ma la storia non vi ispira proprio??
L'importante è che ispiri noi, no ?
ummm mi sà che hai ragione!io continua a inviare saggi tanto sò che almeno tu li leggi!
I Cavalieri di Malta
La loro storia attraversa secoli, guerre e nazioni; il fascino delle loro imprese è immutato da un millennio a questa parte e la leggenda che li avvolge è, ancora oggi, viva nelle loro opere. Sono i Cavalieri di Malta.
Cavalieri: un nome che riporta alla mente storie da ragazzi, imprese nobili, gesti eroici. E l'Ordine dei Cavalieri di Malta per secoli ha, senza dubbio, rappresentato tutto questo.
Ma mentre la storia cancellava via via i grandi ordini cavallereschi - dai Teutonici ai Templari – l'Ordine di Malta continuava a vivere e ad operare.
Questa sera cercheremo di capire perché proprio loro, i Cavalieri di Malta, siano riusciti a resistere all'impetuoso corso della Storia.
Per farlo dobbiamo però tornare nel passato: un salto all'indietro di oltre 900 anni.
E' il 15 luglio 1099 quando Goffredo di Buglione, a capo della prima crociata in Terra Santa, conquista Gerusalemme. E al suo interno, proprio vicino al Santo Sepolcro, trova un ospedale retto da un gruppo di frati amalfitani, fedeli a San Giovanni. L'ospedale ha una caratteristica particolare: lì le cure vengono prestate indistintamente a malati di ogni razza e fede, dai Crociati ai Musulmani. In pochi anni la fama degli Ospitalieri – così vengono chiamati - cresce a dismisura: molti crociati chiedono di farne parte, a tal punto che il 15 febbraio del 1113 arriva il riconoscimento ufficiale: Papa Pasquale II invia a Fra' Gerardo, capo della comunità, una bolla che sancisce la nascita del nuovo Ordine religioso. L'Ordine prende dunque il nome di San Giovanni, ma di lì a poco lo cambierà ancora due volte, seguendo il destino dei cavalieri stessi.
Il primo Gran Maestro dell'Ordine è Fra' Raymondo de Puy, ed è a lui che si deve la trasformazione dell'Ordine in una vera e propria organizzazione militare. Oltre ai tre voti monastici di castità, povertà ed obbedienza, de Puy introduce l'obbligo militare: i cavalieri indosseranno l'armatura e brandiranno la spada. La sola assistenza, in Terra Santa, non è infatti più sufficiente negli anni delle crociate, e i pellegrini hanno bisogno di una difesa armata. Hanno bisogno dei monaci guerrieri.
Potere, denaro e conoscenza conferiscono, in quegli anni, agli ordini religiosi un'aura di mistero. Ma se i Templari richiedevano vere e proprie pratiche di iniziazione misterica ai loro adepti, per entrare a far parte dei Cavalieri di Malta era necessario solo l'adesione ai principi di carità cristiana. Oltre all'indispensabile discendenza nobile.
Il loro motto sarà infatti "Tuitio Fidei et Obsequium Pauperum": difesa della fede e servizio ai poveri.
Nei loro ospedali i pazienti – quale che sia la loro estrazione – vengono chiamati "Signori Malati" e i Cavalieri gli servono i pasti su piatti d’argento.
Ma l'impegno militare è altrettanto profondo. Nei primi due secoli di vita i Cavalieri di Malta partecipano attivamente a crociate, assedi, battaglie ed azioni memorabili. Sono guerrieri temuti e rispettati. Gli arabi li chiamano, con odio e soggezione, i "diavoli neri".
Per i Cavalieri giunge poi l'ora di lasciare la Palestina: la difesa della Chiesa Cattolica si sposta sul mare.
I Cavalieri si fermano prima a Cipro, insieme ai Templari, e successivamente conquistano l'isola di Rodi il 15 agosto del 1310.
L’Ordine prenderà in questo periodo il nome dall'isola greca.
Duecento anni di grande splendore in cui più volte resistono agli assedi dei saraceni. Epica la vittoria sugli uomini di Maometto II, che ricorderà Rodi come la sua più pesante sconfitta. Nonostante le eroiche e continue vittorie dei Cavalieri, il giorno di natale del 1522 i turchi entrano a Rodi con un esercito sterminato. I Cavalieri sono costretti a fuggire.
Scacciati anche da Rodi, riprendono a vagare per il Mediterraneo: sette anni senza patria, fino a quando l'imperatore Carlo V assegna alla sacra milizia l'Isola di Malta.
Dall'Isola, ancora una volta l'Ordine prenderà il nome, ma questa volta per non cambiarlo più. Sono gli anni che trasformano definitivamente la storia dei Cavalieri di Malta in Leggenda.
Malta è un avamposto strategico contro la diffusione della dottrina musulmana in Occidente, e proprio per questo diventa teatro di scontri cruenti. La battaglia più famosa è quella del 1565 che consacra definitivamente i Cavalieri di Malta nell'olimpo degli eroi.
Forte Sant'Angelo, il cuore fortificato di Malta, viene assediato per mesi. Lo scontro è impari: 40 mila giannizzeri armati contro 600 cavalieri agli ordini del gran maestro Jean de La Vallette. Sono mesi di orrore: da un lato i cavalieri catturati vengono crocifissi e buttati in mare, dall'altro i prigionieri musulmani vengono decapitati e le loro teste usate come munizioni per i cannoni. Eppure il coraggio e l'arte guerriera dei cavalieri riesce ad avere la meglio sullo sterminato esercito nemico. E non solo: nei 5 anni che seguono viene eretta una città ricca e splendente, che diventerà capitale dell'Isola. Il suo nome, ancora oggi è La Valletta, in onore del maestoso condottiero.
A Malta i Cavalieri affinano la loro arte marittima, dominando le rotte navali del mediterraneo, e depredando i carichi delle navi considerate ostili. Sono anni di pirateria, ma anche anni relativamente tranquilli.
Forse anche per questo motivo quando Napoleone sbarca a Malta nel 1798 non trova nessuno a opporgli resistenza.
"Non solleviamo armi contro i cristiani", diranno in seguito i Cavalieri, ma il vero motivo della resa è tutt’altro che chiaro. Le truppe Napoleoniche saccheggiano la città e gran parte del tesoro dell'Ordine viene confiscato e caricato sull'Orleans. Una nave che però non farà mai ritorno in patria, colata a picco in circostanze misteriose.
Da questo punto in poi i Cavalieri deporranno le armi, e si affideranno alla sola diplomazia.
Troveranno sede a Roma, nella meravigliosa villa Malta dove Piranesi aveva costruito questa sua unica e magnifica opera architettonica: la chiesa di Santa Maria del Priorato, dove l'artista volle essere sepolto e dove, ancora oggi, questa statua lo ricorda.
Non è la prima volta che storie di artisti si intrecciano a quelle di cavalieri. Nel 1607 un giovane pittore in fuga dagli Stati Pontifici con l'accusa di omicidio, approda a Malta trovando ospitalità nell'Ordine. Che lo nomina addirittura Cavaliere d'Obbedienza: indosserà le vesti dei cavalieri e porterà la loro spada. Quel giovane pittore si chiamava Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio. Ma Caravaggio verrà di nuovo arrestato in circostanze poco chiare e riuscirà a fuggire dall'Isola. Nel breve soggiorno maltese dipingerà – tra gli altri - due quadri straordinari: la decapitazione di San Giovanni e il San Girolamo. Morirà due anni dopo in circostanze misteriose.
La vicenda di Caravaggio è una delle poche zone d'ombra nella storia dei Cavalieri di Malta. Un'altra è quella del rapporto tra i Cavalieri di Malta e i Templari. E' possibile infatti che dai Cavalieri del Tempio l'ordine di Malta possa avere ereditato un ricco bagaglio di tesori, uomini e conoscenze?
Secondo alcuni ricercatori, la famosa Torre del Diavolo sull'Isola di Malta sarebbe addirittura stata una scuola per l'insegnamento di segreti alchemici. La figura di riferimento di questo immaginario è quella del Gran Maestro Pinto de Fonseca, dal quale Giuseppe Balsamo, conte di Cagliostro, millantava una discendenza diretta.
Il segreto che ha permesso all'ordine di Malta di attraversare secoli tumultuosi di storia, potrebbe però essere semplicemente quello di non aver tradito i principi originari di carità cristiana e di servizio ai bisognosi.
Ma cosa significa oggi questa eredità?
L'Ordine è uno stato sovrano che vanta rapporti diplomatici con oltre 90 nazioni. E' in prima linea nelle zone di guerra: dal Vietnam al Kosovo. Ha oltre 47 ospedali sparsi nel mondo e molte scuole per i poveri. A quanto ammonta e come viene gestito il Comun Tesoro.
Il passato dei Cavalieri assume insomma i toni epici della leggenda che però porta con sé, inevitabilmente, anche dubbi e sospetti riguardo ai segreti che sarebbero custoditi nelle pagine più nascoste della storia dell'Ordine.
Il presente invece, è sotto gli occhi di tutti: un presente di uomini al servizio della pace e dei popoli più poveri. Proprio come dovrebbe essere lo spirito di un vero cavaliere. Oggi come mille anni fa.
azz appena finito di leggere!!bello!
io posto questo davvero epico!!!
La battaglia delle Termopili
Dopo la sconfitta a Maratona i persiani non persero le loro mire espansionistiche, e le speranze di pace dei greci furono presto infrante dalle dimostrazioni di ostilità di Serse figlio di Dario re dei re di Persia. Questi organizzò un esercito enorme formato da tutti i popoli a lui sottomessi, stimabile intorno ai due milioni di uomini (secondo lo storico Erodoto), seguito, via mare da una flotta di milleduecento navi; l’esercito più grande che il mondo avesse visto fino a quel momento.
Gli alleati greci decisero che il punto migliore per opporsi all’invasore “barbaro”, fosse il passo delle Termpoli, l’unica via agevole per giungere alla Grecia vera e propria dalla Tessaglia. Le forze alleate erano veramente esigue, Sparta fu la prima città a mandare i suoi uomini al passo comandati Leonida formidabile guerriero ultra sessantenne dalla mente sveglia e acuta, dietro l’esempio di Sparta arrivarono i rinforzi dalle altre città greche Tegea, Mantinea, Orcomeno, Corinto, Fliunte, Micene, Tebe, e dalle altre città dell’Arcadia e della Beozia per un totale di 3900 opliti seguiti dai rispettivi scudieri che fungevano da fanteria leggera.
Per prima cosa gli spartani e i loro alleati ricostruirono il vecchio muro di difesa al passo, caduto in rovina, e attesero l’arrivo dell’esercito persiano. Quando gli esploratori riferirono a Serse il numero dei greci che presidiavano il passo, il re scoppiò a ridere e piuttosto perplesso si chiese cosa stessero aspettando, non aveva capito che i greci si preparavano alla morte per dare tempo alle altre città di prepararsi.
Serse attese quattro giorni convinto che il solo numero sarebbe bastato a far fuggire gli alleati. Allo stesso momento anche la sua flotta non riusciva ad avanzare bloccata dalle veloci navi ateniesi al cui comando si trovava il brillante Temistocle. Al quinto giorno Serse spazientito ordinò l’attacco sicuro che il numero stesso sarebbe bastato ad annientare i greci. Quando alcuni disertori dell’esercito persiano (perlopiù greci arruolati con la forza) avevano dichiarato che i Medi erano così tanti da oscurare il sole con le loro frecce, gli spartani risposero -bene almeno combatteremo all’ombra-.
E non si sbagliarono di molto, per tutto il giorno combatterono ferocemente e nello stretto passo dove il numero non aveva significato, fecero strage di persiani che con le loro armature leggere e le lance corte non potevano nulla contro il pesante equipaggiamento oplita. Il giorno successivo Serse schierò in campo le sue truppe d’èlite i diecimila Immortali comandati da Idarne che non ebbero maggior fortuna. I greci combattevano a turno concedendosi un pò di riposo da quel massacro, si accasciavano a terra sudati e sporchi di sangue per poi rialzarsi e tornare a combattere.
Ma il terzo giorno a causa di un tradimento i persiani fecero passare gli immortali di Idarne attraverso un sentiero che aggirava il passo. Leonida venuto a conoscenza del tradimento fece tornare a casa gli alleati per risparmiarli in prospettiva delle future battaglie. Lui e i suoi spartani sarebbero rimasti per coprire la ritirata e morire sul posto perché le leggi di Sparta non contemplavano la ritirata. Rimasero anche 700 tespiesi che piuttosto di abbandonare Leonida preferirono morire. Quando i persiani chiesero di consegnare le armi Leonida gridò -venite a prenderle!-
Gli spartani combatterono con assoluto disprezzo della vita con le aste delle lance ormai spezzate e con le spade, poi con i pugni e i calci lasciando sul campo più di ventimila persiani compresi due fratelli di Serse, alla fine si rifugiarono sul colle che sovrastava le Termopili per proteggere il corpo del loro re caduto. Serse ordinò che fossero finiti con gli archi per non perdere altri uomini.
Il sacrificio dei trecento spartani permise agli ateniesi di prepararsi allo scontro navale di Salamina e agli altri greci di rimandare il confronto con i persiani un anno dopo a Platea.
Ancora oggi sul posto si trova una lapide rivolta a tutti i greci:
Il monumento
"Va’ o passeggero,
narra a Sparta
che noi qui morimmo
in obbedienza alle sue leggi"
Dopo la vittoria alle Termopili l'esercito persiano giunge poi in Attica, devasta Atene abbandonata dalla popolazione rifugiatasi nell'isola di Salamina. Intanto la flotta greca, in cui prevalgono le navi ateniesi, dopo aver impegnato quella persiana al capo Artemisio, si ritira nel golfo di Saronico: a Salamina il 23 settembre si svolge lo scontro definitivo tra le due flotte, che termina con la completa sconfitta dei Persiani. L'esercito di Serse è così costretto ad abbandonare l'Attica ed a rifugiarsi nell'amica Beozia.
(*) Sulla descrizione che ne fece Erodoto (485-425), ci sono molti dubbi, anzi sembra che il combattimento sia un quadro di fantasia ed è difficilmente credibile nei suoi dettagli. Il mosaico nel resoconto delle operazioni sia navali che terrestri è piuttosto raffazzonato. Comunque pieno di errori, di luoghi, di partecipanti, di date.
Innanzitutto la conoscenza geografica del luogo è usata a sproposito. La stretta delle Termopili si accorda col racconto di Erodoto (ma solo in parte, quindi senza averlo mai visitato); e dimentica di dirci che c'erano altri tre passi che convergono verso Larisa. E che il passo Anopaia era molto più agibile per raggiungere la pianura della Malide. Solo quando -dopo la caduta delle Termopili- tutto l'esercito persiano di Artabazo penetra nella Doride, Erodoto nomina questa strada. Lo storico visitando la zona, non la esplora, si avvale solo di vaghe descrizioni della gente del posto; e fa passare tutto l'esercito persiano dalla strada di Gonnos, che è una variante di quella del passo di Tempe (uno dei tre passi principali con quello di Petra e di Volustana). Inoltre il valico delle Termopili non conduce da nord a sud, ma da ovest ad est.
Pausania (445-393) che in seguito visitò le Termopili e si interessò della storia della battaglia, ci offre un quadro molto diverso da quello fatto da Erodoto, che probabilmente si rifiutò di sciupare il proprio racconto. Afferma che Leontiades fu il comandante dei Tebani alle Termopili e Eurymachos all'attacco di Platea; mentre Tucidide (460-395) smentisce che quest'ultimo avesse il comando a Platea, e Plutarco citando Aristofane di Beozia (445-388) che sembra che possedesse delle prove scritte, dimostra che alla Termopili al comando c'era Anaxandro e non Leontiades. Sembra insomma che Erodoto abbia accettato troppo facilmente una versione deformata da pregiudizi, specialmente a riguardo delle recriminazioni posteriori).
Anche sulla data Erodoto sbaglia: fa coincidere la battaglia con la fine dell'Olimpiade del 480 e la contemporanea celebrazione delle Carnee. Poichè entrambe terminavano col plenilunio, Erodoto cita il 21 di luglio. Ma un altro plenilunio ci fu il 19 agosto.
Sappiamo che dopo le Termopili l'esercito persiano dopo sei giorni entrò in Attica e ad Atene. Ma dato che la battaglia di Salamina sappiamo con certezza fu combattuta il 23 settembre (il giorno dopo la processione di Iacco ad Eleusi - il 22 era il gran "Giorno dei Misteri) la prima data è quanto mai improbabile; poi è difficile credere che Serse sostasse ad Atene per sette settimane prima della battaglia. Innanzitutto perché i greci riparati a Salamina senza provviste alimentari li avrebbero trovati tutto morti; ma anche gli stessi marinai delle 350 triremi della flotta persiana sarebbero morti d'inedia.
Queste precisazioni non sono prese da fonti riportate da cronache antiche o nuove, ma a seguito di una accurata visita sui luoghi, montagne e passi compresi, fatta dal sottoscritto, con il testo di Erodoto in mano; ed è apparso chiaramente che lo storico Erodoto in questi posti non c'era mai stato.
nn deprimetevi, c'è chi legge
semplicemente a volte è bello ascoltare e basta
nn deprimetevi, c'è chi leggesemplicemente a volte è bello ascoltare e basta
non ti immagini quanto hai ragione!ma è un lavoro che io e mik facciamo volentieri!
l'importante che tutto questo sia non postato e basta!
visto che ci sono posto anche questo articolo che avevo postato solo su midland!
Il Priorato di Sion
Goffredo di Buglione, discendente della linea merovingia tramite i bisnonni Hugues di Long Nez e Agnès la Bella (Hugues di Long Nez era pronipote di Sigebert VI duca del Razès), nel 1099, dopo la presa di Gerusalemme, fondò l’Ordine dei Cavalieri di Nostra Signora di Sion. Il nome derivava dall’abbazia decrepita, in seguito fortificata, trovata in Terrasanta e dedicata a Nostra Signora di Sion.
L’ordine dei cavalieri derivava da tre società cosiddette segrete : Esseni, i Saggi della Luce (discepoli di Ormus) ed i monaci dell’abbazia di Sion. Gerard De Sede sostiene che tra i monaci calabresi di Orval vi era Pietro l'Eremita, il quale non solo era stato l'istitutore di Goffredo di Buglione, ma anche l'ispiratore della Crociata, Se è vero che Pietro l'Eremita era uno dei monaci di Orval, considerato che andò a Gerusalemme seguendo la Crociata di Goffredo di Buglione, non è possibile che si stabilì con i confratelli nella abbazia di Nostra Signora di Sion? Fu l'Ordine di Sion a volere l’istituzione di quello dei Templari. Ma da questo si scisse nel 1188 a Gisors, come si è già detto, e da allora prese il nome di Priorato di Sion. Di certo nulla più si seppe, finchè un certo Lobineau e Pierre Plantard di Saint-Clair, Gran Maestro del Priorato, non diedero alcune notizie.
Il 17 gennaio 1981 si riunì a Blois l’Assemblea del Priorato di Sion che elesse Gran Maestro Pierre Plantard. Egli sostiene di essere discendente diretto dei re Merovingi. Non è semplice, per non dire impossibile, controllare la veridicità di tale asserzione.
Non è un caso che si sia scelta la data del 17 gennaio per riunire l’assemblea del Priorato. E’ la data ricorrente nel Mistero di Rennes-le-Château, ma è anche la data in cui, narra la leggenda, Nicolas Flamel, castellano di Gisors, Gran Maestro del Priorato di Sion, realizzò la sua prima trasmutazione alchemica. Flamel, quindi, era di Gisors. E’ una località molto importante per l'Ordine. Un certo Lhomoy sosteneva di aver trovato sotto il loggione una cappella con all’interno delle statue di corvi, quelle di Gesù e degli apostoli, 19 sarcofagi e 30 cofani. Egli era convinto che lì ci fosse il tesoro dei Templari. Pierre Plantard sostiene, invece, che esistevano dei sotterranei che univano il castello di Gisors con la chiesa di Saint-Gervais e Saint-Protais ; in quei sotterranei si trovavano gli Archivi del Priorato di Sion e nel 1964, su suo consiglio, vennero spostati altrove. Pierre Plantard ci riferisce qualcosa anche sul pilastro visigoto che contenevano i manoscritti. Saunière, come è stato detto all’inizio, lo fece capovolgere e pose su di esso la Madonna di Lourdes e vi fece incidere la data 1891. Plantard sostiene che bisogna ricapovolgere il pilastro per leggere 1681, data in cui furono creati i Prodi o Bambini di S. Vincenzo, che costituivano il Circolo esterno "visibile" del Priorato di Sion.
L’Assemblea, poi, fu tenuta a Blois, in onore di Victor Hugo, che era di quella cittadina, già Gran Maestro del Priorato.
Tredicesimo Gran Maestro fu Gérard de Ridefort, ma era contemporaneamente anche l’undicesimo Gran Maestro dei Templari. Egli nel 1188 fu destituito quale Gran Maestro del Priorato, in quanto era considerato responsabile della caduta di Gerusalemme. Al suo posto venne eletto il 15 agosto dello stesso anno Jean de Gisors. La destituzione di Ridefort fu causa della scissione con i Templari. Il Priorato corse il rischio di sparire ed entrò in clandestinità. E dalla clandestinità cominciò ad interessarsi della Storia e a far sentire il suo potere in tutti gli affari d’Europa.
Plantard ci fa sapere, per mezzo del testo "Rennes-le-Château - capitale sécret de l’histoire de France", che il Priorato oggi conta 121 membri ripartiti in 5 gradi e 9 commanderie.
L’Arco dei 13 Rosa-Croce :
nautonier 1
crociati 3
commendatori 9
Le 9 Commanderie :
cavalieri 27
scudieri 81
Ci informa ancora che, secondo il cap. XIX del Libro delle Costituzioni, esistono altri 243 fratelli liberi, detti Prodi, che sono uomini politici, che fanno parte di ordini religiosi o massoni e di cui si ignora tutto.
Leggendo la notizia dei 13 Rosa-Croce, mi sovviene una notizia avuta tempo fa e che avevo completamente dimenticata. Bisognerebbe verificare se è vera. Mi fu riferito che nell'Arco Reale vi sono tre camere. Ne esisterebbe una quarta, unica nel mondo, che si riunirebbe in Svizzera e della cui esistenza pochi sanno. Mi chiedo: che vi sia un collegamento con il Priorato?
Un'altra fonte sostiene che il Priorato è diviso in 729 province e 27 commanderie con 9 gradi
Novizi: 6.561
Crociati: 2.187
Prodi: 729
Scudieri: 243
Cavalieri: 81
Commendatori: 27
Conestabili: 9
Siniscalchi: 3
Nautier: 1
Nello libro di Delaux e Brétigny, già citato, troviamo scritto : " E’ una società iniziatica che, lasciando ai suoi membri, libertà filosofica, politica o religiosa continua a dispensare il suo insegnamento. Questo insegnamento scatena soventemente gli anatemi della Chiesa, che scrisse in un bollettino romano :- ...i discendenti merovingi furono sempre alla base delle eresie, dopo l’arianesimo, passando dai catari ed i Templari fino alla massoneria (…) Ricordiamo, però, che nell’800 la Chiesa aveva concluso un’alleanza con i Merovingi nel periodo del battesimo di Clovis, a Reims, alleanza che aveva fatto della Francia la figlia primogenita della Chiesa...
...Il priorato veglia sul tesoro del Razés e sui segreti dei re della prima razza, assicurando la trasmissione non di una dottrina, ma di una filosofia rilevante del sapere tradizionale".
Alcuni sostengono che oggi la Gran Loggia Alpina è l'organo di reclutamento del Priorato.
Da ricerche effettuate ho scoperto che a Stenay esiste un "Cercle Saint Dagobert II", il cui presidente è Louis Vazart. E' il circolo esterno del Priorato, come quello dei Bambini di S. Vincenzo? Del suddetto risulta che ne facciano parte due italiani, la signora Paola Menotti ed il signor Gino Sandri, che altri non è che il segretario di Pierre Plantard. Louis Vazart , come Plantard, ha collaborato con gli autori di "Rennes-le-Château capitale secréte de l'histoire de France".
Riporto una convocazione dell'Assemblea Generale del Cercle Saint Dagobert II
ASSEMBLEE GENERALE DU 30 NOVEMBRE 1996
du Cercle SAINT DAGOBERT II
Ordre du jour:
Rapport moral du président Louis VAZART.
Précisions sur les actions en cours par messieurs BONNEFOY et BOUSIGUES.
Communication des comptes financiers.
Renouvellenent du bureau, élection.
Questions diverses.
Perspectives pour 1997.
Monsieur MEURIC, secrétaire général du cercle enregistre le présents et les pouvoirs des adhérents empêchés.
Sont excusés
Madarne Paola MENOTTI M. M. DELAMARCHE Monsieur André ROTH
Monsieur Christian CAZET Mme Marylène MELLAC Monsieur BIZET
M. Jean-Ph. DESSAINT Monsieur Alain BERTI Madame BTZET
Mme Marie-José LE FUR Monsieur Edmond BELE Monsieur John SAUL
Soeur Telchilde de Dr VILLETTE M. Jean Lue NOZIERE
Montessus Monsieur BONNARD Melle Virginie FAUVEAU
Association des Amis de Madame BONNARD
l'Abbaye de Jouarre M. DESCHEEMAECKER
Sont présents
Monsieur Gino SANDRI BONNEFOY
Monsieur LORICHON Monsieur Jean Robert
Madame LORICHON MARECHAL,
Madame JANICOT Madame Christiane
Monsicur JANICOT MARECHAL
Monsicur CHERPILLOD Monsieur Raoul. FREMY
Madame ARCHAMBAULT Monsieur Jean Pascal
Monsieur CASTA MEURIC
Madame CASTA Monsieur DENOY
Monsieur Serge MICHEL Madame DENOY
Madame Muriel FOLLETI Madame STADELMANN
Monsieur Louis VAZART Maciame M. H. COMTE
Madame Suzanne VAZART Madame DORMEVAL
Monsieur Yves VAZART M. Philippe MERLE
Monsieur GIlbert DENNECKER M. Jean MICHAUX
Madame Rayrnonde
Il simbolo della sovranità merovingia è l'ape. A Rennes-les-Bains, sulla porta delle terme romane se ne possono ammirare quattro. L'ape veniva anche usata come ornamento del mantello dei re francesi: infatti sono state trovate 300 api d'oro sul mantello di Childerico I, Napoleone se ne fece cucire una sul mantelo quando venne incoronato imperatore. L'ape, simbolo di saggezza, era stato anche un emblema dei re egiziani.
Il sigillo del Cercle Dagobert II è un'ape d'oro e di granato su un triangolo con il vertice verso il basso.
Porta delle terme romane
Sigillo
Osservando bene, ci accorgiamo che l'ape ed il triangolo formano il sigillo di Salomone. Il tutto è racchiuso in un esagono che rappresenta l'alveolo.
Si trova scolpito nella loro sede di Stenay, associato ad altri simboli: una prima volta con l'Alfa e l'Omega (con l'Omega indicata prima dell'Alfa), in un secondo caso con un simbolo che abbiamo già visto .
I Gran Maestri del Priorato di Sion
Ugo de Payens 1119-1136
Robert de Craon 1136-1147
Evrard de Barres 1147-1150
Ugo de Blancheford 1150-1151
Bernard de Tremblay 1151-1153
Guillaume de Chanaleilles 1153-1154
Evrard de N...(*) 1154-1154
André de Montbard 1155-1156
Bertand de Blancheford 1156-1169
Philippe de Milly 1169-1170
Eudes de Saint-Amand 1170-1180
Arnaud de Toroge 1181-1184
Gérard de Rideford 1184-1188
Jean de Gisors 1188-1220
Nicholas Flamel 1330-1418
René d'Aujou 1418-1480
Sandro Filipepi - Botticelli 1483-1510
Leonardo da Vinci 1510-1519
Robert Fludd 1595-1637
Sdram Valenin Andrea 1637-1657
Robert Boyl 1654-1691
Isaac Newton 1691-1727
Charles Radolyffe 1727-1746
Charles de Lorraine 1746-1780
Charles Nodier 1801-1844
Victor Hugo 1844-1885
Claude Debussy 1885-1918
Jean Cocteau 1918 -1963
Pierre Plantard 1981 - ?
(*) J.P.Deloux-J.Brétigny "Capitale secrète de l'histopire de France" : "il nome di Evrand è divenuto illeggibile sulle pergamene di Gisors (pergamena n. 4 composta da due colonne per pagina con scrittura romana e copiate da Matthieu da Tramlay verso il 1222"
*nn garantisco sull'autenticità di quanto scritto mi sono limitato a riportare imformazioni a mio giudizio attinenti all'argomento!! :Angel:
questo non è esattamente storico ma può dare qualche indicazione interessante riguardo alle culture dell'epoca classica
IL MECCANISMO DI ANTYKITERA
L'isola di Anticitera (Andikithira o, secondo la grafia inglese, Antikytera), che si trova nel tratto del mar Egeo compreso tra il Peloponneso e Creta, è famosa per un ritrovamento archeologico avvenuto nel 1902 nelle acque che la circondano. In quell'anno, infatti, vennero rinvenuti, presso il relitto di una nave lì naufragata, i resti di un congegno meccanico che sarebbe passato alla storia come "Meccanismo di Anticitera".
I frammenti, costituiti di rame, erano fortemente corrosi; ciononostante si riuscì a ricomporli e, in parte, a interpretare le iscrizioni ivi incise. Queste indagini permisero di appurare che essi facevano parte di un congegno a orologeria che riproduceva, tramite quei complicati meccanismi, il moto dei pianeti attorno al Sole e anche le fasi della Luna. La complessità tecnologica dell'apparato faceva pensare a un moderno strumento a orologeria affondato con la nave, ma a questo punto nacquero i problemi.
La nave, infatti; era di epoca romana (I secolo a.C.), e certamente non poteva avere a bordo un congegno moderno. Non era nemmeno possibile ipotizzare due affondamenti separati che, casualmente, avessero posto questi due oggetti così differenti l'uno vicino all'altro, perché le iscrizioni datavano inesorabilmente anche il meccanismo allo stesso periodo, ovvero la prima metà del I secolo a.C.!
Vediamo allora di analizzare più attentamente le caratteristiche che rendono così "fuori dal tempo" il Meccanismo di Anticitera.
Prima di tutto si potrebbe pensare che gli antichi Greci o Romani non avessero sufficienti nozioni di Astronomia per poter descrivere i moti dei pianeti attorno al Sole, piuttosto che attorno alla Terra.
In secondo luogo gli ingranaggi che compongono lo strumento sono estremamente complessi e, apparentemente, impossibili da realizzare con la tecnologia del tempo. Includono infatti una ventina di ruote dentate che hanno la funzione di riprodurre il rapporto 254:19 necessario per ricostruire il moto della Luna in rapporto al Sole (la Luna compie 254 rivoluzioni siderali ogni 19 anni solari). Includono anche un cosiddetto differenziale, ovvero un meccanismo che permette di ottenere una rotazione di velocità pari alla differenza di due rotazioni date e che ritroviamo solo a partire dal XVII secolo, quando venne introdotto negli orologi meccanici.
A un esame più attento, però, i dubbi non reggono. Spesso ci si dimentica infatti che la civiltà greca in quel periodo non era quella del periodo classico da noi comunemente immaginata. Essa si era evoluta nella ben diversa civiltà ellenistica in cui, secondo una recente teoria (Russo, 1996), sia le nozioni scientifiche che le capacità tecnologiche erano estremamente sviluppate. In particolare lo erano molto più di quelle dei Romani, che riuscirono a prevalere sul piano militare, ma non ad assimilare la diversa mentalità che aveva permesso un così significativo avanzamento culturale e tecnologico. Trae quindi in inganno immaginare il periodo antico come un continuo di crescita in tutti i campi, mentre sembra che si possa piuttosto configurare una situazione in cui l'epoca romana sia stata caratterizzata da una complessiva decadenza in ambito scientifico e tecnologico.
Per quel che riguarda il moto dei pianeti attorno al Sole, basti ricordare che già con Aristarco di Samo, nel III secolo a.C., venne sviluppata una teoria eliocentrica, e che, a quanto sembra, scienziati ellenici come Archimede avevano capito il concetto di modello teorico in maniera più chiara di quanto non l'abbiano tuttora molti scienziati attuali.
Anche il problema della complessità dei meccanismi usati non appare così insormontabile se si osserva che Erone di Alessandria, vissuto nel I secolo d.C., conosce e usa meccanismi e ingranaggi di precisione paragonabili a quelli usati nel XVIII secolo.
Visto sotto questa nuova luce, il Meccanismo di Anticitera appare quindi più come una delle prove a favore di una diversa interpretazione dell'evoluzione scientifica e tecnologica nel mondo antico, che come un oggetto inspiegabile e fuori dal tempo.
L'ESOTERISMO NAZISTA
Hitler affermò:
"La forza senza un fondamento spirituale è destinata a fallire"
Sulla base di questa frase il Führer e i suoi gerarchi intrecciarono una serie di credenze esoteriche, per la formazione di una religione che esaltasse la forza, e la potenza della popolazione tedesca.
L’obbiettivo primo era la creazione di una razza "pura", fondatrice e protettrice di un nuovo ordine mondiale: il Terzo Reich.
Alla base del mito della razza pura stava la leggenda di un popolo superiore, con caratteristiche e potenzialità semi-divine: gli ariani.
Per il regime tal etnia discendeva direttamente da Atlantide, e avrebbe dominato il mondo prima di decadere a causa del vizio e della corruzione.
Per il nazismo i discendenti di questi super uomini si sarebbero sparsi per il mondo, e in parte consistente in Tibet.
Furono sovvenzionate così da parte di Hitler, ma soprattutto da parte di Heinrich Himmler uno dei maggiori esperti dell’esoterismo nazista, una serie di spedizioni nel continente asiatico, con il preciso obbiettivo di stabilire un filone di discendenza tra la popolazione tibetana, gli ariani e i tedeschi.
Himmler era profondamente convinto che la popolazione germanica derivasse da quei discendenti, e per provarlo incomincio ad effettuare una serie di misurazioni sui corpi dei tibetani.
Secondo questa teoria i caratteri principali, del così detto "tratto fisico ariano" erano una fronte stretta, caratteristiche somatiche spigolose, ed arti lunghi.
Purtroppo le SS non si fermarono alla semplice ed ingenua misurazione di crani e arti, ma proseguirono con esperimenti criminali, sui corpi dei tibetani.
Provando che i tedeschi erano discendenti naturali degli ariani, e quindi di semi-dei, si sarebbe potuto favorire la creazione di una nuova specie ariana.
I provvedimenti atti a favore di quest’obbiettivo, sono i più conosciuti per la loro drammaticità. Per prima cosa fu autorizzata la sterilizzazione, a tutti i non ariani, e a tutti i tedeschi che presentavano difetti psichici e fisici, a chi presentava problemi d’alcool, epilessia o depressione. In totale furono sterilizzati circa quattrocentomila tedeschi. Il provvedimento più duro colpì gli ebrei, che oltre ad essere considerati come strozzini, erano accusati di essere stati, con il loro comportamento, la causa prima della sconfitta della Germania nel primo conflitto mondiale; ma soprattutto erano incolpati di ostacolare la nascita della nuova razza.
Le leggi razziali prima, e i campi di concentramento poi, sarebbero stati per Führer il Primo passo verso la costruzione del nuovo ordine.
Hitler scriverà a riguardo:
"La più grave e crudele decisione che io abbia mai dovuto prendere.
Una misura barbarica per lo sfortunato che ne è colpito, ma una benedizione per i suoi compagni e per i posteri. La sofferenza passeggera di un secolo può liberare i millenni futuri dalla sofferenza; e lo farà."
Tale azione criminale quindi, si sarebbe giustificata tramite la filosofia per la quale, il sacrificio di pochi avrebbe giovato alla vita di molti.
Ma l’antisemitismo, e la discriminazione razziale, derivavano entrambe da correnti di pensiero esoterico molto diffuse in Germania.
THULE
Un’altra componente principale dell’odio razziale tipica del nazismo, derivava dall’associazione Thule, di cui facevano parte oltre che Hitler ed Hess, anche Alfred Rosenberg.
Questa setta credeva nella venuta di un messia germanico, che avrebbe innalzato a gloria il popolo tedesco, ma soprattutto era impegnata nella ricerca di una razza germanica pura.
Per la ricerca i membri si avvalevano di mezzi quali l’astrologia e il culto del sole.
L’emblema dell’associazione Thule era un pugnale con una croce uncinata.
La svastica era una figura comune nella cultura pagana germanica, l’immagine rappresentava, infatti, il martello del Dio Thor e raffigurava il sole artico, che era simbolo di creazione di vita e di buona fortuna. La svastica era dipinta sulle corazze e sugli scudi dei cavalieri antichi, proprio in segno d’augurio e d’onore.
Hitler cambiò tale significato e lo fece diventare il simbolo della missione e della vittoria dell’uomo ariano, contro i nemici della razza pura.
Il razzismo e l’antisemitismo, non erano però le uniche componenti esoteriche del nazismo, ma solo una parte del più vasto universo occulto che caratterizzava il nazional-socialismo. A proposito bisogna sottolineare altre due componenti essenziali dell’idea nazista: la religione del sangue, e la formazione del corpo delle SS.
Alfred Rosenberg, componente dell’associazione Thule, e massimo filosofo del regime nazista, sentì il bisogno di affiancare al movimento politico una religione adatta alla razza tedesca, che ne potesse ritrarre le virtù e la potenza.
Tale religione fu definita "La religione del sangue", che non celebrava la fede o la credenza come il cristianesimo, ma il sangue.
Il sangue, infatti, era nella tradizione nordica, e per lo stesso Rosenberg, il veicolo portante dello spirito, l’essenza della vita spirituale di un popolo, un liquido magico, che era la forma più alta d’espressione del Volk.
Come la religione cristiana anche quella nazista aveva bisogno dei propri martiri, da santificare, e su cui costruire l’immagine del sacrificio che il Führer esigeva. I martiri del regime erano per Hitler i sedici uomini uccisi nel tentativo di Putsch di Monaco del 1923. Essi sarebbero stati onorati ogni anno tramite una solenne celebrazione, a metà via tra una processione pasquale, e un rito pagano. Sarebbe stati ricordati per sempre come "i sedici immortali", poiché il loro spirito sarebbe sempre sopravvissuto fino alla fine del Reich; dato che per il Reich avevano dato la vita.
Oltre al rito della rimembranza dei "sedici immortali", Hitler dispose, che tutti gli ufficiali d’alto prestigio prestassero giuramento toccando la "bandiera del sangue", ovvero una bandiera nazista risalente al Putsch sporca del sangue di uno dei sedici immortali. Era questo una specie di battesimo nazista, nel quale erano individuabili le chiare matrici cristiane, mischiate a quelle più puramente esoteriche.
La religione si avvalse anche di ricorrenze d’origine pagana, come la celebrazione del solstizio d’estate e del solstizio d’inverno.
Il solstizio d’estate era festeggiato nella Germania pagana come rito propiziatorio di vita, ed era sancito tramite un falò, che onorava la nascita del sole. Nella Germania nazista il solstizio d’estate serviva a rievocare le virtù del sacrificio, e del prestigio, e gli enormi falò erano elevati in onore al Führer.
Il solstizio d’inverno non variava invece il suo significato, ovvero quello di festa dei morti, ma il regime la utilizzò per sottolineare la fragilità della singola persona di fronte alla vita, in contrasto all’enorme potenza della nazione unita.
Ma tali celebrazioni erano praticate e frequentate maggiormente da esponenti delle SS, o dell’esercito.
La ricorrenza, infatti, più carica d’enfasi era quella che si teneva ogni anno a Norimberga (aperta a tutti), dove tramite coreografie colossali, il popolo tedesco abbracciava l’idea di appartenere ad un "ordine sacro", senza pari nel mondo e nella storia.
Le adunate di massa permettevano quindi al regime di poter indottrinare la nazione, e votarla alla fedeltà senza nessun ripensamento.
Questo quindi in sostanza era l’enorme potere della religione nazista.
LE SS
Il nazismo necessitava però della presenza di un ordine d’uomini, pronti a difendere il regime e la nazione, non solo sul piano militare, ma anche su quello mistico e spirituale. Heinrich Himmler stretto collaboratore di Hitler si adoperò in questo senso, per la formazione di quelli che lui stesso chiamava i "cavalieri del Reich". Le SS dovevano essere i nuovi super uomini concepiti della religione del sangue, il cui compito era mantenere l’equilibrio del nazismo, e preservarlo dai pericoli. Una specie di nuova aristocrazia tedesca, un élite di guerrieri, la cui forza era essenziale non solo per la loro sopravvivenza, ma anche per quella della razza ariana.
Himmler organizzò le SS sulla base dell’ordinamento dei cavalieri teutonici.
Ciò fu appurabile con chiarezza durante il conflitto mondiale, quando le terre conquistate ad est della Germania furono divise secondo un criterio feudale, tra gli ufficiali delle SS.
Lo stesso numero degli ufficiali SS, era insito di un significato mitico. Essi erano, infatti, dodici, come dodici erano i sommi cavalieri di Re Artù, che si riunivano attorno alla sua tavola.
Himmler si basava anche sulla cultura indù, per la formazione dei suoi uomini, il rigido sistema di caste, e la reincarnazione si sposavano bene all’ideale di un’élite nazista di guerrieri destinata a conquistare il mondo. Himmler stesso era profondamente convinto di essere la reincarnazione di Re Enrico, un sovrano tedesco d’epoca medioevale, che aveva sconfitto i popoli slavi, che minacciavano la Germania. Himmler credeva che il proprio destino carmico, fosse proprio quello di guidare le sue SS alla distruzione delle popolazioni dell’est.
Per fare ciò gli uomini delle SS erano addestrati in antichi castelli trasformati in caserme, dove insieme alla dottrina nazista era insegnato l’alfabeto runico; con il chiaro obbiettivo di ricordare alle truppe il passato pagano della Germania, e in modo di mantenere sempre vivo in loro la consapevolezza di appartenere ad un ordine indistruttibile di monaci guerrieri.
Le SS quindi come un esercito mistico pronto a combattere per la gloria nazista, per la difesa della religione del sangue, e per la formazione del Terzo Reich.
Questo in conclusione è la sintesi delle principali componenti esoteriche naziste, e le loro applicazioni nelle scelte reali del regime. Un intreccio di culture diverse, volte al favore dell’ideologia razziale, e nazionalista. Mai nella storia umana l’unione tra misticismo e obbiettivi politici sconvolsero, e cambiarono così il mondo.
letti!!finalmente una faccia nuova!
quello del mecanismo è troppo figo!!
l'altro bello ma lo conoscevo già!!
Ragazzi, non scoraggiatevi (sopratutto Morgil e Sloane ) state facendo qualcosa di ammirevole
Purtroppo, il tempo è tiranno in questo periodo ma spero di riuscire a postare, dopo le vacanze, un interessante quanto coraggioso 'saggio' sul Graal per continuare il filone arturiano inaugurato da Sloane...
Ciao, ciao
La Sacra Sindone
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Il più antico riferimento alla Sindone è contenuto sia nei quattro vangeli canonici (Mc 15,46; Mt 27,59; Lc 23,53; Gv 20,7) che in tre apocrifi: il Vangelo degli Ebrei (II sec.), gli Atti di Pilato e il Vangelo di Nicodemo. Si pensa che la riluttanza a lasciare documenti scritti su tale reperto fosse dovuta ai timori che le persecuzioni romane potessero distruggerlo.
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Nel 340 circa s. Cirillo, a Gerusalemme, fa un riferimento alla Sindone.
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Nel 570 un anonimo piacentino dice che a Gerusalemme si trova il sudario ch'era stato posto sul capo di Gesù.
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Nel 646 il vescovo di Saragoza dichiara che non si può chiamare superstizioso chi crede nell'autenticità del sudario.
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Nel 650 circa Arculfo, pellegrino a Gerusalemme, vede la Sindone e dice che è lunga circa 8 piedi.
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Un riferimento alla Sindone è presente nel Messale Mozarabico.
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Un'immagine del volto di Gesù antica di duemila anni, chiamata Mandylion, viene venerata a Edessa (odierna Urfa in Turchia). Essa altro non sarebbe che la Sindone piegata a metà e poi ancora ripiegata quattro volte (tetradiplon, come detto negli Atti di Taddeo), finché al centro del rettangolo si vede solo il volto di Gesù.
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Sulla base del Mandylion si afferma, a partire dal VI sec., una caratteristica tipologia del volto di Cristo nell'iconografia bizantina. Nel II concilio di Nicea (787) si sancisce la legittimità della venerazione del Mandylion.
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Edessa viene occupata dagli arabi nel 639 e nel 944 il generale bizantino Giovanni Curcas pone l'assedio alla città, che abbandonò solo dopo che l'emiro arabo ebbe consegnato il Mandylion. Essa così giunse a Costantinopoli.
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Nel 944 un'omelia attribuita a Costantino VII Porfirogenito, co-imperatore di Costantinopoli, descrive il volto come dovuto a "una secrezione liquida senza materia colorante né arte pittorica", un'immagine evanescente, di lettura difficile, formata di sudore e di sangue.
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Nel 1080 circa Alessio I Comneno chiede aiuto all'imperatore Enrico IV e a Roberto di Fiandra per difendere la Sindone a Costantinopoli, minacciata dai turchi.
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Nel 1147 Luigi VII di Francia venera la Sindone a Costantinopoli.
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Nel 1171 Manuele I Comneno mostra al re di Gerusalemme il sudario di Cristo.
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Il Codice Pray di Budapest (1192-1195) riproduce una miniatura ispirata alla Sindone con fori interpretabili come bruciature.
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Robert de Clary, cronista della IV crociata (1204), scrive che tutti i venerdì la Sindone era esposta per intero a Costantinopoli, finché fu trafugata dai crociati.
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In una lettera del 1205, Teodoro Angelo Comneno, fratello di Michele Angelo della famiglia del deposto imperatore di Costantinopoli, lamenta la scomparsa della Sindone. Sostiene anche ch'essa si trova ad Atene.
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Nel 1208 uno dei capi della crociata, Otto de la Roche, cui toccò la signoria di Atene, porta in Francia il lenzuolo e lo tiene nascosto a Besançon. Nello stesso anno il padre, Ponzio de la Roche, la regala ad Amedeo di Tramelai, vescovo della città.
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Nel 1307 vengono fatti arrestare dal re Filippo IV il Bello i Templari, appartenenti a un Ordine cavalleresco crociato: tutti i beni vengono confiscati. Nel 1312 Filippo ottiene da papa Clemente V la condanna dell'Ordine per eresia: l'accusa è quella di praticare il culto segreto del "Volto santo".
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Nel 1349 la cattedrale di Santo Stefano a Besançon andò a fuoco per ragioni dolose: coloro che rubarono la reliquia vollero far credere che fosse andata distrutta tra le fiamme.
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Fra il 1353 e il 1356 la Sindone appare a Lirey (diocesi di Troyes), in possesso di Goffredo di Charny, cavaliere crociato, che fece costruire una chiesa per ospitare e ostendere il lenzuolo (la prima ostensione avvenne nel 1355). Goffredo morì nella battaglia di Poitiers (1356) e non rivelò mai come fosse entrato in possesso del lenzuolo (tra gli ascendenti della famiglia Charny vi erano tuttavia cavalieri della quarta crociata e vari templari).
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Nel 1389, il figlio di Goffredo, Goffredo II, ostende la Sindone a Lirey senza chiedere il permesso del vescovo di Troyes, Pierre d'Arcis, che se ne risentì a tal punto da convocare un sinodo per vietare al clero di far parola della Sindone. Goffredo II e il clero si appellarono all'antipapa di Avignone Clemente VII, che permise sì le ostensioni (Clemente VII era imparentato con gli Charny), ma a condizione di dichiarare esplicitamente che quella non era la vera Sindone.
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Nel 1418 i canonici di Lirey, temendo che venisse coinvolta nella guerra fra Borgogna e Francia, affidarono la reliquia al conte Umberto de la Roche, che morì nel 1448, lasciandola alla moglie Margherita di Charny, nipote di Goffredo I. Questa, invece di restituire il telo ai canonici, lo consegnò (in cambio di benefici) nel 1453 alla duchessa Anna di Lusignano, moglie del duca Ludovico di Savoia, che viveva a Chambéry, capitale di Casa Savoia. Sperava in cambio di ottenere il riscatto del presunto erede del defunto conte di Charny, che era prigionero dei turchi. Margherita fu colpita da scomunica, ma morì nel 1459.
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I duchi di Savoia nel 1502 fecero costruire una cappella nel castello di Chambéry in cui custodire il lenzuolo.
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Nel 1504 papa Giulio II approva la messa con "colletta" e Ufficio proprio della Sindone. La festa liturgica verrà riconfermata da papa Clemente X nel 1673, mai abrogata.
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Nel 1532 la cappella di Chambéry prende fuoco: l'urna d'argento che contiene la Sindone si surriscalda e una goccia del metallo fuso brucia un angolo del telo ripiegato su se stesso. Le suore clarisse di Chambéry, due anni dopo, cuciranno i rattoppi oggi visibili.
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Durante le guerre (1536-1561) tra Francesco I e Carlo V la Sindone viene trasferita a Nizza, poi a Vercelli, e di nuovo a Chambéry. I Savoia erano schierati a fianco di Carlo V.
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Nel 1578 Emanuele Filiberto trasferisce la Sindone a Torino, per abbreviare il viaggio all'anziano s. Carlo Borromeo, che vuole venerarla. Ogni 30 anni si succedono ostensioni per particolari celebrazioni di Casa Savoia, o per giubilei.
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Nel 1694 il lenzuolo viene sistemato definitivamente nella cappella del Guarini a Torino. Vengono rinforzati i rattoppi.
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Nel 1898 l'avvocato Secondo Pia esegue la prima fotografia.
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Nel 1931 e 1933 due ostensioni pubbliche della Sindone.
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Nel 1939 viene nascosta, a causa della guerra, a Montevergine (Avellino).
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Nel 1946 ritorna a Torino.
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Nel 1969 si istituisce una commissione scientifica per studiarla.
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Nel 1973 vi è la prima ostensione televisiva in diretta.
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Nel 1978 ostensione pubblica e primo congresso internazione di studio a Torino.
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Nel 1983, per volontà testamentaria di Umberto II di Savoia, la Sindone passa alla Santa Sede, che ne nomima "custode" pro tempore l'arcivescovo di Torino.
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Nel 1988 viene prelevato un frammento del telo per compiere un'indagine radiocarbonica: il test del C14 colloca la nascita della Sindone tra il 1260 e il 1390 d.C. Molti scienziati contestano queste conclusioni.
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Nel 1997 scoppia un incendio nella Cappella del Guarini: la Sindone viene salvata dai vigili del fuoco.
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Nel 1998 nuova ostensione pubblica. Lo sarà di nuovo nel 2000, in occasione del Giubileo.
da oggi qualcosina sulla storia bizantina sempre troppo sottovalutata!
BATTAGLIA DI COSTANTINOPOLI
Data: 29 MAGGIO 1453
Luogo: COSTANTINOPOLI (Capitale dell'impero romano d'Oriente)
Eserciti contro: BIZANTINO e TURCO
Contesto: I TURCHI AI CONFINI DELL'EUROPA
Protagonisti:
COSTANTINO XI PALEOLOGO (Imperatore bizantino)
GIOVANNI GIUSTINIANI (Capitano di ventura genovese, alleato dei bizantini)
MAOMETTO II (Sultano turco)
La battaglia
Alla battaglia di Costantinopoli, che ebbe il suo epilogo il 29 maggio 1453, ci si arrivò dopo un anno di assedio da parte dei turchi, da quando cioè, il 14 aprile 1452, il sultano Maometto II fece iniziare i lavori per la costruzione di una fortezza militare sulla sponda europea del Bosforo, a pochi chilometri da Costantinopoli.
Il sogno di Maometto II era quello di conquistare la città per farne la capitale dell'impero ottomano. Anche suo padre, Murad II, aveva tentato in passato la conquista, ma venne respinto.
Quando l'imperatore Costantino XI succedette nel 1448 a suo fratello Giovanni VIII, Costantinopoli era una città quasi in rovina, abbandonata da metà della popolazione, con scarsi commerci a garantirle la sopravvivenza. Era considerata imprendibile, dato che era circondata da alte e spesse mura, e fino all'avvento di Maometto II aveva saputo respingere molti tentativi di invasione.
Quando ancor prima del 1453 la situazione si fece seria, Costantino XI si rivolse all'Occidente perché si assumesse l'onere e l'onore di difendere la capitale d'Oriente. Egli offriva, in cambio di truppe e di navi, l'unione delle due Chiese, l'orientale e l'occidentale, che però non convinse i principi della cristianità, sempre divisi da discordie tra di loro.
Nel marzo del 1453 Maometto II pensò di essere pronto. Intorno a Costantinopoli aveva concentrato un esercito di circa centoventimila uomini. Inoltre poteva contare su centoquarantacinque navi e su potenti artiglierie.
Di contro, l'imperatore a Costantinopoli disponeva di poco più di seimila sudditi per difendere la capitale. Nonostante che nella città ci fossero anche dei genovesi (che abitavano nel quartiere di Pera) e veneziani, fu evidente che le città madri, Genova e Venezia, non si sarebbero mosse in aiuto dei propri sudditi che si erano stabiliti nell'Impero. Neppure Inghilterra e Francia sarebbero potuti venire in soccorso, in quanto ambedue erano appena uscite dalla guerra dei centanni.
Soltanto un famoso capitano di ventura genovese, Giovanni Giustiniani, mise a disposizione la propria spada, e un esercito personale di circa mille uomini, al servizio dell'imperatore, accorrendo a Costantinopoli. Era poco per difendere ventidue chilometri di mura dall'assalto di centoventimila musulmani.
Anche sul mare la differenza numerica delle forze era enorme. Come abbiamo già detto Maometto II disponeva di centoquarantacinque navi, mentre l'imperatore ne aveva a disposizione solamente ventisei, e per la maggior parte in cattivo stato. In quanto alle artiglierie, quelle di Costantino erano vecchie e scarse, mentre il sultano turco possedeva eccellenti e moderni cannoni e, grazie a un tecnico ungherese, aveva costruito un cannone con canna lunga più di otto metri, capace di sparare proiettili da mezza tonnellata a una distanza di oltre un miglio. Un prodigio, per l'epoca.
Mentre le mura potevano ben reggere, l'imperatore si preoccupò della difesa dal mare e fece tendere una grossa catena da punta Acropolis, limite meridionale del Corno dOro, a Pera, limite a nord.
Il 6 aprile del 1453 l'esercito ottomano si trovava a solo un chilometro da Costantinopoli e Maometto diede il segnale di inizio dell'assalto.
La prima mossa del sultano fu quella di mandare avanti la marina. Le sue navi tentarono di forzare il passaggio per entrare nel Corno dOro, ma vennero respinte dal cosiddetto "fuoco greco", frecce incendiarie lanciate da macchine speciali.
A sollevare il morale dei bizantini, oltre a questo iniziale successo, fu la riuscita, il 20 aprile, da parte di tre navi genovesi e una bizantina nel forzare il blocco ottomano e ad entrare così nel porto di Costantinopoli, dimostrando la possibilità teorica di portare aiuto agli assediati.
Nella notte tra il 21 e il 22 aprile avvenne la svolta decisiva della battaglia. Maometto II ebbe l'idea di trasferire parte della sua flotta all'interno del porto di Costantinopoli per via di terra, data l'impossibilità di superare l'ostacolo della catena all'ingresso del porto. Un'impresa ciclopica. A poco a poco i turchi riuscirono a trasportare nel Corno d'Oro ben settantadue navi. Le conseguenze per i bizantini che dall'alto delle mura avevano seguito per tutto il tempo l'incredibile manovra, erano chiare: la loro flotta, tagliata fuori; il quartiere era circondato e il tratto di mura da difendere si allungava di quindici chilometri.
L'attacco decisivo cominciò verso le due del mattino del 29 maggio 1453. I bizantini riuscirono, combattendo con coraggio, a respingere le prime due ondate d'attacco, ma alla terza, il valoroso Giustiniani rimase gravemente ferito e i suoi uomini cominciarono a sbandarsi.
La sfortuna o il tradimento volle che quella notte una delle porte all'estremità settentrionale delle mura fosse stata lasciata aperta. I musulmani la scoprirono e da quella porta si precipitarono all'interno della città, prendendo alle spalle i difensori. Costantino XI, accortosi di quanto stava succedendo, con la spada in mano e alcuni cavalieri al suo fianco, si precipitò addossò ai turchi. Scomparve nella mischia e solo dopo la battaglia verrà ritrovato il suo corpo, a cui verrà mozzata la testa per essere portata in trionfo dai vincitori.
Con questo episodio l'assedio ebbe fine. Costantinopoli era conquistata e Maometto II poteva vantare una delle più clamorose vittorie della storia. L'impero romano d'Oriente aveva cessato di esistere.
Ecco come Franz Babinger, nel libro "Maometto il conquistatore e il suo tempo", ci narra le ultime ore prima dell'assedio finale a Costantinopoli:
"...Dal 26 maggio in poi si vedevano fino a notte fonda risplendere numerosi fuochi nell'accampamento turco, specialmente presso la Porta di San Romano, dove si trovava il sultano. L'intero esercito fremeva nell'ebbrezza gioiosa della promessa prossima conquista...Le grida e il giubilo del nemico erano così grandi che gli assediati credettero che il cielo stesse per aprirsi.
In quella terribile notte Giovanni Giustiniani Longo si adoperò senza posa a far chiudere le brecce nelle mura. Vicino alla Porta di San Romano, dove la muraglia era completamente in rovina, egli innalzò per mezzi di fasci di arbusti un nuovo vallo, dietro al quale si trincerò in un fosso. Giustiniani era una vera torre nella battaglia e perciò un bersaglio costante dell'astio dei suoi avversari. La fama del suo coraggio si dice essere arrivata fino al sultano, il quale cercò invano di corromperlo con oro. Ma di fronte alla pietosa condizione delle mura, che crollavano da tutte le parti, tutta la prudenza e la risolutezza del genovese e dei suoi aiutanti fu vana".
COSTANTINO XI°
Nacque il 9 febbraio del 1405, secondogenito di Manuele II ed Elena Dragaš, fratello minore di Giovanni VIII. Fu nominato reggente nel novembre 1423, quando il fratello Giovanni partì per un viaggio in Italia e in Unghieria in cerca di aiuti occidentali contro la continua minaccia dei Turchi. Durante l'assenza del fratello, sotto la guida della madre Elena, siglò un trattato di pace col sultano Murad II. Fu anche nominato despota e gli venne affidata la gestione della costa ancora bizantina del Mar Nero e l'Acaia, in quel periodo ancora in mano ai crociati occidentali.
Nel novembre 1427 fu accompagnato dal fratello Giovanni VIII in Morea per assicurare l'Acaia a Costantinopoli. Furono attaccati i dominii dei Tocco, signori dell'Epiro e del Peloponneso occidentale, e quest'ultimo territorio fu infine ceduto a Costantino come dote di Maddalena, figlia di Leonardo Tocco, che fu data in sposa al principe nel luglio 1428. Tuttavia, solo un anno dopo, la sposa moriva.
Costantino proseguì ugualmente i suoi piani, impegnandosi nell'espansione dei territori bizantini, destando numerose proteste in Occidente da parte dei Veneziani. Nel 1430 fu presa la città di Patrasso, i cui signori erano legati al papa di Roma, e l'avanzata di Costantino fu fermata solamente dagli eserciti di Turachan Bey in Boezia.
Costantino fece quindi ritorno a Costantinopoli, dove continuò ad esercitare per alcuni anni le funzioni di reggente mentre il fratello era impegnato in Occidente per organizzare una futura riunificazione tra la chiesa cattolica e la chiesa ortodossa, mossa necessaria per ottenere gli aiuti occidentali contro l'avanzata turca in Asia Minore. Costantino, affiancato dall'onnipresente madre Elena, dovette fronteggiare con forza le tensioni popolari che tale riunione, non voluta da clero e popolo, stava sollevando; successivamente dovette in più occasioni assumere gli incarichi di governante a causa delle cattive condizioni di salute di Giovanni VIII, tornato in patria nel gennaio 1440.
Tornato in Morea per riprendere l'amministrazione dei territori affidatigli, Costantino incontrò nuove nozze con Caterina, figlia di Dorino Gattilusio di Lesbo, la quale tuttavia morì l'anno successivo, proprio come la precedente moglie, mentre il principe si trovava in viaggio per mare verso Costantinopoli, attaccata dai Turchi di Murad e dall'altro fratello Demetrio, alleatosi ai Turchi con la sperenza di mettere le mani sulla capitale.
L'assedio fu respinto e Costantino fece ritorno in Morea, dove si concentrò nuovamente nella protezione e nell'espansione dei suoi territori: in poco tempo il principe pose nuovamente l'Attica solo il suo potere, e solo le città veneziane di Corone e Modone riuscirono a sottrarsi alle sue mire espansionistiche. Approfittando della temporanea vittoria delle potenze cristiane contro i Turchi, Costantino tentò di ampliare ulteriormente i suoi territori, ma la disfatta cristiana nella battaglia di Varna del 10 novembre 1444 permise a Murad II di penetrare e devastare la Morea, costringendo Costantino ad abbandonare i suoi progetti e a salvare quel che poteva dei suoi rimanente territori.
[modifica]
Costantino XI imperatore
Il 31 ottobre 1448 spirò Giovanni VIII, stroncato da un lungo periodo di malattia. In attesa dell'arrivo di Costantino, la madre Elana Dragaš (fattasi monaca col nome di Epomena) dovette assumere il controllo di Costantinopoli per fronteggiare, tra l'altro, i diversi fratelli del defunto basileus, accorsi nella capitale col chiaro intento di strappare la nomina imperiale al legittimo successore. Costantino fu raggiunto a Mistrà dagli emissari di Costantinopoli accompagnati dal fratello Tommaso e il 6 gennaio 1449 fu eletto imperatore. Il 12 marzo 1449 il nuovo sovrano entrò in Costantinopoli.
Appena eletto Costantino XI tentò di imporre dazi sulle merci d'importazione nel tentativo di risollevare le quasi vuote casse imperiali, suscitando però le proteste di Venezia, che lo costrinse presto ad abolire le nuove imposte. La decisione di cedere alle proteste veneziane fu dovuta principalmente al fatto che la minaccia turca si stava facendo sempre più incalzante, soprattutto dopo la morte del sultano Murad II e la salita al trono di Maometto II, la cui politica verso Costantinopoli si manteneva incerta, nonostante il rinnovo del trattato di pace tra le due parti. Costantino inviò quindi l'ambasciatore Leontari Briennio a Venezia, Ferrara e Roma per chiedere appoggio economico ed, eventualmente, aiuti militari.
Le risposte degli occidentali rimasero vaghe, con promesse di aiuti presto finite nel dimenticatoio. Il papa Niccolò V promise di impegnarsi nella salvaguardia di Costantinopoli ma richiese quale conditio sine qua non il reintegro del patriarca Gregorio e l'accelerazione del processo di riunificazione delle due chiese, cosa resa assai difficile dalla forte opposizione dei nobili antiunionisti e del popolo.
La situazione cominciò ben presto a cadere. Mamometto II minacciava la costruzione di una fortezza sulla parte occidentale del Bosforo e, nonostante le proteste di Costantinopoli (a cui si aggiunsero anche quelle dei Genovesi di Pera) il 16 marzo 1452 fu iniziata la costruzione della fortezza di Boghaz-Kesen, l'attuale Rumeli Hisar, in aperta violazione dei patti stipulati tempo prima. Oltre alla costruzione della fortezza, i Turchi si diedero al sistematico saccheggio delle zone limitrofe che culminò col massacro di Epibation, a seguito della rivolta delle popolazioni locali. A questa ennesima provocazione Costantino XI rispose con l'ordine di arresto dei Turchi risiedenti in città e la chiusura delle porte di Costantinopoli.
Costantino moltiplicò le richieste di aiuto all'Europa cristina e cercò di far accelerare l'arrivo da Roma del patriarca latino Isidoro di Kiev inviato dal papa per far rispettare gli impegni sulla riunificazione delle due chiese, il cui arrivo però era previsto solamente per ottobre. Nel frattempo tuttavia Maometto II completava la costruzione della fortezza sul Bosforo (agosto 1452) con la quale poteva impedire il passaggio di navi nello stretto e controllare l'eventuale arrivo di forze di terra lungo la costa, e lanciava duri attacchi alle città ancora bizantine sul Mar Nero con l'obiettivo di isolare la Morea, affidata ai fratelli dell'imperatore (Tommaso e Demetrio).
Ad ottobre giunse finalmente a Costantinopoli Isidoro di Kiev, con una manciata di uomini armati. Il 12 dicembre 1452 nella basilica di Santa Sofia fu solennemente proclamata l'unione della Chiesa d'Oriente con la Chiesa d'Occidente, tra le proteste popolari e la generale preoccupazione di un imminente attacco degli Ottomani. Quando la minaccia sembrò ormai concretizzarsi, Costantino ordinò di rafforzare le mura e di bloccare nei porti le navi occidentali ancora presenti, con l'intento di far chiedere anche ai Veneziani presenti l'aiuto della madrepatria.
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L'assedio di Costantinopoli
Nel gennaio 1453 Maometto II diede inizio alla mobilitazione delle sue truppe, tra le cui macchine d'assedio va ricordata la famosa e terribile bombarda fusa dal celebre Urban. Mentre gli aiuti occidentali si limitavano ad una nave genovese al comando del capitano Giovanni Giustiniani Longo, Costantino rifiutò la richiesta di resa lanciata da Maometto II e tra il 4 e il 7 di aprile i Turchi diedero inizio all'assedio della capitale, supportati pochi giorni dopo dall'arrivo dell'immensa flotta turca (12 aprile). Maometto II poteva contare su oltre 160.000 uomini e ben 250 navi, mentre Costantino, per quanto le fonti contemporanee siano abbastamza discordi tra loro, disponeva di appena 17.000 uomini armati (molti dei quali presi dalla popolazione civile) e di circa 35 navi.
La difesa della città, portata avanti col supporto di quasi l'intera popolazione, continuò per oltre un mese resistendo ai devastanti attacchi, ai quali facevano seguito però pesantissime perdite. La sera del 28 maggio Costantino XI e Giustinani Longo si misero in presidio presso la porta di S. Romano. Nell'occasione il basileus tenne un discorso ai difensori che è giunto fino a noi, in una forma sicuramente enfatizzata nel corso dei secoli ("Miei signori, miei fratelli, miei figli, l'ultimo onore dei Cristiani è nelle vostre mani.")
I Turchi lanciarono il loro ultimo, tremendo attacco alle ore 3 del mattino del 29 maggio. Alle ore 5 diverse truppe ottomane riuscirono a far breccia nelle mura presso la Kerkoporta e successivamente nella Charision, prendendo alle spalle i difensori presso la Porta di S. Romano. Il Capitano Giustiniani Longo fu ferito durante la mischia e allontanato dalla battaglia dai suoi uomini: molti difensori interpretarono questa mossa come una fuga disperata, creando lo scompiglio tra gli stessi. Subito dopo i Turchi aprirono una breccia anche nella porta di S. Romano e l'imperatore, accompagnato dai suoi fedelissimi, si ritrovò accerchiato e costretto a fronteggiare le milizie turche che stavano ormai dilagando nella città.
La morte di Costantino XI
Le fonti relative alla morte di Costantino XI si fanno a questo punto numerose e discordanti tra loro: il Gran Logoteta Sfranze, fedele compagno del basileus ma in quel momento lontano dalla battaglia, dice unicamente "Il mio Signore e Imperatore, di felice memoria, il Signore Costantino, cadde ucciso."; secondo alcuni cronisti l'imperatore sarebbe rimasto ucciso mentre si dirigeva verso la porta Aurea; altri sostengono invece che cadde nei pressi di Santa Sofia; altri ancora sostengono addirittura che Costantino XI si sia spogliato delle insegne imperiali e che sia fuggito confondendosi tra la popolazione, riuscendo così a salvarsi (tale ipotesi risulta comunque totalemnte improbabile).
La maggior parte dei cronisti, oltre che gli storici attuali, sono quasi certi nel sostenere che Costantino XI abbia perso la vita nei pressi della porta di S. Romano, gettandosi nella mischia con valore, assieme al popolo e ai suoi ultimi compagni ancora in vita. Sembra che il cadavere, spogliato delle insegne imperiali, non sia mai stato ritrovato, anche se alcune fonti sostengono che, occupata la città, Maometto II abbia fatto recuperare il corpo dell'imperatore, decapitandolo e inviando la testa come trofeo e monito nei i territori ottomani.
La valorosa morte dell'ultimo imperatore romano d'Oriente fu assunta negli anni successivi come sinbolo della lotta della Cristianità contro i Turchi, e contro di essi fu usato successivamente come simbolo dagli indipendentisti greci nel corso dell'Ottocento. Una statua a Costantino XI campeggia oggi di fronte alla cattedrale di Atene. Fu fatto santo e martire dalla Chiesa Ortodossa.
Basilio II, storia del distruttore dei Bulgari
Morto Giovanni Zimisce che non lasciava eredi, non ci furono più ostacoli per l’avvento al potere di Basilio II di diciotto anni e Costantino di sedici. Erano ambedue figli di Romano II.
I due fratellastri erano completamente diversi, Costantino non aveva nessun interesse per lo stato mentre Basilio aveva una mente rapida come il lampo e un’energia inesauribile, ma nessuna inclinazione per le lettere, non era un intellettuale come Leone il Saggio o Costantino Porfirogenito. I suoi antichi e famosi parenti, imperatori eruditi, esaltarono con il dono della loro conoscenza il cerimoniale di corte, sotto Basilio fu ridotto all’osso. Michele Psello scrive “ ed egli in pubblico o durante le udienze ai funzionari di palazzo era sempre vestito dell’abito di porpora, non già quella troppo accesa, ma quella cupa, qua e là illuminata da poche perle”. Anche nell’aspetto non assomigliava ai suoi avi, piccolo e tarchiato, aveva una foltissima barba e pallidi occhi celesti, un aspetto tutt’altro che regale che appariva solo quando montava a cavallo, essendo un cavaliere perfetto e sublime. Suo padre era stato un sibarita, Basilio mangiava poco e stava alla larga dalle donne, fu uno dei pochi o forse l’unico Basileus ad non sposarsi mai. Michele Psello scrive di lui “L’iride lucente, era d’un azzurro volto al grigio, e il sopracciglio non era basso e folto, né femminilmente disteso in linea retta, bensi alto, arcuato, e tradiva l’orgoglio dell’uomo. Gli occhi non erano infossati, con qualcosa di furbo e di bieco, e neppure di quelli sporgenti che danno un’aria vacua, ma scintillavano d’un bagliore virile. Il capo pareva tornirsi tutto su di un unico perno in una perfetta sfericità, e gli s’impostava tra le spalle a mezzo d’un collo ben saldo e moderatamente slanciato,….aveva una statura più bassa della media ma la figura era ben proporzionata.”
Guerre civili
Quando salì al trono decise sin da subito di non solo regnare ma anche di governare, suo fratello e coimperatore, non lo intralciò in alcun modo, era felicissimo di essere sollevato da ogni responsabilità e di godersi i piaceri della vita a corte. Subentrarono però due ostacoli , il primo era suo prozio eunuco Basilio figlio illegittimo di Lecapeno, e il secondo era all’interno della difficile prassi della successione al trono. Il trono non era ereditario e anche se questa prassi veniva usata molte volte, non aveva nessuna base giuridica. Negli ultimi sessant’anni si erano spartiti il diadema imperiale, ben tre generali che furono probabilmente i più forti della storia dell’Impero, e che con il loro coraggio e con la loro bravura si erano ritagliati il loro spazio fino a raggiungere il grado massimo di Basileus. Poteva ora un giovane uomo che Michele Psello definiva cosi “era ancora un giovane cui fiorisce come è detto la prima peluria”, ambire al posto più alto della civiltà imperiale solo perché era porfirogenito?
Il regno di Basilio non potè nascere sotto peggiori auspici, i primi nove anni si svolsero all’ombra del grande ciambellano, poi altri tredici combattendo una guerra intestina e fratricida contro due generali. Uno dei due era Bardas Foca , nipote dell’Imperatore Niceforo,e l’altro era Bardas Sclero, domestico delle armate d’Oriente, ossia comandante supremo. Il primo a colpire su Sclero che si fece proclamare Basileus dalle sue truppe e nell’autunno del 977 aveva già al suo attivo due vittorie significative e l’appoggio della flotta meridionale. Dopo pochi mesi, conquistò Nicea e sferrò un attacco anfibio verso la capitale. Sul mare l’esito fu deciso dalla fretta, la flotta del Corno d’Oro era fedele all’imperatore che impiegò pochissimo tempo a respingere gli attacchi. Il problema maggiore proveniva ora dall’eventuale attacco di terra , si decise cosi di affidare la contropartita imperiale nelle mani di Bardas Foca. La notizia apparse subito strana anche al diretto interessato che però si tolse il saio e reclutò un esercito a Cesarea in Capadocia. La guerra civile durò tre anni. La battaglia finale si combattè nella primavera del 979. Bardas Foca, vedendo che le cose si mettevano male, sfidò a duello il rivale. Sclero accettò, e fu coraggioso, perché Foca era un gigante. Cominciò una contesa che sembrava tratta di peso dall’Illiade: all’improvviso Sclero fu visto piegarsi in avanti sulla sella e scivolare a terra con la testa coperta di sangue. La guerra era finita.
Almeno per poco perché Sclero guarito si rifugiò presso il califfo di Baghdad e Bardas Foca più forte che mai era in attesa, questo periodo di transizione permise al giovane Basilio II di studiare da Imperatore, conobbe i meccanismi che regolavano l’esercito, la marina, la Chiesa, i monasteri e tutti i dipartimenti. Nel 985 era pronto riuscì con uno stratagemma a liberarsi del prozio che fu arrestato. Ora Basilio II era padrone in casa propria, ma neppure un anno passò che altri problemi sorsero all’orizzonte, Samuele, autoproclamato Zar dei Bulgari, aveva invaso la Tessaglia. Egli aveva approfittato della guerra civile a Bisanzio per aumentare il territorio bulgaro e reinsediare il patriarcato. Aveva dato una continuità ai governi precedenti associando al proprio trono, Romano fratello del defunto zar Boris. Nel 980 Samuele effettuò la prima incursione in Tessaglia, questa forma di guerriglia perdurò ogni anno finchè nel 986 espugnò la sua capitale Larissa. Questa notizia costrinse Basilio ad armarsi e alla testa del suo esercito colpire l’invasore, ma aspettando la retroguardia, alle Porte di Traiano le truppe romane s’infilarono in un’imboscata e furono decimate. Basilio che ambiva ad essere l’Imperatore più efficiente della storia di Bisanzio fu preso dalla collera e dalla vergogna. Mentre tornava a Costantinopoli giurò solennemente che tutta la Bulgaria l’avrebbe pagata cara e fu di parola.
Quando Bardas Sclero seppe della disfatta contro i bulgari, armato dal califfo con uomini e mezzi, si autoproclamò Basileus per la seconda volta ma giunto in Anatolia capì che i nobili avrebbero appoggiato Bardas Foca. Era cosi popolare che anche lui si proclamò Basileus, e propose a Sclero di dividere l’impero, una parte l’occidente compresa Costantinopoli e dall’altra l’oriente comprensiva di tutte le province al di là del Bosforo. Sclero accettò ma fù arrestato e rinchiuso.
Foca decise di colpire e divise in due tronconi il suo esercito, uno lo inviò a Ovest ad Abido sull’Ellesponto, con l’altra si trincerò a Crisopoli. Basilio non si scompose, l’unico suo bisogno immediato era un alleato e lo trovò in Vladimiro, principe di Kiev figlio di Svjatoslav. Egli mandò un contingente di seimila variaghi in perfetto assetto da guerra. L’unica cosa che chiese in cambio fu la mano della sorella dell’Imperatore cioè la principessa porfirogenita Anna. La corte romana venne sconvolta da questo piano, mai una figlia nato nella porpora aveva sposato un principe barbaro che come le leggende dicevano aveva già più di ottocento concubine. L’unico suo lato positivo, oltre al fatto di essere un matrimonio politico, era un sentimento religioso. Vladimiro, che poi divenne santo, stava cercando una religione per il proprio popolo e dopo aver sondato sia nell’islam sia in quella cattolico romana, sia in quella ebraica, non era rimasto convinto di nessuna delle tre. Cosi mandò degli emissari che entrati in Santa Sophia e avendo assistito alla divina liturgia furono cosi entusiasti che non sapevano più se erano in terra o in paradiso. Basilio acconsentì al matrimonio alla sola condizione che il Principe di Kiev si facesse ortodosso.
L’attesa durò quasi un anno, alla fine del dicembre del 988 le vedette imperiali del Mar Nero intravidero a settentrione le prime di una lunga serie di navi vichinghe e a gennaio tutta la flotta kieviana gettò l’ancora nel Corno d’Oro. Sbarcarono seimila enormi giganti, che al comando dell’Imperatore qualche settimana dopo colpirono di notte nell’accampamento di Foca, distruggendo e ammazzando tutti, tre sottufficiali consegnati all’Imperatore furono uno impiccato, uno impalato e l’altro crocifisso. Bardas Foca ritornò con l’altra metà dell’esercito e assediò Abido che resistette, Basilio mandò una spedizione di soccorso con a capo sul fratello Costantino. All’alba di sabato 13 aprile l’imperatore diede l’ordine di attacco, le schiere di ribelli furono scompaginate, e trucidate, poi la leggenda parla di Foca che vedendo Basilio II cavalcare avanti e indietro fra le file dei suoi variaghi con a fianco suo fratello Costantino, spronò il suo cavallo con la spada sguainata verso l’imperatore. Basilio rimase immobile stringendo con la mano destra la spada e con la sinistra un’icona miracolosa della Vergine. Ad un tratto il generale vacillò e cadde preso da vertigini, quando la compagine imperiale arrivò lo trovò morto, il suo esercito si dissolse come neve al sole. Ora rimaneva solo un altro pretendente Bardas Sclero ma vecchio e stanco il generale era innocuo e acconsentì alle condizioni di pace estremamente generose che Basilio gli offrì. Poi gli chiese “ Come mi devo comportare affinché non accada nulla di tutto questo?” e il vecchio disse “Bisogna tenergli la briglia (riferito ai nobili) sul collo, tassarli senza pietà, strozzarli con le tasse, perseguitarli anche ingiustamente perché cosi sarebbero stati troppo occupati per inseguire le loro trame ambiziose. Quei consigli Basilio non li dimenticò mai.
Basilio Imperatore e distruttore dei Bulgari
L’imperatore preso dai problemi in patria si dimenticò della promessa fatta con Vladimiro. Basilio fece partire subito la sorella che si imbarcò per Kiev. Mai in tutta la storia russa, cerimonia fu più fatidica, la conversione del principe segnò infatti l’ingresso della Russia nella comunità cristiana. La chiesa russa fu cosi fin dalla sua creazione subordinata al patriarcato di Costantinopoli e la sfortunata Anna non trovò la sua nuova vita meno insopportabile di quanto avesse temuto. Vladimiro cambiò e divenne un difensore della cristianità in odore di santità. Nel 989 Basilio aveva trentuno anni ora la pace regnava nell’Impero e poteva dedicarsi al suo compito che si era prefisso: annientare l’impero bulgaro. Quando arrivò la primavera del 991, l’imperatore partì per Tessalonica. Da quel momento e per i suoi successivi quattro anni non allentò mai la presa sulla Bulgaria. Il suo nuovo esercito che lui stesso aveva addestrato non soffriva né il caldo né il freddo, Basilio riconquistò molte città, altre furono assediate altre addirittura rase al suolo. Non fece grandi avanzate e neppure grandi ed epiche battaglie, era sua convinzione che il successo dipendesse dalla capacità organizzativa. La disciplina era tutto per questo tipo di tattica, e quindi i soldati dovevano rimanere sempre nei ranghi, mai eccedere con atti eroici. La strategia di Basilio garantiva progressi lenti ma sicuri e non sorprende che all’inizio del 995, quando l’imperatore dovette partire per la Siria, le conquiste erano relativamente poche. Ma anche se la sua tattica era cosi lenta e magari poco spettacolare, Basilio dimostrò di essere anche un combattente veloce e spietato. Quando l’emiro di Aleppo lo chiamò, costituì un esercito di quarantamila uomini e mosse verso Antiochia, data la lunga distanza e la cronica mancanza di tempo, fece montare sul dorso di muli, tutto l’esercito che arrivò appena in tempo per difendere Aleppo dagli attacchi dei Fatimidi. Lo sconforto che colpì le truppe nemiche fu grande, si ritrovarono a combattere in netta inferiorità numerica, e di li a poco furono costretti a scappare incalzati da Basilio.
Sistemata la situazione in Oriente, il grande Basileus, tornò verso la Capitale e attraversando l’Anatolia si accorse di quanti poderi erano stati confiscati dai nobili a discapito dei piccoli proprietari terrieri che formavano il nerbo del suo esercito. Molti patrizi commisero l’errore fatale di riceverlo con grandi onori e grande sfarzo che insultò profondamente l'imperatore, cosi avverso alla dimostrazione sfrontata di ricchezza. Il 1° Gennaio 966 Basilio emanò un editto molto importante “La Novella” : i diritti sulla terra per esseri validi dovevano risalire almeno a sessantun anni prima, al regno di Romano I. Tutti i possedimenti posteriori a quella data dovevano essere restituiti immediatamente al proprietario precedente o alla sua famiglia, senza nessun obbligo di indennizzo per le migliorie effettuate. Tutte le crisobolle imperiali, comprese quelle firmate dallo stesso imperatore, erano considerate decadute e venivano annullati tutti i conferimenti di terra effettuati dal ciambellano Basilio, a meno che non fossero riconvalidati dal sovrano. Questo provvedimento fu preso, perché la piccola proprietà terriera era troppo oppressa e i temi che Eraclio aveva inventato erano diventati più deboli per colpa del latifondismo. Moltissime famiglie nobili, divennero improvvisamente povere , altre caddero in rovina, invece per i piccoli proprietari si prospettava un periodo si possibilità di riacquistare le terre avite. Basilio costrinse di pagare l’allenlengyon per i poveri al latifondista, cosi non si scaricava più sul villaggio insolvente o a quello vicino ma direttamente al magnate. Questa misura ebbe un duplice effetto da un parte infliggeva un nuovo potente colpo ai magnati, dall’altra dava maggiore sicurezza al fisco per le entrate dell’allelengyon. Pochi mesi dopo arrivò una ambasceria di Ottone III che voleva in sposa una nobildonna romana, Basilio non chiedeva di meglio, un futuro matrimonio avrebbe contribuito a mantenere la pace nell’Italia Meridionale (dopo la guerra fatta dal padre Ottone II). Dopo vari tentativi il progetto andò in fumo per colpa principalmente di un certo Crescenzio, capostipite della famiglia più influente di Roma. Intanto lo zar Samuele aumentava il suo potere, aveva occupato Durazzo e aveva cominciato una vittoriosa campagna all’interno della Dalmazia penetrando fino in Bosnia. Le coste e le città romane chiesero aiuto e Basilio chiamò Venezia. Il doge Pietro Orseolo trovò allettante l’offerta promessa dal Basileus e a capo della flotta veneziana salpò per ricevere il nuovo titolo Dux Dalmatiae (governava per conto dell’impero). Nel 1001 Ottone III con forte determinazione chiese di nuova una sposa romana, Basilio optò per Zoe la più bella delle sue nipoti, ma una volta partita per Bari, dove doveva incontrarsi con il suo futuro sposo, una brutta notizia arrivò, l’Imperatore era morto per una febbre improvvisa. Povera Zoe, se lei ed Ottone avessero avuto un figlio, quel figlio avrebbe governato, senza eredi maschi, dalla Siria alla Francia. Fra l’anno 1000 e il 1004 Basilio con un susseguirsi di campagne militari riconquistò tutta la parte orientale della penisola balcanica. Samuele era ora alle prese con un nemico che sapeva muoversi con velocità, tra boschi, pianure e monti. Le truppe romane non soffrivano ne il caldo ne il freddo, combattevano su tutti i terreni, colpivano e fuggivano. L’avanzata romana fu lenta fino alla battaglia di Cimbalongo, nell’angusta gola che dal Serrai conduce alla valle dell’alto Struma. Più che una battaglia campale fu un’imboscata, caddero nella trappola quindicimila bulgari che furono presi prigionieri. Qui tutta la rabbia repressa, esplose e Basilio potè vendicarsi e mantenere la sua promessa. Di ogni centuria, accecò novantanove uomini, e al centesimo risparmiò un occhio perché potesse condurre i compagni alla presenza del loro Re. Ai primi di ottobre la triste processione si trascinò fin dentro la fortezza dello zar a Prespa: vedendo i miseri resti della sua gloriosa armata, Samuele già ammalato morì. La guerra continuò fino al 1018 quando Basilico espugnò la loro capitale. Per la prima volta dalla caduta degli slavi, tutta la penisola balcanica era tornata sotto il controllo di Bisanzio.
Epilogo
Basilio oltre che essere spietato e brutale in guerra, era anche un ottimo amministratore e si dimostrò molto compassionevole con i suoi nuovi sudditi. Pretese contributi modesti pagabili anche in natura, ridusse il patriarcato ad arcivescovado, ma lasciò la chiesa bulgara autonoma. La Bosnia e la Croazia furono amministrate dai principi locali sotto la protezione imperiale. L’aristocrazia bulgara si integrò presto in quella romana, ricoprì importanti incarichi e divenne parte integrante della società imperiale. Ad Oriente dopo l’ultima spedizione attuata nel 1023, Basilio II istituì otto nuovi temi, disposti in un grande arco che, partendo da Antiochia si dispiegava verso est. Era il sovrano assoluto di domini che andavano dall’Adriatico all’Azerbajan. Si sentiva ancora pieno di forze quando progettava l’invasione della Sicilia allorché nel 1025 una decina prima di natale morì all’età di sessantasette anni. Basilio era stato un imperatore eccezionale, primo tra i generali, sicuramente brillante nel campo amministrativo, governo con saggezza Stato e Chiesa. Le sue campagne non erano esaltanti ed epiche ma come un fiume di lava in piena che tutto sommerge. Michele Psello dice “Non conduceva le campagne contro i barbari alla maniera dei più tra i sovrani, che escono a metà primavera e rientrano sul morir dell’estate: per lui a segnare l’ora del rientro era l’estinguersi stesso del fine per cui s’era mosso.” Nessuno lo amò, sul trono non salì uomo più solo. Basilio era brutto, sporco, rozzo, goffo ,incolto e di un’avarizia quasi patologica.L’unica cosa che gli stava a cuore era la grandezza di Bisanzio. Non meraviglia dunque che sotto di lui Bisanzio abbia raggiunto l’apogeo. In una cosi fallì: non lascio eredi. Ancora nel XIII Secolo uno scrittore chiamerà Eraclio e Basilio II i più grandi imperatori di Bisanzio. In effetti questi due nomi, i più grandi della storia bizantina, simbolizzano l’età eroica di Bisanzio, che l’uno dei due inaugurò e l’altro la concluse.
Basilio chiuse gli occhi il 15 Dicembre. Il 16 il declino era già cominciato.