "perché sei interessato a QUEL posto, in QUELL'azienda").
Ti ricordo che è illegale, proprio a causa del fatto che per la società italiana fare figli è considerato un valore.Sorry? Mi arriva la promozione, festeggio con una notte brava e mi ritrovo nei guai la mattina dopo: qual'è l'illegalità del non fregarsi con le proprie mani?
A parte che ho parlato di aborto e non di pillola del giorno dopo, le cause per abortire sono chiaramente indicate dalla legge, e non mi risulta che la carriera sia tra queste...
Considera l'astinenza, o le maggiori precauzioni per la notte brava, come un esercizio di disciplina utile per la carriera. Se il fine è quello, varrà ben qualche sacrificio, no? :wub:
Apro parentesi, in effetti la mia provocazione era stata lanciata nell'ambito del discorso secondo cui l'azienda discrimina a priori la possibilità di essere incinte senza indagare sulle cause e sulle motivazioni che portano ad una gravidanza. Da qui la mia domanda, secondo cui magari sarebbe stato possibile che un'azienda si potesse aspettare un aborto per il mantenimento del posto di lavoro, specie in caso di gravidanza "accidentale".
Trovo decisamente interessante che questo atteggiamento sia condiviso anche da persone che si trovano dal lato dei lavoratori, fermo restando che sono per la massima libertà di scelta in materia e che secondo me questioni come "abortisco il mio futuro figlio perché sarebbe un intralcio alla carriera" devono essere risolte a livello di coscienza personale.
la società dovrebbe avere il compito di tradurre l'esigenza di vedere questo valore realizzato in un valore aziendale, di modo che la cosa, con consumo di valore da parte dello Stato, possa conferire valore contemporaneamente a donna e azienda.Per quello che fanno all'estero, questo è possibile. Ci sono i kindergarden aziendali, permessi per la paternità, mille opportunità che permettono alla donna sia di fare carriera che di essere madre, e all'azienda di vedere ripagato bene l'investimento su una dipendente capace.
Forse in italia funziona come in giappone, per cui si dà per scontato che la donna-madre per essere tale deve restare a casa ad accudire i figli, quindi non è a priori compatibile questa sua scelta con la carriera. E' la ragione per cui in giappone per le donne quasi non esistono contratti con possibilità di avanzamento, è raro che una donna firmi un contratto che lo preveda. Ci sono contratti per tutti (seee) e contratti per donne. Può essere che ci sia dietro la stessa mentalità?
All'estero è decisamente possibile, ma a quel punto la donna-carriera come vedrebbe tutte le agevolazioni accordate alla donna-famiglia? :wub:
Se a te offrissero un lavoro da 55.000 euro annui in Zambia, ci andresti? Oppure se te lo offrissero anche a Venezia Mestre, ma, per dire, a fare il guardiano del faro e passare mesi senza vedere nessuno?
Ok non è il solo criterio. Devo avere un interesse culturale per lo Zambia o essere una gran solitaria per accettare. O avere debiti con la yakuza.
In ogni caso esiste uno spazio di trattativa, arrivati a un certo punto si può chiedere l'aumento o lamentare qualcosa chiedendo che venga cambiata la prassi...
Eppure le aziende non chiedono "per quale tipo di lavoro ci lasceresti?" oppure "consideri questo lavoro come un passaggio verso posti migliori o pensi sia il lavoro della tua vita?", mentre la prima cosa che chiedono ad una ragazza è "sei per caso fidanzata o sposata?".
A me non l'hanno mai chiesto. In compenso mi hanno chiesto se intendevo continuare la carriera agonistica perchè a loro interessava soltanto personale che restasse a lungo (due mesi e mezzo dopo me ne sono andata, per altri motivi).
Sei proprio certa, ripeto la domanda, che la perdita definitiva di un lavoratore per cambio lavoro sia meno onerosa per l'azienda rispetto alla perdita temporeanea per maternità?
Onerosa magari no, ma è una cosa accidentale. La gravidanza è di solito qualcosa di deliberato. Quello che si sbriciola le ossa è ragionevole supporre che non avesse questa precisa intenzione quando si è legato l'elastico alla caviglia. Quella che resta incinta è probabile che ci abbia provato di proposito. Non difendo lo schema applicato dall'azienda, come ho già detto ognuno deve seguire le sue priorità nella vita, ma è comprensibile che assumere una persona che già progetta di starsene a casa pagata qualche mese sia considerata un investimento meno stabile di una che starà a casa pagata solo per sfi*a.
Cerchiamo di non confondere la dedizione al lavoro con la dedizione all'azienda (le famose parole da te scritte "perché sei interessato a QUEL posto, in QUELL'azienda").
Forse non conosco tutti i punti di vista, per come la vedo io o l'azienda è il posto dove ti danno quello che ti serve (i soldi) in cambio della tua fatica o è il posto dove ti danno quello che vuoi (realizzazione professionale) in cambio del tuo coinvolgimento e della tua dedizione.
A parte che ho parlato di aborto e non di pillola del giorno dopo, le cause per abortire sono chiaramente indicate dalla legge, e non mi risulta che la carriera sia tra queste...
Ok se una ha in mente la carriera magari non fa la notte brava senza le adeguate contromisure, così come chi fa uno sport agonistico non andrà a sciare freestyle se non è un esperto. L'incidente che ti rovina può avere molte forme, ma nel caso dell'aborto mi stupisce di sapere che devi fornire una motivazione fra quelle accettate dalla legge. Io abortisco perchè il figlio non lo voglio, no? E' vero che in questo caso mi frega la carriera, ma se a priori lo volevo potevo benissimo provare a salvare capra e cavoli, a rimetterci un po' di carriera in cambio di qualcosa che considero ugualmente un valore, etc... Se non lo voglio è perchè non lo considero una cosa positiva e per giunta mi distrugge ciò che dà valore alla mia vita, è una cosa esistenziale e non professionale.
All'estero è decisamente possibile, ma a quel punto la donna-carriera come vedrebbe tutte le agevolazioni accordate alla donna-famiglia?
Imho una donna decide a priori se vuole figli. E decide a priori se vuole una carriera. Il problema si pone quando vuole entrambe. Il succo del topic mi sembra riguardi il fatto che non si dovrebbe essere obbligate a fare una scelta aut-aut. E allora perchè la donna-carriera dovrebbe curarsi di cosa viene consentito alla donna-famiglia? A ognuno quello che gli serve per realizzarsi.
Non condivido: quanto dici sarebbe giusto nell'ipotesi che tutti incontrino le stesse difficoltà, ma cosí non è: sedi diverse a parità di laurea, docenti diversi all'esame (ci sono esami in cui passi o dal docente, o dall'esercitatore), temi d'esame diversi (del tipo, centoquaranta ragazzi e centoquaranta temi d'esame diversi; ovvio che c'è quello facile e quello impossibile), ecc. Inoltre, almeno in certe facoltà gli orali sono quasi spariti.
ma non sto dicendo che sia un criterio "giusto", ma come stai dicendo anche te nemmeno l'equzione "voti più alti=persona più brava" è "giusta", soprattutto all'università. Sicuramente uno con la media del 30 che si è laureato in 7 anni è più bravo di chi si è laureato in 5 con la media del 23, ma qua si parla di differenze non abissali. Se devo essere sincera, conoscendo la "mentalità" che spesso hanno le persone che ricorrono i voti alti a tutti i costi, preferirei una laurea senza lode ma portata a termine nei tempi stabiliti (ma questo per mia esperienza personale, che mi ha causato il provare antipatia per gli avidi di voti).
No scusate...non è questo che intendevo (lo so che questa cosa è partita da me e che non dovevo lasciarvi andare a ruota libera senza correggere, ma i topic di Approdo sono così). Vi state impelagando in un discorso sul merito che nel mercato di oggi vale poco:
'si sceglie il più giovane a parità di confusione' non significa 'è più giovane, ci ha messo di meno a finire l'università, quindi è più bravo e lo preferisco'.
Magari!
Significa, letteralmente, 'rientra nella fascia di età, fosse anche per un giorno solo nel momento in cui lo assumo, per cui posso chiedere gli sconti formazione'
Anche se non è laureato, per esempio, rispetto ad uno laureato con un paio di mesi di più.
Il tutto rientra nel discorso delle aziende che non cercano (e non danno) professionalità, a parte quelle molto grandi forse, ma cercano di risparmiare in ogni modo possibile.
Ovviamente, un uomo non ti chiederà mai la maternità, quindi ci si guadagna di sicuro. Tutto qui.
Eppure le aziende non chiedono "per quale tipo di lavoro ci lasceresti?" oppure "consideri questo lavoro come un passaggio verso posti migliori o pensi sia il lavoro della tua vita?", mentre la prima cosa che chiedono ad una ragazza è "sei per caso fidanzata o sposata?".A me non l'hanno mai chiesto. In compenso mi hanno chiesto se intendevo continuare la carriera agonistica perchè a loro interessava soltanto personale che restasse a lungo (due mesi e mezzo dopo me ne sono andata, per altri motivi).
Sei stata fortunata, oppure banalmente gli psicologi che tengono i colloqui hanno intuito la tua opinione in merito.
Purtroppo non va sempre così, come vedo sia dai colloqui delle persone che conosco, sia dai colloqui tenuti dall'azienda per cui lavoro.
Sei proprio certa, ripeto la domanda, che la perdita definitiva di un lavoratore per cambio lavoro sia meno onerosa per l'azienda rispetto alla perdita temporeanea per maternità?Onerosa magari no, ma è una cosa accidentale. La gravidanza è di solito qualcosa di deliberato. Quello che si sbriciola le ossa è ragionevole supporre che non avesse questa precisa intenzione quando si è legato l'elastico alla caviglia. Quella che resta incinta è probabile che ci abbia provato di proposito. Non difendo lo schema applicato dall'azienda, come ho già detto ognuno deve seguire le sue priorità nella vita, ma è comprensibile che assumere una persona che già progetta di starsene a casa pagata qualche mese sia considerata un investimento meno stabile di una che starà a casa pagata solo per sfi*a.
Allora, stiamo parlando di convenienza per l'azienda. Stiamo parlando di un colloquio di lavoro in cui un'azienda deve decidere chi assumere.
Conveniente, per un'azienda, in genere vuol dire "che costa meno". Per una buona azienda, vuol dire "che costa meno una volta fissato uno standard qualitativo minimo".
Ora, l'accidentalità o l'intenzionalità di un evento che impatto hanno su questo?
Cosa deve valutare l'azienda?
Certo, per una donna che ha come obiettivo la famiglia c'è il rischio della maternità, ma d'altra parte sarà molto meno allettata da proposte lavorative che comportino spostamenti, viaggi, trasferimenti, trasferte, turni in orari "delicati", e via dicendo. Ovvero: c'è il rischio delle assenze temporanee ma al contempo ci sono meno probabilità che cambi lavoro.
Infatti, è come dici tu che un'offerta di lavoro può arrivare a tutti indiscriminatamente, uomini e donne, desiderose di metter su famiglia o desiderose di far carriera, ma attenzione! Questo non implica che la probabilità di accettazione di un posto di lavoro siano le stesse. Questo vuol dire che non è assolutamente vero che il "rischio maternità" va semplicemente a sommarsi al "rischio concorrenza", rendendo, come tu dici, una donna-famiglia più inaffidabile per l'azienda. Invece, sono due rischi abbastanza differenti, e, ragionando a lungo termine, potrei anche arrivare a dire che la fidelizzazione all'azienda di una donna-famiglia è maggiore, perché sarà più interessata alla stabilità del suo posto attuale che al resto.
Cerchiamo di non confondere la dedizione al lavoro con la dedizione all'azienda (le famose parole da te scritte "perché sei interessato a QUEL posto, in QUELL'azienda").Forse non conosco tutti i punti di vista, per come la vedo io o l'azienda è il posto dove ti danno quello che ti serve (i soldi) in cambio della tua fatica o è il posto dove ti danno quello che vuoi (realizzazione professionale) in cambio del tuo coinvolgimento e della tua dedizione.
Per l'appunto. E perché mai il rompere questo accordo per un'offerta di lavoro migliore dovrebbe essere meno grave del romperlo per una gravidanza?
A parte che ho parlato di aborto e non di pillola del giorno dopo, le cause per abortire sono chiaramente indicate dalla legge, e non mi risulta che la carriera sia tra queste...Ok se una ha in mente la carriera magari non fa la notte brava senza le adeguate contromisure, così come chi fa uno sport agonistico non andrà a sciare freestyle se non è un esperto. L'incidente che ti rovina può avere molte forme, ma nel caso dell'aborto mi stupisce di sapere che devi fornire una motivazione fra quelle accettate dalla legge. Io abortisco perchè il figlio non lo voglio, no? E' vero che in questo caso mi frega la carriera, ma se a priori lo volevo potevo benissimo provare a salvare capra e cavoli, a rimetterci un po' di carriera in cambio di qualcosa che considero ugualmente un valore, etc... Se non lo voglio è perchè non lo considero una cosa positiva e per giunta mi distrugge ciò che dà valore alla mia vita, è una cosa esistenziale e non professionale.
Semplicemente perché vivi in un posto nel quale il figlio è considerato un valore sociale, quindi la nascita del figlio è tutelata da una legge, la 194, che stabilisce quali sono le motivazioni legali che possono consentire un aborto.
Sulla bontà o meno di questa legge, c'è un topic apposta sull'aborto, qui ho riportato solo la legislazione corrente, apposta per introdurre quanto dirò sotto.
All'estero è decisamente possibile, ma a quel punto la donna-carriera come vedrebbe tutte le agevolazioni accordate alla donna-famiglia?Imho una donna decide a priori se vuole figli. E decide a priori se vuole una carriera. Il problema si pone quando vuole entrambe. Il succo del topic mi sembra riguardi il fatto che non si dovrebbe essere obbligate a fare una scelta aut-aut. E allora perchè la donna-carriera dovrebbe curarsi di cosa viene consentito alla donna-famiglia? A ognuno quello che gli serve per realizzarsi.
Ecco, immagina che lo Stato, per il discorso di cui sopra secondo il quale i figli sono un valore, offrisse sussidi di maternità alle aziende sufficienti a rendere vantaggioso, o quantomeno non oneroso, l'inserimento in organico di donne indipendentemente dal loro desiderio di maternità.
Immagina quindi che la tua dedizione assoluta al lavoro non venisse più considerata un pregio, dal momento che sarebbe annullata dai bonus statali. Era esattamente questo il succo del discorso.
Le agevolazioni alla donna-famiglia, se esistessero, andrebbero a colmare quelli che ora sono i vantaggi personali delle donne-carriera, le quali vedrebbero le loro qualità annullate da un assegno emesso dallo Stato. Il senso della mia domanda era né più né meno che questo.
Premesso che se si abita in uno Stato in cui i figli sono un valore, chiunque condivida questo valore dovrebbe riconoscere l'utilità collettiva e sociale dello scenario da me ipotizzato, come la prenderebbe una donna-carriera dal punto di vista della realizzazione personale?
Per un azienda non c'è differenza tra un dipendente donna che si assenta per gravidanza, e un altro dipendente che prende e va a farsi il giro del mondo in canoa o si trasferisce in Giappone.
Perdere un dipendente è comunque un grave danno alla produttività, quindi mi sembra giusto che una donna dichiari al momento dell'assunzione di non avere intenzione di rimanere incinta entro un periodo medio-breve, accetti una drastica diminuzione dello stipendio nel caso si verifichi il fatto o il licenziamento nel caso fosse incinta al momento dell'assunzione.
Se per lo Stato i figli sono una risorsa, allora sia lo Stato a investire e perdere capitali in questa risorsa, e non le aziende.
Inoltre, lo scopo delle aziende è massimizzare la produzione; se il titolare dell'azienda e i suoi dipendenti si sentono a disagio con delle donne rampanti, o con degli extracomunitari, o con dei laureati super-intelligenti, questo influisce negativamente sulla produttività, creando un clima di tensione e di poca collaborazione.
Perchè non lasciamo assumere al titolare dell'azienda il dipendente che, considerata una serie numerosissima di fattori come il rapporto con altri dipendenti, fiducia, potenziali handicap (9 mesi di gravidanza), ritiene più produttivo e adatto alla sua azienda???
Se rifiuta di assumere una venticinquenne laureata ad Harvard con 18 masters e la rimpiazza con il figlio dell'assessore diplomato in ragionioneria, avrà i suoi buoni motivi.
Se ritiene che l'azienda tragga un maggiore beneficio, non vedo perchè condizionare la sua scelta...
Ora, l'accidentalità o l'intenzionalità di un evento che impatto hanno su questo?
Secondo me hanno un impatto importante. Se tu mi assumi per lavare i piatti con te e io so già che a metà ti mollo lì con le pile di tazzine da lavarti da solo, e tu devi piantare lì per andare a trovarti qualcun'altra, beh sembra che "l'ho fatto apposta" anche se ovviamente il mio obiettivo non era lasciarti nelle grane.
Se invece mi capita che qualcuno mi offre il doppio per lavare i suoi piatti... beh mica potevo saperlo che gli servisse qualcuno ora e che gli andassi bene io.
La situazione è la stessa ma l'impatto è "non l'ho fatto apposta".
Ovvero: c'è il rischio delle assenze temporanee ma al contempo ci sono meno probabilità che cambi lavoro.
Qui si gira la medaglia dall'altro lato, cioè si guarda il fatto che all'azienda di te specificamente non importa. Per quella giornalista non c'è stato problema perchè era lei che tirava l'audience e si può ben darle qualcosa se poi torna e continua a fare la regina del video, ma per la maggioranza dei lavoratori non è così. L'interesse dell'azienda è "finchè ti devo dare dei soldi, tu mi devi dare in cambio del lavoro". Se non tu allora un altro va bene uguale, ma se non sei la donna dei sogni dell'azienda meglio via che pagata per "non fare niente". Non è bello ma è così che ragionano.
E perché mai il rompere questo accordo per un'offerta di lavoro migliore dovrebbe essere meno grave del romperlo per una gravidanza?
Di per sè non è un motivo più grave, ma mentre una persona non può sapere in ottima fede se se ne andrà per un'offerta di lavoro, offrire all'azienda la propria presenza quando si sa già che verrà meno...
Semplicemente perché vivi in un posto nel quale il figlio è considerato un valore sociale
Allora la domanda sul se vuoi figli o meno dovrebbe essere proibita ai colloqui, no? E se il contratto ti scade X mesi dopo l'annuncio della gravidanza sono obbligati a rinnovartelo... Se è un valore sociale si tutela a tutti i livelli della società, non solo quando è una grana mia.
Immagina quindi che la tua dedizione assoluta al lavoro non venisse più considerata un pregio, dal momento che sarebbe annullata dai bonus statali. Era esattamente questo il succo del discorso.
Qua siamo di nuovo in Giappone, con le 12 ore di lavoro per via di straordinari e "socializzazione" obbligatorie per dimostrare dedizione. O la dedizione si trasforma in valore aggiunto o di per sè fa poco. La mia dedizione permette risultati migliori che se mi limitassi a fare bene per correttezza etica le otto ore. Se se ne ricava la stessa qualità (Giappone) è inutile. Se una donna con i figli riesce a fare i miei risultati senza andare in esaurimento nervoso, tanto di cappello.
Chiaramente in situazioni di basso valore aggiunto molte più persone che "vorrebbero ma non possono" farebbero figli, ma a chi non ne vuole la cosa non tange.
Inoltre, lo scopo delle aziende è massimizzare la produzione; se il titolare dell'azienda e i suoi dipendenti si sentono a disagio con delle donne rampanti, o con degli extracomunitari, o con dei laureati super-intelligenti, questo influisce negativamente sulla produttività, creando un clima di tensione e di poca collaborazione.
Fermifermifermi... la tensione è un PROBLEMA che l'azienda deve risolvere, perchè è una forma PATOLOGICA di relazione fra i dipendenti. Non è la norma, quella che tu chiami tensione spesso si chiama mobbing. In altre parole se una persona fa alla grande il suo lavoro (perchè è del paese extracomunitario con cui commercia, perchè ha sensibilità verso i clienti donne come lei, perchè è un genio) se qualcosa non va nell'ufficio è un problema dei dipendenti meno bravi e di un management assente. Il discorso che fai porta a una standardizzazione su livelli mediocri e sopratutto dà ragione a chi discrimina, vessa, aggredisce delle persone che in sè sono ottimali per la mansione che svolgono.
Fermifermifermi... la tensione è un PROBLEMA che l'azienda deve risolvere, perchè è una forma PATOLOGICA di relazione fra i dipendenti. Non è la norma, quella che tu chiami tensione spesso si chiama mobbing. In altre parole se una persona fa alla grande il suo lavoro (perchè è del paese extracomunitario con cui commercia, perchè ha sensibilità verso i clienti donne come lei, perchè è un genio) se qualcosa non va nell'ufficio è un problema dei dipendenti meno bravi e di un management assente. Il discorso che fai porta a una standardizzazione su livelli mediocri e sopratutto dà ragione a chi discrimina, vessa, aggredisce delle persone che in sè sono ottimali per la mansione che svolgono.
beh, se un azienda privata vuole essere mediocre, crogiolarsi nella propria insulsa mediocrità, bisogna lasciarla fare...
teoricamente dovrebbero pensarci lo stesso mercato e la libera concorrenza a eliminarla... oppure vuol dire che tanto mediocre poi non è.
Se io sono un leghista reazionario che produco pantofole nella mia bella fabbrichètta della brianza e me la faccio sotto quando vedo un albanese o una donna aggressiva, non vedo perchè dovrei farmi venire l'ulcera assumendoli e dovendo vederli ogni giorno.
Poi le medicine per l'ulcera costano, e magari è più conveniente rinunciare all'incremento del 2% di pantofole che quel geniaccio di donna mi garantirebbe, ma conservarsi lo stomaco in salute...
guarda, meno intervieni nel mercato (se non in rarissimi casi) meglio è
Il costo sociale del mobbing è altissimo, ben più alto del costo per le aziende per farlo rientrare.
Anche perchè i mobbizzatori stanno benissimo, è il mobbizzato a soffrire di depressione, ansia e a volte perfino suicidio.
"Quella babysitter ha tre lauree in puericultura e un'esperienza eccezionale, ma è troppo gracile: mio figlio è violento e la prenderebbe a mazzate". Di chi è il problema, della babysitter o del bambino?
Sul discorso della mediocrità andrebbe aperto un topic a parte, non sono molto convinta della cosa, ma per restare in tema vorrei far notare che la libertà dell'azienda di assumere chi le pare non deve danneggiare categorie intere di persone. Non può assumere solo under 24, solo uomini, solo italiani, questo perchè azienda e lavoratore convivono nella stessa società, e quello che fa lo Stato (o dovrebbe) è garantire che lo sviluppo di ciascuno sia agevolato e non leda i diritti altrui. Il diritto di una donna alla maternità e il diritto di un'azienda al profitto (o a quel che vuole) devono essere regolati. Se un'azienda non assume me è un problema mio, se non mi assume in quanto donna e potenziale assenteista per gravidanza, è un problema delle donne e quindi interviene lo Stato.
"Quella babysitter ha tre lauree in puericultura e un'esperienza eccezionale, ma è troppo gracile: mio figlio è violento e la prenderebbe a mazzate". Di chi è il problema, della babysitter o del bambino?
chiaramente della babysitter; non soddisfa la domanda del padre, che preferirebbe Vin Diesel
Se un'azienda non assume me è un problema mio, se non mi assume in quanto donna e potenziale assenteista per gravidanza, è un problema delle donne e quindi interviene lo Stato.
Se i titolari dell'aziende non assumono le donne ci sarà un motivo... mobbing, gravidanze, antipatie, omosessualità, assumo a testa o croce, non si sa e non dovrebbe nemmeno interessarci... quel che è certo è che evidentemente l'offerta di donne in carriera supera la domanda.
Se lo stato interviene, modificando gli equilibri, crea degli scompensi.
Per un azienda non c'è differenza tra un dipendente donna che si assenta per gravidanza, e un altro dipendente che prende e va a farsi il giro del mondo in canoa o si trasferisce in Giappone.
Perdere un dipendente è comunque un grave danno alla produttività, quindi mi sembra giusto che una donna dichiari al momento dell'assunzione di non avere intenzione di rimanere incinta entro un periodo medio-breve, accetti una drastica diminuzione dello stipendio nel caso si verifichi il fatto o il licenziamento nel caso fosse incinta al momento dell'assunzione.
Se per lo Stato i figli sono una risorsa, allora sia lo Stato a investire e perdere capitali in questa risorsa, e non le aziende.
Inoltre, lo scopo delle aziende è massimizzare la produzione; se il titolare dell'azienda e i suoi dipendenti si sentono a disagio con delle donne rampanti, o con degli extracomunitari, o con dei laureati super-intelligenti, questo influisce negativamente sulla produttività, creando un clima di tensione e di poca collaborazione.
Perchè non lasciamo assumere al titolare dell'azienda il dipendente che, considerata una serie numerosissima di fattori come il rapporto con altri dipendenti, fiducia, potenziali handicap (9 mesi di gravidanza), ritiene più produttivo e adatto alla sua azienda???
Se rifiuta di assumere una venticinquenne laureata ad Harvard con 18 masters e la rimpiazza con il figlio dell'assessore diplomato in ragionioneria, avrà i suoi buoni motivi.
Se ritiene che l'azienda tragga un maggiore beneficio, non vedo perchè condizionare la sua scelta...
Ma infatti sono perfettamente d'accordo con te: ho espressamente detto che lo Stato, a mio parere, dovrebbe tradurre il valore sociale della procreazione in un valore aziendale.
A quel punto sarebbe l'azienda stessa a ritenere vantaggioso, o quantomeno non dannoso, assumere una donna indipendentemente dal fatto che possa restare incinta.
Secondo me hanno un impatto importante. Se tu mi assumi per lavare i piatti con te e io so già che a metà ti mollo lì con le pile di tazzine da lavarti da solo, e tu devi piantare lì per andare a trovarti qualcun'altra, beh sembra che "l'ho fatto apposta" anche se ovviamente il mio obiettivo non era lasciarti nelle grane.
Se invece mi capita che qualcuno mi offre il doppio per lavare i suoi piatti... beh mica potevo saperlo che gli servisse qualcuno ora e che gli andassi bene io.
La situazione è la stessa ma l'impatto è "non l'ho fatto apposta".
E il "non l'ho fatto apposta" ha un risvolto economico?
Insomma, tu stai dicendo che una spesa NON programmata (cambio per un lavoro migliore) è meno impattante di una spesa programmata (posso ragionevolmente pensare che Guglielmina prenderà maternità entro due anni). Curioso...
Qui si gira la medaglia dall'altro lato, cioè si guarda il fatto che all'azienda di te specificamente non importa. Per quella giornalista non c'è stato problema perchè era lei che tirava l'audience e si può ben darle qualcosa se poi torna e continua a fare la regina del video, ma per la maggioranza dei lavoratori non è così. L'interesse dell'azienda è "finchè ti devo dare dei soldi, tu mi devi dare in cambio del lavoro". Se non tu allora un altro va bene uguale, ma se non sei la donna dei sogni dell'azienda meglio via che pagata per "non fare niente". Non è bello ma è così che ragionano.
Beh, "meglio via che pagata per non fare niente" è un po' grossolano come ragionamento.
Perché se mando via una persona anche solo con un anno di esperienza... Quella persona si sarà acclimatata all'azienda, avrà assunto competenze, avrà magari portato avanti pezzetti anche piccoli di progetto... Tutte cose che devo PAGARE per trasferire ad un nuovo assunto... :huh:
Ricapitolando, i rischi cambio lavoro e maternità raramente sono sommati, quasi sempre si escludono a vicenda; tirando le somme, non riesco a vedere tutto questo gran vantaggio economico per l'azienda nel discriminare le donne in quanto possibili portatrici di figli.
Di per sè non è un motivo più grave, ma mentre una persona non può sapere in ottima fede se se ne andrà per un'offerta di lavoro, offrire all'azienda la propria presenza quando si sa già che verrà meno...
E che gliene frega all'azienda? Se il danno economico è meno grave, non vedo quale sia il problema.
In fondo, le aziende ragionano sul profitto, come è stato detto in precedenza.
Allora la domanda sul se vuoi figli o meno dovrebbe essere proibita ai colloqui, no? E se il contratto ti scade X mesi dopo l'annuncio della gravidanza sono obbligati a rinnovartelo... Se è un valore sociale si tutela a tutti i livelli della società, non solo quando è una grana mia.
Perché dovrebbe essere proibita? :D
I contratti in scadenza devono tenere conto delle maternità, entro certi limiti. Ovvero, se una donna entra in maternità, il contratto è prolungato. Ovvio che ci sono dei tetti massimi: non è che una può sfornare figli a ripetizione per allungare indefinitamente il tempo di durata del suo contratto di lavoro. :huh:
Qua siamo di nuovo in Giappone, con le 12 ore di lavoro per via di straordinari e "socializzazione" obbligatorie per dimostrare dedizione. O la dedizione si trasforma in valore aggiunto o di per sè fa poco. La mia dedizione permette risultati migliori che se mi limitassi a fare bene per correttezza etica le otto ore. Se se ne ricava la stessa qualità (Giappone) è inutile. Se una donna con i figli riesce a fare i miei risultati senza andare in esaurimento nervoso, tanto di cappello.
Chiaramente in situazioni di basso valore aggiunto molte più persone che "vorrebbero ma non possono" farebbero figli, ma a chi non ne vuole la cosa non tange.
Appunto: se la tua qualità fosse la dedizione al lavoro, quella che ti permette di stare in ufficio 12 ore al giorno, e scoprissi che lo Stato "spunta" al tua arma agevolando le aziende che hanno donne in maternità, come la prenderesti?
Se lo stato interviene, modificando gli equilibri, crea degli scompensi.
Vero. Ma ciò, come detto prima, non è necessariamente un male. :huh:
non quoto niente, perchè sarebbe lungo, quindi dico solo la mia. ho letto delle cose che non credevo possibili, nel 2008, in tema di maternità e lavoro. ragazzi, qui ho letto post che si concentravano su un solo aspetto dell'argomento, sorvolando gli altri. in tema di maternità e lavoro bisogna guardare ogni aspetto del problema. ora,la donna che lavora, ed è sposata, è un lavoratore inaffidabile? io dico di no. ognuno può fare le scelte che vuole nella vita, ed essere un dipendente affidabile non è collegato al progetto matrimoniale o materno. un'azienda che non assuma una donna perchè tem che rimanga incinta semplicemente fa discriminazione. ciò è contro la legge, contro i diritti del lavoratore, contro ogni buonsenso e concezione di giustizia sociale. nei casi peggiori poi arriviamo allo sfruttamento, con contratti che prevedono illegalmente l'obbligo per le dipendenti di non avere figli. no, un'azienda che fa così va boicottata. la nostra costituzione garantisce libertà di affermazione della persona, libertà di impresa, di scegliere se e quando avere un figlio, e quanti averne. sono diritti inalienabili, e dunque vanno conciliati. come si conciliano? proteggendo il soggetto debole del rapporto, prima di tutto, che in qst caso è la donna, in quanto madre e lavoratrice. come si tutela la madre? garantendogli la libertà di fare un figlio quando crede, senza perdere il posto di lavoro. come si tutela la lavoratrice? garantendogli di poter andare in maternità ed usufruire di un suo diritto, ma prima ancora NON discriminandola al momento dell'assunzione (domande tipo sei sposata non solo sono di cattivo gusto, sono illegittime in quanto tendenti a valutare un requisito ulteriore che ai candidati maschi non viene chiesto. si chiama disparità di trattamento). e l'azienda? ocme si tutela? la legge prevede che il datore di lavoro, pur essendo obbligato a garantire i diritti di maternità, possa sostituire la lavoratrice, e pagare lo stipendio della donna in misura ridotta. in realtà, nemmeno serve la sostituzione, a meno che non sia necessaria. credo poi che ci siano agevolazioni fiscali per l'azienda, rapportate al numero di donne in maternità durante l'anno. a parte qst, resta fermo il principio della produttività. che non può essere esclusa ad una gravidanza. al più è ragionevole pensare che l'azienda possa procedere al licenziamento per improduttività quando la donna faccia una SERIE di materntà, legate l'una all'altra. insomma, i figli puoi farli, ma la maternità non può e non deve diventare una condizione che mini la produttività per un periodo di tempo troppo lungo.
la proprietà e l'iniziativa economica hanno una funzione sociale, ricordiamocelo, e non possono prescindere dal rispetto dei diritti umani in nome del profitto.
Ma infatti sono perfettamente d'accordo con te: ho espressamente detto che lo Stato, a mio parere, dovrebbe tradurre il valore sociale della procreazione in un valore aziendale.
A quel punto sarebbe l'azienda stessa a ritenere vantaggioso, o quantomeno non dannoso, assumere una donna indipendentemente dal fatto che possa restare incinta.
sono d'accordo.
Sarebbe anche un bell'incentivo per alzare il tasso di natalità
Non sono d'accordo manco per una virgola con Balon e Beric nell'ultimo post, ma mi sembra una fatica inutile andare avanti. E poi ho una mezza idea che finirei nel flame.
Mi limito a quotare Skie.
E perchè non sei d'accordo? Senti, io nella mia aziendaprivata assumo chi mi pare e piace. Punto. Al posto della super-laureata posso anche assumere mio figlio ritardato, se l'azienda è mia (es. delle aziende familiari)
Ci penserà il mercato a eliminarmi, non serve l'intervento dello Stato.
Un piccolo ragionamento: ci sono due industrialotti concorrenti, uno aperto ed abile e l'altro misogino e deficiente.
In un libero mercato la super-laureata si presenta dal misogino deficiente che non l'assume. Poi va da quello abile e aperto che l'assume. Grazie alle abilità della neo-laureata l'azienda fa un notevole balzo in avanti, aumenta la produttività e la qualità, e il misogino deficiente deve chiudere baracca e burattini.
Ma in un mercato controllato dallo Stato, anche se la neo-laureata è stata rifiutata dal misogino, lo Stato impone comunque al misogino di assumere la donna (quote rosa, boh... 'ste robe qui). In questo modo la neo-laureata si ritroverà a lavorare in ambiente ostile e incompetente, e non riuscirà a esprimere tutte le sue potenzialità.
inoltre l'azienda aperta e competente che l'avrebbe assunta si trova a dover rinunciare ad un prezioso grave collaboratore, con grave danno dell'azienda e dei consumatori.
Quello che mi ha dato tanto fastidio è la mancanza di una valutazione etica su questi "dati di fatto".
Siccome funziona allora va bene così? Non voglio fare esempi perchè potrebbero suonare offensivi, ma questa è la strada maestra per giustificare di tutto.
Sopratutto ci sono rimasta malissimo per questo accettare e dare ragione al mobbing.
Inoltre mi sembra veramente strano che sosteniate che l'azienda non abbia bisogno di qualità e non cerchi i talenti migliori. Io ho sempre visto e sentito il contrario. E vorrei fossero evitati i soliti strapa**osi discorsi sul fatto che sono fortunata. O è tutta la vita che sono fortunata oppure qualcosa lo so fare.
Leggevo adesso delle aziende che si fregano cervelli a vicenda nella Silicon Valley: tutti pirla o disinteressati al profitto?
Per il tuo esempio, può benissimo trattarsi di calcolo miope (tengo contento il suocero vs. faccio fare un salto di qualità all'azienda) o di malafede vera e propria (sfruttare la gente con i contratti a termine).
E' verissimo che uno cerca la persona giusta per il posto giusto, se ti serve un lavapiatti non lo cerchi sull'elenco annuale dei laureati ad Harvard. Ma non per un discorso di problema degli altri lavapiatti con lui: quello è un problema interno all'azienda che causa discriminazione di un lavoratore professionalmente valido (se sa lavare bene i piatti), e NON è accettabile. Il discorso è quello per cui si suppone che un laureato ad Harvard si sentirà sprecato, frustrato, e renderà meno bene di uno meno qualificato. E anche il fatto che c'è qualcosa che non va se un Harvard si riduce a lavare i piatti per campare.
Nel tuo esempio, che di per sè e buono, c'è un pizzico di irrealismo. Non è che per ogni misogino che ti rifiuta c'è uno aperto che ti assume. C'è la disoccupazione. E io credo che la disoccupazione alta dei migliori talenti del Paese sia una grandiosa contraddizione in termini (abbiamo una fuga dei cervelli o no?).
E poi l'ambiente di lavoro ha il dovere di permettere ai suoi dipendenti di esprimersi al meglio: non intendo garantirgli la carriera, ma permettergli di svolgere la precisa mansione per cui sono assunti in modo sereno e ottimale. L'alternativa si chiama mobbing.
Non capisco perchè tanta tutela delle donne incinte o che vogliono figli, mentre per donne in carriera, persone geniali, omosessuali etc la cosa non va bene.
Forse perchè dal punto di vista sociale la brava mamma con il pancione va bene mentre la persona indipendente mette a disagio?