questo non c'entra con le guerre di religione ma credo che a qualcuno interesserà!
ELISABETH BATHORY
Tra la fine del XVI secolo e l'inizio del XVII, visse in Ungheria la bella Erzesbet Báthory (1560/1614), detta anche, più facilmente, Elisabeth, imparentata per via paterna coi regnanti di Polonia e con la famiglia del più celebre Stefano Bathory. Morto il padre in tenera età, si sposò giovanissima, a soli quindici anni col nobile conte Ferencz Nadasdy, che le diede quattro figli. Una delle passioni della contessa e del suo consorte era la magia nera. Il loro castello di Csejthe, in Ungheria settentrionale, divenne un punto di riferimento per maghi, streghe e alchimisti, che non potevano praticare liberamente, perseguitati dall'inquisizione. Presto, uno dei più grandi sogni di Erzesbet fu quello di scoprire il segreto dell'eterna giovinezza. Iniziò a far rapire giovani ragazze vergini dai paesi intorno al suo castello, che sottoponeva a rituali erotici e sanguinolenti. In preda a crisi nervose, era solita malmenare violentemente tali giovani, con lo scopo di "guarire" dal suo malessere, che probabilmente era anche psicologico. Infatti, l'unico modo per stare bene, era proprio quello di "violentare" le fanciulle rapite. In preda a un'estasi mistica derivata da tali atti, la contessa uccideva le sue vittime, per poi fare il bagno nel loro sangue. Inoltre, era dedita a vampirismo. Tra gli aristocratici di quel tempo, e non solo in Ungheria, era diffusa la credenza che fare il bagno nel sangue di giovani vergini potesse prolungare la vita e mantenere giovani. Anche in Italia, i conti Borromeo erano dediti, si sospetta, a tali pratiche, nelle loro ville della Lombardia. I suoi delitti durarono per anni. Quando una delle vittime riuscì a fuggire dalle segrete del suo castello, ebbe inizio il declino della Sanguinaria contessa. Dovette intervenire il re Mattia II d'Austria, che già sospettava qualcosa di terribile, ma fino ad allora aveva ritenuto opportuno non agire. Il 30 dicembre del 1610, Erzesbet Bathory venne arrestata. Gyorgy Turso, capitano delle guardie reali, prese possesso del castello di Csejte e inorridì quando scoprì i resti di centinaia di vittime nei suoi sotterranei. Molte ragazze furono ritrovate vive, prigioniere nelle carceri. Alcune di esse presentavano delle ferite, alcune gravi, altre più lievi. Al termine del processo che interessò la contessa e i suoi complici, vennero contate 610 vittime. Coloro i quali le erano rimasti fedeli vennero condannati al rogo con l'accusa di stregoneria. La pena della contessa venne commutata in segregazione a vita nella sua camera del castello di Csejthe. Nel marzo del 1614 venne murata, ma continuò a ricevere cibo ogni giorno da un piccolo passaggio nella parete, finché non venne ritrovata morta dopo cinque mesi. Non rivelò mai a nessuno con esattezza lo svolgersi dei sanguinosi riti che la videro protagonista all'interno del suo castello, portandosi tali segreti con sé nella tomba.
da paura!!!
nuova rubrica!!!!
le regine guerriere dell'antichità in ordine sparso!
Il regno di Zenobia tra storia e leggenda
Quando si parla di Zenobia o della sua storia molte sono le lacune e le approssimazioni. In effetti, malgrado la fama della regina di Palmira, su di lei, sulle sue origini e sulla sua personalità i documenti sono piuttosto rari.
Il suo ritratto compare unicamente su alcune monete e quasi tutte le fonti rimandano alla Historie Auguste. Le monete furono coniate ad Antiochia e ad Alessandria e sono una straordinaria testimonianza figurativa dell'incredibile fascino di Zenobia descritto dagli storici antichi.
Il busto della regina è accompagnato dall'iscrizione "Settimia Zenobia Augusta". La sua pettinatura, una treccia che corona la sommità del capo, è tipicamente romana, a conferma della sua ambizione.Zenobia chiude quella lunga serie di imperatori ed imperatrici orientali, originari di Emesa (Homs), Shahba e Palmira, tre città oggi siriane, che, dall'inizio del III secolo fino al 272 d.C., hanno segnato un passo significativo nella storia dell'impero romano. La dinastia dei Severi, che regna dal 193 al 235 dC., vede l'ascesa nel 197 d.C. di Settimio Severo, un senatore romano originario dei Leptis Magna (Libia). Al suo fianco, la sua sposa, Julia Domna, una siriana di Emesa.
Si legge nella Historie Auguste: "lo Stato era talmente debole che…l'impero era governato persino da donne e soprattutto da donne straniere". Un entourage di africani e siriani circondavano i due sovrani manifestando ciascuno la propria ostilità nei confronti del clan rivale. Julia Domna, che aveva condotto a Roma tutta la sua famiglia, tra cui la sorella Julia Maesa, riuscì ad eliminare i principali membri africani e ad imporre consiglieri di origine orientale, prevalentemente giuristi della scuola di diritto di Berytus (Beirut). Alla morte dell'imperatore il potere passò nelle mani dei figli Antonino "Caracalla" e Géta che fu assassinato dal fratello. Questi prese il potere a fianco della madre e il loro sodalizio durò cinque anni, fino a quando nel 217 d.C. Antonino venne assassinato nel corso di una spedizione nei pressi di Carrhes in Turchia.
Lo Stato maggiore nominò come successore Macrino, un africano della cerchia dei consiglieri di Settimio Severo. Julia Domna, molto malata, morì non senza aver cercato di sollevare la guardia pretoriana in suo favore. La sua famiglia fu costretta a rientrare ad Emesa e da lì, sua sorella Julia Maesa cercò di riconquistare il potere. Julia Maesa riuscì a sollevare in suo favore i legionari della III regione Gallica, una guarnigione non lontano da Emesa e a far proclamare Augusto suo nipote Bassiano, di soli 14 anni, figlio di sua sorella Julia Soaemias. Per dar credito alla legittimità del nipote nei confronti di Macrino, l'imperatore in carica, fece circolare la voce secondo cui Bassiano era figlio illegittimo di Antonino Caracalla, nato da una relazione dell'imperatore con la cognata.
La notizia iniziò a circolare nei ranghi militari scatenando una rivolta che, nel 218 d.C., generò una grande battaglia condotta dalla stessa Julia Maesa contro le forze rimaste fedeli a Macrino. Fu una grande vittoria che vide Macrino catturato e ucciso. La dinastia siriana poté tornare al potere e il Senato, di cui la maggioranza dei rappresentanti aveva conosciuto Julia Maesa a Roma, quando era al fianco della sorella Julia Domna, riconobbe la legittimità del giovane Bassiano che, nel frattempo, aveva preso il nome di Antonino.
Dunque un nuovo siriano al potere, proveniente da Emesa e sacerdote del Dio Elagabalo, che veniva adorato nei principali templi della città ubicata sulle sponde del fiume Oronte. Tutta la famiglia lasciò nuovamente Emesa per rientrare a Roma e, nel trasferirsi, il giovane imperatore volle portare nella capitale imperiale il betilo del dio Elagabalo, una pietra rituale a forma conica che fece installare in un nuovo santuario eretto in suo onore sul Palatino. I romani non videro di buon occhio l'iniziativa e le cose peggiorarono quando Bassiano detto Antonino "Elagabalo" decise di sposare una vestale, facendo spostare molte reliquie e statue sacre vicino al suo dio. Julia Maesa, intravedendo la catastrofe imminente, riuscì a persuadere Bassiano ad adottare come figlio suo cugino Alexianus, figlio di Julia Mamea.
Quando nel 222 d.C. i pretoriani si ribellarono e uccisero Julia Soaemias e suo figlio, l'imperatore Antonino Elagabalo, la zia Julia Maesa mantenne la situazione sotto controllo: fu suo nipote Alexianus, ribattezzato Severo Alessandro, ad essere proclamato Augusto. La famiglia imperiale era dunque costituita dal trio: Julia Maesa, sua figlia Julia Mamea e suo nipote, il tredicenne Severo Alessandro. Siriano come suo cugino, Severo Alessandro fu attento a non urtare i romani andando contro le loro tradizioni religiose. Restituì alla città di Emesa il suo betilo e riconsacrò il tempio romano a Giove. Dopo la morte di Julia Maesa, regnò con sua madre Julia Mamea, ripercorrendo la storia che fu propria di Antonino Caracalla e Julia Domna. Severo Alessandro tentò più volte di sposarsi ma, con grande abilità, la madre lo convinceva sempre a ripudiare tutte le promesse spose.
Tanti erano i sostenitori del duo imperiale tra i senatori quanti erano gli oppositori nell'esercito, che ebbe il sopravvento e fece assassinare sia la madre che il figlio nel 235 d.C., durante la guerra contro i Germani, nel corso di un ammutinamento. Succedettero al titolo di Augusto imperatori senza fortuna a partire da Massimino, detto il Trace, che fu anch'esso assassinato durante una rivolta del Senato. Si dovette attendere ben nove anni prima di rivedere al sommo potere la dinastia siriana. Questa volta non una famiglia di Emesa ma di Shahba prese il sopravvento. Nominato dallo stato maggiore, Filippo "l'Arabo" ricevette il titolo di Augusto nel 244 d.C. e governò facendo attenzione a non commettere gli stessi errori dei suoi predecessori, in particolare di Antonino Elagabalo.
Tra Antiochia e Babilonia
Rispettò alla lettera le tradizioni romane celebrando tutti i rituali previsti e organizzando i giochi secolari nel 248 d.C. in onore del 1000° anniversario della fondazione di Roma. A differenza dei Severi non dimenticò la sua patria di origine e trasformò la sua città natale, Shahba, in una colonia romana denominandola Filippopoli (città di Filippo). Ma se a Roma, nelle province e nelle armate di frontiera, dove rivolte e ammutinamenti erano all'ordine del giorno, Filippo e la sua famiglia godevano di un certo favore, suo fratello Prisco, comandante delle armate d'Oriente, dovette fronteggiare una rivolta in Siria dove i soldati acclamarono Augusto un certo Jotapianus. Ma non fu il solo.
Sul Danubio venne nominato dai soldati una altro Augusto: Regalianus che fu assassinato dai suoi stessi uomini i quali, a loro volta, nominarono Augusto Decio, un senatore romano che Filippo aveva inviato per domare una rivolta. Decio, prestandosi al gioco, si mise a capo di una nuova rivolta nel 249 d.C. segnando la disfatta di Filippo. Gli anni a seguire furono difficili per l'impero e fu in questo contesto che ebbero un ruolo decisivo nella storia il re palmireno Odenato e sua moglie Zenobia.
La Siria subì la crisi del III° secolo forse in minore entità rispetto alle altre province, ma pur sempre pesantemente. Le pressioni fiscali, sempre più gravose, imposte dagli imperatori per finanziare i conti delle guerre, tanto di espansione che quelle civili, incisero fortemente sulle ricchezze dei grandi proprietari siriani. Palmira, collocata tra Antiochia e Babilonia, era una fiorente oasi del deserto e dunque città carovaniera. Situata sulle frange dell'impero d'Oriente la città era in pace con Roma. Verso la metà del III° secolo, il capo di una delle quattro tribù nomadi si impose sugli altri e divenne il re di Palmira. Era Odenato.
La città, che viveva per la maggioranza grazie al commercio di prodotti di lusso destinati alle classi abbienti, vide ben presto il suo declino: a conferma di ciò, le iscrizioni carovaniere ritrovate a Palmira diventarono sempre più rare nel III° secolo. Seppur parte integrante dell'impero romano, i nobili palmireni si erano sempre tenuti in disparte dai conflitti che contrastavano l'impero, in particolare quelli con i Persi.
Odenato proveniva da una famiglia che aveva ricevuto la cittadinanza romana sotto Settimio Severo, famiglia che aveva probabilmente beneficiato del favore dalle principesse di Emesa: l'imperatrice Julia Domna e sua sorella Julia Maesa. Odenato, notaio e cittadino eminente, faceva parte della boulè di Palmira, l'assemblea dei proprietari. Portava il titolo di esarca e si era sempre dichiarato neutrale nella schiera dei numerosi nemici di Roma. All'epoca, imperatore era Valeriano che fece nominare Cesare, e poi Augusto, suo figlio Gallieno con il quale condivise il regno.
Gallieno restò in occidente per comandare le truppe contro l'avanzata dei Galli e in difesa dell'Italia, mentre Valeriano partì alla volta di Antiochia da dove difese le provincie orientali. Era il 254 d.C. quando Odenato di Palmira venne considerato dall'imperatore un sostenitore del Regno, notizia riportata dallo storico Zosimo nel V sec. d.C.: "Odenato…un palmireno che gli imperatori avevano giudicato degno d'onore grazie ai suoi illustri antenati".
Quattro anni più tardi fu nominato console ed è molto probabile che, insieme al titolo, Odenato ricevette sotto la propria responsabilità tutte le province della Siria Fenicia con le relative truppe romane locali. Nel 260 d.C. Valeriano lasciò la città di Antiochia per raggiungere Samoaste, sull'Eufrate e da lì dirigersi verso Edesse per liberare la città. Lungo il tragitto venne catturato da Sapore, il re dei re, che lo portò prigioniero in Iran con lo stato maggiore e l'esercito al seguito. Ma Valeriano non era alla testa di tutta l'armata: aveva lasciato dietro di lui, nella città di Samoaste, una parte dell'esercito guidato da Macriano che era incaricato di presidiare il tesoro di guerra e la cassa.
Deportazioni di massa per le popolazioni dell'Iran
Macriano, chiamato dall'imperatore prigioniero, invece di accorrere in suo aiuto, proclamò la disfatta di Valeriano e abbandonò la città, lasciandola in mano ai Persi, per rifugiarsi a sud. I Persi, avendo strada libera, non si occuparono più di Edesse e conquistarono Antiochia, distruggendo completamente la città e deportando gran parte della popolazione in Iran. Non interessandosi alla Siria centrale, si diressero poi verso nord e invasero l'Asia Minore mentre i romani organizzarono la resistenza come meglio poterono.
Alla fine della stagione militare, i Persi ripiegarono verso la Mesopotamia e l'Iran, carichi di bottino e di prigionieri. Per farlo, dovettero però negoziare il loro passaggio, con la guarnigione romana di Edesse, poiché non erano riusciti a conquistare la città. La loro campagna vittoriosa inoltre, non aveva consentito loro di fermarsi a lungo nei paesi conquistati (dove si preparavano già dei contro attacchi). In effetti l'armata romana era pronta a risollevarsi eleggendo un nuovo Cesare sul campo. Con Valeriano, Sapore credette di avere fatto prigioniero il Cesare dei romani: ma aveva catturato soltanto un uomo ormai vecchio.
Una parte dell'armata romana si stava già rifornendo altrove ed aveva eletto Augusto i due figli di Macriano: Macriano Junior e Quieto. E' dunque nella Siria distrutta dall'invasione che l'armata romana iniziò a ricostituirsi. Alla sua guida un tandem costituito da Macriano, che aveva le chiavi della cassaforte di Valeriano, e il militare Ballista. Essi non presero mai direttamente il potere che delegarono, almeno in apparenza, ai due giovani imperatori.
Era l'agosto del 260 d.C. e il nuovo regime fu presto riconosciuto dalla gran parte delle provincie orientali. Occupati a ricostituire la loro legittimità per opporsi a Gallieno, Macriano e Ballista lasciarono alle forze locali il compito di difendersi dai Persi. Forze locali tra cui quelle militari presiedute da Odenato. Nella Historie Auguste Zosimo narra che Odenato era a capo di truppe romane, probabilmente legionari della Siria-Fenicia, unitamente ai soldati di Palmira, che dovevano fornire la cavalleria. Suoi primi obiettivi furono la riconquista delle città di Carrhes (Harran) e Nisibe, città cadute nelle mani dei Persi.
Nel 261 d.C. Odenato approfittò del rientro dei vassalli di Sapore nei loro domini e riconquistò la città grazie all'effetto sorpresa. Nel frattempo Gallieno continuava ad essere impossibilitato ad intervenire in Oriente poiché impegnato su diversi fronti, in Italia del nord e sul Danubio, e fino al 268 d.C. non mise mai piede ad est del Bosforo. Odenato aveva capito che la vittoria contro i Persi era del tutto eccezionale e che avrebbe dovuto, per fronteggiarli nuovamente, essere a capo di un'armata regolare romana, operativa e permanente.
Dunque si fece apprezzare dalle truppe romane, presentandosi come un leale sostenitore di Valeriano e suo possibile vendicatore, vincitore su quel Sapore, capo dei Persi, che lo aveva fatto prigioniero e di Quieto, il figlio di quel traditore che l'aveva vergognosamente abbandonato. Infine, si associò alla vittoria che l'armata di Gallieno aveva riportato su Macriano in Europa. Scrive Trebellio Pollione nelle Vite dei trenta tiranni: " Se Odenato non avesse preso il potere, aundo Valeriano era caduto in mano del nemico e le forze di Roma erano ormai molto indebolite, l'Oriente sarebbe andato perduto". Per dare concretezza e spettacolarità alla sua alleanza fedele ai figli di Valeriano, Odenato inviò a Roma i principali prigionieri Persi catturati nel corso delle sue battaglie. Mossa che fu accolta nella città imperiale con grande entusiasmo.
I Persi prigionieri furono esibiti in trionfo da Gallieno che conferì così ad Odenato il ruolo di comandante militare su tutte le truppe romane d'Oriente. Gli fu dato il titolo di dux Romanorum di corrector totius Orientis che lo rendeva rappresentante personale dell'imperatore in Oriente. In ragione dei poteri conferitigli dall'imperatore, Odenato non poteva risiedere a Palmira: e siccome Antiochia non era ormai che un mucchio di rovine, la città più favorevole era Emesa. Lì, nel 267 d.C., venne assassinato insieme a suo figlio. L'anno 267 d.C. fu, per la parte orientale dell'impero romano un anno tragico. Da un lato l'assassinio del re di Palmira e di suo figlio e dall'altro i Barbari discesi dal Nord che reclamavano la Tracia, assediavano la città di Atene e devastavano i Balcani e l'Asia Minore.
L'occupazione di Atene fu probabilmente la causa della partenza del filosofo Longino e del suo conseguente rifugio in Siria, a Palmira presso la corte della regina Zenobia, moglie di quell'Odenato che aveva continuato a farsi chiamare re senza che questo contrastasse con il ruolo assegnatogli da Gallieno. Ci sono infatti sempre stati dei re nell'ambito dell'impero romano poiché la loro presenza e la loro permanenza, soprattutto in Oriente, corrispondeva a delle necessità di circostanza: c'erano tradizioni locali da rispettare ed era impossibile, da parte di Roma, organizzare un'amministrazione locale in tempi di guerra o quando ci si trovava di fronte a popolazioni già organizzate secondo le regole e i costumi orientali.
La sposa più bella d'Oriente
"Nello sconvolgimento generale crollava ogni valore tradizionale: toccò persino a una donna dare un saggio di buon governo, mentre l'imperatore Gallieno dava fondo ad ogni nequizia. Alludo a Zenobia".
Odenato sposò in seconde nozze una donna che, come scrive Trebellio Pollonio, era "altrettanto assuefatta alle fatiche e, parere di molti, anche più valorosa del marito: era Zenobia, la più nobile e, (secondo Cornelio Capitolino) la più bella donna d'Oriente". Dalla prima moglie aveva avuto un figlio Hairan-Herodien che venne assassinato con lui a Emesa. Gli artefici del misfatto restarono ignoti e le fonti storiche presentano, al riguardo, versioni contrastanti. Per la Historie Auguste fu uno dei cugini di Odenato, un certo Meonio, con la complicità di Zenobia che detestava il figliastro.
Per Zosimo fu una cospirazione; per altri storici i due furono assassinati per ordine di Gallieno o per iniziativa di un singolo. Quel che è certo è che, durante il processo davanti ad Aureliano, Zenobia non sembra esser stata accusata dell'assassinio del marito. Settimia Zenobia, ormai sola regina, succedette dunque ad Odenato, regnando insieme al figlio Settimio Vaballato Atenodoro, ritrovandosi così in una posizione analoga a quella nella quale, 50 anni prima, si era trovata l'imperatrice Julia Domna, che divenne per lei un modello da seguire. Ma chi era costei? Si legge nell'Historie Auguste: "una straniera nominata Zenobia (…) che si diceva proveniente dalla famiglia di Cleopatra o dei Tolemei, succedette al marito Odenato, sistemò sulle sue spalle il mantello imperiale, si adornò alla maniera di Didone, ricevette lo stesso diadema ed esercitò il potere per mano dei suoi figli Erenniano e Timolao per un tempo così lungo che non ebbe precedenti per una persona di sesso femminile."
Altre fonti la vogliono figlia o discendente di molti dei personaggi storici più celebri: il notaio palmiriano Jiulius Aurelius Zabdilah-Zenobies, Antiochos VII Sidere, re di Syria, o, come nella Historie Auguste, della stessa regina Cleopatra; ma tutte queste teorie non sono avallate da alcuna genealogia certa della regina. Continua la descrizione nella Historie Auguste: "Questa donna orgogliosa detenne il potere reale quando Gallieno governava ancora il Regno, poi quando Claudio era impegnato nella guerra contro i Goti e, non senza pena, quando Aureliano finì per sconfiggerla, trascinarla in trionfo e assoggettarla all'autorità romana". Le principesse siriane come Julia Domna e Julia Mesa avevano avuto il loro posto nell'armata in qualità di Mater Castrorum. Zenobia invece si proclamò imperatrix e fu questa la grande novità.
Ufficialmente furono re i suoi figli, o meglio, suo figlio Settimio Vaballato che ereditò il titolo paterno e che avrebbe dovuto rivestire il titolo di imperatore. La sua giovane età non poteva certo costituire un ostacolo, visti i precedenti: da quando cioè Antonino Caracalla fu nominato Augusto all'età di 10 anni. In Oriente, inoltre, una donna o un bambino erano legittimati ad ereditare questo titolo. Ma, i titoli romani di dux romanorum e di correcteurs, erano titoli che solo l'imperatore poteva conferire. Zenobia li rivendicò con la forza e si fece accettare come comandante supremo dall'esercito. Fu dunque regina secondo la tradizione persiana e comandante delle armate per le truppe romane.
Narra la Historie Auguste: " Zenobia viveva nel mezzo di un fasto reale. Si faceva adorare alla maniera dei Persi. I suoi banchetti si svolgevano secondo l'uso dei Persi. Ma è alla maniera degli imperatori romani che si presentava alle assemblee dei soldati, con l'elmo, portando una sciarpa di porpora le cui frange lasciavano pendere alle loro estremità delle pietre preziose, tanto che era stata fissata in centro, come fosse una spilla, una gemma a forma di lumaca. Le braccia erano spesso nude (…) La sua voce aveva un timbro eclatante e virile. Imponeva, quando era necessario, il rigore proprio dei tiranni, ma, quando l'equità lo richiedeva, applicava la clemenza propria dei buoni sovrani (…). Utilizzava per spostarsi un carpentum (carro ufficiale degli imperatori), raramente un pilentum (carro privato), ma sovente si spostava a cavallo. Con questo arrivava a fare, insieme ai suoi fantini, delle marce di 3 o 4 miglia.
Cavalcava con foga tutta spagnola." La Historie Auguste riporta dettagli significativi per ricostruire la sua personalità: "Aveva obbligato i suoi figli a parlare latino così bene che essi si esprimevano raramente in greco e con difficoltà." Ciò fa supporre che la regina avesse per loro ambizioni romane, visto che in Oriente non conoscere questa lingua costituiva un reale limite. E ancora: "Da parte sua Zenobia non aveva una perfetta conoscenza del latino e nel parlarlo si bloccava per la timidezza. Al contrario parlava l'egiziano alla perfezione." La lingua parlata nella regione di Palmira dal III° secolo a.C. al IV secolo d.C. ci è nota grazie ad alcune iscrizioni religiose, funerarie e di amministrazione civile. E' un dialetto derivante dell'armeno.
L'Historie Auguste continua in questo modo: "Era così competente nella storia di Alessandria e dell'Oriente che ne scrisse, si dice, un compendio. Quanto alla storia romana l'aveva letta in greco". Zenobia era dunque un'intellettuale e, come Julia Domna, anch'essa donna di grande cultura, si circondò di una schiera di letterati, tra cui, primo fra tutti Longino, professore di filosofia platonica ad Atene. Longino era considerato una biblioteca vivente, un museo ambulante, ed era certamente l'uomo più qualificato del suo tempo in ogni genere letterario: dalla poesia, alla storia alla filosofia.
Divenuta con la morte di Odenato la sola reggente, a capo di un'armata costituita da truppe romane, con integrazioni di Palmiriani, Arameni, Persi e Parti, Zenobia cambiò ben presto la strategia del marito e cercò con successo di riallacciare i rapporti con Sapore. Lo stesso Zosimo, nella Historie Auguste, concorda nel dire che Zenobia, nel corso della guerra contro Aureliano, pensava di poter contare sul supporto dei Persi e di potersi rifugiare da loro al di là dell'Eufrate. Alla fine del regno di Claudio III, o forse all'inizio di quello di Aureliano, Zenobia conquistò l'Egitto, buona parte della Siria, della Palestina e dell'Arabia. Era dunque nella possibilità di negoziare alla pari con l'imperatore romano.
Aureliano venne eletto imperatore nel 270 d.C.. Le monete coniate ad Alessandria d'Egitto, governata da Zenobia, riportano l'effigie di Aureliano, testimoniando il riconoscimento dell'autorità dell'imperatore da parte della regina. Sul retro delle monete il busto di Wahballath, pettinato secondo le usanze dei Parti (capelli lunghi che formano una massa di boccoli sulla nuca), rivestito dal mantello imperiale e coronato di alloro.
Questa associazione in una stessa moneta, di un imperatore e di un personaggio non rivestito né dal titolo di Cesare né da quello di Augusto fu una novità ad Alessandria. Anche ad Antiochia, che passò sotto il controllo di Zenobia nel 270 d.C., vennero coniate, per la paga dei soldati, monete d'argento di basso valore, degli antonini, con analoghe effigi. All'inizio della stagione militare nel 272 d.C., Aureliano giunse in Asia dove fu ben accolto sulle rive asiatiche del Bosforo.
Per molte città e molte truppe era giunta l'ora della scelta: Zenobia o Aureliano? Ankara si arrese ad Aureliano, la città della Cappadocia Tiana, sulla strada per la Siria, finì anch'essa per arrendersi all'imperatore che accettò la resa senza punire la città. I soldati di Tiana andarono ad aggiungersi all'armata di Aureliano con la quale l'imperatore oltrepassò le porte siriane per raggiungere la piana di Antiochia, dove l'esercito di Zenobia, comandato dal generale Zabda, li attendeva. Fu il primo vero scontro che vide la vittoria di Aureliano e il ritiro in buon ordine dei soldati di Zenobia ad Emesa, dove si prepararono per un'altra battaglia.
Un esercito di 70 mila uomini
Emesa, dopo la distruzione del 260 d.C., non era certo in grado di reggere un assedio. Lì Zenobia aveva concentrato un'armata di 70 mila uomini, formata da soldati originari di Palmira uniti ad altri mercenari che avevano deciso di partecipare alla loro spedizione. Quando la battaglia ebbe luogo, le forze di Aureliano furono inizialmente sopraffatte dalla cavalleria pesante dei catafrattari (cavalieri corazzati) di Zenobia.
La cavalleria danubiana di Aureliano fu distrutta ma la cavalleria pesante di Zenobia venne attaccata dall'unità dei fanti palestinesi che salvò la situazione a favore di Aureliano. Zenobia fu così sconfitta. Questa volta si ritirò verso Palmira, lasciando al nemico il tesoro di guerra. Dopo la disfatta di Emesa, con l'armata di Zenobia pesantemente alleggerita, Aureliano non ebbe difficoltà ad entrare da vincitore nella città e fu ben accolto dalla popolazione. Non restava che Palmira quale ultima roccaforte che, pur non disponendo di una fortificazione capace di fermare l'armata dell'imperatore, poteva trarre vantaggio dal suo isolamento territoriale: essa infatti era l'unica oasi nel mezzo del deserto tra Antiochia e Babilonia.
Isolamento che però si rivelò a sfavore della regina quando Aureliano condusse di sorpresa la sua numerosa armata a ridosso delle mura di Palmira che non poteva così chiedere aiuto all'esterno. Il sogno di Zenobia era svanito. Gli stessi palmireni, per la maggior parte, si schierarono in favore di Aureliano: furono i notabili della città ad aprire le porte all'imperatore. Zenobia fuggì in direzione dell'Eufrate convinta di poter ottenere rifugio dai Persi. Ciò non avvenne e la regina fu catturata. Secondo una lettera che la Historie Auguste gli attribuisce, Aureliano avrebbe posto le sue condizioni: "Io vi ordino di arrendervi e vi lascio salva la vita a condizione, Zenobia, che tu vada a vivere con i tuoi familiari nel luogo che io ti assegnerò, in accordo con i nobili del Senato. Dovrete versare al tesoro di Roma pietre, oro, argento, seta, cavalli e cammelli.
I Palmireni conserveranno il loro Statuto". Dopo aver lasciato a Palmira poco più di 600 uomini Aureliano ritornò ad Emesa, dove si trovava il suo quartier generale, per organizzare il processo di Zenobia e della sua cerchia: Settimia Zenobia, cittadina romana di alto rango, si era resa colpevole di alto tradimento. Scrive Zosimo "Zenobia escluse di avere responsabilità e coinvolse molti altri, con l'accusa che, come donna, l'avevano ingannata". Narra l'Historie Auguste: "Quando Aureliano l'ebbe fatta prigioniera e l'ebbe fatta condurre al suo cospetto, l'interrogò con queste parole: "Allora, Zenobia, tu hai osato insultare gli imperatori romani?" E lei replicò dicendo: " Tu, che riporti delle vittorie, io ti considero come un imperatore; ma Gallieno, Auriolo e tutti gli altri principi, io non li ho mai riconosciuti tali.
E' Vittoria, che io credo mi rassomigli, con la quale avrei dovuto condividere l'impero, se le distanze l'avessero permesso". Zenobia si rivolge ad Aureliano in forma di dialogo; ella si riferisce a Vittoria, regina della Gallia. Due donne dunque approfittarono della debolezza dell'impero romano, due donne dalla forte personalità che dal 260 al 270 d.C. emersero sulla scena politica e si arrogarono il potere. Aureliano, giudicando poco favorevole condannare a morte una donna, fece dunque uccidere molti suoi consiglieri, tra cui Longino, "che sopportò con tale nobiltà la sentenza da consolare quelli che si affliggevano per la sua sorte", e riservò Zenobia per il suo trionfo: "Mi sento rinfacciare, o senatori" scriverà Aureliano in una lettera al senato e al popolo, "di non essermi comportato da uomo, trionfando su Zenobia.
Ma quegli stessi che mi rimproverano, non troverebbero parole sufficienti per lodarmi se sapessero che donna è, se ne conoscessero la saggezza nei piani, la fermezza nel comando, la severità verso i soldati, la condotta ora generosa ora rude a seconda delle necessità." Sul seguito della storia di Zenobia le fonti forniscono indicazioni contrastanti.
Per lo storico Zosimo la regina morì, durante il viaggio, "per una malattia o per digiuno; gli altri, ad eccezione di suo figlio, annegarono nello stretto tra Calcedone e Bisanzio".
Nella Historie Auguste invece ella fu, con Tetrico, imperatore delle Gallie, la stella del trionfo celebrato a Roma da Aureliano, e venne mandata in esilio a Tibur (Tivoli) con la sua famiglia, di cui i discendenti si trovano nel IV secolo integrati nell'aristocrazia romana. Scrive Trebellio Pollione: "Venne dunque portata dietro il carro di trionfo, e con un fasto senza pari: era ornata da tante grosse gemme che quasi non riusciva a camminare, e pur forte com'era, ad ogni passo si fermava dicendo che non poteva più reggere sotto quel peso. I piedi, le mani erano legati da catene d'oro, ed un guardiano persiano sorreggeva la catena, pure d'oro, che portava al collo .
Aureliano le permise di vivere ancora insieme ai suoi figli, come una matrona romana, in un podere concessole in quel di Tivoli, ancor oggi chiamato Zenobia, non lontano dal palazzo di Adriano e dalla località detta Conca". Durante il trionfo Aureliano fece sfilare la regina su un carro che pare fosse stato fatto costruire appositamente da lei stessa per una sua auspicata venuta a Roma.
Scrive Flavio Vopisco nella Vita di Aureliano: "Zenobia aveva fatto costruire il carro con la speranza di servirsene per vedere Roma. E non si ingannò, infatti entrò su di esso nella città, ma vinta e debellata": non era certamente così che la regina si era immaginata di comparire davanti al senato e al popolo romano.
BOADICEA
Regina degli Iceni: Giulio Cesare aveva iniziato l'invasione della Gran-Bretagna in 55 a.C., ma non era mai realmente riuscito ad imporre la sua dominazione sopra i Britanni. Nel 43 d.C. che l'imperatore Claudio ha ordinato che la Gran-Bretagna dovesse essere conquistata. È durante questa seconda invasione che nasce la storia di Boadicea.
Boadicea è stato descritta come donna potente. Questa descrizione viene da uno scrittore romano, Dione Cassio:
"era molto alta. La sua voce era dura ed alta. I suoi capelli spessi e bruno-rossastro sono appesi giù sotto la sua vita. Ha portato sempre un torc dorato grande intorno il suo collo e un mantello tartan fluente fissato con un brooch."
Boadicea o Boudicca , sposa di Prasutago, re della città di Iceni (ora Norfolk) ancora indipendente al potere di Roma. Quando Prasutago morì nel 60 d.C. senza eredi maschi lasciò tutte le sue ricchezze alle sue due figlie ed all'imperatore Nerone,confidando con ciò di guadagnarsi la protezione imperiale per la sua famiglia.
Invece i Romani annetterono il suo regno,umiliarono la sua famiglia, e saccheggiarono il territorio. Mentre il governatore della provincia, Svetonio Paulino, era assente nel 60 Boudicca organizzò una ribellione in tutta la regione dell'Anglia Orientale. Gli insorti bruciarono Camulodunum (Colchester), Verulamium e parte di Londinium (Londra) e molti avamposti militari, massacrarono (come riporta Tacito) 70.000 tra Romani e Bretoni simpatizzanti romani facendo a pezzi la Nona Legione.
L'esercito comandato da Paulino si scontra con i rivoltosi nella zona corrisponde oggi al centro di Londra e in una disperata battaglia riconquista e sottomette di nuovo la provincia. Si dice Boudicca morì per l'enorme dolore, assumendo de veleno.
Dai documenti è riportato che questa donna fosse alta e possente dalla voce decisa. Durante la battaglia si spostava sul carro combattendo con la lancia. Essa era anche dotata di un'ottima eloquenza e attraverso le sue parole inspirava sia coraggio che lealtà.
Si dice che ha tenuto questo discorso a loro prima della battaglia:
"Britannici siamo usati ai comandanti delle donne nella guerra. Sono la figlia degli uomini d'onore. Ma ora non sto combattendo per la mia alimentazione reale... Sto combattendo come persona ordinaria che ha perso la sua libertà. Sto combattendo per il mio corpo battuto. Gli dei ci assegneranno la vendetta che ci meritiamo. Pensate a quanto di noi stanno combattendo ed al perchè. Allora vincerete questa battaglia o morirete..."
CLEOPATRA
Cleopatra VII nasce nel 69 a.C. ad Alessandria da uno dei due matrimoni di Tolomeo XII Neodioniso (80-51 a.C.) detto "Aulete" (il "flautista"), amante del vino e della musica.
Si narra che Cleopatra fosse una donna non molto bella, ma simpatica, intelligente, astuta, determinata e spietata. Tutte qualità ideali per governare un regno come quello d'Egitto.
Quando nel 51 a.C. il padre muore, Cleopatra ha 18 anni e si trova a sedere sul trono d'Egitto col fratello Tolomeo XIII di soli 10 anni. Roma nomina Pompeo tutore di Tolomeo XIII. Tra i due fratelli vi è un odio profondo che sfocia, per il volere del potentissimo eunuco Potino, nell'allontanamento da palazzo di Cleopatra che decide di rifugiarsi in Siria ed inizia ad organizzare un proprio esercito.
In quel periodo a Roma scoppiò una guerra civile tra Giulio Cesare e Pompeo. I due si inseguirono fino in Egitto dove quest'ultimo fu assassinato dai cortigiani di Tolomeo XIII, forse per ingraziarsi Giulio Cesare. Quest'ultimo si stabilì nel palazzo di Alessandria dove convocò Tolomeo XIII e Cleopatra per porre fine ai conflitti dinastici. Cleopatra, per paura di essere uccisa dagli uomini di suo fratello, arrivò a Palazzo a bordo di una brigantino condotto da un suo servo fidato, Apollonio Siciliano, attraccò proprio sotto le mura e, quindi, si introdusse avvolta in un tappeto portato da Apollodoro sulle spalle. Giunto all'appartamento di Cesare il tappeto venne posato a terra e srotolato lasciando stupito il re romano. L'incontro terminò con la riconciliazione delle parti ma, in realtà, il governo dell'Egitto sarebbe stato nelle mani di Cleopatra. La regina d'Egitto era in grado di conversare, senza l'aiuto di interpreti, con Etiopi, Trogloditi, Siri, Arabi, Ebrei, Medi e Parti e molte altre lingue comprese, naturalmente, quella egizia e quella greca. Cesare, colpito dall'audacia e dall'astuzia di Cleopatra, fu del tutto conquistato dal suo fascino. Cleopatra portò Cesare in viaggio lungo il Nilo per mostrargli le bellezze d'Egitto. Durante il viaggio la regina rimane incinta e da alla luce un figlio maschio che chiamò Tolomeo XV Cesarione e che fu l'unico erede maschio di Cesare. Cesare, che subito dopo dovette partire per la Siria, poteva fare dell'Egitto una colonia romana come molte altre, ma, per amore di Cleopatra, uccise Tolomeo XIII facendolo annegare nel Nilo e lasciò la sua amata unica regina d'Egitto. Per stare vicino a Cesare, ma anche per scopi politici, Cleopatra si trasferisce a Roma dove, però, trova l'inospitale accoglienza dei Romani.
Cleopatra, con questa decisione, intendeva permettere al figlio Cesarione, una volta morto Cesare, di installarsi sul trono di un impero grande come quello di Alessandro Magno nato dall'unione di Roma con l'Egitto.
Il disappunto del popolo romano e le contestazioni nate in senato scaturiscono nell'assassinio di Giulio Cesare. Marco Antonio, alleato di Cesare, proclama Tolomeo XV Cesarione erede di Giulio Cesare davanti al senato, ma Ottaviano si oppone affermando di essere lui il legittimo successore al trono.
In questo clima burrascoso, Cleopatra decide di tornare in Egitto dove trova un'economia in grave crisi e la gente egiziana ridotta alla schiavitù dai Greci che, a loro volta, conducono una vita lussuosa e di potere. Cleopatra non cambia tale impostazione, ma la rende più accettabile da parte degli egiziani alleggerendo le tasse e migliorando il livello della vita. Per rilanciare il commercio riapre l'antica via carovaniera dal Nilo al mar Rosso facendola proteggere con torri di guardia dislocate lungo il percorso e visibili tra loro in modo da permettere la comunicazione in caso di agguati. Da questa via viene importato il porfido che verrà poi utilizzato dai Romani per costruire le statue degli imperatori.
Nel frattempo Marco Antonio diviene padrone dell'Impero Romano d'Oriente, mentre Ottaviano governa l'Europa Occidentale. Tra i due c'è molta rivalità, ma anche odio che li mette in conflitto più volte. Marco Antonio, per sconfiggere il nemico Ottaviano, ha bisogno dei tesori dell'Egitto e quindi convoca Cleopatra a Tarso, sulla costa turca. Si dice che la loro relazione iniziò dopo che Cleopatra si presentò ad un invito di Marco Antonio in Cilicia su un'imbarcazione dalle vele color porpora, la poppa d'oro e i remi d'argento. La regina, vestita come una Venere e accompagnata dal suono di flauti e liuti, stava distesa all'interno di un baldacchino circondato da amorini. Nel corso dell'incontro, Cleopatra si innamora di Antonio da cui avrà due gemelli, ma che poi deve lasciarla per partire in guerra. Cleopatra saprà del matrimonio del suo innamorato con un'altra donna. In questo momento di dolore e solitudine, Cleopatra riscopre l'antica religione egizia facendosi promotrice di preghiere, riti e donazioni agli Dei ormai abbandonate da anni. Dopo 3 anni, Marco Antonio, nonostante le molteplici insistenze della sua prima moglie Fulvia e poi della seconda moglie Ottavia, torna da Cleopatra per avere le ricchezze d'Egitto. Cleopatra, troppo astuta per mostrargli tutto il suo dolore, cede i tesori del suo regno in cambio di precise promesse. Così le terre dell'Arabia, le miniere di rame di Cipro, il Sinai, l'Armenia ed i campi di grano di tutto il nord Africa appartenenti a Roma, passano sotto il governo egiziano. Roma è furiosa, tutte quelle terre conquistate con il sangue dei Romani cedute alla regina che non ha mai accettato.
Ottaviano approfitta della situazione sferrando un attacco a Marco Antonio nella battaglia di Azio. Cleopatra, in maniera insolita, segue Antonio nella lotta affiancandogli le navi egiziani, ma ben presto è costretta a ritirarsi. Visto l'andamento del combattimento Cleopatra, ritirata ad Alessandria, decide di fuggire dall'Egitto, ma, durante i preparativi per la partenza, viene sorpresa dagli Abatei, a lungo sottomessi al suo potere, che le impediscono la fuga. Le truppe di Ottaviano, che nel frattempo avevano messo in fuga la flotta di Marco Antonio, si avvicinano minacciose ad Alessandria. Marco Antonio, rifugiatosi a palazzo con Cleopatra, si uccide con la sua spada e muore tra le braccia della regina d'Egitto. Temendo che anche Cleopatra tenti il suicidio, Ottaviano, ormai padrone di Alessandria, fa in modo che ogni oggetto portato alla regina sia accuratamente controllato. Il 12 agosto del 30 a.C., però, un contadino riesce a farle avere un cesto di fichi che nasconde un serpente. Cleopatra, accortasi della presenza del cobra, viene morsa e muore prima dell'arrivo di Ottaviano evitando così l'umiliazione di essere sconfitta. Suo figlio Cesarione viene ucciso da Ottaviano, mentre gli altri due figli gemelli spariscono senza lasciare traccia. Da questo momento, l'Egitto diventa una semplice provincia dell'Impero Romano.
Geniale, Giò, la tua idea di mettere la storiografia delle più grandi e valorose regine del passato !! Grande !!!
grazie mik,speriamo che ora qualcun'altro posti!
questo è un piccolo anedoto dull iportanza delle comunicazioni e per ricordarci che fino a meno di 200 anni fà USA e UK si odiavano!
guerra delle comunicazioni difettose
Lo Scontro Politico-Commerciale.
I commerci marittimi degli Stati Uniti sono danneggiati dal "Blocco Continentale" di Napoleone e soprattutto dalla guerra di corsa Inglese. L’incidente più grave è causato dalla fregata inglese Leopard che apre il fuoco sulla fregata americana Chesapeake al suo rifiuto di farsi perquisire (VI 1807).
Il Congresso Americano vota il "Non-Importation Act" (IV 1806) e l’"Embargo Act" (XII 1807) che chiudono i porti americani a tutte le navi straniere, ma provocano conseguenze disastrose sull’economia americana e dopo 15 mesi sono revocati. Il successivo "Non-Intercourse Act" (III 1809) si limita a vietare i traffici con Inghilterra e Francia ma anche questo è revocato (1811).
Il presidente Thomas Jeffferson ottiene dall’Inghilterra solo (e tardivamente) le scuse ed il risarcimento danni per l’incidente del Leopard (1811).
L’apertura delle ostilità è auspicata dal presidente James Madison e dal partito dei giovani "Falchi della Guerra".
La situazione si aggrava dopo che un contingente americano in marcia è attaccato dagli indiani con cannoni inglesi presso Tippecande, nella Wabasch Valley (XI 1811).
Mr. Madison’s War (1812).
La dichiarazione di guerra è decisa con 79 voti favorevoli e 49 contrari al congresso americano, 19 favorevoli e 13 contrari al senato(18 VI 1812). I contrari chiamano il conflitto "Mr. Madison’s War".
Gli Stati Uniti dispongono di 17 fregate che non possono impedire alla flotta inglese di bloccare le coste americane ma ottengono qualche successo limitato nella guerra di corsa.
L’esercito regolare ammonta a 10.000 uomini con i quali si progetta l’invasione del Canada (inglese) lungo tre direttrici:
· Il generale William Hull con 2.000 uomini è preceduto dagli inglesi guidati dal generale sir Isaac Brock, con un contingente di indiani alleati, è accerchiato a Detroit ed è costretto ad arrendersi.
· L’abile generale inglese sir Isaac Brock ha disteso 1.500 uomini lungo i 60 chilometri del fiume Niagara. La milizia americana dello stato di New York rifiuta di passare il confine. I generali Stephen van Rensselaer ed Alexander Smyth dispongono di 6.000 uomini e tentano il passaggio del Niagara presso Qeenston Heights (a 11 chilometri dalle cascate). I primi 400 americani passati sono contrattaccati, ma Isaac Brock è ferito mortalmente (sul luogo gli è poi eretta una statua). Entrambe le parti fanno affluire rinforzi ma gli americani sono respinti nel fiume e gli ultimi 900 rimasti sulla sponda sinistra sono costretti ad arrendersi (13 X).
·Anche presso lago Champlan la milizia americana rifiuta di passare la frontiera e l’esercito è costretto a tornare a Plattsbugh.
Il Massacro del Fiume Raisin (1813).
Il progetto americano d’invasione del Canada è ripreso l’anno seguente
· Un distaccamento del Kentucky che avanza verso Detroit è sconfitto a Frenchtown (22 I), sul fiume Raisin. Gli inglesi portano via i prigionieri lasciando i feriti agli indiani che li massacrano. L’evento è chiamato "Il Massacro del Fiume Raisin".
· Un’altra colonna americana occupa York (attuale Toronto), capitale del Canada Superiore, ed incendia alcuni palazzi pubblici (27 IV).
· A loro volta gli inglesi passano il Niagara, prendono Fort Niagara, incendiano Buffalo e le cittadine dei dintorni (VII).
· La flottiglia americana sul lago Eire, guidata da Oliver Hazard Perry (2 brigantini da 20 cannoni, un brigantino catturato e 6 navi da 2 cannoni) blocca nella parte occidentale del lago la flottiglia inglese (6 navi) che cerca di forzare il passaggio (10 IX) ma è messa in fuga.
· Gli americani occupano il Michingan. Gli inglesi guidati dal generale Proctor si ritirano accompagnati da 600 indiani, sono inseguiti più giorni dal generale William Henry Harrison (futuro presidente) che grazie alla vittoria di Perry ha potuto passare indisturbato il lago Eire. Gli inglesi sono raggiunti e sconfitti al fiume Thames, numerosi fuggono dopo la prima salva (5 X). Tra i caduti c’è il capo indiano Tecumseh, la cui morte causa il ritiro dalla guerra di tutti i contingenti indiani a fianco degli inglesi. Gli americani incendiano Moraviantown, la città degli indiani Moravian. Il generale Proctor è processato dalla corte marziale e sospeso dal servizio.
· I generali James Wilkinson e Wade Hampton marciano su Montreal ma in autunno devono ritirarsi nello stato di New York.
The Star-Spangled Banner (1814).
La chiusura del conflitto europeo permette all’Inghilterra l’invio di 18.000 veterani in Canada ponendo definitivamente fine all’avanzata americana.
· Da parte americana frattanto il maggior generale Jacob Brown ed il brigadiere generale Winfield Scott hanno saputo organizzare ed addestrare un esercito disciplinato, che passa il Niagara presso Buffalo ed avanza su Queenston. Jacob Brown con 2.700 uomini riporta una vittoria a Cippewa (VII) mentre Winfield Scott con 1.300 uomini si scontra con 2.000 inglesi a Lundy’s Lane (ad un chilometro e mezzo dalle cascate del Niagara) ed ingaggia un combattimento dal pomeriggio a notte fonda. Gli inglesi sono respinti e perdono le artiglierie ma riescono a riprenderle, nonostante l’arrivo di rinforzi americani. Entrambe le parti subiscono gravi perdite e reclamano la vittoria (25 VIII 1814). Gli americani assediano inutilmente Fort Eire alcuni mesi ed infine sono costretti a rientrare.
· Il generale sir George Prevost con 11.000 inglesi invade lo stato di New York fiancheggiato dalla flottiglia sul lago Champlan (4 navi e 12 galee a remi) ma questa è sorpresa presso il promontorio di Plattsburgh dalla flottiglia guidata da Thomas Macdonougt (con 4 navi e 10 galee) ed è costretta ad arrendersi (11 IX 1814) Gli inglesi devono quindi rientrare in Canada.
· La flotta inglese sbarca nella baia di Chesapeake un esercito guidato dal generale Robert Ross che vince a Bladensburg ed occupa la capitale americana Wachington. I Capitoli, la White Hause ed altri edifici pubblici sono incendiati prima di ritirarsi a Baltimora. L’evento ispira a Francis Scott "The Star-Spangled Banner".
The Needless Battle (1815).
Le parti firmano la pace in Belgio, a Ghent (24 XII 1814), ma prima che la notizia arrivi in America, ha luogo a New Orleans la più grande battaglia di questo conflitto.
Gli americani guidati dal generale Andrew Jackson (futuro presidente) liberano New Orleans, occupata da 8.000 inglesi, causando 1.500 caduti, tra i quali il comandante inglese generale sir Edward Pakenham (8 I 1815). Lo scontro è chiamato "The Needless Battle" (La Battaglia Inutile).
La pace di Ghent (ratificata il 17 II 1815) prevede la reciproca restituzione delle terre occupate.
Apro con questo articolo una sezione dedicata alla leggenda di Artù e al mito del Santo Graal. Sempre che di mito si tratti :
"IL GRAAL E RE ARTÙ A SAN NICOLA"
Chi non ha mai sentito parlare di Re Artù? La sua leggenda ha radici solide anche se la storia ufficiale non aiuta molto a capire cosa c'è di vero nella sua storia della sua vita...
Una storia che fa capolino in posti lontani tra loro: la Gran Bretagna, la Francia, la Toscana e poi, andando ancora più a sud, in Puglia. A Bari
E' in questa Basilica, dedicata a San Nicola, che si trovano tracce sorprendenti del mito di Re Artù e della reliquia che è ormai indissolubilmente legata a questa figura leggendaria: il Santo Graal...
In questa chiesa che ha quasi mille anni si fondono storia e leggenda, coincidenze e messaggi criptici, miracoli e venerazione popolare. Ma prima di vedere cosa c'entri Re Artù con tutto questo conosciamo meglio il "padrone di casa": San Nicola.
Il 9 maggio 1087 alcuni mercanti portano a Bari i resti di Nicola, che oltre 700 anni prima era stato vescovo cristiano di Myra, l'attuale città di Kale in Turchia. Ma si dice che dietro questa operazione ci fosse ben altro: in realtà la missione dei mercanti -che in realtà sarebbero stati dei cavalieri cristiani - era stata commissionata da papa Gregorio VII in persona. E non per impossessarsi delle ossa di San Nicola ma per prelevare il Sacro Graal che era stato individuato nel Medio Oriente all'epoca sotto il controllo dei musulmani.
Gregorio VII non vedrà il successo della missione che aveva ordinato. Lui, il papa che aveva costretto il re di Germania Enrico IV a umiliarsi per tre giorni prima di essere ricevuto a Canossa, morirà infatti nel 1085.
Ma anche al suo successore, Urbano II, furono chiare le ragioni del perché era importante sottrarre agli infedeli una reliquia che poteva infondere forza agli eserciti.
Tra mondo cristiano e mondo musulmano la tensione era altissima e una guerra poteva scoppiare quanto prima. E infatti sarà proprio Urbano II a proclamare la prima crociata.
E da dove sarebbero partite le navi cariche di crociati decisi a liberare i luoghi santi in Palestina? Da qui, da Bari...
E che con le ossa di San Nicola sia arrivato a Bari qualcosa di miracoloso lo può forse dimostrare il curioso fenomeno della manna...
La manna, simbolo biblico di abbondanza, accomunata alle ossa di San Nicola. C'è chi ha ipotizzato che forse il Sacro calice passò per le mani del vescovo di Myra. Del resto la figura di San Nicola, "dispensatore di abbondanza", è all'origine di una delle immagini più forti della nostra civiltà: quella di Santa Claus, una deformazione latina di Sanctus Nicolaus, insomma il nostro Babbo Natale, l'uomo che porta i doni a Natale...
C'è poi un'altra circostanza che porta a considerare la Basilica di San Nicola come un luogo speciale, legato al Graal e a Re Artù: qui è infatti conservata anche una riproduzione della Lancia di Longino, un'altra importante reliquia della cristianità. Si tratta infatti della Lancia che il centurione Longino usò per trafiggere il costato di Gesù sulla croce. E il sangue di quella ferita sarebbe stato raccolto in una coppa. Il Graal appunto...
Il termine Graal deriva dal latino gradalis, che significa una tazza, un vaso, un calice, che a seconda delle tradizioni, avrebbe avuto utilizzi diversi ma sempre legati alle ultime ore di vita di Gesù Cristo. Secondo alcune versioni il Graal sarebbe il calice dove, secondo la tradizione medioevale e popolare, avrebbero bevuto Gesù e gli apostoli durante l'Ultima cena. Secondo altri sarebbe invece il calice nel quale Giuseppe d'Arimatea avrebbe raccolto il sangue sgorgato dal costato trafitto di Cristo crocifisso.
Non è stato solo Re Artù con i suoi cavalieri a cercare affannosamente il Sacro Graal. Molti hanno seguito le sue orme cercando questa reliquia in molti posti diversi. Vediamone alcuni.
Una antica tradizione vuole che a GLASTONBURY, (in Gran Bretagna), dove si pensa sorgesse la mitica Avalon, Giuseppe d'Arimatea in persona abbia nascosto la preziosa coppa nel "Pozzo del Calice". A GISORS invece, in Francia, una leggenda crociata vuole il Graal fra i tesori templari del castello che lì sorge. Sempre in Francia, ma a Montsegur, nei Pirenei, si pensa che i Catari abbiano nascosto il Graal nel castello dove si ritirarono per la loro ultima disperata difesa nel 1244. Non molto lontano da Montsegur sorge Rennes Le Chateau, un altro luogo dove, secondo leggende molto più recenti ma molto forti, potrebbe essere stata nascosta la Coppa miracolosa. Anche l'Italia vanta numerosi potenziali nascondigli del Graal: a CASTEL DEL MONTE (in Puglia) dove Federico II avrebbe sepolto la reliquia ricevuta dai Sufi, i mistici dell'Islam, tramite i cavalieri teutonici. Altre leggende portano invece a Torino, dove il Graal sarebbe stato nascosto secoli addietro dopo essere giunto insieme ad una latra celebre reliquia, custodita tuttora nel capoluogo piemontese: la Sacra Sindone. Infine, alcuni ricercatori hanno individuato il possibile nascondiglio del Graal addirittura ad AXUM (in Etiopia). Sarebbe custodito da monaci copti nella chiesa di Santa Maria di Sion. Ma in questo caso la reliquia avrebbe una doppia identità. Infatti per altri quella custodita ad Axum sarebbe l'Arca dell'alleanza.
La Basilica di San Nicola è quindi in buona compagnia. Ma, forse, rispetto ad altre località, ha qualche carta in più da giocare. La prima è il fatto che questa Chiesa, costruita subito dopo l'arrivo delle ossa di San Nicola a Bari, mostra chiari riferimenti al cosiddetto ciclo arturiano. Riferimenti che sono antecedenti alla diffusione delle leggende sui Cavalieri della Tavola Rotonda. E' soprattutto nell'archivolto di questa porta, chiamata "Porta dei Leoni", realizzata nel XII secolo dallo scultore Basilio, che Artù e i suoi cavalieri si mostrano...
Fu Chrétien de Troyes per primo, nel XII sec., a diffondere la leggenda Arturiana. E la leggenda di quelle gesta arrivò in Italia un secolo più tardi, quando ormai la Basilica di San Nicola era già stata costruita e consacrata. Come è possibile che Artù e il Graal vi siano stati rappresentati con così largo anticipo?
Probabilmente esisteva una tradizione orale sul Graal e Artù che Chretien si limitò a mettere per iscritto. Ma anche questa tradizione orale dava di Artù caratteristiche diverse: secondo alcuni il termine "artu'', nato da un primo mitico re, era un titolo che veniva preso da tutti i suoi successori. Il poema epico "Gododdin", risalente al '600 dopo Cristo, parla di un guerriero che "fornisce cibo ai corvi presenti sui bastioni senza essere un Artù". Del resto, lo stesso nome Artu rappresenta un enigma. Sembra derivare dal greco "Arktos", che significa "orso" e in alcune leggende Artù viene soprannominato proprio "Orso". Non a caso poi, nel mondo celtico, l'orso rappresenta il potere regale, che viene dalla forza e dal valore in combattimento.
C'è anche un'altra ipotesi: che con il soprannome "Artu" venissero indicati tutti quelli che si impegnavano a cercare il Graal...
Se questo è vero, forse la preziosa reliquia si nasconde proprio qui, in questa Basilica. Ma dove? Per scoprirlo bisogna unire due tracce. Una è nell'archivolto e l'altra nella misteriosa iscrizione, nota come il crittogramma di San Nicola e che vedete su questa lamina d'argento che ricopre l'altare del Patrocinio.
Se si fa attenzione: quella che sembra una cornice dei vari riquadri è in realtà una sequenza di lettere che, in apparenza, non formano alcuna parola.
Da anni questa serie di 622 lettere, molte delle quali non perfettamente leggibili, rappresenta un autentico rompicapo.
Noi, vogliamo proporvi una possibile soluzione...
Sulla "Porta dei Leoni" la decodifica del glifo "In Tectae Cryptae" (nelle segrete cripte) sembra riferirsi a "due cripte", una nota e l'altra ancora sconosciuta. Una decodifica del crittogramma dell'altare d'argento, realizzata dallo studioso Vincenzo Dell'Aere, confermerebbe questa traduzione:
ARCA TESTA TECTA A CRIPTA IN MIRA ET
GRADALE A SACEL(LO) IN (IHS)
GALVA(NI) SEPULCR(O)
ovvero:
la cassa ed il vaso provenienti dalla cripta di Mira
ed il Gradale proveniente dal sacello
dell'Eremo di Galvano (Galgano)
sono qui nascosti
San Galgano: la piccola località toscana dove siamo stati in un'altra puntata a esaminare il mistero della spada nella Roccia. Un altro richiamo a Re Artù... e proprio in un rettangolo sottostante la prima arcata troviamo ancora una volta la raffigurazione di uno strano oggetto. Magari realizzato da chi l'ha visto dal vivo prima che venisse sotterrato...
Che sia fatta così la miracolosa reliquia dai sorprendenti poteri che viene cercata da duemila anni?
L’ENIGMA DI EXCALIBUR
Ci troviamo verso la fine del 1100 dopo Cristo.
Al centro della storia che stiamo per raccontare c’è una rotonda, un cavaliere e una spada nella roccia.
Ma invece che nel mitico regno di Camelot, siamo a Montesiepi, nel cuore della Toscana.
La spada nella roccia non è Excalibur e il cavaliere non si chiama Re Artù.
Il suo mistero è invece custodito in un libro sigillato da più di 800 anni.
Un libro che potrebbe svelare molti dei segreti che avvolgono la ricerca del Santo Graal.
Galgano Guidotti nasce nel 1148 a Chiusdino, unico figlio di Guido e Dionisia. Da giovane Galgano conduce una vita piuttosto dissoluta finché a 32 anni, il principe degli angeli, Michele, gli appare in sogno e gli ordina di seguirlo.
Nel sogno Galgano riceve dai dodici apostoli l’ordine di costruire una rotonda a Montesiepi e di ritirarsi a vivere lì.
La madre e gli amici lo convincono a desistere ma il 21 dicembre del 118, il suo cavallo si imbizzarrisce e lo conduce a Montesiepi.
A Montesiepi Galgano conficca la sua spada nel terreno per farne una croce. E miracolosamente la spada resta bloccata nella roccia.
L’impugnatura diventata a forma di croce fa subito scalpore. Montesiepi si riempie rapidamente di pellegrini che chiedono a Galgano di fare miracoli.
Nel processo di canonizzazione del 1185 se ne conteranno, ufficialmente, ben diciannove.
Il gesto di Galgano è l’opposto di quello che avrebbe fatto Re Artù, il quale estrasse la spada da una roccia per andare a combattere. Galgano invece trasforma la sua spada in una croce per fare l’eremita.
Ma cosa hanno in comune le due storie? E’ Galgano il segreto di Re Artù?
Nel 1190, nove anni dopo la morte di Galgano, Chretien de Troyes scrive il "Parsival" nel quale elabora quel complesso di racconti fiabeschi che vanno sotto il nome di Materia di Bretagna. In essi si parla di Re Artù, dei Cavalieri della Tavola Rotonda, di una spada nella roccia.
Il Graal sarebbe il calice dell’Ultima Cena oppure il recipiente che raccolse il sangue di Cristo.
E la rotonda di Montesiepi, che ricorda un calice capovolto, sarebbe proprio una sua rappresentazione.
In molti hanno indicato in questa abbazia il possibile nascondiglio del Graal: testimonianze parlano di una cavità sotterranea segreta, a cui si accederebbe spostando una pietra nel pavimento dell’anticamera.
Nessuno è però mai riuscito a trovare tale passaggio segreto.
Ma, oltre al Graal e alla spada nella roccia, quali punti di contatto esistono fra Galgano e Re Artù? Potrebbero essere la stessa persona? .
Di certo c’è che, nelle rappresentazioni dei Cavalieri della tavola rotonda, la spada Excalibur appare spesso proprio nelle mani di Galvano .
E i misteri di Montesiepi non finiscono qui. Quando Galgano muore, sull’eremo viene costruita una Rotonda che, secondo molti studiosi, rappresenta un vero e proprio libro di pietra .
Chi riuscisse a interpretarlo, conoscerebbe allora il segreto del santo.
Lo svizzero Paul Pfister, dopo 15 anni di studi e misurazioni, ha concluso che la Rotonda rappresenta un calendario dell’anno astronomico e consente di osservare fenomeni solari spettacolari, specialmente il 21 giugno, in occasione del solstizio d’estate. Inoltre il numero ricorrente delle misure della Rotonda è il 12, come gli apostoli di Gesù, mentre, osservando intensamente i 24 cerchi concentrici all’interno della cupola, si verificherebbero fenomeni mistici di levitazione o precipitazione.
Una delle porte della rotonda, infine, punta a SudEst, proprio sulla direttrice che giunge al Monte Gargano, in Puglia, dove si trova il più importante santuario di San Michele. Negli affreschi della cappella, inoltre, accanto all’immagine di Galgano che pianta la spada nella roccia, si nota una misteriosa Madonna con Bambino.
La Madonna raffigurata ha tre mani. Un grossolano errore o un messaggio in codice?
Galgano muore nel 1181 e a tempo di record la Chiesa lo proclama santo. Solo 4 anni più tardi, infatti, Papa Lucio III delibera, dopo un rapido processo, la canonizzazione del Cavaliere.
Eppure, San Galgano non fu, in quegli anni, un santo molto venerato.
Per quale motivo venne evitato dai fedeli del MedioEvo?
Per molti anni il Santo di Chiusdino viene messo da parte e chiamato riduttivamente "il santuccio". Il motivo sembra chiaro: il suo è un messaggio ispirato a un atto di pace. Piantare una spada nella roccia e adorarla in preghiera era però l’opposto di ciò che serviva alla Chiesa nell’epoca bellicosa delle crociate.
Nella letteratura d’epoca è allora possibile che San Galgano diventi Re Artù e che la sua leggendaria spada serva invece a sfidare gli infedeli.
Due anni fa l’Università di Pavia ha confermato che la spada risale proprio al XII secolo.
L’enigma di San Galgano è però destinato a rimanere senza soluzione.
La verità giace infatti, impenetrabile, fra le carte del suo processo di canonizzazione, custodite nel forziere del Concistoro di Siena.
Una verità sigillata per l’eternità? Noi rimaniamo pronti e attenti per aggiornarvi, se ci saranno, su future novità.
Mi sembra quasi doveroso inserire, per meglio cercare di capire il mistero avvolge la figura del Graal, le vicende di Rennes Le Chateau :
Rennes Le Chateau: un paese al centro del mistero
Rennes le Chateau è un paesino dell’Aude, nei Pirenei francesi. Al suo centro, una chiesa di campagna che poco più di un secolo fa stava cadendo a pezzi. Il parroco che decise di restaurarla si chiamava François-Bérenger Saunière: quella decisione, che cambiò la vita di molte persone, a cominciare dalla sua, ha dato il via ad uno dei più complessi e impenetrabili misteri della Storia di tutti i tempi.
I quasi 200 abitanti che la abitano, convivono con una folla di domande… la prima delle quali non può essere che questa: E’ davvero possibile che in un solo luogo si concentrino, secolo dopo secolo, così tanti enigmi?
Cosa lega questo piccolo paesino francese alla passione di Gesù? Perché questo luogo era così importante per i romani e i visigoti, per i templari e i catari, per Nicolas Poussin, un grande pittore del ‘600 e per il fratello dell’Imperatore d’Austria? Perché artisti e uomini potenti nell’ultimo secolo hanno voluto visitare Rennes le Chateau? Perché nella Chiesa ristrutturata da Saunière ci sono geroglifici che rimandano ai misteri d’Egitto e le iniziali dei nomi dei santi raffigurati nelle statue formano il nome GRAAL? Perché la perpetua ed erede di Berengére, Marie Dénardaud diceva che “La gente che vive qui cammina sull’oro e non lo sa”? Perché sulla porta d’entrata della Chiesa dedicata a Maria Maddalena – un fatto che come vedremo non è casuale - François-Bérenger Saunière fece scrivere, in latino, “Questo è un luogo terribile»?
Quando nel 1885 Saunière arriva a Rennes le Chateau ha una montagna di problemi da affrontare. Il povero parroco si trova a dover far i conti con forti ristrettezze economiche e con una chiesa nel centro del Paese che cade letteralmente a pezzi. Nonostante tutto si dà da fare e, poco alla volta, riesce a dare il via ai lavori. Prima molto faticosamente poi, d’un tratto, la situazione cambia. E cambia un giorno preciso. Dopo quasi 7 anni di ristrettezze, Sauniere appunta nel suo diario “Oggi ho trovato un tesoro!”
E’ probabilmente quello il giorno in cui Saunière, spostando l’altare della Chiesa – che all’epoca era attaccato al muro perché l’officiante, al contrario di oggi, dava le spalle ai fedeli – trovò quattro antiche pergamene nell’incavo di una colonnina di sostegno. Due di quelle pergamene risalivano pare al Medioevo mentre altre due erano state scritte da un predecessore di Sauniere, l’abate Antoine Bigou, che aveva retto in precedenza la parrocchia di Rennes.
Sauniére porta questi documenti dal suo vescovo, nella vicina Carcassonne, e da questi viene autorizzato ad andare a Parigi. Per fare cosa? Non è ben chiaro: probabilmente per far consultare le pergamene a qualche esperto ma anche per fare qualche verifica personale. Infatti, sicuramente, oltre a frequentare alcuni circoli esoterici a Parigi, Berengere si dà anche alla bella vita e passa molte ore al Louvre, e precisamente nelle sale dove sono conservati i quadri di un grande pittore manierista del Seicento: Nicolas Poussin.
Tra i quadri di Poussin uno in particolare interessava Saunière: “Pastori d’Arcadia”, una tela realizzata nel 1640, dove è raffigurato un antico sarcofago con l’iscrizione “Et in Arcadia Ego”. Molti sostengono che il sarcofago e il paesaggio circostante ricordassero uno scenario davvero esistente nei dintorni di Rennes le Chateau anche se non risulta che Poussin (un pittore molto noto e molto studiato) sia mai andato da quelle parti.
E di quel quadro, come di altri, Berengére si procurerà una copia. Curiosamente, tra i quadri che d’improvviso cominciarono a interessarlo c’era anche un ritratto di un papa speciale: Celestino V, un papa che non andò mai a Roma e che visse e morì a L’Aquila. Celestino, tra le altre cose, era il predecessore di quel Bonifacio VIII che tanta parte ebbe nello scioglimento sanguinoso dell’ordine dei Templari, all’inizio del Trecento. Una circostanza questa che diventa singolare perché la storia dei Templari e quella di Rennes sono collegate…
Rientrato a Rennes le Chateau, nel giro di qualche anno, quasi per miracolo Saunière ristrutturerà la Chiesa con gran dispendio di mezzi economici e passando lui stesso ad uno stile di vita da nababbo, senza mai fornire spiegazioni di questo repentino cambiamento. Alcuni hanno calcolato che nel giro di pochi anni Sauniere spese l’equivalente di circa 15 milioni di euro (più o meno 30 miliardi di vecchie lire) . Non solo, dopo quel ritrovamento l’abate prese a fare lunghe escursioni da cui tornava con bisacce piene di pietre che si chiudeva a studiare in sacrestia. Cosa era arrivato a sapere Sauniere? Che tipo di tesoro aveva trovato?
Prima Ipotesi: C’è chi pensa al ritrovamento di un tesoro in senso classico: oro, gioielli, pietre preziose, denaro… E in questo caso si tratterebbe di valori creati in età molto lontane, anche tra loro… Perché il tesoro di Rennes le Chateau è diverso da tutti gli altri? Un po’ perché è il più antico e un po’ perché si tratta di un tesoro composto da tanti tesori che formatisi nel corso della Storia hanno, per una ragione o per l’altra, sempre finito per capitare da queste parti. Quella che fa capo a questo paesino è una straordinaria saga che parte dall’antico tesoro del Tempio di Salomone a Gerusalemme, passa per antichi romani e visigoti, transita per i catari, gli eretici sterminati non lontano da qui, a Montsegur, nel 1244 e arriva ai Cavalieri Templari.
Per un curioso caso della Storia, quando i visigoti saccheggiarono Roma presero anche il tesoro del Tempio di Gerusalemme che Tito aveva portato via quando aveva conquistato la città nel 66 d.c. La loro migrazione non si fermava in Italia ma continuò fino ai Pirenei dove si formò per qualche tempo un regno visigoto. Ma le coincidenze non sono finite: infatti sempre in questa zona si radicò l’eresia dei Catari, probabili custodi di ingenti ricchezze sparite con lo sterminio dell’ultima resistenza catari, qui vicino, a Mont Segur. Anche molte fortezze templari sorsero in questa zona, secondo alcuni quasi a voler difendere un tesoro immenso che continuava ad arricchirsi con nuovi apporti. E, sempre a voler considerare le coincidenze, non può sfuggire che se tutto questo è vero allora il mitico tesoro del Tempio di Gerusalemme si ritrovò, dopo vari secoli ad essere custodito da un ordine cavalleresco che prendeva il nome proprio dal fatto di aver avuto la propria prima sede, subito dopo la prima crociata, in un ala di quello che una volta era stato il grande tempio di Salomone poi ingrandito da Erode.
Seconda Ipotesi: il tesoro di Sauniére non era un vero e proprio tesoro ma una serie di documenti in grado di confermare una leggenda antica, ambientata – tanto per cambiare – proprio in questi luoghi. Secondo questa leggenda, Gesù non morì sulla croce ma, salvato dai suoi, poté lasciare la Palestina e raggiungere il sud della Francia. Con lui, nel piccolo gruppo di ebrei cristiani fuggiaschi, ci sarebbe stata anche Maria Maddalena, la prostituta che, secondo la Bibbia, Gesù aveva convertito. Un’altra versione della leggenda vuole che invece da queste parti sia arrivata solo la Maddalena con pochi altri ebrei. Ad ogni modo, nella terra dove si dice che secoli prima si fossero rifugiati alcuni seguaci di Gesù, il Tesoro del Tempio di Gerusalemme trovò la sua nuova collocazione. Da quella piccola comunità di ebrei fuggiti dalla Palestina si sarebbe sviluppata la discendenza che avrebbe dato vita alla prima dinastia di re francesi, i Merovingi. La ricchezza di Berengere sarebbe quindi derivata dalla “vendita” di documenti relativi a questa storia o comunque ad un sapere arcaico ed esoterico
Terza ipotesi: E’ quella più prosaica ed è relativa al fatto che François Berengere Sauniere fosse dedito ad un traffico di donazioni e messe che, per la verità, non si capisce come possa spiegare il gran movimento di personaggi e denaro che attorniò il sacerdote per tutta la seconda parte della sua vita.
Una cosa è certa: nel giro di pochi anni, da anonimo curato di campagna Berengere Sauniere divenne un uomo ricco e importante. Ricco perché spese a piene mani, facendosi costruire una casa lussuosa, il giardino, il Belvedere e la torre di Magdala per la biblioteca. Acquistò terre e fece beneficenza. Ma fece costruire anche una strada per raggiungere Rennes Le Chateau. Un’opera che possiamo mettere in relazione sia col fatto che sicuramente Sauniere volle condividere con i suoi conpaesani parte della sua fortuna sia però per rendere più agevole il viaggio ai Vip che lo raggiungevano. C’era Emma Calvè, la cantante lirica più celebre dell’epoca, una specie di Maria Callas, c’era il segretario di Stato francese per la Cultura, nobili e finanzieri. Ma il più sorprendente è forse l’arciduca Giovanni d’Asburgo, fratello dell’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe che versò a Sauniere somme ingenti.
Sauniere però non visse mai nella lussuosa abitazione e sul letto si sdraio solo dopo morto: questa casa gli serviva ad accogliere, in una terra inospitale, gli importanti visitatori del sacerdote, come appunto il fratello dell’Imperatore d’Austria
E il flusso di celebrità che ha seguitato a visitare Rennes Le Chateau, un paesino dove non c’è veramente nulla che non sia ricollegabile alla strana vita di Berengere Sauniere, è lunga anche negli anni asuccessivi: Mitterand, Marlene Dietrich, Grace Kelly, Josephine Baker e Richard Wagner. In particolare il compositore tedesco, molto amato da Hitler e dai nazisti, venne da queste parti prima di comporre la sua opera “Parsifal”, una storia dove ha un ruolo centrale la ricerca del mitico GRAAL. Cercavano forse questo gli uomini dell’esercito tedesco nel 1943-44 nei loro frenetici scavi sotto la guida del gerarca nazista più noto per le sue conoscenze esoteriche, Otto Rahn?
È probabile che parte del segreto di Sauniere sia custodito dai tanti simboli contenuti nella chiesa restaurata e dedicata a Maria Maddalena. Ecco i principali:
1) sul portone d’entrata c’è una scritta in latino che dice “Questo è un luogo terribile”
2) l’acquasantiera è retta da un demone la cui figura è tratta da un libro della biblioteca di Sauniere. In quel libro il demone viene chiamato “Asmodèo”: nella mitologia ebraica era questo il nome del re dei demoni e il guardiano del tesoro di Salomone
3) In un mosaico sopra l’altare è raffigurata l’Ultima Cena con una donna, ai piedi del Cristo, con una coppa in mano. Un accoppiamento quello tra Ultima Cena e Maria Maddalena che non trova riscontro nel racconto della Bibbia
4) In un grande affresco murario si vede una borsa semi aperta da cui si intravede il luccichio dell’oro; inoltre le iniziali dei nomi dei santi raffigurati dalle statue collocate nella Chiesa formerebbero il nome di GRAAL.
5) Alcune caratteristiche della Chiesa richiamano il testo di una delle pergamene ritrovate.
Ma Saunière non si limitò alla Chiesa: restaurò il presbiterio, riorganizzò il cimitero, creò un giardino geometrico davanti alla Chiesa. Al centro del giardino una statua della Vergine posta su una delle due antiche colonne (sistemata al contrario) che sorreggevano l’antico altare della Chiesa. Altra stranezza: si fece costruire uno studio a fianco del cimitero, uno studio che poggia su una grande cisterna d’acqua. E una volta che scoppiò un grande incendio, benché fosse molto amato dagli abitanti per il bene che faceva, negò l’utilizzo dell’acqua della sua cisterna. Come mai? Secondo alcuni esperti di magia l’acqua è una potente protezione dagli influssi negativi e Sauniere – di cui sono noti i legami con ambienti esoterici e magici – probabilmente non voleva rinunciarvi o ne aveva bisogno per le sue ricerche.
Si dice che nel corso delle sue ricerche Saunière abbia distrutto alcune tombe proprio per non lasciare tracce delle sue scoperte. Tra queste il caso più clamoroso è quello della tomba di una nobildonna della zona, morta un secolo prima: si chiamava Marie, marchesa d’Hautpoul de Blanchefort. La sua tomba recava un’iscrizione abbastanza strana, composta dal predecessore di Sauniere, l’abate Bigou. La cosa curiosa è che Bigou era stato cappellano della nobile famiglia dei Blanchefort, famiglia che poteva vantare tra i propri antenati addirittura un Gran Maestro dei Templari, Bernard de Blanchefort, quarto maestro dell’Ordine, l’uomo che aveva voluto misteriosi scavi in queste terre, sulle quali troneggiava anche il suo castello a due chilometri in linea d’aria da Rennes.
L’iscrizione di Bigou, che Sauniere distrusse ma che era stata copiata in precedenza, aveva delle correlazioni con i testi delle pergamene trovate sotto l’altare. In particolare, mettendo in fila solo le parole scritte tenendo conto di errori e spaziature sbagliate si arriva a comporre – secondo alcuni – la frase:
A RE DAGOBERTO II E A SION APPARTIENE QUESTO TESORO ED EGLI E’ LA MORTO
Re Dagoberto era un re merovingio, il riferimento al tesoro del Tempio di Gerusalemme è evidente. Del resto la pergamena fa riferimento al “Demone Guardiano” riportato nell’acquasantiera, il demone Asmodeo che faceva da guardiano al tesoro del Tempio.
Torre di Magdala. La torre-biblioteca dedicata alla Maddalena chiude il perimetro della casa e del piccolo parco voluti da Sauniere. Il sacerdote non volle mai spiegare perché aveva così tanto denaro a disposizione e non si fece sfuggire una parola neanche quando venne sospeso a divinis. Riammesso dalla Chiesa qualche anno prima della morte, Berengere Sauniere al momento di passare a miglior vita non risultò possessore di nulla. Tutto era intestato alla sua governante e forse anche amante: Marie Denardaud che visse nella lussuosa casa di Sauniere fino alla morte, nel gennaio 1953. Alla fine della Seconda Guerra mondiale, con l’introduzione dei nuovi franchi, veniva chiesto a chi voleva cambiare le vecchie monete con le nuove, la provenienza di quelle somme. La Denardaud non volle mai sottoporsi a questo interrogatorio e si racconta che avesse bruciato grossi mucchi di banconote in questo giardino. Anche lei si è portata il suo segreto nella tomba.
Ma né lei né Sauniere hanno fatto i conti col diario di un capomastro di Rennes che aveva svolto tutti i lavori per il ricco sacerdote, compresa la costruzione della torre di Magdala. Ebbene, nel diario di quel capomastro, gli eredi hanno trovato una nota in cui l’uomo racconta di aver ricevuto l’ordine da Sauniere di nascondere una cassa sotto questa torre. E successive indagini con il red scan hanno evidenziato che effettivamente sotto questa torre c’è un parallelepipedo (una cassa) ma ancora non è stata tirata fuori.
"RENNES LE CHATEAU II"
«Questo è un luogo terribile»: è scritto così, in latino, sul portale di questa chiesa piccola e famosissima.
Ma avrebbero potuto anche scriverci «Questo è un luogo pieno di misteri». E la cosa sarebbe stata sicuramente vera.
Siamo ancora a Rennes Le Chateau, nel sud della Francia. Un pugno di case che molte mappe ancora si ostinano a non riportare ma dove, anche dopo la morte dei protagonisti di questa storia, personaggi potenti e misteriosi hanno continuato a venire. Perché?
Molte cose sono accadute in questi mesi: nuovi scavi, nuove ricerche e un libro di cui parleremo tra poco. Un anno fa ci siamo fermati alla vigilia di un fatto importante: degli scavi che avrebbero dovuto sciogliere almeno uno dei grandi misteri di Rennes Le Chateau…
Intervista al sindaco di Rennes le Chateau sull’oggetto quadrangolare che sarebbe stato rilevamenti dalle apparecchiature elettroniche sepolto tra le fondamenta della Torre Magdala.
E si è scavato. Ma c’è stato anche altro. Infatti mentre si cercava di mettere ordine tra i mille interrogativi di questo paesino a complicare in qualche modo le cose è arrivato il successo mondiale di un romanzo da tempo ormai in testa alle classifiche di vendita di tutto il mondo. Il «Codice da Vinci» richiama di continuo i misteri di Rennes Le Chateau pur senza mai nominarla. Parleremo anche di questo fenomeno editoriale che molti scambiano per un libro di storia.
Ma prima di addentrarci nei misteri, veri e presunti, che da decenni si accavallano su Reennes le Cahtaeu, rivediamo brevemente la storia di questo paese, stravolto, alla fine dell’Ottocento, dall’arrivo di un giovane curato: si chiamava Berengere Sauniere.
Nel 1885 un giovane sacerdote viene destinato alla minuscola parrocchia di Rennes Le Chateau. Il curato, che si chiama François Berengere Sauniere ha pochissimi soldi a disposizione e una chiesa che cade letteralmente a pezzi. Con fatica riesce a dare il via ai lavori di restauro, durante i quali, spostando l’altare della Chiesa, trova alcune antiche pergamene. Sauniére porta questi documenti dal suo vescovo, nella vicina Carcassonne, e da questi viene autorizzato ad andare a Parigi, probabilmente per far consultare le pergamene a qualche sacerdote del seminario di Saint Sulpice.
A Parigi Sauniere fa anche altre cose: visita musei e circoli esoterici e diventa intimo della più celebre cantante lirica dell’epoca, Emma Calvé, appassionata di occultismo.
Tra bella vita ed esoterismo, Berengere si dedica anche all’arte e passa molte ore al Louvre, e precisamente nelle sale dove sono conservati i quadri di un grande pittore manierista del Seicento: Nicolas Poussin. Non a caso anche Dan Brown, il discusso autore de «Il Codice da Vinci», colloca i capitoli iniziali del suo romanzo al Louvre, dove viene assassinato il direttore del museo parigino cui viene dato, certo non a caso, il nome di Sauniere, proprio come l’oscuro abate di Rennes le Chateau. E torniamo a lui e al suo viaggio parigino di 115 anni fa. In particolare Saunière, al Louvre, si interessa a “Pastori d’Arcadia”, tela realizzata nel 1640, dove è raffigurato un antico sarcofago con l’iscrizione “Et in Arcadia Ego”. Molti sostengono che il sarcofago e il paesaggio circostante ricordano i dintorni di Rennes le Chateau anche se non risulta che Poussin (pittore molto noto e molto studiato) sia mai andato da quelle parti. E di quel quadro, come di altri, Berengére si procurerà una copia da portare con sé a Rennes Le Chateau. Rientrato a Rennes le Chateau, Saunière improvvisamente rivela una disponibilità economica impressionante. Senza badare a spese ristruttura la Chiesa – dedicata alla Maddalena – si fa costruire una casa con un ampio giardino e una torre-biblioteca.
Anche il suo tenore di vita cambia: si concede qualche lusso, fa dei viaggi e, soprattutto, inizia a ricevere visite misteriose e importanti. E nonostante la comprensibile curiosità di compaesani e delle autorità ecclesiastiche, non fornisce alcuna giustificazione del suo arricchimento.
Si sparge la voce che Sauniere abbia trovato un tesoro, magari sotto una di quelle tombe del cimitero dietro la chiesa che di notte scava e poi distrugge. Inspiegabilmente.
Sauniere muore nel gennaio 1917 portando con se i propri segreti. Accanto a lui la tomba della sua perpetua, Marie Denardau, l’unica a conoscere forse i segreti del sacerdote ma anche lei muta fino alla morte, avvenuta negli anni Cinquanta. Solo una volta, si lasciò scappare che «La gente che vive qui cammina sull’oro e non lo sa».
Un po’ tutte le ricostruzioni su Rennes Le Chateau richiamano una leggenda che, secondo alcuni, sarebbe alla base dei misteri di questo minuscolo paese. Una leggenda che risale a duemila anni fa e che ha due protagonisti d’eccezione: Gesù Cristo e Maria Maddalena.
Secondo una leggenda senza basi storiche certe, subito dopo la Passione del Cristo un gruppo di cristiani lasciò la Palestina per trovare rifugio nel sud della Francia. Tra loro ci sarebbe stata anche Maria Maddalena, la prostituta convertita da Gesù. Secondo altri la Maddalena sarebbe stata addirittura la sposa di Gesù Nazzareno e dalla sua discendenza, cresciuta in queste zone, avrebbe avuto origine la dinastia dei Merovingi, i primi re di Francia, sul trono tra il 400 e il 750 a. C. Il nome di uno degli ultimi sovrani della dinastia, Dagoberto II, assassinato in una congiura di Palazzo, torna di frequente nella storia di Rennes Le Chateau.
E’ impossibile qui ripercorrere tutti i misteri e gli interrogativi relativi a questo luogo incredibile. Ma sul nostro sito potrete trovare molto materiale utile ad approfondire questo argomento.
Una delle chiavi del mistero di Rennes Le Chateau sta nel fatto che questo luogo e i suoi antichi abitanti sarebbero legati alla cosiddetta «eredità messianica», cioè alla discendenza che partita da Gesù avrebbe dato vita alla dinastia dei Merovingi.
Poi scalzati i Merovingi dalla dinastia dei Carolingi, quella di Carlo Magno, per intenderci, questa «eredità» sarebbe sopravvissuta clandestinamente, grazie all’opera di un ordine segreto e attivo ancora oggi: Il Priorato di Sion
Bene si è sempre pensato che il Priorato di Sion, nel corso dei secoli, avesse celato proprio a Rennes Le Chateau le prove della leggenda che abbiamo appena ricordato. Il «Codice da Vinci» lo confermerebbe. Ma, facendo delle verifiche, sembra che le cose non stiano proprio come il romanzo potrebbe far credere
Il Priorato di Sion (quello che si dice son tutte balle. Il vero Priorato è stato fondato a Rennes le Chateau solo a metà del 1600
Negare che il Priorato di Sion abbia avuto e abbia ancora oggi il ruolo che molte inchieste, e ora anche romanzi, gli attribuiscono non vuol dire però che intorno a Rennes le Chateau si muovano forze e interessi oscuri.
Si può ipotizzare che sia stato avviato un discorso strategico che mira a screditare la religione cattolica? Perché o tutto è vero (ma fino ad oggi mancano i riscontri storici e archeologici) oppure qualcuno sta cercando, con un certo successo, di seminare dei dubbi? E se questo è vero chi può essere?
Magari l’avversario principe del Cristianesimo?
Rennes le Chateau è la casa del Diavolo?
Ma anche senza scomodare il Maligno c’è chi è convinto che grandi interessi e organizzazioni con fini ancora non chiari stiano sfruttando l’interesse che suscita in tutto il mondo la storia di Rennes Le Chateau
Intervista al professor Mariano Bizzarri secondo il quale alcune organizzazioni, in America, avrebbero interesse a mischiare le carte e gettare discredito sulla Chiesa, distruggendo un patrimonio culturale su cui si è edificato l’Occidente. Anche il successo editoriale del “Codice da Vinci” sarebbe stato costruito e pianificato a tavolino dalle stesse organizzazioni.
Se c’è una cosa che a Rennes Le Chateau non manca sono gli interrogativi. Anche senza il Priorato di Sion qui le cose che non tornano sono numerosissime. Una delle più clamorose è sotto questa Torre. Pochi anni fa, è venuto alla luce il diario di un capomastro di Rennes che aveva svolto tutti i lavori per Sauniere, compresa la costruzione della torre di Magdala.
Nel diario di quel capomastro, gli eredi hanno trovato una nota in cui l’uomo racconta di aver ricevuto l’ordine da Sauniere di nascondere una cassa sotto questa torre. Nel 2001, indagini con il red scan hanno evidenziato che effettivamente sotto questa torre c’era un parallelepipedo (una cassa).
Poiché per molto tempo ricercatori più o meno improvvisati hanno scavato, spesso senza autorizzazioni, in tutta la zona per cercare i segreti di Sauniere, in questa area è proibito ogni scavo dal 1965.
Intervista al Sindaco di Rennes che spiega che gli scavi sono stati proibiti perché si temeva l’arrivo di frotte di investigatori improvvisati i cui lavori avrebbero potuto danneggiare le strutture.
Recentemente un gruppo di ricerca statunitense, autorizzato dal Comune di Rennes Le Chateau, ha potuto scavare sotto la Torre di Magdala. Tra i ricercatori c’era anche un professore italiano: Andrea Barattolo
Intervista all’archeologo Andrea Barattolo che testimonia di essere stato presente durante lo scavo sotto la Torre Magdala. E stato rinvenuto qualcosa? Assolutamente nulla di interessante.
Ma, secondo Barattolo, la Torre Magdala non era il posto giusto dove scavare. La prossima volta bisognerà scavare sotto la chiesa e nel giardino circostante.
Il tesoro di Sauniere forse era in parte composto da beni e preziosi ritrovati fortunosamente. Ma probabilmente era anche composto da antichi documenti, il cui contenuto però ci è ancora ignoto.
Così come è ancora poco noto che in questa regione altri sacerdoti, negli stessi anni di Sauniere, vissero esperienze simili alla sua: strane frequentazioni, ricchezze improvvise, problemi con le autorità ecclesiastiche. In più, nel caso di Antoine Gélis, c’è una morte atroce…
Coustaussa è un paesino a soli 8 km. da Rennes Le Chateau. Nella canonica di questa Chiesa, venne assassinato il curato Gélis la sera del 31 ottobre 1897. Le indagini non portarono alla scoperta dell’assassino ma furono ugualmente utili. Infatti dopo la morte del sacerdote vennero ritrovate enormi quantità di denaro un po’ ovunque: in due casseforti in canonica ma anche sotto il pavimento, dietro un muro, nel camino, tra i libri, sotto il letto e, addirittura, nel gabinetto.
Come aveva avuto tutto quel denaro un semplice curato di campagna…? E, soprattutto, perché l’assassino non ha preso neanche il denaro che era in bella vista? Perché è stato ucciso Gélis, l’amico di Sauniere?
Intervista a Massimo Polidoro, segretario nazionale del Cicap, e a Mariano Bizzarri che espongono le teorie secondo cui gli eclesiastici della zona avrebbero fatto parte di una società segreta di stampo ultracattolico e conservatore. Questo potrebbe spiegare l’omicidio rituale di Gélis, e l’improvvisa ricchezza di Saunière. La società avrebbe avuto il compito di accumulare fondi segreti per favorire il ritorno della monarchia in Francia.
Questa è la tomba di Gélis. Dopo la sua morte, tra le sue cose, vennero anche ritrovati simboli esoterici. Così come su questa lapide c’è il simbolo di un’antica e misteriosa setta tardomedievale: i Rosa Croce.
Ma la cosa ancora più singolare è che questa tomba è disposta in modo diverso dalle altre. Tutte le altre lapidi guardano a nord mentre quella di Gélis è l’univa rivolta a sud. In direzione della collina dove sorge Rennes Le Chateau… < DIV>
Concluderei anche nominando la celeberrima Cappella di Rosllyn, dove molti sostengono tutt'oggi sia nascosto il Santo Graal. Tuttavia credo che la storia del Graal, sempre ammesso che non sia un mito, concepito dalle fantasie popolari, sia molto più inricata di quanto non sia già. A mio modo di vedere, infatti, i catari e i templari sono elementi chiave che possono rappresentare il tassello mancante. Senza ovviamente trascurare le vicende minori che si intrecciano ad esse e che come la storia ci insegna a volte sono proprio la chiave di lettura di tutta la vicenda.
LA CAPPELLA DI ROSSLYN
La prova che forse l'avventura dei Templari non si sia chiusa col rogo del loro ultimo Gran Maestro Jacques De Molay a Parigi (1314) è qui in Scozia, a Rosslyn, a soli 16 km da Edimburgo. Rosslyn e la sua famosa cappella sembrano fatte apposta per custodire nei secoli un importante segreto. Infatti in gaelico, l’antica lingua celtica usata dagli scozzesi, "Rosslyn" vorrebbe dire: "Antica conoscenza tramandata di generazione in generazione"
Rosslyn, una località già considerata sacra dai Celti, le sue pietre e le sue sculture sembrano davvero nascondere un'antico sapere e, forse, anche un tesoro. Di sicuro la cappella nasconde mille richiami a culti babilonesi ed egiziani, riferimenti celtici e scandinavi, mistica ebraica e cristiana. Un po' troppo per una semplice cappella di famiglia…
La Cappella di Rosslyn è stata costruita in soli quattro anni, tra il 1446 e il 1450, da un signore locale: il Conte William di St. Clair. William di St.Clair, figura chiave di questa storia, poiché sepolto nella cripta di questa cappella.
Come molti altri membri della famiglia dei St.Clair, William riposa nella cappella che fece costruire secondo un progetto preciso. I lavori iniziarono il 21 settembre 1446, nel giorno di San Matteo ma anche nel giorno dell'equinozio d’autunno, e la cappella venne inaugurata esattamente 4 anni dopo. William St. Clair era un nobile strettamente legato al mondo esoterico e – come dimostrano alcune incisioni in questa cripta – era anche legato al mondo della Massoneria di cui sembra fosse un alto esponente.
Non solo, i St. Clair occupano un posto importante nella storia dei Templari: un conte di St.Clair partecipò alla prima crociata, quella al termine della quale, nacquero i Templari; una Saint Clair sposò il fondatore dell'Ordine, Ugo di Payns nel 1101: Catherine di Saint Clair. Molti membri della famiglia furono in seguito cavalieri Templari. Ora la Massoneria divide con i Templari alcuni punti comuni che, guarda caso, il Conte William volle fissare a modo suo a Rosslyn.
A Rosslyn è anche la tomba di Henry St.Clair, nonno di William. Alcuni vecchi manoscritti, oltre ad alcune raffigurazioni di aloe e mais (su un paio di colonne della cappella), piante sconosciute in Europa prima della scoperta dell'America, fanno pensare che Henry St. Clair abbia raggiunto, quasi un secolo prima di Cristoforo Colombo, le coste americane insieme al navigatore veneziano Antonio Zeno. Ma perché e con chi? Anche in questo caso ritornano i Templari sfuggiti alle persecuzioni del Papa e del Re di Francia riuscirono a fuggire soprattutto in Scozia.
Sappiamo che il tesoro dei Templari non venne mai ritrovato e c'è chi pensa che questo sia stato messo in salvo dagli stessi Templari grazie alla loro flotta, sparita anch'essa al momento del crollo. Quella flotta e il tesoro dei Templari raggiunsero forse la Scozia, un regno in lotta col Papa e quindi ospitale per i cavalieri fuggiaschi?
Di certo c'è che St. Clair e Zeno, con 12 navi, raggiunsero alla fine del '300 il Nord Ovest dell'attuale Canada, oggi chiamata non a caso "NUOVA SCOZIA" , stabilendo un presidio a New Poss, a poco più di 30 km da quell'Oak Island dove si pensa che sia stato sepolto il favoloso tesoro dei Templari.
Ma forse non tutte le ricchezze in possesso dei Templari sono state sepolte fuori dall'Europa. Qualcosa potrebbe essere anche qui, a Rosslyn. Risalendo dalla cripta la prima cosa che si incontra è forse il particolare più famoso di tutta la Cappella di Rosslyn: la "Colonna dell’Apprendista". E' questo forse l'esempio più evidente dell'ambiguità di questa costruzione che, formalmente cristiana, presenta numerosi riferimenti e simboli a culture e religioni che col cristianesimo nulla hanno a che fare: qui, ad esempio siamo di fronte ad una raffinata raffigurazione dell'Albero della Vita della tradizione biblica, raffigurazione integrata da alcuni riferimenti pagani come i draghi (figure sconosciute alla mitologia ebraico-cristiana) posti alla base. Dalle fauci fuoriescono viti rampicanti che si estendono a spirale per tutta la lunghezza della colonna. Alcuni vedono in questo un legame con la mitologia nordica, secondo la quale un drago rosicchia le radici dello Yggdrasil , il grande albero cosmico che sostiene l'Universo. Alcune teorie, inoltre, suggeriscono che questa colonna possa contenere uno scrigno di piombo in cui è nascosta la leggendaria coppa usata da Gesù in occasione dell’Ultima Cena, e successivamente usata per raccogliere il suo sangue, il Santo Graal.
Questa colonna è poi anche importante perché sembra legare, già dal proprio nome, il mito fondatore della Massoneria, con i Templari e con la storia della Cappella stessa.
Si dice che il disegno di questa colonna, il più complesso di tutta la Cappella, sia stato disegnato dallo stesso William Sinclair, il disegno era così complesso che il mastro scalpellino non sapeva come realizzarlo. Da qui la decisione di andare a Roma per studiare meglio: ma mentre il Maestro era fuori, uno dei suoi ragazzi di bottega decise di propria iniziativa di eseguire il lavoro, dopo aver ricevuto in sogno le dovute istruzioni. La colonna venne benissimo ma quando il Maestro tornò da Roma fu preso da un'attacco di gelosia e uccise il giovane. La storia ricorda molto la leggenda massonica della morte di Hiram Abiff, architetto del Tempio di Salomone, il Tempio da cui presero il nome i Templari a Gerusalemme dopo la prima crociata.
A rendere ancora più evidente il parallelo Massoneria-Templari-Rosslyn c'è poi il fatto che la Cappella, secondo i voleri di St. Clair, è costruita secondo la piante del Tempio di Erode, costruito al tempo di Gesù sullo stesso luogo in cui era sorto il Tempio di Re Salomone.
Tra i vari punti di contatto tra le due costruzioni ricordiamo che le due colonne dell'Apprendista e del Maestro, corrisponderebbero alle due colonne portanti dell’antico tempio, quelle di BOAZ (l'Apprendista) e JACHIM (il Maestro)
Il soffitto è ricco di riproduzioni di stelle, gigli e rose. Le stelle e le rose tradizionalmente facevano parte della decorazione dei templi dedicati alla dea babilonese Ishtar e a suo figlio che risorge, Tammuz. I gigli invece erano scolpiti sopra le due colonne di BOAZ e JACHIM nel Tempio di Gerusalemme.
Al centro della navata, a metà tra le quarta colonna di destra e di sinistra, starebbe il centro di una ideale Stella sei punte. Un punto che nel tempio originario corrispondeva al punto in cui era custodita l’Arca dell’Alleanza.
E' forse questo quello che i moderni Templari hanno annunciato di voler cercare nel sottosuolo di Rosslyn grazie alle più moderne tecniche di ricerca tramite gli ultrasuoni? E' quanto ha dichiarato di voler fare lo scorso gennaio John Ritchie, Grande Araldo e portavoce dell’ordine dei Cavalieri Templari
Vero o falsi che siano, i Templari di oggi possono comunque vantare un fatto indiscutibile. Le tracce di una presenza templare posteriore al 1307 sono forti qui in Scozia e nei dintorni di Rosslyn in particolare. Numerose tombe, chiese e cappelle, alcuni fatti d'arme (la vittoria di re Bruce contro gli inglesi nel 1314, ad esempio), le stesse croci templari presenti in quantità nella Cappella di Rosslyn…
mamma mia quanti articoli!!!!
bravo mik!!!appena posso inizio a leggerli!mi interessano tutti!!!
penso che vist lo scambio interreligioso che si ha in questo ultimo periodo penso sia giusto avere qualche nozione sulle religioni del mondo che fanno anche parte della storia del mondo!
Zoroastrismo:dalle origini ai giorni nostri
Zoroastrismo è il nome dato ad una delle più antiche religioni viventi e la più importante e meglio nota dell’Iran antico o preislamico. Prende il nome da quello del suo fondatore Zoroastro (Zarathustra) vissuto in Persia approssimativamente tra il 1000 ed il VII-VI secolo AC. L’altro nome con il quale è conosciuto, Mazdeismo, deriva dal nome Zoroastriano del dio principale Ahura Mazda.
Caratteristiche
Lo Zoroastrismo combina elementi di monoteismo e dualismo. Molti studiosi moderni ritengono che questa religione abbia avuto una larga influenza sul Giudaismo, Mitraismo, Manicheismo, Mandeismo e Cristianesimo.
Il libro sacro dello Zoroastrismo è l’Avesta. Di questo testo solamente i Gathas (gli inni) sono attribuiti a Zoroastro.
Nodo centrale della religione è la costante lotta tra Bene e male. Agli inizi della creazione, il Dio Supremo ("Ahura Mazda") (che significa ‘’Signore saggio’’ ed è caratterizzato da luce infinita, onniscienza e bontà) è opposto ad Angra Mainyu (o Ahriman) uno spirito malvagio delle tenebre, violenza e morte.
Il conflitto cosmico risultante interessa l’intero universo, inclusa l’umanità, alla quale è richiesto di scegliere quali delle due vie seguire. La via del bene e della giustizia ("Asha") porterà alla felicità ("Ushta"), mentre la via del male apporterà infelicità, inimicizia e guerra.
Sono legati alla dualità di bene e male anche i concetti di Paradiso, Inferno e giorno del giudizio. Dopo la morte l’anima della persona passa un ponte ("Chinvato Peretu") sul quale le sue buone azioni sono pesate con quelle cattive. Il risultato decreta la destinazione dell’anima nel paradiso o nell’inferno. Quando alla fine dei giorni il male sarà definitivamente sconfitto, il mondo sarà purificato in un bagno di metallo fuso e le anime dei peccatori saranno riscattate dall’inferno.
Storia
Lo Zoroastrismo fu la religione favorita dalle due grandi dinastie dell’antica Persia, gli Achemenidi ed i Sassanidi. Comunque, poiché non sono sopravvissute fonti scritte persiane contemporanee di quel periodo, è difficile descrivere la natura dell’antico Zoroastrismo in dettaglio.
La descrizione di Erodoto della religione persiana include alcune caratteristiche proprie dello Zoroastrismo, come l’esposizione dei morti. I re Achemenidi riconobbero la loro devozione ad Ahura Mazda nelle iscrizioni; comunque essi furono anche partecipi dei rituali religiosi locali a Babilonia e in Egitto, ed aiutarono gli Ebrei a ritornare nella loro terra natia, ricostruendo i loro templi, fatti che sembrano escludere che ci fosse stata da parte loro una imposizione dell’ortodossia religiosa sui sudditi. Secondo tradizioni tarde, molti dei sacri testi andarono perduti quando Alessandro Magno distrusse Persepoli e rovesciò il regno achemenide negli anni successivi al 330 AC.
É opinione comune che i tre saggi che vennero dall’Impero persiano per portare doni a Gesù Cristo fossero Magi zoroastriani.
Quando la dinastia sassanide prese il potere in Iran nel 228, essi promossero l’utilizzo della loro religione zoroastriana. Molte fonti cristiane del periodo in questione informano che i re sassanidi perseguitarono i Cristiani in Persia. Comunque non sembra che il Cristianesimo sia stato proibito come religione nel periodo preso in esame. Molti storici credono che i Sassanidi in un primo momento si opposero al Cristianesimo, per i suoi vincoli con l’Impero romano, e perciò durante il periodo considerato la chiesa nestoriana fu tollerata e anche a volte favorita dalla dinastia imperante. Quando l’impero sassanide si impossessò delle province romane vi costruirono spesso templi di fuoco. Inoltre sempre nell’era sasanide divenne popolare la credenza che Ahura Mazda e Angra Mainyu fossero figli del dio del tempo Zurvan.
Una forma di Zoroastrismo fu apparentemente anche la religione di stato, o almeno la preminente, dell’Armenia precristiana.
Dal VI secolo lo Zoroastrismo si espanse nella Cina settentrionale, attraverso la via della seta, ottenendo uno status di ufficialità in alcuni stati cinesi. Templi zoroastriani rimasero fino almeno al 1130 circa nelle regioni del Kaifeng e Zhenjiang, ma dal XIII secolo la religione gradatamente perse importanza nel panorama religioso cinese.
Nel VII secolo la dinastia Sassanide fu conquistata dagli Arabi Musulmani, e gli Zoroastriani ottennero lo status di ‘Popolo del Libro’ da parte del Califfo Omar. Comunque, l’uso dell’Avesta antico e delle lingue persiane fu proibito. I conquistatori islamici considerarono gli insegnamenti di Zoroastro come un culto politeistico. Lo Zoroastrismo, che una volta era stato una religione dominante in una regione che andava dall’Anatolia al Golfo Persico e all’Asia centrale, non ebbe un potente campione straniero, come lo fu l’Impero bizantino per il Cristianesimo, e lentamente perse la sua influenza.
Nell’VIII secolo un gran numero di iraniani devoti al culto zoroastriano emigrarono in India, dove trovarono rifugio presso Jadav Rana, un re Indù dell’attuale provincia di Gujarat, ma a condizione che si astenessero da attività missionarie e si sposassero tra loro. Anche se le restrizioni sono vecchie di secoli, ancora oggi i Parsi, così si chiamano in India i devoti dello Zoroastrismo, non fanno proselitismo e sono endogamici.
Principi dello Zoroastrismo moderno
Alcuni fra i concetti maggiori zoroastriani:
La filosofia zoroastriana è simbolizzata da uno dei principali motti della religione: "Buoni pensieri, buone parole, buone opere".
Uguaglianza sessuale. Uomini e donne hanno uguali diritti all’interno della società.
Attenzione per l’ambiente. La natura svolge un ruolo centrale nella pratica dello Zoroastrismo. Le più importanti feste annuali zoroastriane riguardano celebrazioni della natura: il nuovo anno nel primo giorno di primavera, la festa dell’acqua in estate, la festa d’autunno alla fine della stagione, la festa del fuoco in mezzo all’inverno.
Lavoro e carità. Pigrizia e lentezza sono malviste. La carità è vista come opera buona.
Condanna dell’oppressione tra esseri umani, della crudeltà verso gli animali e del sacrificio degli animali. Punti nodali della religione sono l’eguaglianza di tutti gli esseri senza distinzione di razza o credo religioso e rispetto totale verso ogni cosa.
Liturgia. Nello Zoroastrismo l’energia del creatore è rappresentata dal fuoco. I devoto del culto solitamente pregano alla presenza di qualche forma di fuoco (o davanti a fonti di luce). Il fuoco comunque non è oggetto di venerazione, ma è utilizzato semplicemente come simbolo e punto centrale del culto zoroastriano. Anticamente la funzione principale del culto era lo 'Yasna', il sacrificio dell’haoma, pozione a base di erba, bevuta come liquido sacrificale mentre veniva compiuta una serie complessa di rituali. Tale pratica fu osteggiata da Zarathustra. I seguaci dello Zoroastrismo pregano cinque volte al giorno.
Altri concetti:
Matrimonio interreligioso e proselitismo. Gli Zoroastriani non hanno attività missionaria e non eseguono conversioni. In India, i Parsi, hanno l’abitudine di sposarsi tra consanguinei, in genere cugini. In Iran, a causa della discriminazione tuttora esistente, il matrimonio tra devoti di religioni diverse non è ufficialmente incoraggiato dalle autorità.
Morte e sepoltura. I rituali religiosi connessi con la morte sono concentrate sull’anima della persona e non sul corpo, considerato impuro. Alla morte, l’anima lascia il corpo dopo tre giorni. Nei tempi antichi il cadavere veniva esposto in luoghi aperti e sopraelevati, chiamati Torri del silenzio, dove l'avrebbero mangiato gli avvoltoi. La tradizione dell’esposizione dei cadaveri è attualmente seguita solamente dai Parsi. Gli Zoroastriani dell’Iran ricorrono alla cremazione elettrica o all’inumazione (in tal caso la bara è posta nel cemento per proteggere la purezza della terra).
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Seguaci
Attualmente comunità zoroastriane si possono trovare soprattutto in India, Pakistan e Iran. La diaspora zoroastriana comprende due gruppi principali: i Parsi di ambiente sud-asiatico e gli Zoroastriani dell’Iran.
Questi ultimi sono sopravvisuti in Iran a secoli di persecuzioni, come altre minoranze religiose. Comunità zoroastriane esistono a Teheran, come anche a Yazd e Kerman, dove molti parlano ancora un dialetto diverso dalla lingua iranica. Essi chiamano la loro lingua Dari.
I Parsi nell’Asia meridionale hanno goduto, invece, di una relative tolleranza. I Parsi sono famosi per le attività svolte nel campo dell’educazione e sono diventati una specie di casta economicamente forte all’interno della società indiana.
C’è inoltre un crescente interesse fra le popolazioni Curde, soprattutto quelle del Tajikistan e Kazakhstan, per l’antica eredità zoroastriana. Infatti, l’UNESCO (su pressione del governo del Tajikistan) ha proclamato il 2003 anno della celebrazione del "3000. anniversario della cultura zoroastriana" con manifestazioni speciali in tutto il mondo.
Piccole comunità Zoroastriane esistono nei maggiori centri urbani degli Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Australia e in altri paesi.
La popolazione mondiale di Zoroastriani è stimata tra le 180.000 e le 250.000 unità. Di questi 70.000 circa sono i Parsi in India.
posto un elenco dei saggi pubblicati(tutti miei e di michele dai ma la storia non vi ispira proprio?? )
Dal Partenone a Pataliputra (e ritorno)
Gli Assassini (origini e decadenza)
la bestia del Gevaudan
lo Zoroastrismo in persia
Catari o albigesi (XII - XIII - XIV secolo)
il manicheismo
la ascita della dea
le donne guerriere
la statua della vittoria viene tolta dal senato romano
Mithra :il rivale di Gesù
la battaglia di Breitenfeld
La Peste del 1348
La guerra dei 30 anni (1618-1648)
Le guerre di religione in Francia (1562-1598)
Elisabeth Bathory
Il regno di Zenobia tra storia e leggenda
Boadicea
Cleopatra
guerra delle comunicazioni difettose
il Graal e Re Artù a S. Nicola
L'enigma di Excalibur
Rennes Le Chateau: un paese al centro del mistero
"Rennes le Chateau II
La cappella di Rosslyn
storia dello Zoroastrismo dalle origini ai giorni nostri