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la storia segreta!
M di Morgil
creato il 30 giugno 2005

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Morgil
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Inviato il 04 agosto 2005 18:49 Autore

I Templari e Bisanzio

 

 

Al contrario di quanto si possa pensare vi furono vari rapporti tra l'Ordine del Tempio e i bizantini. In alcuni casi questi rapporti furono indiretti,poichè passarono per gli affari della Terrasanta,in altri furono diretti. Qua riportiamo due casi in cui durante il regno dell'imperatore Manuele Comneno (1120-1180),si ebbero dei contatti tra gli ambienti degli occidentali di Terrasanta,l'Ordine del Tempio e i Costantinopoli.

 

 

In quegli anni in Terrasanta si contrapponevano due famosi personaggi:uno era il giovane re di Gerusalemme,anche conosciuto come "re lebbroso",Baldovino IV. Dall'altra parte vi era un condottiero che aveva promesso la jihad contro i cristiani ed era sultano d'Egitto e Siria. Il suo nome era Yusuf ibn Ayyub Salh-al-Din meglio conosciuto come Saladino,considerato dagli stessi occidentali "specchio immacolato della cavalleria". La jihad partì nell'anno 575 dopo l'egira per i cristiani nell'anno del nostro signore 1177.

 

Inizialmente Saladino venne sconfitto ed fu costretto a ritirarsi.Ma chi,degli occidentali,visse e combattè per molti anni in Terrasanta come i Templari,sapeva che Saladino era solo un leone ritiratosi per leccarsi le ferite,ma pronto a colpire in qualsiasi momento.Vennero stipulati armistizi.Ora la situazione parrebbe semplice e regolare,ma quello che i libri di storia raramente riportano è che a distruggere i cristiani in Terrasanta non furono i saraceni,ma i cristiani stessi.Infatti le divisioni politiche avevano creato una grande situazione di tensione a Gerusalemme dove molti vedevano vicina la morte del "re lebbroso"Baldovino IV.E qui iniziarono i giochi di potere,dove naturalmente non potevano mancare i bizantini.

 

 

Tra i cavalieri più in vista a Gerusalemme ed anche uno dei più stimati cavalieri di Terrasanta,vi era un certo Baldovino d'Ibelin,figlio di ricchi feudatari francesi.Questo crociato fu catturato da Saladino,il quale richiese una somma esorbitante per il suo riscatto.Però nè in Francia,nè in tutta la Terrasanta vi erano potenti assai ricchi(tranne i Templari e forse gli Ospitalieri)che potessero riscattare lo chevalièr.Al "no" dei due ordini monastici(Templari ed Ospitalieri)Guido d'Ibelin si rivolse all'unico uomo che avesse con sè una somma simile.Quest'uomo era Manuele I Comneno,imperatore di Costantinopoli.L'imperator,credendo allora d'avere in pugno il futuro re di Gerusalemme,poichè come già detto d'Ibelin era visto di buon occhio dappertutto in Terrasanta,lo riscattò senza chiedere nulla in cambio.Di sicuro la mossa dell'imperatore sarebbe stata ragionevole se la storia avesse veramente designato d'Ibelin come re di Gerusalemme,poichè in qualche maniera egli avrebbe dovuto riscattare il debito contratto con l'Imperium Orientale:ma non fu così.Tra intrighi di corte vari dopo l'ottimo,sfortunato e giovane(morì a 24 anni) re lebbroso,successe il pessimo Guido di Lusignano.Ma questa è un'altra storia.

 

 

 

Dovete sapere che in quegli anni turbolenti per la guerra santa,signore di Antiochia era un certo Rinaldo di Chatillon.Tenetevi a mente questo nome se volete addossare a qualcuno la colpa della sconfitta cristiana di quegli anni,poichè questo è l'uomo giusto.Fu lui che riaprì le ostilità per ben due volte con Saladino nonostante i trattati di pace! Era difatti un saccheggiatore,specializzato nell'attaccare le pacifiche carovane nei pressi di Antiochia.Era mal visto dai Templari che,come vedremo,cercheranno di sbarazzarsi di lui appoggiando i bizantini.Cosa c'entrano i bizantini in questa storia?Eccovi la risposta.

 

 

Dopo essersi assicurato dei finanziamenti dal patriarca Aimery di Limoges,il quale alla fine aveva ceduto di fronte al "trattamento" di Chatillon,"trattamento" che prevedeva il patriarca legato nudo ad un palo,cosparso di miele e lasciato per un pò alle api ed al sole,il caro Rinaldo decise che era il momento di saccheggiare!Cercò a lungo l'obbiettivo,non ci dormì la notte poverino(se non ci dormì è una mia opinione,ma credo che fu così).Alla fine uscì Cipro.L'isola dei bizantini difatti prevedeva un ricco "menu" a base di chiese riccamente adornate,casse preffettoriali piene e monache da violare.E così fu.Cipro fu messa a ferro e fuoco."Aveva fatto tagliare il naso a tutti i sacerdoti cristiani(chiaramenti quelli ortodossi ndLephistas),violentare tutte le monache,saccheggiare tutte le chiese e distruggere i raccolti."Fu un lavoretto pulito e fatto in fretta.

 

 

Adesso la risposta bizantina non si fece attendere molto anzi!Manuele Comneno non tardò a mandare l'esercito bizantino verso Antiochia.Che Antiochia entrasse in guerra anche con i bizantini(come se Saladino non bastasse)era impensabile.I Templari,che odiavano giustamente Chatillon,proposero allora due soluzioni:o Rinaldo veniva consegnato all'imperator o il saccheggiatore francese,all'arrivo dell'imperatore,avrebbe dovuto "vestirsi di un sacco,cospargersi il capo di cenere e rotolare nella sabbia di fronte all'imperatore."Indovinate un pò?Manuele lo perdonò ed in cambio si fece restituire ciò ciò che era rimasto del bottino...La mia domanda ora è:si fece restituire anche i nasi mozzati ed il raccolto bruciato?

 

 

Ora scherzi a parte sono sicuro che Manuele I ebbe i suoi buoni motivi per scegliere la via più pacifica.Fattostà che grazie a Rinaldo di Chatillon nell'Anno Domini 1187 ,quando saccheggiò l'ennesima carovana, Saladino ebbe la motivazione che tanto aveva cercato per sconfiggere e scacciare i cristiani dalla Terrasanta.Almeno sino alla terza crociata dove però fu ripresa solo S.Giovanni d'Acri allora chiamata anche Tiberiade.


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Lord Lupo
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Lord Lupo
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Inviato il 05 agosto 2005 23:21

FEDERICO II E L'ISLAM

 

 

Di seguito è riportato un piccolo pezzo di Storia che - senza dubbio - pochi conoscono me che ritengo molto interessante visti anche i tempi...

 

Siamo a Lucera, provincia di Foggia, una delle città preferite di Federico II. Proprio lui tra il 1222 ed il 1223 trasferì ben 60.000 musulmani nel centro dauno, facendone uno dei centri islamici più importanti e rinomati di tutta l'Europa con tanto di moschee, harem, nonchè costumi, usanze e folklore arabo. Dopo un periodo di gloria e splendore in tutti i campi, il grande imperatore fu sconfitto dalle truppe angioine le quali dopo aver sconfitte le truppe islamiche di Federico li imprigionarono e ne uccisero circa 20.000 (secondo alcune fonti anche di più) schiacciandoli sotto gli zoccoli dei loro cavalli...


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Morgil
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Inviato il 07 agosto 2005 2:47 Autore
FEDERICO II E L'ISLAM

 

 

Siamo a Lucera, provincia di Foggia, una delle città preferite di Federico II. Proprio lui tra il 1222 ed il 1223 trasferì ben 60.000 musulmani nel centro dauno, facendone uno dei centri islamici più importanti e rinomati di tutta l'Europa con tanto di moschee, harem, nonchè costumi, usanze e folklore arabo. Dopo un periodo di gloria e splendore in tutti i campi, il grande imperatore fu sconfitto dalle truppe angioine le quali dopo aver sconfitte le truppe islamiche di Federico li imprigionarono e ne uccisero circa 20.000 (secondo alcune fonti anche di più) schiacciandoli sotto gli zoccoli dei loro cavalli...

:D

mink*a.....bello è possibile sapere qualcosa di +???


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Morgil
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Inviato il 09 agosto 2005 17:11 Autore

Giudicato d’Arborea

 

 

 

In epoca medievale nel panorama storico italiano, la Sardegna costituisce sicuramente un unicum con la sua realtà complessa, frammentata ed in gran parte sconosciuta. Infatti, mentre l’Italia e l’Europa tutta venivano travolte ed inglobate nel sistema feudale la Sardegna, ed il Giudicato di Arborea in particolare, mantenevano vive le conquiste avanzate nel diritto e nella cultura romana costituendo così un potenziale quanto eccezionale laboratorio storico. E, invece, non solo non si conoscono le pagine più belle e vive della sua storia, tra l’atro intimamente connesse con gli eventi chiave del bacino mediterraneo agli albori del I millennio, ma mentre sui manuali si continua a studiare Giustiniano e il suo Juris, Federico e la costituzione melfitana, si ignora totalmente la figura di Eleonora ed il codice civile penale e rurale da lei promulgato nel 1392: la "Carta de Logu".

 

Donna di intelligente concretezza, capace di adeguarsi alle diverse esigenze del suo stato di moglie, madre, legislatrice e sovrana, condottiera e diplomatica. Appartenne al medioevo giudicale, forse l’età più luminosa e gloriosa, perché indipendente da dominazioni straniere e con un originale sistema politico e giuridico, con istituzioni democratiche in certo modo antesignana di quelle del XX secolo. I valori tutelati dalla Carta de Logu proiettano una luce di grande modernità e democrazia in questo angolo del Mediterraneo soprattutto attraverso il confronto con la contemporanea situazione nell’Europa feudale.

 

Essi sono, infatti, l’espressione di uno stato non patrimoniale ma superindividuale, anch’esso sicuramente eccezionale per i suoi tempi. Al regno giudicale, infatti, nato attorno all’800 dai mutamenti politici ed istituzionali che causarono nell’isola la fine della dominazione bizantina deriva la sua particolarissima struttura dalla rielaborazione di forme politico-amministrative di matrice latino-bisantine. Mentre gli eventi politici e la stessa posizione geografica dell’isola causavano in un momento storico non ancora perfettamente definito l’isolamento della Sardegna da Costantinopoli, sede del governo centrale, la struttura giuridico-amministrativa nell’isola fu riorganizzata e adattata alle sue necessità e nacquero così i quattro giudicati unico esempio di entità statuali perfettamente conformate (popolo, territorio, vincolo giuridico) in cui il potere non deriva, come invece nelle altre entità statuali coeve, da entità superiori quali l’impero o il popolo.

 

 

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Arvin Sloane
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Arvin Sloane
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Inviato il 09 agosto 2005 19:26

Ho pensato che fosse doveroso postare un articolo, più una biografia, di uno dei più grandi condottieri mai esistiti :

 

NAPOLEONE BONAPARTE

 

La vita, le imprese militari e i retroscena del grande imperatore francese

Secondo figlio dell'avvocato còrso Carlo Maria Buonaparte (Napoleone muterà il cognome in Bonaparte durante la campagna d'Italia) e di Letizia Ramolino, proveniva dalla piccola nobiltà locale che aveva seguito Pasquale Paoli nella sua lotta per l'autonomia dell'isola. Frequentò il collegio militare di Brienne, nella Champagne, per poi passare alla scuola militare di Parigi, dove ottenne il grado di sottotenente d'artiglieria (1785). Condivise gli ideali di libertà e di eguaglianza della Rivoluzione francese, al cui scoppio rientrò in Corsica, ricoprendo la carica di tenente colonnello della Guardia nazionale còrsa. Quando nel 1793 la Corsica dichiarò la propria indipendenza, Napoleone, considerato patriota francese e repubblicano, dovette rifugiarsi in Francia.

 

Poco dopo, ormai pienamente convinto dell'impossibilità dell'attuazione del progetto di liberazione della Corsica, gli si presentò la sua prima occasione di farsi strada tra i ranghi dell'esercito francese poiché la popolazione del sud della Francia era insorta contro la Convenzione e i rivoltosi, appoggiati dagli inglesi e dai monarchici si erano impossessati di Lione e Marsiglia. Qualche giorno dopo anche Tolone aprì le porte agli inglesi e Parigi decise dunque di inviare il generale Carteaux per liberare la città. Ma l'operazione non ebbe ottimi risultati a causa delle scarse qualità dell'alto ufficiale e proprio in quei giorni, Napoleone, che già apparteneva alla guarnigione di Nizza, si sentì offrire dal suo amico e compatriota Saliceti il comando dell'artiglieria a Tolone. Il suo progetto per liberare la città fu chiaro fin dall'inizio e il nuovo generale Dugommier, sostituto di Carteaux, non oppose alcun freno al giovane ufficiale corso. In breve tempo conquistò il forte di Eguillette e da lì con l'artiglieria seppe aprire la strada ai soldati francesi, che il giorno dopo, entrarono vittoriosi a Tolone. Grazie alla straordinarietà dell'impresa che nasceva dalle sue innate doti tattiche, Napoleone, a soli 24 anni, venne promosso generale di brigata. In seguito alla vittoria riportata a Tolone, per Napoleone si apriva una strada tutt'altro che facile in quanto sorsero nuovi problemi politici che lo portarono alla carcerazione nel 1794 a causa di un probabile progetto liberticida organizzato con il fratello del tiranno Robespierre. Napoleone venne cancellato dall'albo dei generali e, uscito dal carcere, visse un periodo di crisi fino al 1795. Ma fu ancora una volta la rivoluzione a offrirgli "la grande occasione" poiché, approfittando della morte di Robespierre i filomonarchici parigini si erano insediati nuovamente nella Convenzione pronti a rovesciarla e ciò portò nel 1795 allo scoppio della rivolta. Intervenne allora il generale Barras che, avendo notato le speciali doti militari di Napoleone dimostrate a Tolone, non esitò ad affidargli l'incarico. Bonaparte ordinò subito ai suoi soldati di sparare sui parigini davanti alla chiesa di S. Rocco dimostrando che in lui "la voce dell'ambizione era più forte di quella della coscienza". La Convenzione era salva e i monarchici avevano subito un duro colpo, ma il maggior beneficiario di tale vittoria fu di sicuro il giovane generale di brigata che si meritò prima la nomina di generale di divisione e, dieci giorni dopo, quella di capo dell'Armata dell'Interno.

La prima campagna d'Italia

 

Nello stesso anno sposò Giuseppina di Beauharnais, vedova di un aristocratico ghigliottinato durante la Rivoluzione. Ella era stata costretta a consegnare la spada del suo defunto marito a causa dell'ordine di disarmo della popolazione parigina emanato dal direttorio, ma il giovane Napoleone, con un gesto galante, gliela fece restituire. Da qui nacque l'amore tra i due che partirono per il consueto viaggio di nozze. Ma la luna di miele durò pochi giorni in quanto Napoleone ottenne la nomina a comandante dell'armata d'Italia con l'ordine di raggiungere subito il suo posto di comando. Arrivato a destinazione Napoleone trovò una certa aria di diffidenza da parte degli altri generali come, in particolare, Augereau che aveva promesso che "con lui avrebbe usato le maniere forti". Ma il giovane Bonaparte si impose subito impartendo ordini ben precisi e perentori ai quali nessuno osò replicare tant'è che al termine della prima riunione di vertice lo stesso Augereau disse: "Questo piccolo generale corso mi ha messo paura!". Egli era diventato già l'idolo dei soldati poiché era in grado di trasmettere quella carica morale indispensabile prima della battaglia. Nel frattempo in tutta l'Europa si stava attuando una politica di alleanza con la Francia vista l'enorme potenza della Grande Armèe e sia l'Inghilterra sia la Russia di Paolo I tentarono di avviare nuove trattative con il Direttorio.

 

Perciò il nemico numero uno da sconfiggere rimaneva soltanto l'Austria e Napoleone l'attaccò senza indugiare. L'austriaco Beaulieu, generale dell'esercito avversario, fu battuto in pochi giorni dall'esercito di Napoleone, che, con metà delle truppe rispetto a quello austriache, riuscì a conquistare Nizza e la Savoia, costringendo anche i piemontesi alla resa. Pur con un esercito mal equipaggiato, Napoleone seppe far leva sullo spirito rivoluzionario e patriottico dei soldati e portò a effetto un'azione fulminea contro gli austro-piemontesi, sconfiggendoli a Cairo Montenotte, Lodi, Arcole e Rivoli, e costringendo così il Piemonte all'armistizio di Cherasco (28 aprile 1796). In seguito conquistò Modena, Reggio, Bologna e Ferrara, che riunì nella Repubblica Cispadana (15 ottobre 1796), e prese Mantova, ultima fortezza austriaca (febbraio 1797). Gli stati italiani mostrarono tutta la loro debolezza di fronte all'arrivo dei francesi anche se poco prima di quella data vi era stato, sotto la spinta del regno di Sardegna di Vittorio Amedeo III, il tentativo di formazione della prima "lega Italiana" per far fronte alle super potenze europee, ma il progetto era fallito malamente per la titubanza di alcuni stati e soprattutto del re di Napoli che rimase terrorizzato alla vista delle prime navi francesi all'orizzonte.

 

Nel frattempo gli austriaci stavano subendo dure sconfitte non solo da sud, ma anche da nord dove i generali francesi Hoche e Moreau stavano tentando di impossessarsi della riva sinistra del Reno, obiettivo sempre ambito e desiderato da Napoleone. Egli allora tentò di anticipare i colleghi e nella primavera del 1797 puntò su Vienna, ma la precarietà della situazione nel Veneto, dove gli austriaci fomentavano sollevazioni antifrancesi, lo indusse all'armistizio di Leoben (aprile 1797), poi sfociato nel trattato di Campoformio (17 ottobre 1797).

L'accordo prevedeva che l'Austria entrasse in possesso dei territori della Repubblica di Venezia, mentre la Lombardia, gran parte dell'Emilia e della Romagna e i territori della Repubblica Cispadana furono uniti nella Repubblica Cisalpina.

Ancora una volta i patrioti italiani rimasero ampiamente delusi poiché i loro sogni e i loro sforzi per la nascita di un'Italia unita erano infranti e con essi il principio di libertà e sovranità popolare affermatosi durante la Rivoluzione Francese.

 

In seguito le truppe francesi invasero il Lazio e occuparono Roma, fondando la Repubblica Romana (15 febbraio 1798). Più tardi venne proclamata (il 23 gennaio 1799) dai giacobini napoletani la Repubblica Partenopea che durò soltanto pochi mesi. Il territorio fu presto riconquistato dal re Ferdinando di Borbone, aiutato dalla flotta inglese e dalle bande di contadini sanfedisti assoldate dal cardinale Fabrizio Ruffo. L'ultimo problema lo forniva Genova nella quale Napoleone tentò di favorire la crescita di un forte partito giacobino e, visto che il progetto fallì amaramente, al generale non rimase altro che imporre con la forza una costituzione che in realtà mascherava il protettorato francese.

 

Come si legge in alcuni documenti storici il progetto di Napoleone era molto profondo: "Voleva stringere nelle proprie vele il vento impetuoso del movimento nazionale italiano, aveva in animo di utilizzare gli entusiasmi dei patrioti per costruire il sistema delle repubbliche sorelle e satelliti". Tutto ciò avvenne ancora una volta, come durante il dominio dell'ancien regime, a discapito dei patrioti italiani poiché i popoli erano ancora merce di scambio tra i potenti della terra e l'obiettivo principale del Direttorio rimaneva sempre quello di espandere i territori francesi in quelle regioni nelle quali esisteva una forza politica in grado di trasformarle in "repubbliche sorelle".

 

Fu proclamata il 27 dicembre 1796 dai deputati delle città di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, riuniti a Reggio Emilia per decisione di Napoleone. In quella circostanza fu adottato come bandiera il tricolore (verde, bianco e rosso). Nel congresso di Modena (21 gennaio 1797), a cui parteciparono anche deputati di Massa, Carrara e Imola, fu approvata la costituzione sul modello di quella francese del 1795, e deliberata la formazione del governo.

 

 

Tuttavia Napoleone avvertiva una certa aria di diffidenza nelle autorità governative e propose allora una nuova impresa: la conquista dell'Egitto. Tale impresa aveva il pretesto di distruggere la potente armata inglese sia militarmente sia economicamente tagliando il passaggio obbligato verso la colonia indiana. Giunto in Egitto attaccò l'armata dei mamelucchi e la vinse in poche ore di combattimento; nel mentre, però, il comandante inglese Nelson distruggeva la flotta francese giunta in Egitto, rendendo così "prigioniero" Napoleone della sua stessa conquista. Egli allora seppe mantenere la calma anche se la situazione non era delle più rosee essendo intrappolato in Egitto e si dedicò all'organizzazione di tale stato, ma, quando venne a sapere dell'intenzione turca di portare un attacco proprio in Egitto, decise di compiere una missione militare in Siria che durò circa un anno, senza un esito definitivo. Al termine della battaglia le decimate truppe francesi furono in grado di tornare in Egitto e di vincere, sotto il comando di Napoleone, le armate Turche che si erano messe subito all'inseguimento dell'esercito Francese.

 

Spetta alla spedizione di Bonaparte nel 1798 la gloria della riscoperta dell'Egitto. Le ripercussioni culturali di quest'avventura hanno assai più vasto successo che i suoi successi militari e lo stesso Bonaparte promosse fortemente tale spedizione, probabilmente per accrescere la sua fama. La fondazione di archeologi creata sarà di grande importanza sia per la scoperta dell'antico Egitto sia per lo sviluppo delle popolazioni arabe; il primo successo importante arriva dalla scoperta della "stele di Rosetta" da parte di un anonimo soldato. Tale stele riporta tre scritture: una in corsivo tardo antico, una in geroglifico e una in greco: è stato facile così decifrare finalmente il geroglifico.

 

Certamente Napoleone non si accontentava delle pure scoperte archeologiche, ma colse l'occasione per pubblicare diverse opere riguardanti la campagne d'Egitto tra le quali la più importante è "la descrizione dell'Egitto" che riporta anche numerose cartine e illustrazioni dell'impresa napoleonica; purtroppo per l'imperatore tale opera verrà pubblicata soltanto nel 1822, un anno dopo la sua morte.

 

L'avventura egiziana però fu presto interrotta. Lentamente i filomonarchici parigini prendevano sempre più piede in Francia e durante l'elezione del marzo-aprile 1797 conquistarono la maggioranza nel consiglio degli Anziani e nel Consiglio dei Cinquecento intenti a restaurare un regime di semi-monarchia. Inoltre a Parigi erano sorti problemi nuovi. I parigini, che con il sangue della rivoluzione avevano voluto fondare una nuova Francia, si trovano a combattere contro il comportamento corrotto e negativo tenuto dai capi del Direttorio: Sieyès, Ducos, Barras, Moulin e Gohier. Napoleone tornato in Francia, vedendo la possibilità di iniziare la sua scalata al potere, si alleò con Sieyès e Ducos, Barras si dimise e gli altri due capi del direttorio rimasero così in minoranza. Il suo progetto era chiaro ed inquietante. Infatti, egli fin dall'inizio aveva mostrato il desiderio di imporre il suo comando personale in Francia e addirittura, al contrario dei monarchici, non era propenso a sviluppare alcuna politica di pace.

 

I tre alleati decisero più tardi di comune accordo di trasferire la sede del direttorio fuori Parigi per evitare interventi di carattere popolare. Da questo momento in poi la strada per il colpo di stato era pronta. Il consiglio dei Cinquecento non vedeva di buon occhio Napoleone, dopo un tentativo di pestaggio nei suoi confronti e nonostante stessero votando per un procedimento giudiziario a suo carico, il giovane generale, con l'appoggio del fratello che aveva il compito di simulare un attentato nei sui confronti così da sollevare una rivolta militare, riuscì a scacciare i cinquecento rappresentanti francesi e a fondare una sorta di triunvirato con i suoi due sostenitori, anche se, poco dopo, si fece eleggere Primo Console in assoluto, velando la presenza di Ducos e Seyes. Venne modificata di proposito la costituzione repubblicana, detta dell'anno VIII, che assegnò il potere esecutivo ad un Consolato, mentre quello legislativo fu assicurato alla ricca borghesia attraverso un macchinoso sistema di organi rappresentativi; si tornò ad un apparato statale accentratore. La Repubblica, dopo aver rinnegato con il colpo di stato il principio del governo rappresentativo e democratico, entrava risolutamente, su piano internazionale, sulla via dell'imperialismo e calpestava "il diritto dei popoli di decidere di se stessi", che essa aveva solennemente affermato nel 1790.

 

Napoleone è tra i primi a capire l'importanza della stampa come strumento di governo e arma da guerra. La massima attenzione viene da lui dedicata ai giornali, probabilmente perché fin da giovanissimo è stato testimone dell'enorme efficacia della stampa in epoca rivoluzionaria. Fin dalle prime campagne, Bonaparte ha cura che escano giornali destinati alle sue truppe, ma anche ai nuovi paesi occupati e, persino, alle popolazioni arabe d'Egitto. Napoleone attua una fortissima censura nei confronti della stampa e nel 1800 fa chiudere più di cinquanta redazioni giornalistiche soltanto a Parigi, mentre sulle rimanenti esercita un forte controllo attento a non far diffondere alcuna idea rivolta contro la repubblica o contro i paesi alleati.

 

La "cultura" del giornale diventa per Napoleone un punto di forza della sua politica tant'è che rende obbligatoria la lettura del Moniteur, bollettino ufficiale dell'imperatore, nelle scuole superiori. In questo giornale sono contenute le parole dirette di Napoleone che spesso si celava dietro l'anonimato e i bollettini ufficiali di guerra nei quali si minimizzavano le sconfitte e si ingigantivano le vittorie.

Ma la politica di diffusione della cultura non riguarda solo i giornali, ma anche il teatro che subisce una drastica riduzione di spettacoli, a causa del loro negativo effetto sulla figura dell'imperatore o della Francia. Napoleone attua così una vera e propria campagna pubblicitaria favorendo ogni forma di manifestazione culturale in suo onore e censurando drasticamente le altre.

 

Napoleone non abbandonò però la politica internazionale. Gli Austriaci costituivano ancora un forte pericolo soprattutto in Italia dove avevano ancora il controllo di buona parte della pianura padana. La seconda campagna d'Italia, durata soltanto due mesi, portò alla sconfitta austriaca e alla conquista definitiva del nord Italia da parte della Francia. I nemici attendevano l'esercito napoleonico al passo del Cenisio, ma il generale si rese subito protagonista di una storica impresa sorprendendo tutti nel passare attraverso il valico del San Bernardo. Nella discesa in Italia il potentissimo forte di Bard venne costretto alla resa, improvvisando per fanteria e cavalleria un piccolissimo passaggio attraverso un sentiero scavato nella roccia che aggirava le posizioni. Per l'artiglieria attese la notte e mosse i cannoni solo dopo aver ricoperto le loro ruote con la paglia per non creare rumori sospetti. L'attacco a sorpresa fu l'arma vincente.

 

Entrò poi a Milano ed in seguito si diresse verso Marengo dove ebbe luogo lo scontro decisivo con gli Austriaci. Fu uno scontro incerto e sanguinoso e alle ore tre del pomeriggio del 14 giugno del 1800 Napoleone sembrava aver perso, ma l'intervento immediato e risolutore del generale Desaix cambiò il volto della battaglia essendo arrivato direttamente da Parigi con forze fresche. Così il comandante Austrico, che era già partito per Alessandria a dare la notizia della vittoria austriaca, dovette tornare indietro ad assistere impotente alla disfatta. Il valoroso e decisivo Generale Desaix venne ferito a morte durante gli scontri e le sue ultime parole, rivolte al primo Console Napoleone, rimpiangevano il fatto di aver agito troppo poco per passare alla storia della Francia.

 

L'obbiettivo di Napoleone non era soltanto quello di distruggere l'Austria. Infatti, con l'appoggio del Direttorio l'esercito francese conquistò Roma, considerata da sempre un punto nevralgico se "si voleva rendere vassalla l'Italia". L'altro obiettivo fu poi la Svizzera che in poco tempo venne posta sotto il controllo dell'esercito francese e le sue istituzioni aristocratiche presenti nei cantoni vennero eliminate.

 

Napoleone non è solo una "macchina da guerra" è anche un abile politico come ha dimostrato al rientro dalla seconda campagna d'Italia. Prima di partire aveva emanato una circolare con la quale dichiarava: "Il Governo non vuole più, non riconosce più i partiti: vede in Francia soltanto i francesi". In base a queste parole sviluppò le sue azioni successive e proprio nel periodo compreso tra l'elezione a console ed il 1804, data in cui venne promulgata la costituzione imperiale, egli riuscì ad esprimere il meglio di se stesso da un punto di vista politico. Sulla base della brutta esperienza di Luigi XIV, che aveva sempre davanti agli occhi, Napoleone seppe ascoltare i consigli degli uomini che avevano amministrato lo stato durante la rivoluzione che di certo, come ammetteva lo stesso Bonaparte, "ne sapevano più di lui". Con il consenso del consiglio di Stato, l'organo più attivo durante il nuovo regime, Napoleone promulgò il Codice civile che sanciva la scomparsa della aristocrazia feudale e garantiva la libertà personale, l'uguaglianza davanti alla legge, la laicità dello stato, la libertà di coscienza e la libertà di lavoro.

 

Tuttavia il governo di Napoleone risultava sempre più impopolare e non era più sostenuto né dagli aristocratici né dai giacobini, mentre la borghesia non vedeva di buon occhio il nuovo Direttorio poiché favoriva "scandalosi" guadagni ottenuti con la guerra e non assicurava una pace in grado di accrescere le sue possibilità di commercio. In seguito alle elezioni del 1798 nelle quali vinsero i giacobini, il governo fu ancora una volta costretto al colpo di stato annullando l'elezione di 98 deputati giacobini e testimoniando così che il Direttorio era soltanto una maschera dietro la quale si celava il regime autoritario di Napoleone.

 

 

Esso è stato redatto dalla borghesia, vale a dire da una classe possedinte e ricca che analizzava tutti gli aspetti della vita, e ciò è evidente anche nel codice, sotto l'angolo visuale della proprietà come diritto assoluto, indiscutibile, inviolabile e sacro.

Proprietà privata: consacra l'abolizione del feudalesimo e l'affrancamento della terra esaltando la proprietà fondiaria.

 

Organizzazione della famiglia: ribadisce la secolarizzazione del matrimonio e del divorzio. Per quanto riguarda la figura della donna il codice compie un enorme passo indietro poiché la considera direttamente ed incondizionatamente subordinata al marito, non può percepire stipendio ed non ha alcun diritto di chiedere la separazione dei beni. Era scomparso il principio rivoluzionario di eguaglianza.

 

Napoleone avverte a questo punto che il piano riorganizzativo dello stato francese abbisognava non solo di armi e di abilità politica, ma anche di quell'elemento che Machiavelli chiamava "forte collante per le coscienze popolari": la religione. La rivoluzione aveva rotto i buoni rapporti con la Santa sede romana a causa di sospetti legami con la monarchia francese. Anche Bonaparte, durante la prima campagna d'Italia era stato molto duro con il Vaticano, sottraendogli numerosi territori, tra i quali Avignone, e permettendo che Papa Pio VI morisse in carcere come un prigioniero. Ma l'abile statista si accorse che i rapporti con il cattolicesimo andavano ristabiliti, altrimenti le coscienze umane sarebbero diventate un imbattibile nemico e avrebbero ostacolato le sue azioni. Inviò, allora, suo fratello Giuseppe come ambasciatore alla Santa sede per tentare di raggiungere un concordato. Le operazioni furono lunghe, ma, dopo due mesi, si giunse ad un accordo: il Concordato del 1801. In seguito il documento venne presentato alle Assemblee per l'approvazione e, nel 1802 per testimoniare la pace raggiunta tra Stato Francese e Chiesa Cattolica, Napoleone presenziò alla S. Messa nella cattedrale gotica di Notre Dame celebrata alla presenza di venti vescovi con la partecipazione del legato del Pontefice, Cardinale Caprara. L'importanza ed il motivo di tale azione da parte di Napoleone si può riassumere con le sue stesse parole: "Una società senza religione è come un vascello senza bussola."

 

Questo patto fu l'Accordo concluso tra Napoleone Bonaparte, primo console, e papa Pio VII allo scopo di regolare i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica in Francia e di riportare la pace religiosa nel paese dopo la crisi seguita alla Rivoluzione. In base ad esso lo Stato riconosceva il cattolicesimo come la "religione della maggioranza dei francesi" e consentiva il ristabilimento dell'autorità pontificia in Francia. Lo Stato francese si riservava la facoltà di nominare i vescovi e di provvedere al mantenimento del clero, mentre il papa manteneva il potere di consacrare i vescovi e rinunciava alle proprietà della Chiesa confiscate durante la Rivoluzione.

 

Ormai la strada verso il potere era spianata. Lo sfarzo di cui Napoleone si circondava a corte era gradito dal popolo dopo anni di carestie e miserie. Il Senato lo nominò prima Console per dieci anni e, poco dopo, Console a vita. I suoi nemici a questo punto tentarono di giocarsi le ultime carte, ma il principale cospiratore, il duca di Condè, fallì il colpo di stato e a farci le spese fu un suo lontano parente, il duca di Enghien. La fucilazione del giovane duca aveva evidenziato i moti cospiratori alla spalle del Console, il quale acquistò così sempre più potere. Nel 1804 il senato, dopo una lunga riunione, decise di affidare il comando della repubblica Francese a Napoleone Bonaparte, imperatore ereditario, che venne riconosciuto tale anche dalla rinnovata Costituzione francese. Dopo il successo riscosso in patria ed al termine del suo giro in Europa, Napoleone "invitò" (costrinse) il papa a giungere a Parigi per essere incoronato ufficialmente imperatore dei francesi. Il piccolo Corso era fiero di superare l'esempio di Carlo Magno, il quale si era dovuto recare a Roma per ricevere l'incoronazione, mentre, in questo caso, fu il Papa ad andare a Parigi. I preparativi furono molto lunghi perché bisognava allestire "il più grande spettacolo della storia". Ci fu un attimo di suspance quando il Papa venne a sapere del matrimonio civile di Napoleone con Giuseppina, per cui i due dovettero ricevere la consacrazione religiosa in fretta e furia. Quando tutta la coreografia fu pronta il Papa diede inizio ad un'interminabile funzione religiosa che portò alle ore 19 del 2 dicembre del 1804 alla consacrazione del titolo Imperiale di Napoleone. Al termine della S. Messa napoleone si ritirò nelle sue stanze private e per alcune settimane dovette sottostare (atteggiamento che non gli era familiare) agli sfarzosi festeggiamenti organizzati da Giuseppina, la quale aveva perso letteralmente la testa per la nomina ad imperatrice.

 

Sostenuto dagli elementi più filomonarchici del suo apparato, riprese la politica centralizzatrice dell'Ancien Régime: rafforzò la burocrazia sia a livello nazionale sia a livello dipartimentale, individuando nella figura del prefetto, posto a capo del dipartimento, l'elemento fondamentale a garanzia dell'accentramento; semplificò il sistema giudiziario e riorganizzò il sistema scolastico con particolare attenzione alla scuola secondaria (fondamentale fu la nascita del liceo, che doveva formare la futura classe dirigente) e all'università.

 

L'opera sociopolitica di Napoleone continua anche in campo religioso. Nel 1806 viene posto in circolo nella diocesi di Francia un "Catechismo comune" secondo il quale tra i doveri del buon cristiano doveva esserci anche l'amore di patria, il pagamento dei tributi, il servizio militare e l'obbedienza al trono di Francia. Napoleone deve essere servito e onorato come Dio e chi non attende a codesto servizio è destinato alla dannazione eterna. In omaggio del dittatore, addirittura venne inserito nell'almanacco la festa di S. Napoleone, nome assente negli Acta Sanctorum. Il qual disguido genera lo stupore dei fedeli, anche se venne prontamente smorzato dagli abili collaboratori dell'imperatore che ritrovarono tale nome in un ufficiale romano martirizzato all'epoca di Diocleziano, la cui immagine apparì ben presto su tutte le vetrate delle più importanti strutture. Il compleanno di Napoleone, 15 Agosto, oscurò la festa dell'Assunzione di Maria, mentre la festa pagana della presa della Bastiglia venne sostituita da San Napoleone.

 

Napoleone non perse di vista però i suoi obiettivi militare e proprio in questo periodo partorì l'idea dell'invasione dell'Inghilterra. Nonostante le numerose forze spiegate lungo il Canale della Manica, a causa del cattivo risultato dell'operazione navale dal generale Villeneuve chiuso a Cadice dall'astuto generale inglese Nelson, il progetto fallì ancor prima di cominciare perché la flotta inglese comandata da Nelson era troppo forte per consentire lo sbarco dei Francesi nel sud dell'Inghilterra. Napoleone non si perse d'animo e concentrò le sue forze contro la nuova coalizione anti-francese capeggiata dall'Austria. Il genio tattico dell'imperatore era basato soprattutto sulla velocità di spostamento delle truppe che ben presto si diressero verso il fronte austriaco proprio nel momento in cui giunse la notizia della sconfitta della flotta francese di Villeneuve a Trafalgar, poco lontano da Cadice nella quale perse la vita anche il valoroso generale inglese Nelson che aveva già causato grossi problemi a Napoleone.

 

Superato lo spavento momentaneo, l'imperatore seppe organizzare la campagna del 1805 che costituisce il suo capolavoro tattico. Avendo compreso che l'Italia settentrionale era per l'Austria un territorio di vitale importanza strategica, Napoleone vi inviò Massena, il migliore dei suoi marescialli, ordinandogli di assumere una condotta offensiva malgrado disponesse della metà dell'esercito austriaco. Riuscì così ad inchiodare le forze nemiche e a catturare 50000 soldati in Baviera. Poi riuscì ad attirare il rimanente esercito austriaco in un territorio di battaglia presso Austerliz, che il grande generale aveva già studiato. All'inizio degli scontri l'esercito francese si dispose sulla difensiva invogliando i Russi ed Austriaci ad attaccare e a tentare di circondare la Grand Armèe disposta sull'altopiano del Pratzen. Ma proprio quando gli avversari sembravano avessero la meglio, Napoleone ordinò l'attacco e l'annientamento del nemico con il grosso delle truppe e, in breve tempo lo costrinse alla resa. Dalla vittoria di Napoleone nacque la "pace imperiale" che ridisegnò la mappa Europea. Ma i suoi limiti di statista vennero subito a galla: con lo smembramento della Prussia ed il fatto di aver stimolato la nascita del nazionalismo tedesco e con la nascita di un blocco continentale, avrebbe perso i titubanti alleati che gli rimanevano; con la repressione ideologica effettuata in particolare modo in Spagna si sarebbe inimicato grandi pensatori ed intellettuali.

 

La vittoria degli alleati ad Austerliz non sarebbe stata affatto possibile, anzi, a detta di numerosi specialisti, se l'attacco a sud fosse stato portato con meno truppe il primo attacco sul Pratzen sarebbe stato respinto. La battaglia sarebbe stata decisa dal logoramento più che dalla manovra ed, in quel caso, i 3000 cannoni degli alleati avrebbero avuto un peso contro i valorosi combattenti francesi. La vittoria degli alleati si sarebbe potuta verificare soltanto nel settore meridionale e l'Imperatore, in questo caso, avrebbe dovuto affrontare, subito dopo la sconfitta, gravi problemi come l'entrata in guerra della Prussia al fianco degli Alleati.

 

Dalla vittoria di Austerliz emerse un esercito francese altamente galvanizzato dalle vittorie e presto avrebbe combattuto con l'esercito Prussiano. In Europa, dopo la sconfitta austriaca si credette in lungo periodo di pace, ma l'idea di Federico Guglielmo III, re di Prussia, di attaccare la Francia, suscitò l'ira di Napoleone che in poco tempo rase totalmente al suolo l'esercito Prussiano a Jena. I dati parlano chiaro: 30000 tra feriti e morti, 35000 prigionieri tra cui 30 generali prussiani e 300 pezzi di artiglieria conquistati. Napoleone poté marciare trionfante da Weimar a Berlino distruggendo ogni ricordo di sconfitte francesi subite a causa dei prussiani nel corso della storia; però, l'obiettivo principale nella testa dell'imperatore rimaneva sempre l'Inghilterra che fu costretta a subire il Blocco continentale emanato dallo stesso Bonaparte direttamente da Berlino. Convinto di aver posto un grosso freno alla potenza Inglese con il Blocco, Napoleone si dedicò all'incognita Russia. Nonostante il primo tentativo di attacco fallì malamente con "un inutile macello" a causa delle pessime condizioni meteorologiche, al secondo attacco la macchina da guerra francese non fallì e riuscì a distruggere il 14 giugno 1807 alle ore 22.00 l'esercito dello Zar Alessandro a Friedland. Ma l'abilità diplomatica dello Zar riuscì ad addolcire Napoleone nel firmare il trattato di Tilsit, che era favorevole ad entrambe le nazioni. Chi ha fatto le spese di queste veloci e ripetute battaglie dell'esercito napoleonico fu la sconfitta Prussia che, oltre a rimborsare economicamente le spese della guerra, dovette cedere parte dei suoi territori che vennero divisi in granducato di Varsavia e regno di Vestfalia.

 

I problemi per Napoleone non erano finiti. Sistemato l'est e il centro Europa, l'esercito francese si concentrò sulla penisola iberica a causa del fatto che i ribelli spagnoli e portoghesi decisero di non aderire al Blocco continentale perché ciò avrebbe danneggiato anche la loro economia. Presto il Generale Junot venne inviato a conquistare Lisbona, mentre il re di Spagna Ferdinando VII veniva destituito in favore del fratello di Napoleone, Giuseppe. La rivolta popolare degli spagnoli "nel nome di Cristo e del re Ferdinado" non si fece attendere e nella giornata del Dos de Mayo a Madrid tutta la popolazione insorse contro l'esercito francese prendendolo molte volte di sorpresa come accadde ai 20000 uomini di Dupont che furono costretti alla resa. Stessa sorte per Junot in Portogallo, costretto a firmare la convenzione di Cintrab che sanciva la sconfitta francese fino all'arrivo della Grande Armèe guidata da Napoleone che, non senza difficoltà, conquistò Madrid e Saragozza, ma non fu in grado di sedare completamente le insurrezione appoggiate, tra l'altro, dall'Inghilterra. Tali tumulti stimolarono anche il tentativo di rivincita dell'Austria che dichiarò guerra al decimato esercito francese che fu comunque in grado di sostenere la battaglia e di dirigersi verso Vienna. Tuttavia il progetto di conquistare la riva opposta del Danubio fallì duramente e l'invincibile esercito francese dovette constatare il fatto di essere "battibile". Dopo la sconfitta di Essling, l'Imperatore non si diede per vinto e tra il 4 ed il 6 Luglio 1809 ordinò il passaggio del Danubio su ponti di fortuna. Giunto a Wagram, Napoleone diresse in prima persona le operazioni nella battaglia decisiva contro l'Austria che fu presto annientata e costretta a chiedere al pace. Il 14 ottobre a Vienna venne firmato l'accordo con il quale l'Austria avrebbe rispettato il blocco continentale, avrebbe ceduto alla Francia la Carinzia, la Carnia e la Croazia e non avrebbe tenuto un esercito superiore alle 150000 unità. La Francia era ora il più grande stato dai tempi di Carlo V.

 

Napoleone però, dovette per un momento abbandonare le sue imprese militari e dedicarsi nuovamente ai rapporti con la Santa Sede. Dopo che l'Imperatore aveva conquistato Ancona ed aveva sottratto numerosi territori dello stato Pontificio, Papa Pio VII cominciò a non vedere di buon occhio Napoleone il quale lo costrinse anche a rispettare il blocco continentale. Al rifiuto del Papa la Francia rispose con la conquista di Roma e l'arresto di Pio VII che venne portato nel carcere di Savona, anche se ciò costò a Bonaparte la scomunica. Più tardi si tentò comunque di ristabilire i buoni rapporti e si giunse al secondo Concordato il 25 gennaio del 1812 ed, un anno più tardi, Pio VII tornò in Vaticano.

 

Al termine di tanti problemi, dopo aver ripudiato Giuseppina e aver sposato Maria Luisa d'Austria, a Napoleone mancava soltanto un erede maschio per consolidare il suo potere. In un clima di enorme festa in tutta la Francia il 20 Marzo del 1811 nacque il sogno di Napoleone: suo figlio, re di Roma.

 

Ma la festa durò poco. Il nemico Russo guidato da Alessandro si faceva sempre più minaccioso. L'imperatore decise allora di infliggere ai Russi una dura sconfitta e per far ciò partì con mezzo milione di uomini. Il 23 Giugno 1812 cominciò la battaglia, ma il nemico non si fece incontro ritirandosi nell'entroterra russo. Il 5 settembre al sorgere del sole napoleone disse: "ecco il sole di Austerliz", ma questa volta lo aveva contro, svelando ai russi gli obiettivi francesi. Alla fine però Napoleone vinse sulla Moscova, anche se dato il numero di perdite e la condizione dell'esercito, tale azione militare somigliasse maggiormente ad una sconfitta. La Grande Armèe entrò a Mosca dove contava di trovare rifornimenti, ma trovò soltanto fiamme e fumo perché per la mentalità russa c'era "solo terra bruciata per l'invasore". Dopo aver tentato di giungere ad un accordo Napoleone, chiuso in un pericolosissima morsa dal generale Inverno, si vide costretto ad ordinare la ritirata per non perdere anche il controllo dell'Europa. In Russia Napoleone cominciò pensare tra i saloni del Cremlino che l'essere vincitore prigioniero del nemico vinto fosse l'inizio della fine. Infatti anche la ritirata fu un ecatombe, descritta così dal conte Rochechouart agli ordini dell'esercito russo: "mi trovavo sul posto dove l'esercito Francese aveva passato la Beresina. Nulla avrebbe potuto essere più straziante. Si vedevano montagne di cadaveri di tutte le armi e di diverse nazioni, che giacevano ancor lì gelati, schiacciati dai fuggiaschi e finiti dalla mitraglia russa".

 

Dopo la sconfitta dell'esercito francese Parigi era diventata l'obiettivo principale di Russia, Prussia, Austria, Inghilterra e Svezia. Napoleone dovette riorganizzare un esercito costituito, per la maggior parte da ragazzi ventenni i quali si videro costretti ad affrontare il nemico a Weissenfels e a Luzten. Nonostante i "Maria Luisa", nome dato al nuovo esercito francese in onore dell'imperatrice, si fosse comportato valorosamente su tutti i fronti, gli scontri furono persi e Napoleone, pressato da ogni parte a causa dell'incapacità dei suoi luogotenenti che non seppero mantenere salda la vittoria di Dresda, si dichiarò sconfitto. Il 25 gennaio del 1814 alle tre del mattino Napoleone lasciò la Parigi e tentò una inutile resistenza, ma gli invasori furono presto in grado di conquistarla il 31 marzo. L'imperatrice ed il re di Roma furono costretti a rifugiarsi a Bloise, mentre Napoleone si ritirò nella sua sede di Fontainebleau per meditare una nuova marcia su Parigi con l'aiuto dei suoi generali i quali, però, gli voltarono le spalle e lo spinsero verso un'inevitabile abdicazione a favore del figlio e della moglie, il 20 aprile 1814, prime di partire per l'Elba.

 

Durante l'esilio all'Elba, l'imperatore non seppe trattenersi dal suo spirito di comando. In breve tempo riorganizzò l'isola intera stupendo gli abitanti del luogo. Nel frattempo rimaneva sempre informato su ciò che accadeva in Francia, dove la popolazione cominciava ad avere il rimpianto di Napoleone ed aveva già organizzato alcune rivolte. Logicamente, attorniato dai suoi generali fedelissimi, Bonaparte non esitò a tornare in Francia e a dirigersi verso il centro mentre, lungo il cammino, interi reggimenti si ponevano liberamente sotto il suo comando tanto da costringere il re Luigi XVIII, che dall'esilio di Napoleone aveva preso il trono di Francia, a ritirarsi senza opporre resistenza. Il vecchio imperatore era tornato al comando, ma questa volta, al contrario di quanto pensassero le altre nazioni, aveva intenti pacifici espressi esplicitamente in una sua celebre affermazione : "io sono l'imperatore dei soldati, ma anche del popolo".

 

La clamorosa fuga di Napoleone dall'Elba sorprese i capi alleati riuniti a Vienna per il congresso per la ricostruzione europea. L'imperatore venne dichiarato fuori legge e per affrontarlo venne fatta un'alleanza tra Russia, Inghilterra, Austria e Prussia. Egli allora decise di attaccare per primo sulla piana di Waterloo dove si trovò a fronteggiare l'esercito inglese di Wellington e quello prussiano di Blucher. Alle ore 11 del 18 giugno 1815 la battaglia ha inizio e dalle prime battute sembra del tutto favorevole alla Francia quando però alle ore 19 arrivava in aiuto degli inglesi il generale Blucher che in tre ore capovolse le sorti della battaglia. Napoleone è stato definitivamente sconfitto forse a causa della minoranza di uomini, forse per il tradimento del generale Bourmont o, forse, perché, in qualsiasi caso, aveva raggiunto l'apice della sua "parabole discendente".

 

Tornato in patria, la Francia gli voltò le spalle e lo costrinse all'Abdicazione in favore del figlio Napoleone II. Poco prima che Napoleone firmasse il documento il consiglio dei ministri gli aveva inviato una deputazione di cinque persone tra le quali il Vicepresidente La Fayette che disse: "Dite a Bonaparte di inviarci la sua abdicazione , altrimenti gli manderemo la sua deposizione".

 

Approfondimento: il linciaggio di Prina

Al crollo del regime napoleonico il ministro delle finanze Giuseppe Prina cadde vittima di una sommossa a Milano. Tecnico competente ed energico, Prina scontava con la vita il rancore che si era guadagnato tra la popolazione con le sue durissime misure fiscali (aveva tra l'altro ripristinato l'odiata tassa sul macinato), tese a risanare il debito pubblico e a raccogliere i fondi necessari ad alimentare un esercito, quello francese, sempre più dispendioso.

 

Il 20 aprile 1814 i milanesi presero atto del crollo del regime napoleonico massacrando uno dei suoi più qualificati esponenti, Giuseppe Prina, che era stato ministro delle Finanze per dodici anni. Quel giorno la città era stata abbandonata a se stessa: le autorità si erano dileguate, numerosi uomini politici avevano preferito mettersi in salvo con la fuga e i militari erano rimasti senza ordini. Anche al Prina era stato consigliato di abbandonare la città prima che insorgessero disordini, ma egli aveva rifiutato perché si sentiva la coscienza tranquilla. In realtà si comportò come un temerario: aveva legato il proprio nome ai provvedimenti più impopolari dell'epoca napoleonica; era a lui che si addebitavano le tasse che erano state introdotte. I milanesi lo consideravano "l'anima dannata di Napoleone".

 

La mattina di quel 20 aprile un numero insolitamente alto di contadini affluì in città e questo fu un sintomo certo che gli oppositori del regime meditavano di prendersi una rivincita. La folla cominciò con l'invadere il senato, dove si cercava di favorire il trapasso pacifico dei poteri. In realtà i senatori erano tutti legati al potere napoleonico: la gente li disperse e gettò i mobili dal palazzo fuori dalle finestre. Quando non ci fu più nulla da devastare, dalla folla scatenata si levò un grido: "Vogliamo Prina!".

 

Appena la moltitudine cominciò a tumultuare sotto le finestre del suo palazzo, a San Fedele, Prina tentò di nascondersi ma presto il portone d'ingresso fu sfondato e gli scalmanati rovistarono tutte le stanze: il ministro fu scoperto, spogliato, picchiato a sangue e poi gettato dalla finestra. Lo sventurato tentò di rialzarsi ma la folla gli si avventò contro nuovamente. Fu formato un corteo e Giuseppe Prina fu trascinato nel fango mentre continuava a essere picchiato.

Ci fu, a onor del vero, chi cercò di metter fine a quel supplizio facendo nascondere la vittima in una casa, ma i più assetati di vendetta ebbero il sopravvento e di nuovo il poveretto fu riportato per strada. Alla fine non fu più in grado di reggersi in piedi e allora lo stesero su di un'asse e lo portarono fino in piazza Cordusio, dove restò esposto al ludibrio generale. Stava agonizzando ma l'energumeno che a quel punto lo colpì sulla testa, forse con una martellata, sfondandogli il cranio, non lo fece per alleviare le sue sofferenze. Soltanto a cose fatte un reparto di soldati sopraggiunse a disperdere la folla.

 

Dopo l'abdicazione Napoleone aveva raggiunto la sua preferita residenza estiva a Malmaison, dove trascorse i suoi giorni progettando un grande ritorno o una fuga verso l'America. La decisione del governo francese si protrasse a lungo e nonostante, lui avesse avuto la possibilità di fuggire sfondando il blocco inglese, decise di consegnarsi alla corona di Inghilterra. Giunto in Inghilterra a bordo della Bellerophon, però, gli venne data la triste notizia della decisione di esiliarlo nell'isoletta di S. Elena, sperduta nell'atlantico meridionale. Dopo due mesi di viaggio a bordo della Northumberland, arrivò al porto di Jamestown e per lui e per i suoi ultimi e fedelissimi seguaci e servitori cominciò un duro periodo reso ancor più aspro dalla presenza sull'isola di un rigidissimo governatore inglese: Hudson Lowe. Dal 1816 al 1819 Napoleone ha passato tutto il suo tempo in angosciose cavalcate accompagnato sempre da un ufficiale inglese, fino a quando si ammalò gravemente e perse le forze. Pienamente convinto di riprendersi, ma dopo aver scritto il testamento per "sicurezza", il 10 aprile del 1820 l'imperatore disse: "Sono ancora abbastanza forte, il desiderio di vivere mi soffoca". Il 4 maggio riuscì ad inghiottire soltanto un po' d'acqua zuccherata. Poi una crisi di vomito. All'alba si calmò e rimase tutto il 5 maggio immobile con lo sguardo fisso. Alle 17.51 si spense e con lui morì pezzo importante di storia che riesce, ancora oggi, a trasmettere, attraverso le sue imprese militari ed il suo genio politico, tutto il suo fascino. Dopo essere stato seppellito a S. Elena nel 1821, nel 1840 il suo corpo venne riesumato per essere restituito alla Francia, e, per uno strano scherzo del destino, agli occhi di tutti, il corpo di Napoleone dopo 19 anni dalla sua morte, avvolto soltanto dall'uniforme della guardia nazionale, era intatto.

Napoleone è forse immortale?


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Inviato il 09 agosto 2005 22:31 Autore

è un romanzo!ma appena ho un minuto lo leggo!! :unsure:


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Inviato il 10 agosto 2005 0:02 Autore

IL 29 maggio di 550 anni fa nelle strade di Costantinopoli

 

Il giovane sultano Mehmet II, in sella a un cavallo bianco, guadò il lago di sangue e attraversò lo scenario spettrale della città in rovina per recarsi a Santa Sofia, la cattedrale della Divina Sapienza costruita 900 anni prima da Giustiniano. I cittadini che a centinaia si erano rifugiati sotto l''immensa cupola di Santa Sofia venivano sottoposti a inaudite violenze. Le dame dell''aristocrazia erano trascinate a piedi nudi, legate tra loro con una fune al collo, riferisce Isidoro di Kiev, in harem di militari di infimo rango. I ragazzi delle migliori famiglie venivano brutalizzati e sodomizzati, alcuni uccisi.

 

Mehmet II aveva appena vent'anni, era un grande lettore di classici persiani, greci, latini. Vedendo il massacro, racconta lo storico turco quattrocentesco Tursun Beg, rifletté sulla caducità di ogni gloria terrena e pregò Allah. Ma quando scorse uno dei suoi soldati smantellare con l'ascia l''antico pavimento di marmo della basilica, gli fermò il braccio: «Accontentati del denaro e dei prigionieri, gli edifici della Città lasciali a me». Poi il sultano salì silenzioso, in mistica contemplazione, sulla cupola di Santa Sofia: «Accanto alle rovine dell''Aya Sofya, alle costruzioni ridotte a giardini di pietra, neppure un vestibolo era rimasto in piedi». Dalla cima della cupola, scorgendo la città ridotta a macerie e deserto, il Conquistatore, narra Tursun Beg, meditò che il destino di ogni impero è cadere in rovina. Poi recitò i versi di un poeta persiano: «Il ragno fa da portinaio nel palazzo di Cosroe. / Il gufo suona la musica di guardia ne!

lla fortezza di Afrâsijâb».

 

Le macerie degli altissimi edifici di Costantinopoli contemplate da Mehmet il Conquistatore possono assumersi a simbolo visibile del primo grande scontro di civiltà fra Islam e Occidente, alla vigilia dell''evo moderno. Da quel momento la guerra dei nuovi popoli nel nome di Allah acquistò una forza d''urto senza precedenti. Se proviamo a figurarci che cosa abbia rappresentato, per il mondo di allora, la caduta di Costantinopoli del 1453, dobbiamo pensare all''effetto prodotto dalla caduta delle Twin Towers e moltiplicarlo molte volte. Bisanzio era stata la superpotenza del Medioevo. Per secoli, la sua egemonia militare, la sua forza economica, il suo prestigio erano stati paragonabili solo a quelli degli Stati Uniti di oggi. «Il dollaro del Medioevo» viene chiamato dagli storici il solido aureo bizantino. Nel 1453, il mondo assistette incredulo al crollo non solo di una città ma di una civiltà, di un primato e di un modo di vita.

 

Quella che Enea Silvio Piccolomini chiamò «la seconda morte di Omero e di Platone» avrebbe, profetizzò il Papa umanista, cambiato la geografia politica del globo. Aveva ragione. Non solo il bacino del Mediterraneo, ma quello che Fernand Braudel ha chiamato il Mediterraneo Maggiore, l'area d'irradiazione dell'impero romano e della sua più che millenaria ipòstasi bizantina, dall''Asia Minore all'Egitto, dai Balcani alla Bosnia, furono islamizzati. Non solo. Lo furono da un Islam molto diverso da quello conosciuto nei lunghi secoli di convivenza bizantina con gli arabi. Con la penetrazione dei turchi Osmanli erano entrate nel vecchio mondo una considerazione più scarsa della vita umana e un'intolleranza prima sconosciuta al grande impero multietnico. Le frontiere dell''Occidente furono percorse da un nuovo tipo di guerra, più feroce, la guerra etnica. Le popolazioni furono esposte a violenze di un genere più atroce. Ancora oggi, nella presenza islamica al centro del Mediterraneo così come in pieno Adriatico, nelle perenni collisioni delle faglie etniche da questa generate dopo l'affermazione degli Stati nazionali, l'Occidente continua a scontare la nemesi della storia per avere perso la culla della sua stessa civiltà. «Noi l'impero bizantino l'abbiamo smembrato da vivo, proprio come prescrivono i libri di cucina quando dicono: "Il coniglio deve essere spellato vivo"! Noi abbiamo pelato viva Bisanzio», ha sintetizzato Braudel.

 

Furono in effetti gli intricati conflitti commerciali e finanziari del protocapitalismo occidentale, nonché i tragici errori di valutazione del papato di Roma, della repubblica di Venezia e delle altre potenze occidentali, a permettere che Mehmet II conquistasse Costantinopoli. La straordinaria cultura bizantina si trasmise agli umanisti europei e diede vita a quello che chiamiamo il Rinascimento: in realtà l'ultima della serie di rinascenze che avevano scandito il millennio di Bisanzio. Ma l'ideologia politica e la tradizione ecclesiastica dell'impero che aveva riunito potere temporale e spirituale nella sola persona dell'imperatore si eclissarono dall'Europa dei Papi e passarono alla nascente Russia. Già dalla fine del Quattrocento si creò una sorta di cortina di ferro oltre la quale insieme all''ortodossia si perse, per cinque secoli, la memoria dello Stato in cui dai tempi di Costantino si era perpetuata l'eredità dell''impero romano.

 

È stato così che il modello della Seconda Roma sconfitta dai turchi ha continuato a persistere nella Terza Roma di Mosca, impoverendosi e degradandosi nell''isolamento e nel distacco dalla cultura occidentale. Chissà, magari Bisanzio non è veramente caduta nel XV secolo ma nel XX, quando, insieme al muro di Berlino, è crollato il sistema che ne aveva raccolto l'eredità, quando la «fuga da Bisanzio» auspicata da Josif Brodskij si è infine realizzata. Quel che è certo è che il fantasma vendicativo di una Bisanzio scheletrita e dissanguata dall'esilio totalitario si aggira ancora sull'Europa e sui suoi conflitti. Ancora oggi le zone in ebollizione e incandescenza, le faglie di attrito e le soglie di crisi del nuovo secolo appartengono, e non è un caso, al territorio su cui irradiò il suo dominio l'impero multinazionale bizantino, prolungato in quello zarista e poi sovietico. Ancora oggi, dai Balcani al Mar Nero, dal Kurdistan al Caucaso all''Asia Centrale, le ferite create dalla caduta di Costantinopoli restano aperte.


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Inviato il 10 agosto 2005 15:57 Autore

Giuliano l'Apostata

 

 

 

Nell’autunno del 355 Costanzo nominò un nuovo cesare, dopo che gli altri in varie battaglie erano deceduti, l’unico di stirpe imperiale era Flavio Claudio Giuliano cugino dell’Imperatore e conosciuto ai posteri come Giuliano l’Apostata. Suo padre Giulio Costanzo ,era il minore dei due figli che l’imperatore Costanza Cloro aveva avuto dalla seconda moglie Teodora. Una parte costretta da Costantino a vivere nell’ombra.

 

 

Nacque a Costantinopoli nel 332 come terzogenito. La madre morì durante il parto e a cinque anni assistette alla morte del padre da parte di suo cugino, trasformando il rispetto in odio verso il suo familiare. Per Costanzo (cugino di Giuliano) il giovane era solo una grande seccatura e lo spedì a Nicomedia per farlo studiare da Eusebio, e quando raggiunse gli undici anni fu spedito in Cappadocia. Nel 349 dopo aver letto tutti i testi classici e cristiani ebbe il permesso di andarsene, i sei anni successivi furono i più belli della sua vita. Li trascorse a studiare filosofia da una scuola greca ad un'altra. Il suo maestro preferito fu Libanio (il quale aveva rifiutato il cristianesimo) che portò il giovane Giuliano a dimenticare la fede cristiana e a lasciare per il culto dei suoi avi anche se dovette aspettare di esporsi fino alla sua nomina di imperatore. Gregorio di Nazianzo dice di Giuliano “ Non c’era nessun segno di solidità del carattere in quel collo stranamente disarticolato, in quelle spalle ricurve e piene di tic, in quell’occhio esaltato, dardeggiante, in quella camminata instabile, in quel modo altezzoso di esaltare il respiro dal naso prominente, in quelle ridicole smorfie del volto, in quella risata nervosa e incontrollata, in quella testa che annuiva in continuazione e in quel parlare stentato”. Sicuramente Gregorio non vedeva di buon occhio Giuliano, comunque il suo aspetto fisico non era tra i migliori e soprattutto egli era totalmente privo di ambizione, egli non avrebbe chiesto di meglio che restare ad Atene assieme ai suoi maestri e ai suoi libri, ma una convocazione dell’Imperatore non poteva rimanere disattesa e quindi dopo angosciose attese partì alla volta di Milano per essere ricevuto da Costanzo e seppe di esser diventato cesare. Gli tagliarono la barba, i capelli gli infilarono l’uniforme militare il 6 novembre fu acclamato dalle truppe riunite. Qui tutti rimasero affascinati da questa figura, Giuliano imparò in fretta, fu lui più che i suoi cauti generali a condurre la campagna lampo da Vienne fino a Colonia. Dimostrò una dote di combattente inaudita alla testa dei suoi 13000 legionari sbaragliò un esercito di 30000 franchi uccidendone 6000 contro i 247 romani. Continuò e alla fine del decennio tutti i confini furono rinsaldati e tornarono sotto il potere dei romani. Il problema si spostò ad Oriente dove Costanzo ricevette questa lettera del re di Persia : “Sapore, re dei re, fratello del Sole e della Luna, invia i suoi saluti… I vostri stessi scrittori sono testimoni che tutto il territorio fra il fiume Struma e i confini della Macedonia apparteneva un tempo ai miei antenati, mi accontenterò di ricevere la Mesopotamia e l’Armenia, che fu estorta con l’inganno a mio nonno. Vi avviso che se il mio ambasciatore tornerà a mani vuote scenderò di nuovo in campo contro di voi, con tutte le mie armate, non appena sarà finito l’inverno.” Costanzo terrorizzato mandò un messo a Parigi nel 360 sollecitando l’invio di truppe. Giuliano rischiava grosso, quasi la metà del suo esercito rischiava di partire di nuovo e lui oltretutto aveva promesso ai suoi combattenti gallici di non mandarli mai in Oriente. Non si sa bene cosa sia successo Giuliano pensava,anche se a malincuore, di rispettare le volontà dell’Imperatore, ma i suoi soldati non vollero, anzi minacciarono di ammutinarsi. Cosi l’esercito marciò verso la villa reale, allora scrive Giuliano “ Sbirciando da una finestra, pregai Giove. E mentre il tumulto si diffondeva anche nel palazzo, lo invocai di darmi un segno, ed egli lo fede, orinandomi di cedere alla volontà dell’esercito. Anche allora resistetti finchè potei, rifiutando di accettare sia l’acclamazione sia il diadema. Ma poiché da solo non poteva controllarne cosi tanti e poiché per volontà degli dei la mia risoluzione si era indebolita, intorno all’ora terza un soldato mi porse un collare e io me lo misi sul capo e rientrai a palazzo” Sembra un po’ strana come cosa, cosa erano servite dure battaglie fatte in galia per quattro anni, comunque accetto una collana d’oro posta sul suo capo da un legionario e cosi il dado fu tratto. Giuliano non marciò subito ad Oriente, informò il cugino che andò su tutte le furie. Dopo infiniti tira e molla e dopo infiniti sacrifici di buoi di tori marciò verso l’Oriente ma giunto presso Nissa (la città natale di Costantinto) gli arrivò l’informazione che suo cugino era morto e che la parte dell’esercito orientale già gli giurava fedeltà. Arrivò a Costantinopoli e segui il funerale piangendo e portando il feretro fino alla chiesa dei Santi Apostoli. Non mise più piede in una chiesa. Una volta divenuto imperatore processò tutti i collaboratori di Costanzo e ridusse all’osso la compagine amministrativa e governativa. Era ascetico al cibo e al vino. Riformò in maniera radicale il sistema portandolo alle vicine tradizioni repubblicane. La solo differenza che lo contraddistinse fu il suo paganesimo, quando era cesare dovette fingere di essere cristiano ma ora che era imperatore era libero di svelare le sue vere intenzioni religiose. Formulò delle leggi che reintroducessero il paganesimo ma non volle perseguitare i cristiani dato che i martire sembravano aiutare questa religione. Avrebbe eliminato la chiusura dei templi, richiamato i cristiani ortodossi certo che le liti tra ortodossi e ariani avrebbero minato la cristianità.

 

 

Giuliano incarnava una combinazione unica al mondo : imperatore romano, filosofo greco e mistico. Imputò tutte le colpe (corruzione,soldati poco motivati, sprechi di denaro pubblico) al cristianesimo, diceva che aveva cancellato le vecchi romano virtù come : la ragione,il dovere, l’onore e l’integrità. Ma dopo aver spostato la capitale ad Antiochia per la futura campagna contro i Persiani, si accorse viaggiando che i cristiani non erano in lotta tra loro anzi vivevano felici e quasi nessuno invece era tornato al vecchio rito pagano. Giuliano continuò nella sua politica e fu chiamato anche “macellaio” da quante bestie inumava per il rito, incredulo che il suo progetto non lo seguisse e non ci fosse la tanta voluta evoluzione verso gli antichi avi. Cosi preso dalla collera emise un decreto nel 17 giugno 362 contro i cristiani. L’effetto fu quello di impedire agli insegnanti cristiani di insegnare i classici che al tempo erano quasi tutto il curriculum scolastico. La tensione esplose al punto che il tempio di Apollo a Dafne fu dato alle fiamme, Giuliano rispose con la chiusura della Chiesa Grande di Antiochia che contribuì al martirio di moltissimi giovani. Fu davvero un giorno benevolo quando il 5 marzo 363 Giuliano parti verso l’Oriente alla testa dei suoi 90000 uomini per non tornare che nella bara.

 

 

La guerra con la Persia era una costante da ormai due secoli e mezzo, Sapore II aveva cinquantaquattro anni e ne governava da altrettanti anzi per dire la verità da quando era ancora nel grembo materno. Gibbon dice : “nel mezzo del palazzo era esposto un giaciglio reale in cui era distesa la regina : il diadema era posato nel punto in cui si supponeva si celasse il futuro erede di Artaserse, e i satrapi prostrati adoravano la maestà del loro sovrano invisibile e insensibile”. Sapore aveva espugnato la fortezza di Amida, che controllava le sorgenti del Tigri sia gli accessi per l’asia minore. Giuliano credendosi la reincarnazione di Alessandro Magno si fermò ad Aleppo e sacrificò un toro bianco a giove e ne sgozzò altrettanti in tutti i templi lungo il percorso finchè arrivò a Ctesifonte la capitale persiana. Qui c’era in assetto completo l’esercito persiano con una nuova arma gli elefanti, temutissimi dai legionari latini che non conoscevano come combatterli e il loro odore disturbava i cavalli. Giuliano risoluto guadò il fiume e ingaggiò la battaglia. I persiani persero 2500 uomini i romani solo 70. Il 29 maggio 363 la situazione era già cambiata, la capitale Ctesifonte non era espugnabile e poi il grosso dell’esercito con in testa Sapore II stava per arrivare per combattere contro i romani. Le malattie, la scarsità dei viveri, gli insetti, fecero decidere per una ritirata che cominciò il 16 Giugno. Dieci giorni dopo nei pressi di Samara i romani furono improvvisamente attaccati in forze dai persiani. Giuliano senza neppure allacciarsi l’armatura incitò i suoi a combattere e proprio mentre i persiani stavano per indietreggiare un giavellotto lo colpì al fegato. L’imperatore morì poco prima di mezzanotte e cosi vuole la leggenda, raccogliendo nell’incavo della mano il sangue che gli scorreva dalla ferita, mormorò “HAI VINTO GALILEO!”

 

 

Giuliano aveva trentun anni e aveva governato appena 19 mesi. Come imperatore era stato un fallimento. Troppe energie sprecate per restituire un culto che ormai non esisteva più a discapito di una religione che poi avrebbe invece aiutato a combattere le varie guerre contro i cosiddetti “infedeli” . Fu odiato anche dagli stessi pagani che non gli perdonavano il suo puritanesimo, e fu odiato ovviamente dai suoi sudditi cristiani. La sua sconfitta maggiore fu non la politica incauta, né la morte prematura ma l’essersi lasciato sfuggire la grandezza che forse avrebbe meritato. Pochi imperatori ebbero intelligenza unita a istruzione e cultura energia e operosità, coraggio e carisma. Purtroppo però aveva due difetti : il fanatismo religioso e la mancanza di rigore nel pensiero. Troppo indeciso, troppe invocazioni agli dei quando lui doveva prendere delle decisioni fondamentali, forse se fosse vissuto più a lungo sarebbe stato il miglior imperatore dei romani ma morì lasciandosi dietro di sé un ricordo di un giovane maldestro, visionario , che aveva tentato di cambiare il mondo e non c’era riuscito.


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Inviato il 11 agosto 2005 16:50 Autore

Maria Tudor, dramma di una “sanguinaria”

 

La storia l’ha iscritta da sempre nella galleria dei Grandi Vituperati: tanto che “scompare” di fronte alla gloria imperitura della sorella, Elisabetta I.

Maria Tudor è la protagonista di una leggenda nera che si è cristallizzata nell’appellativo tradizionale di “Sanguinaria”: e, a differenza della tragica omonima del Cinquecento, Maria Stuarda regina di Scozia, non ha nemmeno alimentato la fantasia di poeti e drammaturghi.

Proprio per le stimmate di crudeltà e per il destino di sudditanza ai “veri” protagonisti dell’epoca, però, una figura come quella della figlia primogenita di Enrico VIII può, non diremo affascinare, ma certo incuriosire. Leggendo allora la biografia che Carolly Erickson - esperta indagatrice del rapporto tra donne e potere - le dedica, si scopre un personaggio inedito, tormentato da un conflitto di coscienza, lungo tutta una vita, tra l’intima adesione alla fede cattolica in cui era stata allevata e i doveri parentali e dinastici di obbedienza al re suo padre, autore dello scisma dalla Chiesa di Roma.

VISSE MINACCIATA, REGNÒ CINQUE ANNI

Non dunque una piccola arrivista mossa dall’ambizione di ereditare il trono, ma una giovane angariata e perseguitata in ogni modo a seguito del rifiuto di schierarsi contro la madre, Caterina d’Aragona, da cui il re divorziò per sposare Anna Bolena. E che, alle pressioni psicologiche e alle minacce di violenze fisiche o addirittura del patibolo, seppe resistere con coraggio e caparbio spirito di adattamento, fino alla dissimulazione con cui accettò di sottomettersi, ma solo formalmente, alla volontà del monarca. Per di più, Maria era colta: parlava latino, francese e spagnolo, capiva abbastanza l’italiano, aveva un discreto - ma eccezionale per una donna del Cinquecento - bagaglio di nozioni di teologia, storia, letteratura. Poteva dunque argomentare con citazioni e riferimenti dotti i reiterati dinieghi a piegarsi alle imposizioni reali.

Una donna, insomma, costretta a sfidare il suo tempo: sia nelle radicate, secolari convinzioni che relegavano il sesso femminile oltre i margini dell’autorità, e non solo di quella politica - tanto che gli avversari erano convinti che lei non decidesse mai da sola, ma venisse subornata da consiglieri manovrati dall’imperiale cugino, quel Carlo V che organizzò addirittura una spedizione, fallita, per farla fuggire dall’Inghilterra; sia, d’altra parte, nelle nuove diatribe e nei conflitti sanguinosi determinati dalla crisi della Cristianità, tra Riforma luterana, sacco di Roma, “eresie” di Zwingli e Calvino e appunto lo storico “strappo” voluto da Enrico VIII con la creazione di una Chiesa nazionale inglese. Si meritò, allora, Maria Tudor l’appellativo di “Sanguinaria”? La questione va ovviamente contestualizzata. I tempi erano cupi, feroci: bastano a ricordarlo le pagine del libro che descrivono le esecuzioni precedenti l’avvento al trono di Maria, con contorno di squartamenti e altri barbari supplizi, ai danni di cortigiani accusati di tradimento, nobili caduti in disgrazia, ecclesiastici riottosi al nuovo culto imposto per legge, e la spietata repressione dei moti contadini scatenati dalle conseguenze economiche del movimento delle enclosures, le recinzioni che segnarono la privatizzazione delle proprietà terriere nell’Isola. Maria dal canto suo, durante i cinque anni di regno, dal 1553 al 1558, non fece mai mistero dell’intento di ricondurre l’Inghilterra nel seno della Chiesa di Roma e dimostrò anzi, nei primi tempi, una tendenza alla moderazione che contrastava con il fanatismo persecutorio di alcuni vescovi suoi collaboratori.

Del resto, la Erickson ricorda che l’idea di imporre con la forza - fino alla condanna al rogo - la “vera fede” contro i propalatori di false, perniciose dottrine era condivisa - e praticata - dall’Inquisizione come da tutti i leader delle confessioni protestanti.

ODIO TRA CATTOLICI E PROTESTANTI

Piuttosto, la regina non comprese quanto diffusa e radicata fosse ormai nell’Isola la penetrazione delle tesi protestanti e quanto infelice potesse rivelarsi la scelta di scegliere come sposo il figlio di Carlo V, quel Filippo di Spagna che sperava solo, con la nascita di un erede cattolico, di assumere il pieno controllo degli affari di governo, quasi la corona fosse uno dei tanti beni dotali passati in sua proprietà per effetto del matrimonio: e che delle qualità politiche della moglie, salita sul trono per propria determinazione, malgrado tante fosche previsioni contrarie, non era né convinto né rispettoso. Senza contare che, sullo sfondo, si stagliava la figura di Elisabetta, l’odiata figlia di Anna Bolena, che di aderire al credo “papista” non voleva davvero saperne.

Le repressioni sotto il regno di Maria sono incontestabili, le vittime protestanti - a centinaia - dei roghi erano considerate alla stregua di nemici dell’autentico Dio e quindi della sovrana che lo rappresentava in terra: politica e religione si intersecavano inestricabili. Ma la storia giudicata con il parametro della morale manderebbe assolti ben pochi dei protagonisti del Cinquecento: pensiamo, tanto per citare un’altra donna sul trono a quell’epoca, ai tremila e più ugonotti massacrati nella sola notte di San Bartolomeo (23-24 agosto 1572) per istigazione di Caterina de’ Medici, reggente di Francia. Resta in conclusione da chiedersi: una biografia come quella della Erickson non indulge troppo a certi “colori” tipici della storia romanzata? Non costruisce, con enfasi di toni e forzature di documenti, una Maria che non è mai esistita, se non altro perché interpretata alla luce di un’analisi quasi psicanalitica? Non carica di significati impropri le risultanze dell’indagine, non si prende eccessive libertà? Possiamo rispondere con sicurezza di no. Certo, alcuni capitoli paiono un po’ dilatati e l’autrice non evita a volte di affastellare troppi giudizi che inevitabilmente ingenerano confusione o contraddizioni. Ma nell’insieme un’opera come questa va scritta proprio come ha fatto la storica americana: con un certo gusto per la “sontuosità” dello stile, per la descrizione minuziosa di toilette e mense principesche, di solenni cerimonie, di una vita di Corte scandita dal fasto del protocollo.

Un po’ di glamour, insomma, non guasta: il “dietro le quinte” delle élite cattura sempre, e quelle del XVI secolo erano davvero straordinarie, nel bene come nel male. Raccontare la vita delle classi popolari, l’economia, la società, la cultura è un’altra storia. L’una non esclude l’altra.


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Inviato il 12 agosto 2005 15:53 Autore

OLIVER CROMWELL :

Il modesto nobile di campagna

che si trasformò in guerriero

per gettare le fondamenta del riformismo inglese

 

Lungo il travagliato cammino che dovette affrontare la Monarchia inglese per gran parte del XVII secolo, si staglia la figura di Oliver Cromwell. Il suo peso fu probabilmente determinante per l'affermazione delle posizioni riformiste al termine del più cruento fra i conflitti che nel corso dei secoli insanguinarono le isole britanniche. Oliver era nato a Huntingdon il 25 aprile del 1599, quattro anni prima della fine del lungo regno di Elisabetta I.

Il ruolo che avrebbe ricoperto più tardi fece sì che i primi anni della sua vita, come del resto le origini della sua famiglia, appartenente alla modesta nobiltà di campagna, siano stati avvolti da un'aura di leggenda. Fra i numerosi aneddoti, la maggior parte dei quali riconducibili al gusto narrativo dei suoi primi biografi, ne compare uno che descrive il piccolo Oliver, che all'epoca non doveva avere che quattro anni, mentre colpisce sul naso il futuro Carlo I, di due anni più giovane. Carlo era il secondogenito di Giacomo I, ma, al momento della sua morte, il 27 marzo del 1625, fu designato, contrariamente alle aspettative di molti, per la successione al trono.

Come Cromwell, possedeva un carattere energico, ma, a differenza di colui che avrebbe contribuito in maniera tanto determinante alla sua deposizione, era privo della capacità di comprendere gli uomini, soprattutto i sudditi. Il fratello, Enrico, morto appena ventenne nel 1612, era solito chiamarlo l'arcivescovo. Quando nel 1628, costretto dall'endemica ristrettezza finanziaria in cui la corona si trovava a causa dell'impegno bellico sullo scenario europeo, Carlo I convocò il Parlamento, era già il terzo che veniva riunito sotto il suo regno.

In quell'occasione Cromwell venne eletto come rappresentante della città di Huntington alla Camera dei Comuni, affacciandosi per la prima volta sulla scena politica, ma, pur rimanendo su una posizione moderata, il suo atteggiamento nei confronti del sovrano inglese era già stati esacerbato da alcuni avvenimenti risalenti all'anno precedente. Nel 1627, diversi membri del parlamento erano stati infatti incarcerati per essersi opposti a un prestito forzoso, uno dei tanti espedienti cui re Carlo ricorreva per risolvere i propri problemi finanziari. Di questi ben sei erano legati a Cromwell da un rapporto di parentela. Un numero in grado di rivelare non solo l'atteggiamento di Carlo I verso la Camera dei Comuni e la sua ferma convinzione nei diritti della monarchia assoluta, ma anche la marcata connotazione geografica della futura fazione dei Parlamentari.

Nel Parlamento del 1628 Cromwell poteva vantare nove cugini e un ruolo non meno rilevante avrebbe ricoperto la vasta cerchia di parentele durante il periodo della Guerra Civile. Sempre nel 1628 Carlo I dovette accettare la prima sconfitta nel confronto con gli organi istituzionali, accettando, nel mese di giugno, la Petizione dei Diritti. Un documento in base al quale il Sovrano avrebbe dovuto ricorrere all'approvazione del Parlamento per varare nuove tasse, dichiarare la legge marziale in periodo di pace, imprigionare le persone

senza processo e alloggiare le truppe nelle case private. L'acredine del monarca inglese fu tale che di lì a poco, nel 1629, il Parlamento, venne sciolto.

Seguirono undici anni di regno in cui Carlo I, ormai privo di un'assemblea con cui confrontarsi, cercò di porre fine alle dispute, spesso di natura religiosa, che minavano la stabilità della sua corona. Il suo attivismo non portò ad altro risultato che all'acuirsi dell'acredine con i sudditi, troppo frequentemente vessati dalla voracità del sistema fiscale. Fra il 1635 e il 1636 la Scozia dovette affrontare tasse per oltre 150.000 sterline, tre volte tanto il tetto massimo raggiunto prima del 1625, durante il regno di Giacomo VI.

Il conflitto con l'Assemblea Nazionale con la Chiesa di Scozia portò Carlo I a un'infruttuoso, quanto dispendioso, intervento militare. Non migliore era la situzione in Inghilterra, dove nel 1637 William Prynne, John Bastwick e Henry Burton, autori di alcuni libelli di ispirazione puritana, vennero portati in giudizio. Nello stesso periodo John Hampden, un esponente del disciolto parlamento, venne posto agli arresti per aver rifiutato la sua quota sulle imposte per la marina. Tributi riscossi dalle città costiere per il mantenimento della flotta, ma solo saltuariamente durante il regno dei precedenti monarchi inglesi. Carlo I le impose con cadenza regolare e le estese a tutta l'Inghilterra.

Nonostante tutto il denaro raccolto non era ancora sufficiente per le spese del sovrano e nel 1640 il Parlamento venne convocato per la quarta volta. Cromwell, trasferitosi a Ely con la famiglia, venne eletto per la vicina città di Cambridge. Con lui entrarono nella Camera dei Comuni alcuni dei grandi protagonisti degli anni successivi, primo fra tutti John Pym, la cui spiccata capacità oratoria si indirizzò fin dal principio nei confronti degli abusi dell'autorità reale. Carlo I un'opposizione che ai suoi occhi assumeva i pericolosi connotati del tradimento e nello stesso anno, quello che sarebbe passato alla storia come il Parlamento Breve, venne sciolto.

La guerra con gli Scozzesi, che nel frattempo si erano riorganizzati e levati in armi, costrinse però Carlo I a convocare nuovamento, per la quinta e ultima volta, il tanto inviso parlamento. Anche in questa occasione Cromwell venne eletto come rappresentante della città di Cambridge, ormai considerato una figura di spicco della nuova assemblea. L'aver fatto parte anche del Parlamento Breve deponeva a favore del suo prestigio, così come di quello di molti altri membri. Una situazione di tutto vantaggio per l'ala parlamentare, al cui interno si trovavano ben due terzi dei rappresentati rieletti.

I tempi erano maturi perchè gli avversari di Carlo I passassero alla controffensiva e i primi risultati furono ottenuti con la prolificazione dei comitati parlamentari. Che il sovrano non a torto vedeva come uno strumento giuridico per sottrarre le prerogative tradizionalmente sottoposte all'autorità regale. Quando John Lilburn, precedentemente apprendista di un mercante di stoffe, fu condannato e imprigionato per aver distribuito illegalmente alcuni pamphlet, compreso uno firmato da William Prynne, fu presto indetto un comitato. Cromwell vi prese parte, a fianco di Pym, Hampden e St. John, tutti esponenti del ramo del parlamento ostile all'autorità di re Carlo, ormai in una posizione sempre più difficile.

Nel dicembre del 1640 fu deposto e successivamente rinchiuso nella Torre di Londra l'arcivescovo Laud, vicino al sovrano. Cromwell, e con lui molti membri della Camera dei Comuni, era legato agli Indipendentisti, una setta all'interno dei movimenti protestanti che avversava la posizione centralista della Chiesa d'Inghilterra. Al centro delle loro polemiche erano, sempre più frequentemente, i vescovi. Il 20 ottobre del 1640 il Parlamento arrivò a proporre la loro esclusione dalla Camera dei Lord. Il provvedimento fu bocciato, ma la tensione cresceva di giorno in giorno. La visita del Re in Scozia, prevista per l'Agosto del 1640 e conclusasi con un accordo di non belligeranza, ma per il resto inconcludente, fu oggetto di ulteriore critica.

I parlamentari temevano infatti che Carlo I, accordandosi con gli Scozzesi, potesse tessere

Oliver Cromwell: un uomo tranquillo

che capeggiò una durissima guerra

intrighi contro il Parlamento. Le cui proposte tendevano a limitarne drasticamente il potere. Al punto da imporre che il marchese di Hertford, tutore del futuro Carlo II, fosse affiancato da Lord Bedford e Lord Saye and Sale. Il clima non migliorò quando nell'ottobre del 1641 dall'Irlanda giunse la notizia, giudicata inattendibile dagli storici, di una serie di massacri ai danni dei coloni inglesi. La conferma giunse nella primavera del 1642, con la celebre deposizione del reverendo Henry Jones alla Camera dei Comuni. Clarendon, più tardi compagno d'armi di Cromwell, stimò fra le quanrantamila e le cinquantamila le vittime della rivolta irlandese.

Pochi giorni dopo il primo resoconto della tragedia, il Parlamento inoltrò la Grande Rimostranza nei confronti di Carlo I, accusato di aver mancato agli accordi presi con la Petizione dei Diritti. Si arrivò a cercare di imporre al Re perfino la scelta dei propri consiglieri. Il sovrano, sdegnato, trovò in quelle proposte la prova del tradimento e ordinò l'arresto di cinque parlamentari, John Pym, John Hampden, Sir Arthyr Halserig, Denzil Holles, che già aveva patito più di dieci anni di carcere dal 1629 al 1640, e William Strode. Ma la sorte non era a lui favorevole e i cinque, preventivamente informati, riuscirono a fuggire da Londra evitando l'arresto.

Carlo I si trasferì a Nottingham, mentre in tutto il Paese fervevano i preparativi per la guerra. Il 23 febbraio del 1642 il parlamentò intimò al Re la consegna della Torre di Londra, dei forti e del controllo della milizia, mentre Cromwell e altri raccoglievano denaro per la difesa dei Regni d'Inghilterra e Irlanda. Il giorno seguente la Regina Henrietta Maria, figlia di Luigi XIII di Francia, salpò per il Continente, portando con sè i gioielli che avrebbe venduto per portate aiuto al marito. Nel frattempo l'Irlanda era in fermento e nel maggio del 1642, a Kilkering, i rappresentanti della Chiesa Cattolica d'Irlanda giurarono solennemente l'impegno di cacciare i protestanti dalla propria terra.

Il 2 giugno il Parlamento sottopose a re Carlo diciannove proposte che avrebbero mutato radicalmente l'assetto istituzionale inglese. Ancora una volta allo sdegno del sovrano seguì il rifiuto. Nolumus leges Angliae mutari, esclamò irritato il figlio di Giacomo I e Anna di Danimarca. Quest'ultimo contava sull'appoggio, non solo politico, ma anche economico, di Oxford e Cambridge, che con le grandi ricchezze accumulate nei collegi avrebbero potuto sostenere la causa realista. Il 24 luglio il Re chiese alla città di Cambridge, dove peraltro il giovane Cromwell aveva frequentato l'Università, il vasellame d'argento per evitare che cadesse nelle mani del Parlamento.

Le testerotonde, come erano chiamati con disprezzo i seguaci di Cromwell, venute al corrente dell'ordine, inviarono 200 uomini al comando di Valentine Walton per intercettare il convoglio reale. A difenderlo si trovavano 50 soldati alle dipendenze di Henry Cromwell, cugino di Oliver. Era l'inizio della Guerra Civile e, come spesso accade in simili frangenti, intere famiglie si trovarono divise. Oliver Cromwell, arruolatosi nei ranghi dell'esercito parlamentare con il grado di colonnello, si dimostrò ben presto capace di grandi doti umane e militari. Il 23 ottobre, a Edgehill, ebbe luogo la prima vera battaglia.

La guerra proseguì per cinque lunghi anni concludendosi, dopo scontri alterni, con la disfatta delle armate reali. L'astro di Carlo I stava ormai tramontando mentre i successi ottenuti sul campo davano lustro al già crescente prestigio di Oliver Cromwell. Il quale, nominato Governatore dell'Isola di Ely nel luglio del 1643, sarebbe stato ben presto posto a

L'esecuzione di Carlo I. Gli inglesi vollero la sua

testa ma non la fine della monarchia

capo delle armate parlamentari. Il 3 giugno del 1647 il Re cade prigioniero delle testerotonde di Cornet Joyce e viene scortato a Londra. Carlo I riveste ancora i panni dell'autorità regale, ma il suo potere effettivo è ormai poco più che nominale e, l'11 novembre, fugge da Londra per asseragliarsi a Carisbrooke Castle, sull'Isola di Wight.

Nella capitale Cromwell guida un Parlamento sempre più ostile al sovrano, piuttosto che alla Monarchia. Gli eventi subiscono uno stallo fino a 30 aprile quando la crisi precipita e l'Inghilterra si divide ancora una volta fra Cavalieri, come erano chiamati i realisti, e le Testerotonde. Il futuro Lord Protettore, ancora una volta al comando delle truppe parlamentari, guida l'assedio di Pembroke, sconfigge i realisti a Preston, nel Lancashire e procede verso Edinburgo. La sera del sei dicembre torna a Londra, ormai vittorioso dell'antico rivale. Carlo I, accusato di alto tradimento e di avere ordito con gli Scozzesi un complotto ai danni dell'Inghilterra, viene processato al cospetto dei membri più influenti del Parlamento. Il confronto si aprì il 20 gennaio. In un primo momento fu il solo Ireton, che con Cromwell aveva condiviso più di una battaglia, appoggiato dalle frange più estreme del Parlamento, a volere la testa del Re.

Cromwell, il cui carattere, salvo le intemperanze della giovinezza, non aveva mai ceduto agli eccessi, sosteneva la possibilità di un riassetto delle istituzioni senza dover ricorrere alla pena capitale per colui che dopotutto era ancora il suo sovrano. L'atteggiamento di quest'ultimo e l'avvicendarsi convulso degli avvenimenti, lo fecero però ben presto rinunciare alla difesa della propria posizione e Carlo I si trovò a dover affrontare il verdetto di quel Parlamento che aveva tanto a lungo avversato.

La sentenza, motivata, secondo una frase attribuita allo stesso Cromwell, dalla crudele necessità, fu eseguita il 30 gennaio del 1649. Il Re si diresse a piedi, dal palazzo di St. James fino a Whitehall, dove si trovava il patibolo. La triste cerimonia, come riportò l'ambasciatore francese, si svolse in meno di un quarto d'ora. La salma di Carlo I sarebbe stata successivamente sepolta solo il 9 febbraio. Morto il Re, il futuro delle istituzioni inglesi fu nelle mani del Parlamento, che a sua volta individuò Cromwell nel proprio campione. Negli anni che seguirono dovette affrontare le continue minacce, interne ed esterne, all'Inghilterra e alle Isole Britanniche. Nominato Lord Protettore il 16 dicembre 1653, il suo potere fu probabilmente pari a quello cui Carlo I aveva ambito. Ma rifiutò la corona, e quando, poco dopo la morte del figlio di Giacomo I, gli si chiese quale governo si sarebbe dato l'Inghilterra, si dice che rispose: "Quello che è sempre stato".


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Inviato il 12 agosto 2005 16:05 Autore

IL FANTE BIZANTINO MEDIEVALE

 

Al contrario di quello greco e di quello romano, il fante bizantino aveva un ruolo decisamente inferiore nella posizione e nell'assetto di battaglia.

Era solito essere messo d'aiuto alla cavalleria anticipando in posizione secondaria i tempi dei franchi e dei normanni: era già medioevo.

Intendiamoci, il fante s'usava ed anche pesantemente se serviva , ma era cambiato il concetto d'approccio alla battaglia e quindi automaticamente lo si teneva più in disparte.

Diciamo che ebbe una parte d'effetto, serviva quando si doveva mostrare i "muscoli" all'avversario e fu equipaggiato diversamente a seconda del fronte in cui doveva servire.

Di fatto, il fante ad est era di tipo tradizionale "leggero" e di tipo innovativo "pesante.

In pratica il fante leggero aveva solamente le armi e potendosi muovere abbastanza velocemente era usato per attacchi improvvisi e rapidi con ritorno in posizione in breve tempo: quindi potremmo definirlo un soldato utile per mettere disordine tra le file avversarie.

Logicamente, essendo spesso anche senza scudo, non avrebbe mai potuto sostenere urti violenti o attacchi massicci: una volta utilizzato veniva riportato nelle seconde linee ed usato a protezione degli accampamenti.

Lo Skutatoi o fante pesante invece fu vestito elmo e di corazza come se non più del cavaliere e le prime due/tre file erano oramai un punto fisso dello schieramento innanzi al nemico..

Le alte file avevano ugualmente l'elmo e il bambakion di stoffa imbottita o di cuoio (armatura minore).

Per i fanti leggeri la tunica era di lino o di lana con pantaloni e stivali e spesso guanti.

Tutti i fanti avevano in dotazione un gran mantello di feltro ed una coperta di lana, ma le funzioni erano diversificate: il mantello serviva oltre che proteggersi dal freddo durante il giorno anche come copertura notturna mentre la coperta di lana veniva usata per camuffarsi specialmente durante attacchi notturni.

Le divise potevano variare nei colori, ma sostanzialmente veniva utilizzato il rosso (che si confondeva bene con il terriccio tipico delle zone orientali), il blu, il verde ed il malva.

Lo scudo era fondamentale per il fante “pesante”, ovale e molto grande e doveva proteggere il militare e resistere all’urto violento ed era dipinto riportando l’unità di combattimento.

Più avanti, venne sostituito nella forma con uno scudo di forma trapezoidale, quasi come un aquilone

Il fante “leggero” aveva uno scudo rotondo e molto piccolo proprio perché potesse essere gettato via con facilità nel caso di ritirata strategica, non potendo reggere colpi d’armi pesanti.

Le armi del fante “pesante” erano molte e non doveva essere facile muoversi con disinvoltura nella mischia..

Egli portava con sé una picca di circa 3,5/4 metri per difendersi dai cavalieri nemici, una mazza che teneva alla cintura, una spada corta e molto larga ed una fionda .

Furono usati anche i giavellotti, questi però in dotazione a chi restava nel centro dello schieramento, in posizione protetta.

Il fante “leggero” per contro aveva l’arco con un massimo di 50 frecce, un’ascia anche lui alla cintura e la fionda che evidentemente risultava un’arma molto utile in certi frangenti.

Curioso il piccolo carrello che veniva portato dietro dai fanti e che serviva per appoggiare ciò che poteva risultare utile durante il combattimento: asce, corda, badili, ganci, carrucole, falci, magli, seghe e daghe.

Ogni carrello doveva servire un'unità di sedici fanti e la dotazione era standard per tutti.


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Inviato il 13 agosto 2005 4:36 Autore

Enrico VIII d'Inghilterra

 

il GiovaneEnrico VIII (28 giugno 1491–28 gennaio 1547) è stato Re d'Inghilterra e Signore d'Irlanda (in seguito re d'Irlanda) dal 22 aprile 1509 fino alla morte. Fu il secondo monarca della dinastia dei Tudor, essendo succeduto al padre Enrico VII d'Inghilterra. È famoso per essersi sposato sei volte e aver detenuto il potere più assoluto tra tutti i Re britannici. Durante il suo regno ebbe luogo la rottura con la Chiesa cattolica e la nascita della Chiesa d'Inghilterra, lo scioglimento dei monasteri e l'unione dell' Inghilterra col Galles.

 

Durante il regno di Enrico VIII vennero promulgate numerose importanti leggi inglesi. Tra le altre quelle che hanno separato la Chiesa Inglese dalla Chiesa cattolica ed hanno messo Enrico a capo della chiesa d'Inghilterra; gli "Acts of Union" emessi tra il 1536 ed il 1543 (che hanno unito l'Inghilterra ed il Galles in una nazione), il Buggery Act del 1533 — la prima legge contro la sodomia in Inghilterra — e il Witchcraft Act del 1542 — che puniva con la morte "l'invocazione o l'evocazione dello spirito diabolico".

 

Enrico è noto per stato essere un avido scommettitore e giocatore di dadi. In gioventù eccelleva nello sport, in particolare nel "tennis reale". Era inoltre un musicista completo, autore sia della musica che del testo; secondo la leggenda, ha scritto la famosa canzone popolare "Greensleeves". Inoltre promosse la costruzione e il miglioramento di parecchi edifici significativi, incluso il King's College a Cambridge, la Christ Church ad Oxford, il palazzo di Hampton Court, il palazzo di Nonsuch e l'Abbazia di Westminster.

 

 

I primi anni

 

Nato al palazzo di Placentia, Enrico era il terzo figlio di Enrico VII e di Elisabetta di York. Soltanto tre dei sei fratelli di Enrico — Arturo, principe di Galles, Margherita e Maria Tudor (in seguito regina consorte di Francia) — sopravvissero all'infanzia. Suo padre era diventato re con la conquista, ma aveva consolidato la corona sposando Elisabetta, la sorella di Edoardo V d'Inghilterra.

 

Nel 1493, il giovane Enrico fu nominato Conestabile del castello di Dover e Lord Guardiano dei Cinque Ports. Nel 1494, fu creato Duca di York. In seguito fu nominato Earl Marshal d'Inghilterra e Lord Luogotenente d'Irlanda, sebbene fosse ancora un bambino.

 

Nel 1501, assistette alle nozze del suo fratello più anziano Arturo e di Caterina d'Aragona, che avevano allora rispettivamente solo circa quindici e sedici anni. I due furono mandati per qualche tempo nel Galles, come era consueto per l'erede-presunto e sua moglie, ma Arturo morì d'infezione. Di conseguenza, all'età di undici anni, Enrico, duca di York divenne erede al trono. Subito dopo, fu nominato Principe di Galles.

 

Enrico VII desiderava ancora effettuare un'alleanza matrimoniale fra Inghilterra e Spagna con un matrimonio fra Enrico, ora principe di Galles e Caterina. Poiché il principe del Galles si impegnava a sposare la vedova di suo fratello, in primo luogo doveva ottenere una dispensa dal papa. Caterina testimoniò che la sua prima unione non era mai stata consumata; se fosse stato vero, non ci sarebbe stato bisogno di nessuna dispensa papale. Ciò nonostante, sia i partiti inglesi che spagnoli si accordarono sulla necessità di una dispensa papale per la rimozione di tutti i dubbi per quanto riguardava la legittimità dell'unione. Per l'impazienza della madre di Caterina, la regina Isabella, il papa concesse frettolosamente la sua dispensa con una Bolla papale. Quindi, quattordici mesi dopo la morte del marito, Caterina si trovò promessa al principe di Galles. Nel 1505, tuttavia, Enrico VII perse interesse nell'alleanza con la Spagna ed il giovane Principe di Galles fu costretto a dichiarare che il suo impegno era stato preso senza il suo assenso.

 

Gli inizi del regno

Enrico ascese al trono nel 1509 alla morte del padre. Il padre di Caterina, Ferdinando II di Aragona, cercava di controllare l'Inghilterra attraverso sua figlia e conseguentemente insistette per sua unione con il nuovo re inglese. Enrico sposò Caterina circa nove settimane dopo la sua ascesa al trono, malgrado le preoccupazioni di Papa Giulio II e di William Warham, Arcivescovo di Canterbury, sulla validità dell'unione. Entrambi furono incoronati nell'Abbazia di Westminster il 24 giugno 1509. La prima gravidanza della regina Caterina si concluse con un figlio nato morto nel 1510. Poi diede alla luce un figlio, Enrico, il 1 gennaio 1511, ma questo visse soltanto fino al 22 febbraio.

 

Per due anni dopo l'ascesa di Enrico, Richard Fox, Vescovo di Winchester e Lord del Sigillo Privato, assieme William Warham controllarono gli affari di stato. Dal 1511 in poi, tuttavia, il potere fu tenuta dal cardinale Thomas Wolsey. Nel 1511, Enrico aderì alla Lega santa, un'alleanza contro il re francese Luigi XII di principi europei come il papa Giulio II, l'imperatore Massimiliano I e Ferdinando II, con quale Enrico aveva firmato il Trattato di Westminster. Enrico raggiunse di persona l'esercito inglese quando attraversò la Manica per la Francia partecipando ad assedi e battaglie.

 

Tuttavia nel 1514 Ferdinando abbandonò l'alleanza e gli altri firmarono la pace con i Francesi. L'irritazione verso la Spagna portò ad una discussione per il divorzio dalla regina Caterina. Tuttavia, con l'ascesa del re Francesco I di Francia nel 1515, l'Inghilterra e la Francia furono nuovamente antagoniste ed Enrico si riconciliò con Ferdinando. Nel 1516, la regina Caterina diede alla luce ad una bambina, Maria, facendo pensare ad Enrico che poteva ancora avere un erede maschio malgrado le precedenti gravidanze non positive di sua moglie (un nato morto, un aborto e due infanti vissuti brevemente).

 

Ferdinando morì nel 1516, e gli successe suo nipote — e quindi nipote della regina Caterina; — Carlo V. Nel 1519, alla morte di Massimiliano, Wolsey — che in quel momento era un cardinale; — propose segretamente Enrico come candidato per la carica di Sacro Romano Imperatore, pur sostenendo in pubblico il re francese Francesco I. Alla fine, tuttavia, i Principi elettori scelsero Carlo. La successiva rivalità fra Francesco e Carlo permise ad Enrico di fare il mediatore fra loro. Enrico divenne l'ago della bilancia tra le potenze in Europa. Sia Francesco che Carlo cercavano il favore di Enrico, il primo in un modo abbagliante e spettacolare al Field of Cloth of Gold (il Campo del Panno d'Oro) ed il secondo in modo solenne a Kent. Dopo il 1521, tuttavia, l'influenza dell'Inghilterra in Europa cominciò a diminuire. Enrico si alleò con Carlo V e Francesco I fu rapidamente sconfitto. Il ricorso di Carlo ad Enrico diminuì, come fece anche la potenza dell'Inghilterra in Europa.

 

Il grande problema del Re

Quella di Enrico VIII fu la prima ascesa al trono pacifica che l'Inghilterra aveva visto da molti anni; tuttavia, la legittimità della nuova dinasta dei Tudor non era del tutto consolidata. Il popolo inglese riteneva disastroso il governo femminile ed Enrico riteneva che soltanto un erede maschio avrebbe potuto mantenere il trono. Anche se la regina Caterina era stata incinta almeno sette volte (per ultima volta nel 1518), solo una bambina, la principessa Maria, era sopravvissuta all'infanzia. Enrico in precedenza era stato felice con le sue amanti, tra cui Maria Bolena e Elizabeth Blount, dalla quale aveva avuto un figlio bastardo, Henry Fitzroy. Nel 1526, quando divenne evidente che la regina Caterina non avrebbe potuto avere altri bambini, cominciò a corteggiare la sorella di Mary Boleyn, Anna Bolena. Così il desiderio di Enrico di avere un erede maschio, e non Anna stessa, fu probabilmente la causa principale del tentativo di Enrico di sbarazzarsi della regina Caterina.

 

Il lungo ed arduo tentativo di Enrico di porre fine al la suo matrimonio con la regina Caterina è noto come il "Great Matter" del re. Il cardinale Wolsey e William Warham cominciarono riservatamente un'indagine sulla validità del matrimonio. La regina Caterina, tuttavia, aveva testimoniato che la sua unione con Arthur non era mai stata consumata e che quindi non c'era impedimento alla sua successiva unione con Enrico. L'indagine non poteva continuare ulteriormente ed fu lasciata cadere.

 

Senza informare il cardinale Wolsey, Enrico si era appellato direttamente alla Santa Sede. Aveva inviato il suo segretario William Knight a Roma per sostenere che la Bolla di Giulio II era stata ottenuta con un inganno e conseguentemente era non valida. In più, aveva chiesto a papa Clemente VII di concedergli anche una dispensa permettendogli di sposare qualsiasi donna, anche nel primo grado di affinità; una tal dispensa era necessaria perché Enrico precedentemente aveva avuto una relazione con Maria, la sorella di Anna Bolena. Knight trovò che Clemente VII era praticamente prigioniero dell'imperatore Carlo V. Ebbe difficoltà ad avere accesso al Papa e quando infine lo vide, poté ottenere poco. Clemente VII non era favorevole ad annullare il matrimonio, ma concesse la dispensa voluta, probabilmente perché presumeva che la dispensa non sarebbe servita a nulla finché Enrico fosse rimasto sposato a Caterina.

 

Venuto a conoscenza dell'iniziativa del re, il cardinale Wolsey inviò a Roma Stephen Gardiner ed Edward Fox . Forse temendo il nipote della regina Caterina, Carlo V, il papa Clemente VII inizialmente tergiversò. Fox fu mandato indietro con una missione che autorizzava l'inizio degli atti, ma le limitazioni imposte praticamente rendevano tutto senza senso. Gardiner cercò d'ottenere una "commissione decretizia", che valutasse i precedenti di diritto e lasciasse da decidere solo gli aspetti pratici. Clemente VII si persuase ad accettare la proposta del Gardiner e consentì al cardinale Wolsey e al cardinale Lorenzo Campeggio di esaminare insieme il caso. Le decisioni furono emesse in segreto; non dovevano essere mostrate a nessuno e dovevano rimanere sempre in possesso del cardinale Campeggio. I punti di legge furono depositati nella commissione; la Bolla Papale che autorizzava il matrimonio di Enrico con Caterina doveva essere dichiarata nulla se i presupposti annessi fossero stati falsi. Per esempio, La Bolla sarebbe stata nulla se avesse asserito erroneamente che l'unione era necessaria assolutamente per mantenere l'alleanza Anglo-Spagnola.

 

Il cardinale Campeggio arrivò in Inghilterra il 1528. Il procedimento, tuttavia, arrivò ad un punto d'arresto quando gli Spagnoli produssero un secondo documento che si presumeva accordasse la dispensa necessaria. Si asseriva che, alcuni mesi prima di accordare la dispensa papale con una Bolla pubblica, il papa Giulio II avesse accordato segretamente la dispensa stessa con un Breve privato inviato alla Spagna. La commissione decretizia, tuttavia, fece solo menzione della Bolla; non autorizzò il cardinale Campeggio ed il cardinale Wolsey a determinare la validità del Breve. Per otto mesi, i partiti si litigarono sull'autenticità del Breve. Nel frattempo, la regina Caterina aveva fatto appello al nipote, Carlo V, che pressò il papa per richiamare il cardinale Campeggio a Roma nel 1529.

 

Irritato con il cardinale Wolsey per il ritardo, Enrico lo privò della sue ricchezze e del potere. Fu accusato di præmunire — insidiare l'autorità del re acconsentendo a rappresentare il papa; — ma morì prima del processo. Con il cardinale Wolsey caddero altri ecclesiastici potenti in Inghilterra; furono nominati laici a cariche come quelle di Lord Cancelliere e di Lord del Sigillo Privato, che in precedenza erano state riservate a prelati.

 

Il potere passò allora a Thomas Cranmer (che divenne Arcivescovo di Canterbury nel 1532) e a Thomas Cromwell (che divenni Cancelliere dello Scacchiere (cioè Ministro delle Finanze) nel 1533). Il 25 gennaio 1533, Cranmer partecipò alle nozze di Enrico e di Anna Bolena. In maggio, Cranmer sancì l'annullamento del matrimonio di Enrico e Caterina e poco dopo dichiarò valido il matrimonio con Anna. La principessa Maria fu dichiarata illegittima e sostituita come erede-presunto dalla nuova figlia della regina Anna, la Principessa Elisabetta. Caterina perse il titolo di "regina," e divenne principessa Vedova del Galles; Maria non fu più una "principessa", ma semplicemente una "Lady", una signora. La principessa vedova del Galles morirà di cancro il 1536.

 

Lo scisma Religioso

Il papa rispose a questi eventi con la scomunica di Enrico, emessa nel mese di luglio del 1533. Ne seguì un considerevole terremoto religioso. Sollecitato da Thomas Cromwell, il Parlamento approvò diverse Leggi che sigillarono la frattura con Roma nella primavera del 1534. Lo Statute in Restraint of Appeals proibì i ricorsi delle corti ecclesiastiche inglesi al Papa. Fu inoltre impedito alla chiesa di emettere regole senza il consenso del re. L'Ecclesiastical Appointments Act del 1534 impose al clero di scegliere vescovi nominati dal sovrano. L'Act of Supremacy del 1534 dichiarò che il re era "l'unico Capo Suprema in terra della Chiesa d'Inghilterra"; ed il Treasons Act del 1534 rese alto tradimento, punibile con la morte, il rifiuto di riconoscere il Re come tale. Al Papa furono negate fonti di finanziamento come l'obolo di San Pietro. Rigettando le decisioni del Papa, il Parlamento convalidò l'unione fra Enrico ed Anna con l'Act of Succession del 1534. La figlia di Caterina, Lady Mary, fu dichiarata illegittima e la discendenza di Anna Bolena fu dichiarata la prima nella linea della successione. Tutti gli adulti furono tenuti ad accettare le disposizioni di queste Leggi; coloro che rifiutavano erano passibili della prigione a vita. L'editore o il tipografo di letteratura, che dichiara che l'unione di Enrico con Anna non era valida, era automaticamente colpevole di alto tradimento e poteva essere punito con la morte.

 

L'opposizione alle politiche religiose di Enrico fu soppressa rapidamente. Parecchi monaci dissenzienti furono torturati e condannati a morte. Cromwell, per di quale fu creato l'incarico di "Viceregente negli affari spirituali, fu autorizzato a visitare i monasteri, apparentemente per accertarsi che seguissero le istruzioni reali, ma in realtà per valutare la loro ricchezza. In 1536, una Legge del Parlamento èpermise ad Enrico di incamerare i possedimenti dei monasteri minori (quelli con reddito annuale di £200 o inferiore).

 

Nel 1536, la regina Anna cominciò a perdere il favore di Enrico. Dopo la nascita della principessa Elisabetta, la regina Anna ebbe due gravidanze che si conclusero con un aborto spontaneo o con dei nati - morti. Enrico VIII, nel frattempo, aveva cominciato a rivolgere le sue attenzioni ad un'altra signora della sua corte, Jane Seymour. Forse consigliato da Thomas Cromwell, Enrico fece arrestare Anna con l'accusa di aver usato la stregoneria per spingere Enrico a sposarla, di avere rapporti adulterini con altri cinque uomini, di incesto con il fratello George Boleyn, visconte di Rochford, di ingiuria del re e della cospirazione per ucciderlo — il che equivaleva a tradimento. (Le prove a carico furono molto probabilmente fabbricate ad arte.) La corte che prova il caso fu presieduta dallo zio di Anna, Thomas Howard, terzo duca di Norfolk. Nel maggio del 1536, la corte condannò Anna e suo fratello a morte, o con l'esecuzione al rogo o con la decapitazione, secondo il desiderio del Re. Gli altri quattro uomini che si presumeva la regina Anna avesse coinvolto a stare con lei dovevano essere appesi e squartati. Lord Rochford fu decapitato poco dopo la fine del processo; gli altri quattro implicati ebbero cambiate le loro sentenze dallo squartamento alla decapitazione. Anche Anna fu decapitata poco dopo. Il suo matrimonio con Enrico fu annullato poco prima della sua esecuzione. Quindi, poiché Anna ufficialmente non era stata sposata con Enrico, né lei né i cinque uomini già uccisi avrebbero potuto commettere adulterio. Questo sottile punto, tuttavia, fu convenientemente ignorato.

 

Nei giorni successivi all'esecuzione di Anna nel 1536, Enrico sposò Jane Seymour. La Legge inglese di successione del 1536 dichiarò che i figli di Enrico e della Regina Jane sarebbero stati i primi nella linea di successione e dichiarò sia Lady Mary che Lady Elizabeth illegittime, escludendole dalla successione. Al re fu assegnato il potere di determinare in seguito la linea della successione con le sue volontà. Jane diede alla luce un figlio, Principe Edoardo, nel 1537 e morì dopo due settimane.

 

Nello stesso periodo della sua unione con Jane Seymour, Enrico diede la sua approvazione all'Act of Union del 1536, che annesse formalmente il Galles, unendo Inghilterra e Galles in un'unica nazione. La Legge prevedeva l'uso del solo inglese nelle deliberazioni ufficiali nel Galles, disturbando i numerosi parlanti la Lingua gallese. Enrico continuò la persecuzione dei suoi avversari religiosi. In 1536, una sommossa conosciuta come Pilgrimage of Grace scoppiò nell'Inghilterra del Nord. Per calmare i Cattolici Romani ribelli, Enrico acconsentì a permettere che il Parlamento prestasse ascolto alle loro preoccupazioni. Inoltre, acconsentiva a concedere un perdono generale tutti i coinvolti. Non mantenne nessuna promessa ed una seconda sommossa ebbe luogo nel 1537. Di conseguenza, i capi della rivolta furono condannati a morte per tradimento ed eseguiti. Nel 1538, Enrico sanzionò la distruzione dei santuari dedicati ai Santi Cattolici Romani. Nel 1539, i monasteri che ancora rimanevano in Inghilterra furono tutti aboliti e le loro proprietà furono trasferita alla Corona. Come ricompensa per il suo ruolo, Thomas Cromwell fu creato Earl of Essex. Abati e priori persero i loro seggi alla Camera dei Lord; soltanto gli arcivescovi ed i vescovi rimasero a rappresentare l'elemento ecclesiastico in questo corpo. I Lord Spirituali, come erano chiamati i membri del clero con seggio nella Camera dei Lord, per la prima volta furono superati in numero dai Lord Temporali.

 

Gli ultimi anni

 

Il ritratto di Anna di Cleves, opera di Hans Holbein il giovane, mostrato ad Enrico.L'unico figlio maschio di Enrico che sopravviveva, il principe Edoardo, duca di Cornovaglia, non era un bambino di buona salute. Di conseguenza Enrico desiderava sposarsi ancora una volta per assicurarsi che un maschio potesse succedergli. Thomas Cromwell, suggerì Anna di Cleves, sorella del protestante Duca di Cleves, che era visto come un importante alleato nel caso di un attacco Cattolico all'Inghilterra. Hans Holbein il giovane fu inviato a Cleves per dipingere un ritratto di Anna per il Re. Dopo aver visto la rappresentazione adulatoria di Holbein e sollecitato dalla descrizione lusinghiera di Anna data dai suoi cortigiani, Enrico acconsentì a sposarla. Quando Anna arrivò in Inghilterra, si dice che Enrico non la trovasse per niente attraente. Ciò nonostante, la sposò il 6 gennaio 1540.

 

Tuttavia poco dopo Enrico desiderò porre termine al matrimonio, non solo per i suoi sentimenti personali ma anche a causa di considerazioni politiche. Il duca di Cleves si era impegnato in una disputa con l'imperatore , con cui Enrico non voleva entrare in lite. La regina Anna era abbastanza intelligente da non impedire la richiesta di Enrico per un annullamento. Testimoniò che il loro matrimonio non era mai stato consumato. Il matrimonio fu di conseguenza annullato sulla base che Anna in precedenza aveva stipulato un contratto per sposare un altro nobile europeo. Lei ricevette il titolo di "Sorella del re," e le fu assegnato il castello di Hever, la ex-residenza della famiglia di Anna Bolena. Thomas Cromwell, nel frattempo, rimase senza il favore del re per il suo ruolo nell'organizzazione del matrimonio ed in seguito fu privato dei suoi poteri e decapitato. L'ufficio di "Viceregent in Spirituals", che era stato creato specificamente per lui, non fu riempito ed è ancora vacante.

 

Il 28 Luglio del 1540 — lo stesso giorno della esecuzione di Lord Essex — Enrico sposò la giovane Catherine Howard, prima cugina di Anna Bolena. Tuttavia poco dopo il matrimonio sembrò che la regina Catherine avesse una relazione con il cortigiano Thomas Culpeper. Inoltre assunse Francis Dereham — che precedentemente era stato legato informalmente con lei e gli ha avuto una relazione con lei prima del matrimonio — come suo segretario. Thomas Cranmer, che si era opposto alla potente famiglia cattolica degli Howard, portò la prova delle attività della regina Catherine all'attenzione del re. Benché Enrico inizialmente rifiutasse di credere ai documenti, permise a Cranmer di condurre una ricerca, che dimostrò l'implicazione della regina Catherine. Una volta interrogata, la regina avrebbe ammesso un precedente contratto anteriore per sposare Dereham — il che avrebbe reso nullo il suo successivo matrimonio non Enrico — ma preferì sostenere che Dereham la aveva forzata ad avere un rapporto adulterino. Dereham, nel frattempo, rivelò la relazione della regina Catherine con Thomas Culpeper.

 

Nel dicembre 1541, ci fu l'esecuzione di Culpeper e Dereham. Catherine fu condannata non con un processo, ma da un "Act of Attainder" approvato dal Parlamento. La legge citava le prove contro la regina ed Enrico sarebbe stato obbligato ad ascoltare l'intero testo prima di concedere l'approvazione reale. Poiché "la ripetizione di una storia così grave e l'esposizione di un crimine così infame" alla presenza del re "avrebbe potuto riaprire una ferita già che si stava chiudendo nel petto reale", fu inserita nella Legge una clausola speciale che permetteva ai commissari di concedere l'approvazione reale a nome del re. Questo metodo di concedere l'approvazione reale non era stato usato mai prima, ma, nei regni successivi, sostituì la tradizionale presenza personale del Sovrano nel Parlamento.

 

Il matrimonio di Catherine fu annullato poco prima della sua esecuzione. Come nel caso di Anna Bolena, Catherine Howard non avrebbe tecnicamente potuto essere colpevole del adulterio, poiché ilmatrimonio era ufficialmente nullo e senza effetto dall'inizio. Di nuovo, questo punto fu ignorato e l'esecuzione di Catherine avvenne il 13 febbraio 1542. Allora aveva solo circa diciotto anni.

 

Enrico sposò la sua ultima moglie, la ricca vedova [[Catherine Parr] , nel 1543. Lei si scontrò con Enrico per la religione: lei era infatti una protestante estremista, ma Enrico era rimasto cattolico. Il suo comportamento odioso stava quasi per portare ad una separazione, ma si salvò mostrando sottomissione. Catherine contribuì a riconciliare Enrico con le sue prime due figlie, Mary ed Elizabeth. Nel 1544, una legge del Parlamento le reinserì nella linea di successione dopo il principe Edward, duca di Cornwall, benché fossero ancora ritenute illegittime. La stessa legge permise ad Enrico di determinare l'ulteriore successione al trono con le sue volontà

 

 

La morte e la successione

 

In tarda età, Enrico era fortemente sovrappeso, con una misura di vita di 54 pollici (137 centimetri) e possibilmente soffriva di gotta. La teoria da che ha sofferto di sifilide è plausibile. Le sue dimensione aumentate datano dall'incidente di giostra del 1536. Ricevette una ferita alla coscia che non solo gli impediva le esercitazioni, ma gradualmente si ulcerò e può indirettamente aver condotto alla sua morte, che avvenne il 28 gennaio 1547 al palazzo di Whitehall. Enrico VIII fu sepolto alla dentro St George's Chapel nel Castello di Windsor, vicino alla moglie Jane Seymour.

 

Una sequenza mnemonica per i destini delle mogli enrico è "divorziata, decapitata, morta, divorziata, decapitata, superstite." Una versione alternativa è "King Henry the Eighth, to six wives he was wedded: One died, one survived, two divorced, two beheaded." (qualcosa tipo: "A re Enrico ottavo sei mogli furon sposate: una è morta, una superstite, due divorziate, due decapitate") La filastrocca, tuttavia, può essere ingannevole. In primo luogo, Enrico non si è mai divorziato da nessuna delle sue mogli; piuttosto, le sue unioni con loro furono annullate. Secondariamente, quattro matrimoni — non due— si conclusero con annullamenti. I matrimoni con Anna Bolena e Catherine Howard erano stati annullati poco prima delle loro esecuzioni.

 

In conseguenza dell'Atto della successione del 1544, l'unico figlio maschio sopravvissuto di Enrico, Edoardo, ereditò la corona, diventando Edoardo VI. Edoardo era il primo monarca protestante a regnare in Inghilterra. Poiché Edoardo aveva allora soltanto nove anni, non poté esercitare un potere reale. Le volontà di Enrico designarono sedici esecutori che servissero da consiglio di reggenza finché Edoardo non avesse raggiunto l'età di diciotto anni. Gli esecutori scelsero Edward Seymour primo duca di Somerset e primo Earl di Hertford, fratello maggiore di Jane Seymour, per essere Lord Protettore del regno. Tuttavia richiesero a Lord Hertford di "non fare alcuna azione se non con il consiglio e consenso del resto degli co-esecutori." Nonostante ciò, Lord Hertford aumentò il suo potere trasformarsi nell'unico Reggente. Fu scalzato da John Dudley, primo duca di Northumberland e condannato a morte per tradimento. Il duca di Northumberland, tuttavia, non prese il titolo di Lord Protettore; invece invitò Edoardo a dichiarare la sua maggiore età prima dei diciotto anni, quindi trasgredendo le volontà di Enrico VIII.

 

 

A norma della legge della successione del 1544 e secondo le volontà di Enrico VIII, ad Edoardo (in mancanza di una sua discendenza) sarebbe succeduta la figlia di Enrico VIII e di Caterina d'Aragona, Maria. Se Maria non avesse avuto bambini, doveva essere succeduta dalla figlia avuta da Anna Bolena, Elisabetta. Per concludere, se anche Elisabetta non avesse avuto figli, doveva essere seguita dai discendenti della sorella defunta di Enrico VIII, Maria Tudor. Edoardo VI ed i suoi consiglieri, tuttavia, avevano disegni differenti. Quando fu sul suo letto di morte, Edoardo espresse delle volontà che pretendevano di contraddire le disposizioni di Enrico.

 

Maria ed Elisabetta furono escluse dalla linea della successione come illegittime. Frances Brandon, duchessa del Suffolk (figlia di Maria Tudor, duchessa del Suffolk) fu posta da parte perché Edoardo temeva che suo marito Henry Grey, primo Duca del Suffolk avrebbe potuto reclamare la corona per se stesso. Edoardo infine designò Lady Jane Grey, la figlia della duchessa del Suffolk e cognata del potente Duca di Northumberland. Alla morte di Edoardo nel 1553, Lady Jane fu proclamata regina. Secondo la legge, tuttavia, non sarebbe potuta succedere; una Legge del Parlamento aveva specificamente consentito ad Enrico di assegnare la corona con le sue volontà, ma nessuna legislazione simile era stata approvata per Edoardo. Con questa giustificazione, Maria depose e fece condannare a morte Jane, prendendo la corona per se stessa.

 

Quando Maria I morì senza discendenza nel 1558, le successe la sorella Elisabetta. Elisabetta I non si sposò o nominò un erede, causando una crisi di successione. Per impedire agli Scozzesi di diventare la famiglia dinastica di Europa, Elisabetta ordinò l'esecuzione di Maria Stuarda per provare ad impedirle di prendere il trono. Con le volontà di Enrico VIII, si supponeva che ad Elisabetta succedesse l'erede di Maria Tudor, (Lady Anne Stanley).In realtà ad Elisabetta, tuttavia, successe Giacomo VI, re di Scozia. Giacomo VI, re di Scozia era il figlio di Maria Stuarda, regina di Scozia. Era già un potente sovrano in Scozia ed era il parente vivente più vicino ad Elisabetta. Lui sostenne che il suo diritto ereditario era maggiore del diritto statutario di Lady Anne. Giacomo era sufficientemente potente ed i suoi avversari deboli; quindi, la sua successione incontrò poca opposizione. Giacomo VI divenne Giacomo I, il primo re d'Inghilterra della Casa Stuart.

 

 

 

Ci sono stati molte pellicole su Enrico e la sua corte. I due che meritano la citazione sono Le sei mogli di Enrico VIII (The Private Life of Henry VIII) del ((1933), con Charles Laughton, di cui le prestazioni gli hanno guadagnato un Premio Oscar per il miglior attore e The Six Wives of Henry VIII una serie televisiva prodotta dalla BBC con Keith Michell. Richard Burton ha avuto una 'nomination per un premio Oscar per con la sua interpretazione di Enrico di fronte ad un'Anna Bolena interpretata da Genevieve Bujold nel film Anne of the Thousand Days - Anna dei mille giorni premio Oscar nel 1969. Un Enrico interpretato da Robert Shaw inoltre appare come uno dei personaggi principali in un film multi-premiato sulla vita di Tommaso Moro, Un uomo per tutte le stagioni (A Man for All Seasons) del (1966), basato su un'opera di Robert Bolt dello stesso titolo. Nel 1988 ne è stato girato un remake diretto da Charlton Heston.

 

Enrico era quasi certamente l'ispiratore per il titolo della canzone popolare "I'm Henry the Eighth, I am" del (1911), registrata da Harry Champion e più tardi da Herman's Hermits; la canzone in realtà è su un uomo chiamato Henry la cui moglie è stata sposata a sette individui differenti, tutti di nome Henry.

 

In un episodio della sitcom americana degli anni 60 Vita da strega (Bewitched) Samantha Stevens cercava di evitare le attenzioni di Enrico desideroso di renderla la sua moglie seguente. Sid James ha interpretato Enrico nel film Carry On Henry (1970), che ha ritratto il rapporto fra il re e due mogli fittizie ("Marie di Normandia "e" Bettina ", una cortigiana). Nel 1973, Rick Wakeman rilasciato un concept album di musica rock su The Six Wives of Henry VIII, il suo primo album da solista dopo essersi separato dagli Yes. La vita di Enrico è stato l'argomento di un famoso ma inesatto episodio dei Simpsons 2004, in cui Homer Simpson interpreta il ruolo del re.

 

Titoli e armi

Enrico VIII fu il primo monarca inglese per usare regolarmente il titolo di "Majesty", benché anche le alternative "Highness" e "Grace" fossero usate di tanto in tanto.

 

Parecchi cambiamenti sono stati fatti ai titoli reale durante il suo regno. Enrico originalmente ha usato il titolo di "Enrico ottavo, per grazia di Dio, Re dell'Inghilterra, Francia e Lord d'Irlanda." Nel 1521, per una concessione di Papa Leone X espressa come ricompensa del libro di Enrico che attaccava Martin Lutero e difendeva la Chiesa cattolica, il titolo reale si è trasformato in "Enrico ottavo, per grazia di Dio, re d'Inghilterra e di Francia, [[Fidei Defensor| protettore della fede ] ] e Lord d'Irlanda." Dopo la frattura con Roma, Papa Paolo III annullò la concessione del titolo "protettore della fede," ma una Legge del Parlamento dichiarò che rimaneva valida.

 

Nel 1535, Enrico aggiunse la "frase delle supremazia" al titolo reale, che si trasformò "Enrico ottavo, per grazia di Dio, re d'Inghilterra e Francia, protettore della fede, Lord d'Irlanda e Capo supremo in terra della chiesa d'Inghilterra." Il 1536, la frase "della Chiesa d'Inghilterra" fu cambiata in "della chiesa d'Inghilterra ed anche d'Irlanda".

 

Il 1542, Enrico cambiò il titolo di "Lord d'Irlanda" in "Re d'Irlanda" dopo che gli fu fatto notare che molti irlandesi guardavano al Papa come al vero capo del loro paese, con il Lord d'Irlanda che fungeva da mero rappresentante. Il titolo "Enrico ottavo, per grazia di Dio, re d'Inghilterra, di Francia e d'Irlanda, protettore della fede e Capo Supremo in terra della chiesa d'Inghilterra ed anche d'Irlanda" è rimasto in uso fino alla fine del regno di Enrico.

 

Le armi di Enrico VIII furono uguali a quelle usate dai suoi predecessori a partire da Enrico IV: Inquartato, Azzurro, tre gigli (fleurs-de-lys) d'Oro (per la Francia) e Rosso, tre leoni guardanti e passanti in Oro pallido (per l'Inghilterra).


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Inviato il 14 agosto 2005 3:01 Autore

aggiorno l'elenco dei saggi visto che ne ho di nuovi e per fortuna nn solo miei e di michele!!! :lol:^_^

 

Dal Partenone a Pataliputra (e ritorno)

Gli Assassini (origini e decadenza)

la bestia del Gevaudan

lo Zoroastrismo in persia

Catari o albigesi (XII - XIII - XIV secolo)

il manicheismo

la ascita della dea

le donne guerriere

la statua della vittoria viene tolta dal senato romano

Mithra :il rivale di Gesù

la battaglia di Breitenfeld

La Peste del 1348

La guerra dei 30 anni (1618-1648)

Le guerre di religione in Francia (1562-1598)

Elisabeth Bathory

Il regno di Zenobia tra storia e leggenda

Boadicea

Cleopatra

guerra delle comunicazioni difettose

il Graal e Re Artù a S. Nicola

L'enigma di Excalibur

Rennes Le Chateau: un paese al centro del mistero

"Rennes le Chateau II

La cappella di Rosslyn

storia dello Zoroastrismo dalle origini ai giorni nostri

I Cavalieri di Malta

La battaglia delle Termopili

Il Priorato di Sion

il meccanismo di Antikitera

l'esoterismo nazista

La Sacra Sindone

battaglia di costantinopoli

Costantino XI°

Basilio II, storia del distruttore dei Bulgari

I Templari e Bisanzio

Federico II° e l'islam

Giudicato d’Arborea

Napoleone Bonaparte

IL 29 maggio di 550 anni fa nelle strade di Costantinopoli

Giuliano l'Apostata

Maria Tudor, dramma di una “sanguinaria”

OLIVER CROMWELL :Il modesto nobile di campagna che si trasformò in guerriero per gettare le fondamenta del riformismo inglese

il fante bizantino medievale

Enrico VIII d'Inghilterra

 

 

ok ci sono tutti!! :D

i prossimi articoli saranno sui Tudor e sulle mogli di enrico VIII° :D


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Inviato il 14 agosto 2005 21:40 Autore

Caterina d'Aragona

 

Caterina d'Aragona, (in spagnolo Catalina de Aragón), (16 dicembre 1485 - 7 gennaio 1536) fu la prima moglie di Enrico VIII. Nata ad Alcalá de Henares, era la figlia più giovane di Ferdinando II d'Aragona e Isabella I di Castiglia e, in quanto bisnipote di Edoardo III d'Inghilterra, era cugina di quarto grado sia di Enrico VII che di sua moglie Elisabetta di York.

 

Caterina sposò in prime nozze Arthur Tudor, figlio di Enrico VII d'Inghilterra, nel 1501. In quanto Principe di Galles, Arthur venne inviato al Castello di Ludlow, al confine con il Galles, per presiedere al Consiglio del Galles, e Caterina lo accompagnò. Pochi mesi dopo, entrambi caddero vittime di un infezione che stava affliggendo l'area.

 

Caterina andò vicina alla morte, ma si riprese e si ritrovò vedova. Caterina testimoniò che, a causa della giovane età della coppia, il matrimonio non era stato consumato; il Papa emise allora una dispensa, in modo che Caterina potesse essere promessa al fratello minore di Arthur, il futuro Enrico VIII. Il matrimonio avvenne solo dopo l'ascesa al trono di Enrico, nel 1509. Sia come Principessa di Galles che come Regina, Caterina fu estremamente popolare tra la gente.

 

Enrico VIII presumibilmente sposò Caterina d'Aragona come ultima volontà del padre morente, e rimase abbastanza felicemente sposato con lei, anche se non le fu fedele, per 18 anni, finché non iniziò a preoccuparsi abbastanza seriamente dell'avere un erede maschio al trono, mentre Caterina si avvicinava alla menopausa. Il suo primo figlio nacque morto nel 1510.

 

Il Principe Enrico nacque nel 1511 ma morì 52 giorni dopo. Caterina ebbe quindi un aborto spontaneo, seguito da un altro figlio dalla vita breve. Nel febbraio del 1516 al Palazzo di Placentia, a Greenwich (Londra), diede alla luce una figlia chiamata Maria (in seguito Regina Maria I d'Inghilterra). Ci fu un altro aborto spontaneo nel 1518.

 

Enrico aveva avuto un susseguirsi di amanti negli ultimi anni del suo matrimonio. A causa della mancanza di eredi, iniziò a credere che il suo matrimonio fosse maledetto e ne cercò conferma in due versi del libro biblico del Levitico, i quali dicevano che, se un uomo sposa la moglie del fratello, la coppia sarà senza figli. Enrico scelse di credere che Caterina avesse mentito quando disse che il matrimonio con Arthur non era stato consumato, rendendo quindi il loro matrimonio sbagliato agli occhi di Dio.

 

Dopo che Enrico sposò segretamente una ex dama di compagnia di Caterina (e sorella di una delle sue precedenti amanti), Anna Bolena, preparò un atto speciale del parlamento per annullare il suo matrimonio con Caterina il 23 maggio 1533. Ma questo divorzio veniva ancora visto come illegale agli occhi della chiesa e così nel marzo 1534, Enrico chiese che Papa Clemente VII convalidasse il divorzio. Il Papa si rifiutò per diverse ragioni, incluso il fatto che il Sacro Romano Imperatore, che era nipote di Caterina, deteneva il potere sul papato.

 

Il rifiuto del Papa di annullare il matrimonio contribuì alla riforma della chiesa inglese e alla fondazione della Chiesa Anglicana, uno scisma dalla Chiesa Cattolica Romana. Caterina si rifiutò di riconoscere il divorzio e portò la questione davanti alla legge, ma perse e fu costretta a lasciare la Corte reale. Venne separata dalla figlia (che venne dichiarata illegittima) e venne mandata a vivere in un remoto castello in condizioni umili, nella speranza che si sarebbe arresa all'inevitabile; ma lei non accettò mai il divorzio e firmò le sue ultime lettere come "Caterina la Regina". Per quell'epoca era conscia che il matrimonio di Enrico con Anna si stava deteriorando, ed ella non cessò mai di sperare che Enrico avrebbe potuto un giorno tornare da lei.

 

Caterina morì di una forma di cancro, al Castello di Kimbolton, nel 1536, e venne seppellita nella Cattedrale di Peterborough con la cerimonia dovuta alla Principessa del Galles, non a una Regina. Enrico non prese parte al funerale, né permise alla Principessa Maria di parteciparvi.


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Inviato il 14 agosto 2005 21:43 Autore

Anna Bolena

 

Anna BolenaAnna Bolena (ca. 1507 - 19 maggio 1536) fu la seconda moglie e regina consorte di Enrico VIII, e la madre della Regina Elisabetta I d'Inghilterra. Il suo matrimonio con Enrico VIII fu causa di considerevoli sconvolgimenti politici e religiosi.

 

Infanzia

Anna era la figlia di Thomas Boleyn, Conte del Wiltshire, e Elizabeth Howard, figlia del secondo Duca di Norfolk. L'anno di nascita di Anna è incerto, ma le prove circostanziali che sono pervenute indicherebbero l'inizio estate del 1507. La tradizione successiva avrebbe insegnato che la famiglia Boleyn era in pratica di classe media, ma ricerche recenti hanno provato che Anna Bolena nacque "gran signora". I suoi bisnonni comprendevano un Lord Mayor di Londra, un Duca, un Conte, due dame aristocratiche e un cavaliere. Anna fu sicuramente di nascita migliore sia rispetto a Jane Seymour che a Catherine Parr. Il padre di Anna le assicurò un posto assieme a Margherita, Arciduchessa d'Austria e figlia di Massimiliano I, Sacro Romano Imperatore, per la sua educazione nei Paesi Bassi, dove visse a partire dalla primavera del 1513 e fino all'autunno del 1514. A questo periodo fecero seguito alcuni anni in Francia, fino al 1521. Inizialmente nell'asilo reale, dove fu compagna della sorella gobba della Regina, Renée di Valois, ma nell'ultimo anno probabilmente alla Corte Francese, sotto l'influenza della brillante sorella minore del Re.

 

 

La Corte Inglese

Al suo ritorno in Inghilterra, Anna apparentemente divenne una dama di compagnia di Caterina d'Aragona, La "formidabile" Regina spagnola di Enrico VIII, la cui bellezza era definitivamente svanita ma la cui dignità era ancora intatta.

 

Durante questo periodo ci fu molto parlare di un matrimonio tra Anna e uno dei suoi cugini, il Conte di Ormande. Questo, ad ogni modo, venne cancellato per motivi incerti. Si presume che il padre di Anna fosse segretamente contro il matrimonio, che era stato architettato dal capo ministro del Re, Thomas Wolsey, il quale si era mostrato essere un nemico dei Boleyn, negli anni precedenti.

 

Attorno al 1522, Anna iniziò ad essere corteggiata da Lord Henry Percy. Alcuni dicono che divennero amanti, mentre altri sostengono che si trattò di un semplice corteggiamento. La seconda ipotesi è probabilmente quella vera, poiché Anna era troppo intelligente per sprecare il suo valore in poche notti di passione che non le avrebbero portato nulla. La sua sorella maggiore in Francia era stata sessualmente "avventurosa", e Anna come risultato ne era stata profondamente umiliata. Probabilmente nella primavera del 1523, Anna venne promessa a Lord Henry Percy, che sarebbe diventato il sesto Conte di Northumberland. Il padre di Lord Henry, si rifiutò di sancire il matrimonio quando ne venne a conoscenza dal Cardinale Wolsey, che ancora una volta si dimostrò non essere un amico dei Boleyn. Anna venne mandata dalla Corte al Castello di Hever, nel Kent. Non si sa quanto a lungo vi restò, anche se sicuramente fece ritorno alla Corte per la metà del 1525. A Shrovetide nel 1526 la giovane e brillante cortigiana attrasse l'occhio di Enrico VIII, una cosa che inizialmente la lasciò inorridita.

 

La sorella maggiore di Anna, Mary era stata in precedenza amante di Re Enrico e potrebbe avergli dato un figlio, molti storici ritengono che anche la loro madre, Elizabeth Boleyn, sia stata amante di Enrico, anche se questi lo negò. Anna si rifiutò di diventare l'amante del Re, ed eluse le sue avances per oltre un anno. Gli storici femministi ora ritengono che Anna soffrì in quanto vittima silenziosa delle molestie sessuali del XVI secolo. Enrico le propose il matrimonio nel 1527, e dopo qualche esitazione, lei accettò. Anna divenne vittima di una campagna di odio pubblico, e nel 1531 una folla di 8.000 donne marciò attraverso le vie di Londra nel tentativo di linciarla. Durante questo periodo, Anna giocò un ruolo importantissimo per la posizione internazionale dell'Inghilterra, consolidando l'alleanza con la Francia. Quando, nel 1532, Enrico le diede il titolo di Marchesa di Pembroke, fu la prima volta in cui una donna ricevette un titolo nobiliare creatole appositamente. Anche la famiglia di Anna ne beneficiò. Suo padre divenne Conte di Ormonde e Wiltshire e suo fratello Visconte di Rochford. Grazie all'intervento di Anna, sua sorella Mary ricevette una rendita annuale di 100 sterline e suo figlio ricevette un educazione di alto livello in un prestigioso monastero cistercense. Anna ed Enrico dormirono insieme per la prima volta alla fine del 1532 a Calais, e le ragioni per cui cedette a questo punto sono difficili da comprendere. Uno storico ha suggerito che fu probabilmente a causa del fatto che per quel momento si era finalmente innamorata del Re.

 

La personalità di Anna fu complessa, e venne grandemente distorta da quelli che si opposero al suo matrimonio e alle sue opinioni religiose. Ella fu una cristiana devota, che rientrava nella grande tradizione dell'umanesimo rinascimentale (chiamarla una protestante sarebbe troppo), fu anche una donna molto fedele, contrariamente al mito popolare, ed una donna estremamente emotiva, che poteva essere ferita facilmente. La sua dolorosa confusione, sul perché fosse diventata oggetto del disprezzo pubblico, la sua accresciuta devozione per sua figlia che "chiaramente adorava", e le sue poche amicizie ne sono un segno. Eppure Anna poteva anche essere stravagante, nevrotica e di cattivo umore.

 

Matrimonio con Enrico VIII

Si è spesso pensato che l'infatuazione di Enrico per Anna lo portò a cercare un modo per annullare il suo matrimonio esistente. Ad ogni modo ci sono buone prove che suggeriscono come Enrico possa aver preso la decisione di abbandonare il suo matrimonio con Caterina d'Aragona semplicemente a causa dell'incapacità di lei nel dargli un erede maschio. Enrico riteneva che ciò fosse essenziale per impedire il crollo della dinastia Tudor, che era stata resa stabile da suo padre, Enrico VII d'Inghilterra, vincendo la Guerra delle Rose nel 1485.

 

Il 25 gennaio 1533, prima di annunciare la decisione che il suo primo matrimonio, con Caterina d'Aragona, sarebbe stato invalidato, sposò in segreto Anna, o nel Palazzo di Whitehall o nel Palazzo di Westminster. In ogni caso, il matrimonio non venne reso di dominio pubblico per alcuni mesi, ma Anna era già incinta e diede alla luce Elisabetta, la futura Regina Elisabetta I d'Inghilterra, nel settembre di quell'anno. Enrico era ragionevolmente compiaciuto e riteneva che lui e Anna avrebbero potuto avere un altro figlio, anche se il primo era una bambina. L'incoronazione di Anna, nel maggio di quell'anno venne contrassegnata dall'ostilità del popolo, la gente si rifiutò di levarsi il cappello in segno di rispetto per la loro nuova Regina. Quando le venne chiesto che impressione avesse avuto di Londra durante l'incoronazione, Anna rispose: "La città mi è piaciuta abbastanza, ma ho visto pochi cappelli in aria, e sentito poche lingue".

 

Durante tutto il suo periodo come Regina, Anna patrocinò diversi studiosi di religione - e salvò la vita di un filosofo francese, Nicolas Bourbon, che era stato condannato a morte dall'Inquisizione a Parigi. Si disse che ogni vescovo riformista d'Inghilterra, a quell'epoca, doveva la sua posizione all'influenza della Regina Anna. La sua Corte venne generalmente vista come estremamente colta e festosa.

 

Sfortunatamente per Anna, le sue tre gravidanze successive finirono in aborti spontanei o con bambini nati morti. L'ultima di queste gravidanze portò a partorire un neonato maschio già morto, nel gennaio 1536.

 

 

La morte di Anna

Nel maggio 1536 Anna venne accusata di aver usato la stregoneria per intrappolare Enrico VIII nel matrimonio e per aver persuaso cinque uomini ad avere relazioni adulterine con lei; di aver creato competizione e gelosia tra i cinque; di affliggere il Re con dolori corporei; e di aver cospirato per provocarne la morte o il tradimento. Gli uomini presunti di essere stati coinvolti nell'adulterio erano un palafreniere della Camera della Corona - Marc Smeaton; il fratello di Anna - Lord George Rochford, Henry Norris, Francis Weston e William Brereton. Il fratello di Anna venne di fatto ritenuto il padre del figlio di Anna nato morto. È oggi generalmente accettato che nessuna delle accuse fosse valida; anche se ciò non ha fermato il riemergere della teoria in diversi romanzi storici sensazionalistici.

 

Ci sono diverse teorie riguardanti gli eventi che portarono a queste accuse:

 

La prima vuole che Enrico fosse già da tempo deluso di Anna, ma fosse riluttante a divorziare da lei mentre la sua prima moglie Caterina era ancora in vita, poiché esisteva una grossa fazione in Inghilterra che credeva (anche se non osava dirlo in pubblico) che agli occhi di Dio Enrico era ancora sposato a lei. Ma nel gennaio 1536 Caterina morì, riducendo il potenziale contraccolpo dell'opinione pubblica. Ad ogni modo diverse persone che avevano incontrato Enrico ed Anna nell'ottobre 1535 riportarono che la coppia sembrava andare d'accordo, ed Enrico premiò Anna con la reggenza del Parco di Colyweston a novembre. Mentre è probabile che il matrimonio fosse già teso, questa non può essere vista come la causa della caduta della Regina, senza incorporare altri fattori.

 

La seconda teoria è quella secondo cui Thomas Cromwell usò l'aborto spontaneo di Anna come leva per persuadere Enrico a rimuoverla, prendendo l'opportunità per pianificare la contestuale rimozione di cinque dei suoi nemici politici.

 

Più di recente David Starkey ha suggerito che Enrico si fosse recentemente innamorato di Jane Seymour e quindi si mosse rapidamente a fabbricare le accuse per rimuovere Anna, in modo che lui potesse risposarsi di nuovo.

 

L'ultima teoria, sostenuta da Retha Warnicke, è che il figlio nato morto di Anna fosse deforme, anche se le prove sono circostanziali. All'epoca era diffusa la credenza che le deformità fossero il prodotto di atti sessuali illeciti da parte dei genitori - ed ovviamente Enrico non ne poteva essere ritenuto responsabile. Tramite l'affermazione dell'adulterio di Anna, e con chiacchiere ben radicate le quali dicevano che Enrico aveva a malapena rivolto la parola ad Anna, da molti mesi a quella parte, la sua paternità del bimbo deforme poteva essere ampiamente confutata, se la notizia della deformità fosse filtrata. L'impotenza di Enrico avrebbe anch'essa aderito a questa teoria. Eccezionalmente, la sfortunata gravidanza di Anna del gennaio 1536 venne resa pubblica, anche se non prima che diverse voci venissero messe in giro dai consiglieri di Enrico circa le accuse di adulterio e stregoneria. Si è suggerito che quelli giustiziati per adulterio vennero scelti poiché erano dei noti libertini, e che sotto interrogatorio le domestiche di Anna li identificarono come persone che fecero visita alla Regina in un periodo che va da ottobre 1533 a dicembre 1535. Questa teoria, comunque, dipende quasi totalmente su prove circostanziali e non ci sono praticamente prove a supporto del fatto che il feto reale fosse deforme.

 

La verità è probabilmente che la disaffezione di Enrico nei confronti della moglie dalla forte volontà, lo spinse nella braccia di Jane Seymour, la manipolatrice dagli occhi di cerbiatta, che era la pedina dei molti nemici politici di Anna. Questi avversari capitalizzarono sul suo ultimo aborto e sulla morte di Caterina, e con l'aiuto di Thomas Cromwell e con il (benché tacito) supporto del Re, organizzarono un piano elaborato per portare la Regina al patibolo assieme a diversi dei suoi alleati strategici della Corte.

 

Anna venne arrestata il 2 maggio 1536, e portata alla Torre di Londra. Nei suoi primi giorni alla Torre sembra che abbia sofferto di un minuscolo collasso nervoso, passando da crisi di risa isteriche a un pianto incontrollato. Si dice che abbia scritto una lettera al marito protestando contro questa "macchia indegna" sulla sua reputazione, supplicandolo di risparmiare i cinque uomini accusati con lei e pregandolo di ricordarsi della loro figlia Elisabetta. Sulla base della falsa testimonianza di Smeaton, forse ottenuta con la tortura, e delle deposizioni dei membri della corte della Regina, Anna venne dichiarata colpevole al processo del 15 maggio. Si comportò con notevole padronanza di se, e dopo la sua condanna disse ai giudici che mentre poteva credere che avessero buone ragioni per condannarla a morte, queste non erano le ragioni prodotte nell'aula giudiziaria. Il 17 maggio il suo matrimonio con Enrico venne annullato, anche se i motivi addotti non sono conosciuti in quanto i verbali vennero distrutti. Anna trovò la pace spirituale durante i suoi ultimi due giorni di vita, e disse al carceriere che confidava nella pietà di Dio e credeva che sarebbe andata in paradiso. Giurò due volte sui sacramenti che era innocente di tutte le accuse portate a suo carico. Il 19 maggio 1536 Anna venne decapitata con un solo colpo alla Torre di Londra. Prima della morte scherzò dicendo che: "Ho sentito dire che il boia è molto bravo, e il mio collo è sottile". Il boia, un esperto spadaccino francese, era ritenuto un giustiziere rapido ed eccellente. Anna scelse un vestito scuro per la sua esecuzione, con una sottoveste cremisi. Sul patibolo perdonò quelli che l'avevano mandata a morte, e pregò per suo marito. Venne bendata, e mentre si stava inginocchiando la sua testa cadde con un solo colpo.

 

Enrico VIII sposò Jane Seymour il 30 maggio.

 

Nel 1876 quando la Cappella Reale di San Pietro ai Vincoli, nella Torre di Londra, dove Anna venne sepolta, venne radicalmente restaurata, uno dei corpi esumati, esaminati e reinterrati venne identificato come il suo.


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