14 minutes fa, MezzoUomo dice:Continuo a leggere che Grrm avrebbe criticato questa stagione ma non riesco a trovare la fonte. Stessa cosa per gli attori (e le interviste, almeno quelle su EW, le ho lette tutte). Gli spettatori saranno turbati ma continuano ad accorrere a decine di milioni.
È uscito un articolo che ora ti cerco. Non critica infatti, è comprensivo dicendo che dalla sua esperienza televisiva sa come funziona gli adattamenti, che capisce che attori e showrunners ormai vogliano passare ad altri progetti dopo 9 anni. Sulla serie dice che essendo il creatore prova un po' di inquietudine su come han gestito le cose, in pratica nulla di che o incomprensibile.
Martin non si è lamentato insomma, ha detto cose ragionate, le storie dei video sono vecchie interviste per lo più per far notare il contrasto della filosofia di Martin e D&D
@MezzoUomoScusa per il doppio tag, eccolo!
Con estremo ritardo provo anch'io a cimentarmi in qualche riflessione su questo episodio, il penultimo, episodio che ha provocato nel pubblico reazioni contrastanti, forse anche più divisivo dell'ormai famigerato 8x03.
Mi sono presa qualche giorno di tempo per capire bene se per me, sia da un punto di vista razionale che da uno più emotivo, questo fosse un top o un flop, ed alla fine propendo per il top.
Volendo ormai soprassedere, per sopravvenuta stanchezza e rassegnazione, su tare, limiti ed incongruenze logiche e narrative, nonché su scelte quanto meno discutibili che traggono in larga parte origine da scelte altrettanto discutibili poste in essere nella settima stagione, ritengo che sia un episodio molto riuscito, non soltanto in termini registici (per me supera quello che è il suo naturale paragone, The Long Night) ma soprattutto nello spirito con cui è scritto e per il messaggio che contiene e si prefigge di veicolare.
Tutti i personaggi, tutti i superstiti, sono in qualche modo ricondotti alla propria più intima natura, tutti o quasi tornano a fare ciò che sanno fare meglio, ciò per cui li abbiamo amati o biasimati, tutti anelano a ricongiungersi con l'origine delle proprie sofferenze prima della fine, poiché solo in quelle sofferenze sentono che dovrà compiersi il proprio destino, quasi come se tutto il loro cammino, il loro percorso di crescita personale, il loro arco narrativo fosse un'illusione, un sogno dal quale risvegliarsi per guardare con disincanto in faccia la realtà.
L'incipit è tutto per Varys, il Ragno Tessitore, il Signore dei Sussurri di Approdo del Re, che vediamo intento, coerentemente con la propria storia e con la propria missione, a scrivere lettere che informano non è dato per ora sapere chi delle vere origini di Jon Snow e del suo diritto al Trono di Spade, superiore a quello di Daenerys. Tuttavia, egli è consapevole di avere le ore contate, né è più quello privo di scrupoli di un tempo; gli pesa tradire un altro re, o in questo caso regina, perchè credo che davvero egli fosse convinto della causa della Targaryen quando l'ha raggiunta ad Essos con Tyrion. Tuttavia, a differenza di quanto avrebbe fatto in passato, Varys ha parlato chiaramente sia con Tyrion che con Jon, come vediamo in questa puntata; e forse è stato qui il suo errore, o forse no, forse più che di errore si tratta di scelta consapevole, ossia quella di voler agire per una volta non più nell'ombra, da traditore, ma in maniera trasparente, ponendo le ragioni del reame - se vogliamo credere a questa sua versione molto edulcorata rispetto alla figura machiavellica che è nei libri - al di sopra della propria incolumità e della propria vita.
Egli infatti non compie, a ben vedere, alcun tradimento, semplicemente si limita a diffondere la verità su chi tra i due Targaryen abbia il diritto a sedere su un trono mai come ora al centro di tutta al narrazione, e lo fa nella convinzione che la natura clemente, pacifica e riflessiva di Jon sia preferibile, in un sovrano, a quella ben più impulsiva ed irascible di Daenerys: è lei che sta occupando un posto che non le appartiene più, ed è incapace di accettarlo. Da qui ogni conseguente scelta è all'insegna, per lei, di un attaccamento paranoico e forsennato a quanto le rimane della propria illusione.
Varys viene tradito da un Tyrion inaspettatamente e contro ogni pronostico fedele alla sua regina, cieco anche di fronte ai prodromi di un esaurimento nervoso che la porterà di lì a poco a perdere ogni lume di buonsenso e di clemenza.
La scena della condanna a morte per mano di Drogon non mi ha entusiasmata, speravo per Varys ben altra enfasi, ben altro lirismo, così come li speravo per Ditocorto nella stagione passata, ma tutto è sacrificato, qui più che allora, ad una logica di spettacolarizzazione della puntata che arriverà da qui a breve.
Segue il confronto di Dany con Jon Snow, colui che per primo lei indica come traditore: sospettosa, diffidente come mai prima d'ora, anche di fronte a Tyrion che la informa del tradimento ad opera di Varys e non di Jon, ella persegue nel voler individuare invece proprio in quest'ultimo colui che ha posto fine al loro piccolo e del tutto insignificante segreto, chiaramente poiché lo avverte ora come la principale minaccia alla sua autorità e legittimazione.
A nulla valgono le continue, e dir la verità un po' stucchevoli perché messe in atto senza convinzione, rassicurazioni di Jon sulla sua fedeltà e sul suo amore: persi Jorah e Missandei, persi due dei suoi tre draghi, decimato il suo esercito per la causa del Nord, tradita da uno dei due consiglieri rimastile, Daenerys sprofonda in un atteggiamento paranoico.
Di fronte alla cruda realtà, il non essere riuscita ad ottenere venerazione e ammirazione da parte del popolo di Westeros, messa in discussione definitivamente la sua pretesa al trono con la diffusione dell'informazione su Jon, ella cede a suppliche continue che fanno subito seguito a minacce di distruzione e violenza. Nemmeno l'amore di Jon sembra bastarle più, poiché, al di la di ogni parola tra i due, è evidente dalla comunicazione non verbale che qualcosa si sia rotto tra loro. Jon tenta di calmarla più volte, lei tenta di avvicinarsi a lui come prima della rivelazione ma è chiaro che per Jon l'aver scoperto della parentela con la donna che ha di fronte lo pone in un fortissimo conflitto interiore su ciò che è giusto. La allontana, gesto che lei prende come il definitivo rifiuto, il punto di non ritorno.. Let it be fear, che mi temano, è il suo ammonimento verso quei sudditi colpevoli di non amarla e di non acclamarla come la liberatrice che ella sente di essere. Lascia infine spazio alla propria natura, tanto a lungo placata dai suoi consiglieri in passato, e la sua furia, tradita dall'indole genetica, si trasforma in volontà di distruzione.
La sua è sempre stata una personalità in bilico tra spinta moralizzatrice e volontà di dominio, tra malcelato desiderio di incutere timore nei sudditi e la necessità di meritarne l'amore, tra l'idealismo ed il narcisismo insito in quasi tutti i grandi conquistatori, di popoli prima ancora che di territori.
Si decide per l'attacco diretto a KL, attacco che però dovrà interrompersi in caso di resa della città, resa che si paleserà con il suono delle campane; Dany tuttavia ha già deciso di non applicare nessuna pietà durante l'attacco, e sa di avere in un Verme Grigio ormai più umanizzato che mai un fortissimo sostenitore.
Significativo, a proposito di campane, un rimando alla bellissima 2x09, Blackwater, in cui proprio Varys dice "Ho sempre odiato le campane. Suonano per l'orrore.. un re morto, una città sotto assedio". Profetico.
Vediamo poi l'ultimo abbraccio tra Jaime e Tyrion, struggente per intensità e per l'indiscussa bravura dei due interpreti. Vediamo il leone dorato di nuovo in catene, e vediamo un Tyrion che contraddice tutto quanto finora mostratoci in termini di lealtà alla sua regina liberando il fratello. Ecco che ritornano ancora gli istinti di base di ogni personaggio: Tyrion che condanna a morte un compagno di viaggio come Varys per tradimento nelle intenzioni alla regina di cui egli è Primo Cavaliere, che non vacilla nemmeno un attimo di fronte alla famiglia, in particolare di fronte all'amore verso il fratello. Quel fratello che, è giusto ricordarlo, è stato il primo e forse l'unico ad avergli sempre donato il calore di un amore sincero e disinteressato, l'unico a non averlo mai fatto sentire un mostro, l'unico ad averlo difeso, da bambini come da adulti, l'unico il cui volto sempre è stato e sempre sarà sinonimo di famiglia. Una scena davvero toccante, l'emotività è palpabile e si evince che sì, per loro due siamo al capolinea, sarà quello il loro ultimo abbraccio. Tyrion poi stupisce ancora una volta chiedendo a Jaime di fuggire con Cersei: quella stessa sorella che da sempre lo detesta e dalla quale sempre si è sentito non accettato né amato, è comunque anch'ella per lui famiglia. E da buon Lannister desidera che per i suoi due fratelli il destino non sia quello, terribile, che si prefigura loro davanti, accettandone anche le conseguenze quando Daenerys lo condannerà per tradimento per aver lasciato fuggire un ostaggio di così alto valore.
Il loro finale, quello di Cersei e Jaime, è la storia di un destino a cui non si può sfuggire: maledetti, soli ed insieme, lasciano questo mondo abbracciati in un ultimo lungo sguardo l'uno sull'altra. Jaime non è un eroe, non lo è mai stato, è un assassino ed un amante incestuoso capace di piccoli e grandi riscatti personali, che ha saputo creare legami con diversi compagni di viaggio, ed in particolare con Brienne, dalla quale ha tratto la forza per ritrovare il proprio senso di quell'onore che ormai credeva perduto, ma che tutto questo potesse rivaleggiare con il suo amore, o se vogliamo con la sua dipendenza ed ossessione per Cersei, va contro ogni logica che ci è stata mostrata in questo show.
Jaime sempre è tornato da lei, e vi torna ancora per l'ultima volta, avvolgendola in un abbraccio che definire shakespeariano è forse un tantino ambizioso ma che sa molto di tragedia.
Per la prima volta è lui a chiedere ad una irriducibile Cersei (magistrale Lena Headey, al punto più alto della sua recitazione) di negare la realtà - cosa che in passato era lei solita fare e per la quale Jaime la biasimava - in un estremo atto di pietas umana verso la donna che è stata per tutta la vita la sua condanna e la sua benedizione.
L'attaccamento alla vita di Cersei, o a quel che di essa resta, dopo che le è stato portato via tutto, è ammirevole. Che li si ami o li si odi, il loro è innegabilmente uno dei legami più potenti dell'intera narrazione.
Al di sopra di loro si sta scatenando l'inferno, la furia e l'orrore.
Dany costringe alla resa gli eserciti di Cersei, e quando finalmente suonano le campane pare che tutto possa aver fine. Ma questo show ci ha abituati da tempo a non dare per scontato nulla, e dunque la regia si sposta sullo sguardo di una Emilia Clarke per la prima volta in character, uno sguardo, un volto trasfigurato che per un attimo ancora pondera la situazione ma che all'improvviso si accende in un lampo di cieco impeto, di collera e di furore.
Da qui in avanti è la follia a dominare la scena, tanto in aria quanto a terra. Lei e Drogon mettono a ferro e fuoco la città, prima i soldati Lannister, poi gli edifici ed infine i civili, gli innocenti, uomini donne e bambini che fuggono e cercano riparo.
Sembra di assistere agli ultimi istanti di Pompei, quando le fiamme investono tutto e tutti senza lasciare via di scampo. Cosa porti Daenerys a contraddire se stessa e tutta la sua costruzione non è dato saperlo, ma derubricare i suoi processi interiori a semplice follia Targaryen mi sembra riduttivo e comunque inappropriato, e non rende merito al suo personaggio.
Il rimando alla tragedia nella sua forma più classica e truce è palese in quanto tutto l'episodio sottende ad una sorta di parallelismo tra due cataclismi, quello naturale, appunto, dell'eruzione di un vulcano, ed uno più intimo ed umano, che scaturisce dal cuore di una donna che vede tradita e sgretolata ogni sua velleità ed ambizione, tutto ciò su cui aveva fondato la propria esistenza: ricerca di calore umano, di venerazione e di consenso, ma anche forte senso di rivalsa, il suo tendere ad un potere assoluto e totalizzante, estensione del proprio ego. Daenerys che infrange ogni idealismo in virtù di un furore cieco ci era stato ampiamente anticipato dalla puntata precedente, quando afferma che gli abitanti di KL dovranno sapere a chi dare la colpa quando il cielo cadrà loro addosso. Ed il cielo effettivamente cade loro addosso.
Vediamo Sandor ed Arya dirigersi, confusi tra la folla terrorizzata, verso la Fortezza Rossa, laddove ciascuno dei due pensa di ottenere la propria vendetta; questa ci sarà effettivamente solo per Sandor, il Mastino che un attimo prima di andare incontro al proprio fato riceve da Arya, la quale rappresenta per lui un surrogato di quella famiglia che non ha mai avuto, il riconoscimento identitario di cui aveva bisogno.
Non prima di rivolgere alla stessa piccola Stark un monito, una preghiera: quello di rinunciare alla vendetta ed a vivere nell'odio per tutta la vita, quella di non divenire una maschera di cinismo e di disillusione come è lui.
Per ora riesce nel suo intento, ma Arya come tutti gli altri in questo episodio non può esimersi dall' inseguire fino in fondo la propria natura.
Sandor Clagane va incontro alla sua fine proprio nel fuoco, insieme al fratello o a ciò che ne è rimasto, placando la sua furia e trovando la pace così a lungo inseguita. Una delle sequenze a mio avviso migliori dell'intera stagione, molto poetica e davvero godibile.
Vediamo Arya mescolarsi tra la folla, tra gli ultimi, tra il popolo, quegli ultimi dei quali lei stessa aveva per un periodo fatto parte durante il suo addestramento a Braavos; la vediamo cercare di aiutare una mamma con la sua bambina in un disperato tentativo di scampare alla furia di Drogon. La vediamo osservare inorridita il drago e la sua cavalcatrice, tutto il contrario di quando, nel primo episodio, guardava con occhi sognanti ed estasiati i draghi volteggiare su Winterfell: anche per lei, che pure dovrebbe esservi abituata, il trovarsi al cospetto della morte è qualcosa di profondamente sconvolgente, straniante e devastante. Sono molto curiosa di capire come la visione di questo spettacolo così raccapricciante la cambierà, se la cambierà.
Ho lasciato in ultimo Jon e quello che accade lungo le strade di KL mentre dal cielo piovono fiamme: non diversamente dalla sua regina e liberatrice, Verme Grigio sfoga il suo dolore e la sua frustrazione per la perdita di Missandei trucidando soldati a caso. Vediamo un Jon sempre più incredulo e sconvolto sia dalla piega che stanno prendendo gli eventi (mai si sarebbe aspettato che Daenerys mettesse a ferro e fuoco la città arresa, né che i suoi alleati così come i suoi stessi soldati macellassero e stuprassero come nei peggiori saccheggi), sia da quanto gli appare ora evidente: Varys aveva ragione, tutti coloro che avevano cercato di metterlo in guardia da Daenerys avevano ragione. E credo che un fortissimo senso di colpa si stia facendo strada in lui: quello che se avesse accettato prima il suo destino, tutto questo orrore si sarebbe potuto evitare.
Se avesse accolto le istanze di chi gli chiedeva di agire da Re legittimo, tradendo Daenerys, certo, ma solo nell'ottica di quest'ultima, forse tantissime vite innocenti si sarebbero potute salvare. Assiste impotente ad un massacro, ad un bagno di sangue e di violenza gratuita e bestiale, e di certo il prossimo passo per lui non sarà facile. Si troverà ancora tra due fuochi, quello dell'onore e quello del dovere, e dovrà scegliere da che parte stare.
Ho scelto di sorvolare sui tanti, tantissimi dei difetti che ormai questo show si porta dietro da almeno due stagioni, perché in questo caso per me la bellezza generale dell'episodio è tale da farmi superare le pure evidentissime scelte narrative sbagliate.
”My faith's in people, I guess. Individuals. And I'm happy to say that, for the most part, they haven't let me down.”
___
"Dreams don't mean anything, Dolores. They're just noise, they're not real." "What is real?" "That wich is irreplaceable."
___
"Gli umani sono strane creature, ogni loro azione è guidata dal desiderio, i loro caratteri forgiati dalla sofferenza. Per quanto essi provino, non potranno mai liberarsi dall'essere eternamente schiavi dei loro sentimenti. Finchè la tempesta li sconvolgerà dall'interno non riusciranno a trovare pace. Né da vivi, né da morti. E quindi, giorno dopo giorno, faranno ciò che è necessario.
La sofferenza sarà la loro nave.. il desiderio la loro bussola."
___
Take my Heart when You go _ Take Mine in It's Place.
Ti porterò soprattutto il silenzio e la pazienza; ti salverò da ogni malinconia
perché sei un Essere speciale ed io avrò cura di te. Io sì, che avrò cura di te.
@Dargilok era l'articolo che avevo letto anche io, in pratica non c'è nessuna insoddisfazione ma la consapevolezza che per fare un adattamento fedele - ammesso e non concesso che una cosa come un "adattamento fedele" fosse possibile - sarebbero servite altre 5 stagioni che nessuno avrebbe mai fatto (piccola nota, come pensa di far entrare in 7 libri materiale per 13 stagioni???)
Some people choose to see the ugliness in this world, the disarray. I choose to see the beauty. To believe there is an order to our days. A purpose.
Anche perché, pure che gli avessero dato lo stesso budget e altre 5 stagioni, per me la serie rischiava lo stesso un calo ad andare per le lunghe (similmente ai libri), e lo dice uno che il calo ce lo vede comunque ma per altre circostanze.
L'unica cosa che avrei preferito sarebbero state stagione 7 e 8 piene, da 10 episodi, ne avremmo giovato tutti e ci sarebbero state altre cose di cui parlare
Moderatore MODE/ON
Ragazzi, è interessante la divagazione sui conquistatori e Maometto, però siete OT! Vi chiederei di non proseguire oltre.
Altro OT è la digressione sul giudizio che Martin ha dato sulla season 8. Non è questa la discussione più idonea dove parlarne, quindi, anche in questo caso, rientrate per favore in IT.
Moderatore MODE/OFF
3 hours fa, MezzoUomo dice:@Dargilok era l'articolo che avevo letto anche io, in pratica non c'è nessuna insoddisfazione ma la consapevolezza che per fare un adattamento fedele - ammesso e non concesso che una cosa come un "adattamento fedele" fosse possibile - sarebbero servite altre 5 stagioni che nessuno avrebbe mai fatto (piccola nota, come pensa di far entrare in 7 libri materiale per 13 stagioni???)
Oddio mi pare non cia bisogno di leggere troppo fra le righe per capire che non apprezzi molto quanto sia visto, del resto tutti sanno che ad un certo punto c'è stato un allontanamento rispetto alla serie (e si è visto...) ,certo ha il buonsenso e l'onestà di riconoscere che se le cose sono andate in certo modo (...) è anche colpa sua. Anche gli attori, nessuno certamente dice apertamente "che scempio", ci mancherebbe , ma somma le risate sguaiate della Clarke, i post al peperoncino della Williams e l'humor di Kit ed insomma è chiaro che il quadro che ne viene fuori è quello...
@porcelain.ivory.steel bella analisi! Anche io sono davvero curiosa di scoprire cosa farà Jon.
Come disse Maestro Aemon, “l’amore è la morte del dovere”.
@porcelain.ivory.steel Davvero un ottimo commento, come sempre.
Forse finalmente Jon Snow ucciderà il ragazzo, tanto per citare ancora Aemon.
@niphredil ti ringrazio! Esattamente come te, reputo che per la seconda volta nel corso di questa epopea umana che sono le Cronache, e nello specifico GoT, Jon si ritroverà a dover compiere una scelta per lui oltremodo dolorosa e difficile. D'altronde quello di Maestro Aemon nei libri è un monito verso Jon in ricordo di quando suo fratello Egg (Aegon V Targaryen) dovette assumere su di sé il governo dei Sette Regni, insomma, una situazione non dissimile da quella nella quale si troverà Jon da qui a breve.
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La sofferenza sarà la loro nave.. il desiderio la loro bussola."
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@Euron Gioiagrigia ti ringrazio! Davvero per me il giudizio finale su questo episodio è stato controverso ed ha richiesto una gestazione abbastanza lunga.. sono un po' venuta a patti con tutto ciò che mi aspettavo da questa ultima stagione e che innegabilmente non sto trovando. Tuttavia questo episodio per me racchiude un po' il senso di ciò che, nel bene e nel male, sarà il destino finale per lo meno dei 4-5 protagonisti. Che poi Martin ci arrivi meglio e con una costruzione più precisa e coerente non ho dubbi.
Su Jon ed il suo kill the boy, credo che l'abbia ucciso più volte il ragazzo che è in lui, tante quante sono le situazioni che l'hanno richiesto.
Certo, stavolta si trova di fronte ad una presa di responsabilità diversa, alla accettazione non solo di un ruolo e di un titolo, ma di una vera e propria identità che, mostrata così come ce l'hanno mostrata nella serie sembra quasi non lo tanga, ma che invece sono certa che significherà per lui moltissimo in termini di auto affermazione.
Io mi auguro soltanto che almeno nell'ultimo episodio il suo sarà un POV, perché il suo punto di vista in questa stagione sta mancando moltissimo, relegandolo ad un ruolo marginale al quale non siamo abituati.
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@porcelain.ivory.steel io credo che alla fine Jon potrebbe anche trovarsi di fronte a una scelta tra la sua famiglia di sangue e quel che ne consegue e la sua famiglia Stark. Come qualche altro utente aveva detto, Daenerys potrebbe chiedergli come atto di fedeltà l’arresto di Sansa. Profetico sarebbe anche il discorso che fecero i due. Jon le disse che la sua famiglia e loro due potevano convivere, mentre lei rispose che ciò sarebbe stato possibile solo non rivelando la verità. Che succederà ora che la verità è ormai rivelata? Jon dovrà fare una scelta.
Assolutamente sì, sarebbe riduttivo come concetto se il suo dover scegliere fosse limitato ad un qualcosa di meramente pratico, come il miglior diritto al Trono di Spade. Io penso che potrà essergli richiesto un grande sacrificio, sacrificio che implicherà una scelta, come tu dici forse tra l'appartenenza al branco Stark o una fedeltà cieca ed incondizionata a Daenerys, cosa che però a questo punto non mi pare più possibile, con la verità acclarata.
Non ho letto i leaks, ma Sansa per quale motivo dovrebbe essere tratta in arresto? Per aver detto a qualcuno il segreto di Pulcinella? Posso capire, anzi esigo, un confronto tra lei e Jon, perché di fatto lei ne ha tradito la fiducia (anche se per me ha avuto le sue ragioni), ma nel momento in cui si sa che Dany non è più l'erede legittima le mosse di Sansa sono ininfluenti per lei.
Ovvio che Dany fin da quando ha saputo la verità su Jon ha messo su tutta una serie di difese interiori per evitare di dover accettare la realtà, per questo dicevo che alla fine lei ha edificato tutta se stessa e la sua identità su illusioni. Penso che Jon sarà costretto a compiere qualcosa di terribile per mettere fine a quella che, a giudicare dalle immagini del trailer della 8x06, appare come una neonata tirannia.
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Comunque la scena dello scleramento di Daenerys l'ho rivista per almeno 10 volte in 48 ore. È assurdo, non mi è mai capitato con GOT.
Scena straordinaria, EmiliaClarke si è superata, e c'è da considerare che l'ha girata in una stanza verde seduta su un secchio di plastica.
Purtroppo non riesco più a ritrovare su youtube la versione con HellsBells in sottofondo, clamorosa.
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A proposito di momenti della puntata che non riusciamo a toglierci dalla testa...
“Guardami: vuoi davvero diventare come me?”
Non riesco a togliermela dalla testa, questa frase di Sandor. Tra tanti dialoghi puerili e buttati via, questo non-dialogo, costituito da poco più di una singola frase, mi ha come... trafitta. Perché dà un senso all’intero arco narrativo suo e di Arya; perché le vicende di loro insieme sono, alla luce di questa frase, tra le poche che non siano state intaccate da difetti più o meno gravi, ma, anzi, escono da questa storia pure e lucenti come cristallo contro la luce.
E perchè è, semplicemente, di una bellezza che fa male.
Quanto dolore, quanta potenza in queste parole... E quanto amore. Amore, sì: questo messaggio –probabilmente il solo che può risvegliare Arya dalla trance omicida in cui si è smarrita la sua autentica personalità, pronunciato, probabilmente, dalla sola persona a cui Arya può dare ascolto- è un prezioso, puro, struggente atto d’amore.
Una frase ed un momento che, da soli, danno un senso all’intero arco narrativo Arya-Mastino, cancellando con un colpo di spugna anche ogni possibile effetto Bud Spencer – Terence Hill della prima fase del loro peregrinare insieme e facendoceli vedere sotto una luce rivelatrice, completamente nuova, in tutta la profondità del loro rapporto e del loro percorso apparentemente di guerrieri quasi invincibili, in realtà di poveri, limitati, fallaci esseri umani. Che fanno del proprio meglio per restare a galla, soprattutto quando le acque sono gelide, scure e tempestose; ma che sono, come ogni essere umano, tragicamente soggetti ad errori.
Scusate se, adesso, la prenderò molto alla larga: ma ho bisogno di ripercorrere alcuni episodi passati, anche lontani. Perché sono quelle vicende passate che rendono questo momento quello che è, in tutta la sua profondità e tragica, disperata, lacerante bellezza.
Sandor è diventato il Mastino dopo che la sua vita è stata spezzata dall’inconcepibile crudeltà del fratello. Dalla sofferenza atroce nel fisico e dal viso per sempre devastato che segnerà e condizionerà la sua intera vita futura; ma anche dalla scoperta che il gesto disumano di Gregor non solo non riceve punizione alcuna, ma viene coperto e nascosto dal padre. In quel momento sul bambino Sandor viene commessa una violenza doppia: quella fisica, enorme e di una ferocia disumana, ma anche quella psicologica del veder spazzate via anche la fiducia in un mondo giusto e nell’amore del padre per lui. In pochi istanti, ogni cosa gli viene strappata via: l’infanzia e l’innocenza; la fiducia nella vita, nella giustizia e nell’amore paterno; il presente ed il futuro. Per sopravvivere a questa devastazione, a questo dolore, fisico e morale, insostenibile, Sandor sceglie di fuggire portandosi in qualche modo al di là del dolore stesso. Di diventare il Mastino, cane e bestia: rendersi immune ai sentimenti ed alla pietà per il prossimo, sperando così di cancellare anche i sentimenti e la pietà per sé stesso.
Si costruisce una corazza, che lo proteggerà per anni. Finchè una ragazzina arrivata da lontano, di nome Sansa, indifesa e piena di sogni che stanno per essere infranti nel più crudele dei modi, un nuovo agnello sacrificale – la vita è ciclica, in certi giochi crudeli- in cui rivede il bambino che è stato un attimo prima dell’immolazione estrema, incrina questa corazza, aprendovi una minuscola crepa.
Per una casuale combinazione di circostanze, in quella crepa si insinuerà, allargandola con una lentezza infinitesima, la sorella minore di quella ragazzina, Arya. L'inizio di questo processo non è immediato: dapprima il Mastino è soltanto cinicamente divertito da quella bambina indifesa e vulnerabile, ma ridicolmente convinta, chissà perché, di essere un grande guerriero. Ma presto vede quella stessa "bambina indifesa" uccidere un uomo; ma non solo: la vede ucciderlo senza la minima esitazione o incertezza. Senza provare pietà o sentimento alcuno. Forse è in quel momento, che comincia a vederla per quello che è: un suo simile. Capisce, Sandor, che Arya è, o è stata, un'altra innocente a cui è stato inferto un orrore che nessuno dovrebbe mai essere costretto a subire; meno che mai un bambino. Lui è stato devastato fisicamente e psicologicamente; ad Arya è stato risparmiato il corpo, ma è stato strappato via tutto il resto: il luogo in cui viveva, le persone che le erano care, ogni sostegno e certezza. Arya ha dovuto vedere con i suoi occhi la decapitazione del padre; Arya è stata ad un passo dal vedere –ma ha capito, ha sentito tutto- la madre sgozzata e il fratello portato in un osceno trionfo con una testa di animale cucita al posto della sua: esattamente come Sandor, Arya è stata violata nel modo più disumano in quella che doveva, che sarebbe dovuta essere, almeno per una effimera e illusoria stagione della vita, l’età dell’innocenza. E anche Arya istintivamente ha scelto, per resistere, per sopravvivere ad un dolore altrimenti insostenibile, la stessa via che, decenni fa, aveva scelto un giovane Sandor piagato nel corpo e nell'anima, sgomento, devastato. La stessa, identica via: porsi in salvo portandosi al di là di qualsiasi sentimento, per non provarne nemmeno riguardo a se stessi. Immunizzarsi verso il dolore altrui, per diventare immuni anche dal proprio.
E anche Arya è tenuta in vita da un proposito di vendetta che sfuma nella giustizia, o giustizia che sfuma nella vendetta: Sandor vive in funzione del momento in cui potrà uccidere colui che lo ha straziato, devastato e distrutto; Arya ripete la sua lista dell’odio come una preghiera ad un dio di morte, ossessivamente decisa a trasformarsi lei stessa in quel mortifero, terreno dio.
Quando Arya nega al Mastino la carità atroce di un colpo di grazia, ed anzi lo deruba, il Mastino capisce che lei, in questo percorso interiore, non solo lo ha seguito, ma ormai lo ha raggiunto.
Rivedendola molto tempo dopo, in situazioni e posizioni diverse, divenuto meno aspro e duro, si troverà a guardare alla sua nuova abilità da guerriera ed assassina con un misto di ammirazione e, quasi, fierezza. Una fierezza in cui affiora, ancora in embrione, uno stato d’animo che sarebbe stato quasi inconcepibile per il vecchio Mastino: un sentimento ruvido, cauto, timoroso. Quasi, seppure in un modo ancora trattenuto e quasi negato, paterno.
E poi, la vita prosegue. La Storia, indifferente all'uomo ed alla sua sofferenza, continua a dipanare il suo filo rosso sangue. Morti si succedono alle morti, dolore al dolore. Il Mastino rinasce, cambia, cresce; ritrova parti di se stesso che credeva di aver cancellato per sempre. Sotto la scorza del cane, della bestia, riaffiora l’essere umano.
Non è più il Mastino ma è Sandor, quello che vediamo cercare di diventare uomo di pace in un tempo che per la pace non è ancora pronto; è Sandor quello che vediamo lottare con la Fratellanza e poi, nella battaglia suprema, per la vita contro la morte.
Ma c’è ancora una scheggia dura, in lui, conficcata così in profondità che nemmeno il nuovo, ritrovato Sandor è in grado di raggiungerla per estirparla: il desiderio di vendetta, o di giustizia. Il non poter continuare a calpestare la stessa terra su cui cammina e vive chi ha fatto scempio di un bambino e dell’uomo che quel bambino sarebbe diventato.
E anche Arya ha ancora un nome sulla sua lista: ancora una volta, le loro situazioni sono una specchio dell’altra. E li vediamo partire affiancati, ognuno su un cavallo nero, soli (ogni cammino umano è individuale e solitario, più ancora il loro) ma nello stesso tempo in qualche modo insieme, ognuno verso la propria ultima meta. Quella meta su cui hanno, ossessivamente e con una forza di volontà incrollabile e senza mai ombra di cedimento, esitazione o dubbio, plasmato la propria vita e se stessi. Il loro partire insieme da Winterfell e percorrere, sempre insieme, la strada per Kingslanding non è solo materiale, ma anche e soprattutto emblematico, simbolico: hanno subito lo stesso scempio; sono sopravvissuti al dolore allo stesso modo; sono diventati simili, come forza e potenza nell’uccidere. E, adesso, hanno ancora lo stesso passo da compiere. L’ultimo, quello necessario perchè tutto sia compiuto. Quello su e per cui hanno costruito se stessi. Non a caso sono stati gli unici a non partecipare ai festeggiamenti per la vittoria nella Lunga Notte: perché la loro vittoria, quella a cui tutta la loro esistenza è stata votata, deve ancora venire. E stanno andando a prendersela, quell’ultima vittoria, ad Approdo Del Re. Entrambi disposti a dare la propria vita in cambio di quel momento tanto agognato; entrambi consapevoli del fatto che, quasi sicuramente, saranno chiamati a farlo.
I loro cammini, ormai, non sono più soltanto paralleli: adesso coincidono. E non solo nell'aspro, scontroso affetto reciproco che finalmente, con sforzo e ritrosie, cominciano ad ammettere.
E coincidererebbero fino alla fine, se su Kinglsanding non si abbattesse l’inferno.
L’inferno: ossia, qualcosa decisamente ed assolutamente “oltre”. Oltre all’orrore stesso. Oltre a ciò che puoi immaginare, concepire, sopportare.
In momenti come questi, quando si è stati trascinati così “oltre”, quasi tutti gli esseri umani crollano. Vengono inghiottiti da puro, viscerale panico; divengono un fascio di istinti, a volte contrastanti e in lotta tra loro. Pochissimi, al contrario, restano lucidi. Ma, se questo succede, può accadere che per la prima volta vedano la propria vita con occhi nuovi. Capendo per la prima volta, con l' improvvisa lucidità che nasce dal trovarsi di fronte al crollo ed al sovvertimento di ogni cosa, con la morte che soffia sul collo e grida assordante da ogni dove, che cosa, nella vita, è veramente importante. E che cosa, invece, è stato futilità, vanità, inutilità, spreco di quella vita stessa.
Ed è in quel momento, di fronte all’imminenza soverchiante e inesorabile della Morte, che Sandor ha un’improvvisa, nitida, limpidissima rivelazione: che la sua esistenza, fondata sul desiderio e l’ossessione di una vendetta-giustizia, è stata, in fondo, una vita sprecata.
Ed è adesso, che rivolge a Arya, la sua emula e compagna di percorso, la sua quasi-figlia, quelle parole strazianti: salvati, almeno tu. Non diventare come me. E quale abissale amarezza bisogna avere nel cuore, per pronunciare una frase del genere? Guardami: non diventare come me. Per definirsi, per vedersi come l’emblema, il simbolo di una vita sprecata, sbagliata fin dalle fondamenta. Per definirsi, per vedersi ciò che non si vuole che l’altro –una persona amata- diventi.
Salvati, Arya. Ma non soltanto dalla morte certa a cui stai andando incontro, a cui stiamo andando incontro: salvati da te stessa. Da quello che stai diventando. Da quello che sei già, ma da cui ti puoi ancora staccare se rinunci, per una volta, l'ultima volta possibile, al tuo obiettivo di morte. Questo è l’ultimo nome della tua lista; quindi questa è la tua ultima occasione. Salvati, tu che puoi. Tu, che forse hai una forza che io non ho.
Soltanto da lui, dicevo, Arya potrebbe accogliere un consiglio del genere. Non da Sansa, e, credo, neanche da Jon, il suo adorato Jon. Perché anche loro hanno percorso strade di dolore, ma diverse dalla sua. C'è una distanza enorme tra di loro; una differenza incolmabile. Sandor, invece, è il suo doppio. E’ colui che l’ha preceduta, su quella strada. E’ lei stessa, con più anni sulle spalle e il pensiero o la consapevolezza di essere andato troppo avanti, ormai, per poter tornare indietro. Ed ora vede chiaramente, Sandor, in quale luogo e a quale punto finale quella strada conduce. E’ per questo, prima ancora che per affetto, che persino l’ostinata, indomabile, selvaggia Arya per la prima volta si ferma e ascolta ciò che le viene detto con tutta la forza, la potenza e la disperazione di una vita sprecata. Salvati, tu che sei ancora in tempo. Salvati da da quello che stai diventando. Salvati da quello che stai facendo a te stessa.
Un paio di frasi appena; una manciata di parole; ma non contano quante parole si dicono: conta cosa c’è dietro. E dietro c'è tanto, tutto: il tragico bilancio di una vita intera. E Arya, la macchina di morte, colei che tagliava gole con un sorriso beffardo e soddisfatto, in un attimo vede se stessa con nuovi occhi. In un attimo, capisce. E si salva, appena un momento prima di raggiungere Cersei e ucciderla, o morire cercando di ucciderla.
Un momento appena prima che sia, per sempre, troppo tardi. In tempo per fuggire, da ciò che ha fatto a se stessa e da una città annientata, su un cavallo bianco ed insanguinato come il ricordo di un’innocenza violata.
E cosa puoi offrire, in cambio, a chi ti apre gli occhi; a chi, mentre sta andando incontro al proprio annientamento, pure trova un pensiero per salvarti da te stesso?
Parole.
Soltanto parole.
Pochissimo. O, forse, per qualcuno che in tutta la vita non ha mai ricevuto nulla in dono, tantomeno con affetto o amore, infinitamente tanto, se sono le parole giuste. E Arya le trova, le parole giuste, il dono più prezioso, quasi inestimabile: un grazie, da una persona che quella parola l’ha dimenticata da anni; ma soprattutto un nome ritrovato: Sandor. Il riconoscimento di un’identità, di un’umanità riconquistata. Non più il Mastino, non più il cane: un essere umano. Sandor. C’è la morte che ti aspetta, tra pochi minuti; ne senti già il fiato sul collo e l'alito gelido che la precede. Ma la affronterai sapendo che, almeno, una persona ha visto l’essere umano che è in te, la sofferenza e la generosità nascosti sotto le cicatrici del viso straziato e la maschera costruita. Che, almeno, una persona sa che tu sei un essere umano.
E questo, nella solitaria caduta nell'abisso che ti aspetta, ti rende già meno solo.