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La poesia del giorno.
A di AemonTargaryen
creato il 22 marzo 2019


Seija
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Inviato il 22 novembre 2019 17:18

Non è per niente facile scrivere poesie d'amore, perché il rischio di scadere nella banalità, nel ridicolo o nell'affettazione è dietro l'angolo. Probabilmente è più facile verseggiare sui colori della natura, sulla vita e la morte, sulle crisi interiori e la solitudine sofferti, che non sulla persona amata.

Capita di rado di leggere versi d'amore in grado di esprimere qualcosa di significativo e vibrante, mentre è più facile imbattersi in composizioni che, al di là di una loro apparente gradevolezza, sono in realtà incapaci di destare un vero coinvolgimento. Ma Pedro Salinas, uno dei maggiori rappresentanti della "generazione del'27", è riuscito a distinguersi tra tutti per la capacità di trasporre i sentimenti in versi in un modo veramente unico e originale, oltre che incredibilmente intenso. Le sue scelte espressive si muovono all'interno di schemi convenzionali operando delle lievi e sottili trasformazioni, e in questo modo riescono a sviluppare un discorso nuovo e personale senza entrare in rottura con la tradizione. La voce a te dovuta, pubblicata nel 1933, è composta da settanta poesie dedicate alla stessa donna, una sorta di canzoniere amoroso che trasuda passione e sensualità da ogni verso. Sono componimenti autonomi e senza titolo, non legati tra loro da una successione temporale, che però concorrono a formare un discorso unitario, tutto incentrato sulla ricerca di una forma d'amore che possa trascendere i limiti imposti dal tempo e dalla realtà contingente. Le poesie furono dedicate ad una donna vera, reale. Si trattava dell'americana Katherine Whitmore; un amore in realtà adultero, e quindi proprio per questo nominabile solo attraverso un gioco  di pronomi nei versi poetici, che serviva  a sottacere la vera identità dell'oggetto dei desideri. Gli incontri erano sporadici e fugaci, abitando lei in un altro continente, ma alimentati da una fitta corrispondenza epistolare. Una relazione per molti aspetti problematica e affannata, oltre che passionale, destinata a concludersi nel giro di alcuni anni. Salinas cercava di creare un mondo parallelo che alimentasse e tenesse vivo questo amore clandestino. Essendo lui già spostato, non poteva offrire una vita reale all'amante americana (causa anche la fragilità della moglie, che scoperta la relazione aveva tentato il suicidio), ma in cambio creò per lei un mondo alternativo fatto di carta, versi poetici e lettere. È un mondo di privazioni e ombre, da cui traspare il fragile e nello stesso tempo ostinato desiderio di mantenere attiva una relazione che si sa, comunque, destinata a finire. Ed infatti finì, proprio nell'attimo in cui Katherine decise di sposarsi con un altro uomo.

 

Me estoy labrando tu sombra.

La tengo ya sin los labios,

rojos y duros: ardían.

Te los habría besado

aún mucho más.

 

Luego te paso los brazos,

rápidos, largos, nerviosos.

Me ofrecían el camino

para que yo te estrechara.

 

Te arranco el color, el bulto.

Te mato el paso. Venías

derecha a mí. Lo que más

pena me ha dado, al callartela,

es tu voz. Densa, tan cálida,

más palpable que tú cuerpo.

Pero ya iba a traicionar nos.

 

Así

mi amor está libre, suelto,

con tu sombra descarnada.

Y puedo vivir en ti

sin temor

a lo que yo más deseo,

actualmente beso, a tus abrazos.

Estar ya siempre pensando

en los labios, en la voz,

en el cuerpo,

que yo mismo te arranqué

para poder, ya sin ellos,

quererte.

¡ Yo, que los quería tanto !

Y estrechar sin fin, sin pena

- mientras se va inasidera,

con mi gran amor detrás,

la carne por su camino -

tú solo cuerpo posible:

tú dulce cuerpo pensado

 

Sto modellando la tua ombra.

Le ho già tolto le labbra,

rosse e dure: bruciavano.

Te le avrei baciate

ancora molte volte.

 

Ti fermo poi le braccia,

lunghe, nervose, rapide.

Mi offrivano la via

perché io ti stringessi.

 

Ti strappo il colore, la forma.

Ti uccido il passo. Venivi

dritta verso di me. Ciò che

più mi ha fatto soffrire,

quando l'ho messa a tacere,

è la tua voce. Densa, calda, 

più palpabile del tuo corpo.

Ma stava ormai per tradirci.

 

Così

il mio amore è libero, affrancato,

con la tua ombra spoglia di

carne.

E posso vivere in te,

senza temere

ciò che desidero di più,

il tuo bacio, i tuoi abbracci.

Non pensare ormai ad altro

che alle labbra, alla voce,

al corpo

che io stesso ti ho sottratto

per potere, senza di loro infine,

amarti.

Io, che li amavo tanto.

 

E stringere all'infinito, senza pena

- mentre se ne va inafferrabile,

e dietro a lei il mio grande amore,

la carne per il suo cammino -

il tuo solo corpo possibile:

il tuo dolce corpo pensato.

 

 

 

 

 



Seija
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Inviato il 27 novembre 2019 11:46

Iosif Brodskij, poi divenuto Joseph Brodsky, nacque in una famiglia ebrea di San Pietroburgo, allora Leningrado. I suoi primi anni coincisero con quelli della Seconda guerra mondiale. Anche la giovinezza fu travagliata: a quindici anni abbandonò la scuola e si mise a fare il tornitore in una fabbrica, poi il dissezionatore di cadaveri con l'intenzione di diventare medico, il fuochista, il guardiano di un faro, il geologo. Una irrequietezza che tentò di sedare nutrendosi di letture e studi da autodidatta, fino ad avvicinarsi alla poesia. Nel 1961 fu arrestato da KGB per aver progettato di fuggire all'estero, ma fu rilasciato dopo pochi giorni. Nello stesso periodo fu introdotto ad alcune poetesse, in particolare, Anna Achmatova, presso il cui circolo conobbe la prima moglie Marianna Basmanova. Ma ogni cosa precipitò presto: la separazione dalla moglie, l'accusa di "parassitismo", un tentativo di suicidio, l'arresto nel 1964 e un attacco di cuore che ne mino' per sempre la salute. Nel 1964 fu condannato a cinque anni di lavori forzati, ma la sollevazione del mondo intellettuale e accademico europeo suggerì alle autorità sovietiche di sospendere la pena. Negli anni successivi la sua attività poetica iniziò ad essere sempre più conosciuta all'estero, mentre in patria fu censurato e tenuto costantemente sotto controllo fino al 1972, quando fu posto davanti alla scelta dell'emigrazione immediata oppure la reclusione in ospedale psichiatrico (dove era già stato ricoverato due volte). Decise di partire. Andò prima a Vienna, poi a Londra ed infine negli Stati Uniti, dove prese la cittadinanza, visse e insegnò fino alla morte.

Nel 1987 la consacrazione, col Nobel per la letteratura. Nel 1989, per il Consorzio Venezia Nuova che gli commissionò il lavoro nacque "Fondamento degli incurabili", che Brodskij scrisse su un unico rotolo di carta. Il volume divenne subito uno tra i maggiori classici della letteratura su Venezia; tra le sue pagine brillano denunce sui "politici e i grossi interessi su Marghera, le grandi navi ( allora essenzialmente petroliere), il "ciarpame", ma anche su chi "blatera di ecologia, salvaguardia, riassetto, patrimonio culturale". E pronuncia, già nel 1989, con lucida preveggenza, una sola parola per definire tutto questo:"stupro". A Venezia Brodskij volle essere seppellito.

Per oggi ho scelto delle poesie da Poesie italiane.

 

Il sole cala.

Il sole cala, ha chiuso il bar all'angolo.

Si accendono i lampioni, quasi

un'attrice che per farsi bella

e mettere spavento si bordi gli occhi di violetto.

I rintocchi del campanile 

che ha messo radici nel cielo veneziano:

frutti che cadono senza toccare il suolo. Se esiste un'altra vita,

là qualcuno si occupa della raccolta di queste cose. Tra poco tempo,

credo,

ne saprò di più. Qui, dove tanto seme

è stato versato, e lacrime estasiate

e vino, in un vicolo del paradiso terrestre io sto di sera, e aspiro

con la gomma raggrinzita dei polmoni

l'aria pulita, l'aria autunno-invernale,

rosa per i tetti di mattoni - l'aria locale

di cui non puoi saziarti, soprattutto

se fai le cose all'ultimo momento della vita.

L'aria che odora di gabbie liberate del tempo.

 

Scrivo questo versi, seduto all'aperto

Scrivo questo versi seduto all'aperto

su una sedia bianca,

d'inverno, con la sola giacca addosso,

dopo molti bicchieri, allargando gli zigomi

con frasi in madrelingua.

Nella tazza si raffredda il caffè.

Sciaborda la laguna, punendo con vento minimi sprazzi

la torbida pupilla per l'ansia di fissare nel ricordo

questo paesaggio, capace a fare a meno di me.

 

Dalla sezione Strofe veneziane I

 

I

Fradicia stanga del pontile. Vi è legata

triste una giumenta

che agita nel buio la criniera resistendo

al sonno.

Le chiavi di violino delle gondole

dondolano, emettendo

silenzio ognuna per suo conto.

Quanto più il Moro è fiducioso, tanto più nera è la carta

di parole. E la mano, per raggiungere un

collo troppo corta,

sgualcita dalle dita di Jago stringe al viso 

il merletto

d'un fazzoletto di pietra.

II

Le rive sono deserte, la piazza è vuota.

Più volti alle pareti del caffè che nel caffè

stesso;

una fanciulla in pantaloni di seta suona 

un liuto

a un Mustafà vestito come lei.

Secolo decimonono! Nostalgia d'Oriente!

Posa

dell'esule sulla roccia! È come un globulo

bianco nel sangue traspare

la luna nelle opere dei cantori, che

bruciano di tisi,

ma dicono che è amore.

III

Nessuno ha nulla da fare qui, la notte. Né un'ugola d'oro

né la la dolce Duse. Batte un tacco solitario

sull'acciotolato.

La vostra ombra, come un tremante carbonaro,

si allontana da noi sotto il fanale 

ed aspira vapore. Di notte noi parliamo

col nostro stesso eco: il fiato caldo

inzacchera 

il vetro trasudato di quest'acquario 

in marmo, vuoto l'ideale

per ogni risonanza.

IV

Oltre le scaglie d'oro delle finestre

emerse dal canale, è un olio

in cornice di bronzo, un pezzo di

 pianoforte, una casa.

Questo celano dietro le tende tirate la

perca e il cefalo,

sbatacchiando le branchie.

E se per caso incontri una dea con nulla

addosso

sotto un soffitto, ti gira la testa, e gli

ingressi

con il palato che un lume infiamma

d'angina

si spalancano a pronunciare un <<a>>.

V

Un tempo qui i colpi di coda, guizzi, e in 

tondo

torcendosi in fregola, le coppie balzavano

di sbieco nell'ovale dello specchio, e che 

emozione sotto il domino

lo scollo bianco e fondo!

Come turba lo scirocco la laguna. Gonne

visi pantaloni

si mischiano in zuppe tiepolesche.

Dove sono finiti i pulcinella, gli

arlecchini,

le maschere, le tresche?

VI

Così all'Opera lenti si spengono i lumi,

così a notte le cupole calano come

meduse di volume,

così si stringe, avvitandosi, la calle-anguilla,

e s'appiatta la piazza-razza.

E raccoglie i pettini caduti da capelli

cotonati di donna per le proprie figlie

Nereo, ma lascia intatte le perle gialle

dei lampioni stradali.

VII

Così tacciono le orchestre. La città è come

lo sforzo dell'aria 

di trattenere sull'orlo del silenzio

l'ultima nota,

e si ergono, come leggii ravvicinati,

palazzi

mal rischiarati.

Solo una stella azzarda in falsetto tra le

linee del telegrafo

là dove dorme di un sonno profondo il 

cittadino di Permi'.

Ma l'acqua applaude, e la riva pare brina

posata su un doremi'.

VIII

La notte, moltiplicata dal mare per due,

non dà

folla di zeri, cioè folla di uomini,

anche se i loro volti, a dir la verità,

più bianchi si fanno.

Voglia di spogliarsi, gettare la corazza di panno,

crollare sul letto, stringersi ad ossa vive

come a uno specchio ardente, dalla cui

superficie

nessun dito potrà più scrostarvi.

 

 

 

 

 

 

 

 

Modificato il 05 July 2024 17:07


Seija
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Inviato il 28 novembre 2019 17:08

" Nessuna opera d'arte erotica è una porcheria, quand'è artisticamente rilevante, diventa una porcheria solo tramite l'osservatore, se costui è un porco". Così scriveva uno dei più grandi artisti del Novecento, il pittore e grafico espressionista austriaco Egon Schiele. La sua pittura è caratterizzata da quella sensazione di malessere e tormento, propria di quegli artisti che come lui si trovarono a vivere quell'epoca segnata dall' inquietitudine della Prima Guerra Mondiale. Artista dall'anima particolarmente inquieta, trasmise tutto il suo tormento nelle sue opere, in cui spesso sensualità ed erotismo si mescolano con la malattia e la morte. 

Note di un pittore è una raccolta di poesie che Egon Schiele pubblico' sulla rivista "Aktion". Questi componimenti mettono in evidenza la sua capacità di essere anche pittore con le parole. Attimi di vita si colorano intensamente, vengono pennellati con straordinaria incisività, non soltanto sulla tela di un quadro ma anche nei versi.

Egon Schiele poeta è ancora l'Egon Schiele pittore: invece di tratti schizzati, si serve di parole e osservazioni, di metafore e sinestesie che hanno lo stile emaciato ed essenziale dei suoi dipinti.

 

Sera bagnata

Ho voluto ascoltare

la sera respirare fresca,

gli alberi neri di temporale -

dico: gli alberi neri, di temporale -

poi le zanzare, lamentose,

i ruvidi passi di contadini,

le campane echeggianti lontano.

Volevo sentire gli alberi in regata

e vedere un mondo sorprendente.

Le zanzare cantavano come fili metallici in

paesaggio invernale,

ma il grande uomo nero ruppe loro i suoni

delle corde.

La città eretta stava davanti a me fredda 

nell'acqua.

 

Autoritratto

Io sono per me e per quelli

ai quali la morbosa sitibonda smania d'essere

                liberi

tutto a mio avviso effonde,

ed anche per tutti perche tutti amo - anch'io.

Sono tra i distintissimi il più distinto - 

e tra chi rende, il massimo. -

Sono umano, amo la morte e amo la vita.

 

Il ritratto della pallida ragazza taciturna

Una mia pollulazione d'amore, - sì.

Anzi tutto.

La ragazza venne, trovai il suo viso,

il suo inconscio, le sue mani da lavoro;

in lei amai tutto.

Ho dovuto raffigurarla,

perché guardava in quel modo e mi era così

               vicina. -

...........................

Ora è lontana. Ora incontro il suo corpo.

 

Gli alti alberi

filavano lungo la strada.

Trepidi uccelli vi pigolavano.

A grandi passi con rossi occhi cattivi

percorrevo le strade bagnate.

 

Nere le nubi temporalesche 

rotolavano alte dappertutto -

boschi d'acqua ammonitori.

Baite bisbiglianti e alberi mormoranti-

andavo incontro allo scuro torrente -

uccelli, simili a pallide foglie al vento.

 

 


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AemonTargaryen
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Inviato il 30 novembre 2019 14:26 Autore

"Vorrei rimanere qui a cantare. Ho una volontà di cantare così veemente che i versi nascono spontanei dalla mia anima come le schiume dalle onde."


Con queste parole, Gabriele D'Annunzio si riferiva a Bocca d'Arno. Il poeta ha più volte dipinto questo luogo suggestivo in Alcyone, terzo volume del ciclo Laudi del cielo del mare della terra degli eroi. Una raccolta in cui il poeta dà sfogo alla sua più genuina creatività.

 

L'opera è un fiume in piena: la poesia diviene una sorta di irruento flusso letterario in cui immergersi e perdersi. È una poetica abbracciata a un'espressività che si mantiene sulla linea del "fisico", tremendamente imaginifica. Verso libero, ricercatezza musicale e di lessico si accompagnano a un avvolgente abbraccio alla natura che però non coincide affatto con la manifestazione di un disagio sociale. Aspetto, quest'ultimo, assai significativo. Insomma, Alcyone è un'opera quasi naïf, se guardiamo a D'Annunzio attraverso una lente critica più ampia.

 

Mi piace, della poesia che ho scelto per oggi, oltre il grandioso affresco che il poeta lascia attraverso la descrizione di Bocca d'Arno, il profondo senso di pace che trasmette.

 


Bocca d'Arno

 

Bocca di donna mai mi fu di tanta
soavità nell'amorosa via
(se non la tua, se non la tua, presente)
come la bocca pallida e silente
del fiumicel che nasce in Falterona.
Qual donna s'abbandona
(se non tu, se non tu) sì dolcemente
come questa placata correntía?
Ella non canta,
e pur fluisce quasi melodia
all'amarezza.
Qual sia la sua bellezza
io non so dire,
come colui che ode
suoni dormendo e virtudi ignote
entran nel suo dormire.

 

Le saltano all'incontro i verdi flutti,
schiumanti di baldanza,
con la grazia dei giovini animali.
In catena di putti
non mise tanta gioia Donatello,
fervendo il marmo sotto lo scalpello,
quando ornava le bianche cattedrali.
Sotto ghirlande di fiori e di frutti
svolgeasi intorno ai pergami la danza
infantile, ma non sì fiera danza
come quest'una.
V'è creatura alcuna
che in tanta grazia
viva ed in sì perfetta
gioia, se non quella lodoletta
che in aere si spazia?

 

Forse l'anima mia, quando profonda
sè nel suo canto e vede la sua gloria;
forse l'anima tua, quando profonda
sè nell'amore e perde la memoria
degli inganni fugaci in che s'illuse
ed anela con me l'alta vittoria.
Forse conosceremo noi la piena
felicità dell'onda
libera e delle forti ali dischiuse
e dell'inno selvaggio che si frena.
Adora e attendi!
Adora, adora, e attendi!
Vedi? I tuoi piedi
nudi lascian vestigi
di luce, ed a' tuoi occhi prodigi
sorgon dall'acque. Vedi?

 

Grandi calici sorgono dall'acque,
di non so qual leggiere oro intessuti.
Le nubi i monti i boschi i lidi l'acque
trasparire per le corolle immani
vedi, lontani e vani
come in sogno paesi sconosciuti.
Farfelle d'oro come le tue mani
volando a coppia scoprono su l'acque
con meraviglia i fiori grandi e strani,
mentre tu fiuti
l'odor salino.
Fa un suo gioco divino
l'Ora solare,
mutevole e gioconda
come la gola d'una colomba
alzata per cantare.

 

Sono le reti pensili. Talune
pendon come bilance dalle antenne
cui sostengono i ponti alti e protesi
ove l'uom veglia a volgere la fune;
altre pendono a prua dei palischermi
trascorrendo il perenne
specchio che le rifrange; e quando il sole
batte a poppa i navigli, stando fermi
i remi, un gran fulgor le trasfigura:
grandi calici sorgono dall'acque,
gigli di foco.
Fa un suo divino gioco
la giovine Ora
che è breve come il canto
della colomba. Godi l'incanto,
anima nostra, e adora!

 

(Marina di Pisa, 6 luglio 1899)

 



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Inviato il 03 dicembre 2019 17:00

Paul Verlaine inserisce la poesia Chanson d'automne nella raccolta Poèmes saturniens pubblicata nel 1866 a sue spese. Il paesaggio rappresentato esprime in modo simbolico l'interiorità del poeta che sembra immergersi negli elementi naturali da cui sprigiona un senso di profonda malinconia. La parola e il verso esprimono sfumature musicali che, secondo la poetica di Verlaine, costituiscono l'essenza stessa dell'arte poetica del suo tempo. L'autunno viene metaforicamente rappresentato come una melodia struggente: le note prolungate e dolenti dei violini infondono nel cuore del poeta un senso di estenuazione senza fine. L'autunno produce un senso di malinconia opprimente e un senso di infinita stanchezza prodotta dal vento che simboleggia la fatica di vivere. L'autunno qui non rappresenta solo una stagione, ma una fase della vita, un passaggio nel percorso che conduce alla morte, una fine ed un inizio, la malinconia e la nostalgia. 

Chanson d'automne venne anche utilizzata per l'annuncio dello Sbarco in Normandia alla resistenza francese, dato il primo giugno del 1955 con una frase in codice trasmessa da Radio Londra: i primi tre versi, " Les sanglots longs/des violons/de l'automne", avvertirono i francesi situati nella regione d'Orléans di compiere azioni di sabotaggio alla rete logistica tedesca nei giorni successivi. Da quel momento tutte le trasmissioni radio dovevano essere continuamente ascoltate in attesa della seconda strofa:"Blassent mon cœur/d'une longueur/monotone", che venne trasmessa il 5 giugno, e che diede il segnale che l'invasione sarebbe avvenuta entro 48 ore.

 

Les sanglots longs

Des violons

De l'automne

Blessent mon cœur

D'une longueur 

Monotone.

Tout suffocant 

Et blême, quand

Sonne l'heure,

Je me souviens

Des jours anciens

Et je pleure

Et je m'en vais

Au vent mauvais

Qui m'emporte

Deçà, delà,

Pareil à la 

Feuille morte

 

 

I singhiozzi lunghi

dei violini d'autunno

mi feriscono il cuore

con languore

monotono.

Ansimante

e smorto, quando

l'ora rintocca,

io mi ricordo

dei giorni antichi

e piango;

e me ne vado

nel vento ostile

che mi trascina 

di qua e di là

come foglia

morta.

 

 



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Inviato il 09 dicembre 2019 11:37

La vita non è un sogno è la settima opera di Salvatore Quasimodo, che abbandona ormai definitivamente i temi e il linguaggio della poesia ermetica e riafferma l'importanza della svolta etica della poesia, che può vincere il dolore e portare la verità al popolo. È un libro che esprime sentimenti positivi e ideali costruttivi. Le poesie sono in tutto nove e ognuna esprime un valore etico fondamentale valido per sé stesso e di modello per gli altri che vivono nell'Italia del dopoguerra.

Nella quarta poesia Colore di pioggia e di ferro, Quasimodo esprime con forza la sua rabbia per i morti della guerra.

Nella sesta poesia Anno Domini MCMXLVII il poeta dà voce  al suo desiderio di pace.

Nella splendida ottava poesia Thanatos Athanatos Quasimodo chiede a Dio di dare risposte agli uomini sulla vita e sulla morte.

 

Colore di pioggia e di ferro

 

Dicevi: morte, silenzio, solitudine;

come amore, vita. Parole

delle nostre provvisorie immagini.

E il vento s'è levato leggero ogni mattina

e il tempo colore di pioggia e di ferro

è passato sulle pietre,

sul nostro chiuso ronzio di maledetti.

Ancora la verità è lontana.

E dimmi, uomo spaccato sulla croce,

e tu dalle mani grosse di sangue,

come risponderò a quelli che domandano?

Ora, ora: prima che altro silenzio

entri negli occhi, prima che altro vento

salga e altra ruggine fiorisca.

 

Anno Domini MCMXLVII

 

Avete finito di battere i tamburi

a cadenza di morte su tutti gli orizzonti

dietro le bare strette alle bandiere,

di rendere piaghe e lacrime a pietà

nelle città distrutte, rovina su rovina.

E più nessuno grida:<< Mio Dio

perché mi hai lasciato?>>. E non scorre più latte

né sangue dal petto forato. E ora

che avete nascosto i cannoni fra le magnolie,

lasciateci un giorno senz'armi sopra l'erba

al rumore dell'acqua in movimento,

delle foglie di canna fresche tra i capelli

mentre abbracciamo la donna che ci ama.

Che non suoni di colpo avanti notte

l'ora del coprifuoco. Un giorno, un solo

giorno per noi, padroni della terra,

prima che rulli ancora l'aria e il ferro

e una scheggia ci bruci in piena fronte.

 

Thanatos Athanatos

 

E dovremmo dunque negarti, Dio

dei tumori, Dio del fiore vivo,

e cominciare con un no all'oscura 

pietra <<Io sono>> e consentire alla morte

e su ogni tomba scrivere la sola

nostra certezza: <<Thanatos Athanatos>>?

Senza un nome che ricordi i sogni

le lacrime i furori di quest'uomo

sconfitto da domande ancora aperte?

Il nostro dialogo muta; diventa 

ora possibile l'assurdo. Là

oltre il fumo di nebbia, dentro gli alberi

vigila la potenza delle foglie,

vero il fiume che preme sulle rive.

La vita non è un sogno. Vero l'uomo

e il suo pianto geloso del silenzio.

Dio del silenzio, apri la solitudine.

 

 

 



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Inviato il 11 dicembre 2019 11:06

" La poesia, nel passato, era il centro della nostra società, ma con la modernità si è ritirata ai suoi margini. Io penso che l'esilio della poesia sia anche l'esilio del meglio del genere umano ".

La letteratura e la politica segnarono per sempre il destino di Octavio Paz: nacque tra i libri e vide la luce tra le rivoluzioni tanto del suo paese quanto fuori dalle frontiere. Il mondo narrativo di Paz cattura per la profondità del suo sguardo e per il singolare spessore della sua immaginazione. La sua produzione e la sua poesia sono luminose, diritte, naturali, lontane da qualsiasi sentimentalismo, esibizionismo o oscurantismo.

 

Temporal

 

En la montaña negra

el torrente delira en voz alta

A esta misma hora

tú avanzas entre precipicios

por tu cuerpo dormido

El viento lucha a obscuras con tu sueño

maraña verde y blanca

encina niña encina milenaria

el viento te descuaja y te arrostra y te arrasa

abre tu pensamiento y lo dispersa

Torbellino tus ojos

torbellino tu ombligo

torbellino y vacío

El viento te exprime como un racimo

temporal en tu frente

temporal en tu nuca y en tu vientre

Como una rama seca

el viento te avienta

El torrente entra en tu sueño

manos verdes y pies negros

ruedo por la garganta

de piedra de la noche 

anudada a tu cuerpo

de montaña dormida

El torrente delira 

entre tus muslos

soliloquio de piedras y de agua

Por los acantilados

de fu frente

pasa un río de pájaros

El bosque dobla la cabeza

como un toro herido 

el bosque se arrodilla

bajo el ala del viento 

cada vez más alto 

el torrente delira

cada vez más hondo

por tu cuerpo dormido

cada vez más noche.

 

 

 

Nella montagna nera 

il torrente delira a voce alta

A quella stessa ora

avanzi tra precipizi

nel tuo corpo sopito

Il vento lotta al buio col tuo sogno

boscaglia verde e bianca

quercia fanciulla quercia millenaria

il vento ti sradica e trascina e rade al suolo

apre il tuo pensiero e lo disperde

Turbine i tuoi occhi

turbine il tuo ombelico

turbine e vuoto

Il vento ti spreme come un grappolo

temporale sulla tua fronte

temporale sulla tua nuca e sul tuo ventre

Come un ramo secco

il vento ti sbalza

Nel tuo sogno entra il torrente

mani verdi e piedi neri

rotola per la gola

di pietra nella notte

annodata al tuo corpo

di montagna sopita

Il torrente delira

fra le tue cosce

soliloquio di pietre e d'acqua

Sulle scogliere

della tua fronte passa

come un fiume d'uccelli 

Il bosco reclina il capo

come un toro ferito

il bosco s'inginocchia

sotto l'ala del vento 

ogni volta più alto

il torrente delira 

ogni volta più fondo

nel tuo corpo sopito 

ogni volta più notte 

 

 



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Inviato il 13 dicembre 2019 10:12

Montale descrisse le parole di Antonia Pozzi così:" sono asciutte e dire come sassi" "vestite di veli bianchi strappati", ridotte al "minimo peso". Sono parole quelle della Pozzi che trasferiscono peso e sostanza alle immagini per liberare l'animo oppresso ed effondere il sentimento nelle cose trasfigurate.

 

Inverno

 

Fili neri di pioppi

fili neri di nubi

sul cielo rosso

e questa prima erba

libera dalla neve

chiara

che fa pensare alla primavera

e guardare 

se ad una svolta 

nascono le primule.

Ma il ghiaccio inazzurra i sentieri

la nebbia addormentata i fossati

un lento pallore devasta

i dolori del cielo.

Scende la notte -

nessun fiore è nato -

è inverno - anima -

è inverno.

 



Seija
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Inviato il 16 dicembre 2019 15:30

Pierre Reverdy rappresenta una complessa figura di intellettuale e di raffinato poeta, anche se poco noto in Italia. Legato al cubismo e al dadaismo, fu uno dei precursori del surrealismo.

La sua poetica era tutta tesa a privilegiare la verità poetica sulla realtà, a ridurre, in un linguaggio semplice, rigoroso, geometrico, il divario fra  sentimento ed espressione, fra visione e rappresentazione. In Reverdy lo spazio della scrittura è la calibrazione precisissima dell'immagine, senza sfocamento. Le sue poesie sono un tessuto di immagini concrete e misteriose allo stesso tempo.

 

Chair vive

 

Lève-toi carcasse et marche

Rien de neuf sous le soleil jaune

Le der des der des louis d'or

La lumière qui se détache

Sous les pellicules du temps

La serrure du cœur qui éclate

Un fil de soie

Un fil de plomb

Un fil de sang

Après ces vagues de silence

Ces signes d'amour au crin noir

Le ciel plus lisse que ton œil 

Le cou tordu d'orgueil

Ma vie dans la coulisse

D'où je vois onduler les moissons de la mort

Toutes ces mains avides qui petrissent des boules de fumée

Plus lourdes que les piliers de l'univers

Têtes vides

Cœurs nus

Mains parfumées

Tentacules des singes qui visent les nuées

Dans les rides de ces grimaces

Une ligne droite se tend 

Un nerf se tord 

La mer repue

L' amour

L' amer sourire de la mort

 

 

Tirati su carcassa e cammina

Niente di nuovo sotto il sole giallo

L' ultimo degli ultimi luigi d'oro

La luce che si stacca 

Sotto le pellicole del tempo

La serratura del cuore che scoppia

Un filo di seta

Un filo di piombo

Un filo di sangue

Dopo queste ondate di silenzio

Questi segni d'amore dal crine nero

Il cielo più levigato del tuo occhio

Il collo torto d'orgoglio

La mia vita dietro le quinte

Da cui vedo ondeggiare le messi della morte

Tutte queste mani avide che plasmano gomitoli di fumo

Più pesanti dei pilastri dell'universo

Teste vuote

Cuori nudi

Mani profumate

Tentacoli di scimmie che prendono di mira le nuvole

Nelle righe di queste smorfie

Una linea dritta si tende

Un nervo si torce

Il mare sazio

L' amore

L' amaro sorriso della morte

 

 

 

 

 



Seija
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Inviato il 21 dicembre 2019 15:19

Pochi in Italia conosco Philips Larkin, non esistono quasi edizioni italiane delle sue opere, anche se in UK è un classico. Larkin era un uomo comune, un bibliotecario: amava il jazz, l'alcool e andare in bici nelle campagne inglesi. Non è mai uscito dal Regno Unito e non ha mai fatto il poeta, ha sempre vissuto e lavorato ad Hull, scrivendo poesie la sera. La sua vita è "uneventful", triste, è spesso accusato di conservatorismo e pure di misoginia ( anche se è più corretto dire che Larkin odia tutto, quindi più che misogino direi misantropo ).

Larkin appare vecchio, burbero e incattivito dalla solitudine  e così viene incluso in quel gruppo di letterati inglesi chiamati Movement, una corrente poetica che aveva riportato in auge i metri tradizionali inglesi ( elisabettiani in particolare ), in forte opposizione alla sperimentazione eliotiana. I poeti del Movement scrivono con toni mesti di argomenti minimi ( periferie inglesi, vita borghese ), descritti senza alcuna trascendenza simbolista.

Larkin adotta sì una metrica tradizionale, un lessico quotidiano e un soggetto "provinciale", ma ciò che le sue poesie esprimono vanno totalmente oltre.

Il poeta parla della sua vita, che è poi la vita di tutti, della gente che fa le vasche in centro il sabato pomeriggio, che si veste male e compra oggetti in svendita. Però, dietro questa patina grigia e modesta, Larkin riesce ad esprimere tutta l'angoscia esistenziale che caratterizza l'uomo del ventesimo secolo. Il quadro complessivo della vita umana che emerge dalle sue poesie è di desolazione, desiderio e fallimento di condurre una vita significativa e, infine la morte. Queste tematiche inseriscono l'opera di Larkin in un panorama letterario estremamente contemporaneo ed europeo, avvicinando la sua idea di individuo a quella di altri: Beckett, Camus, Kafka. A differenza di questi, la poesia di Larkin però lascia da parte ogni simbolismo ed è calata in una metrica tradizionale e una lingua semplice. I suoi personaggi si muovono in un mondo facilmente riconoscibile e compiono azioni ordinarie. Nonostante questo sono poesie dell'uomo per l'uomo, del disagio interiore, che si occupano dei massimi sistemi della vita.

 

Continuing To Live 

 

Continuing to live-that is, repeat

A habit formed to get necessaries-

Is nearly always losing, or going without.

It varies.

 

This lass of interest, hair, and enterprise-

Ah, if the game where poker, yes,

You might discard them, draw a full house!

But it's chess.

 

And once you have walked the length of your mind, what

You command is clear as a lading-list.

Anything else must not, for you, be thought 

To exist.

 

And what's the profit? Only that, in time,

We half-identify the blind impress,

All our behavings bear, may trace it home.

But to confess,

 

On that green evening when our death begins,

Jus whait it was, is hardly satisfying,

Since it applied only to one man once,

And that one dying.

 

Continuare a vivere- cioè ripetere

un'abitudine che serve a procacciarsi il necessario-

vuol dire quasi sempre perdere, o far senza.

Dipende.

 

Questa perdita d'interesse, capelli, e iniziativa 

ah, se il gioco fosse poker, sì,

uno potrebbe scartarli, e fare full!

Invece è scacchi.

 

E una volta che hai percorso la lunghezza della tua mente, ciò

su cui hai il controllo è chiaro come una bolla di carico:

nient'altro, per te, devi pensare che esista.

 

E qual è il vantaggio? Soltanto che, col tempo,

ci sembra di riconoscere la cieca impronta

dei nostri modi di fare, ne vediamo l'origine.

Ma confessare,

 

nella verde sera in cui comincia la nostra morte,

soltanto ciò che fu, non può bastare,

perché riguarda un solo uomo alla volta,

e quell'uomo muore.

 

The trees

 

The trees are coming intorno leaf

Like something almost being said;

The recent buds relax and spread,

Their greenness is a kind of grief.

 

Is it that they are born again 

And we grow old? No, they die too.

Their yearly trick of looking new

is written down in the rings of grain.

 

Yet still the unresting castles thresh

in fullgrown tickness every May.

Last year is dead, theat seem to say,

Begin afresh, afresh.

 

 

Tornano sugli alberi le foglie

Qualcosa sta per essere annunciato;

Gli ultimi germogli si schiudono adagio,

Nel loro verde c'è una specie di dolore.

 

Forse loro hanno nuova vita 

E noi invecchiamo? No, anche loro muoiono.

È questo il prodigio dei venati anelli

Sembrare negli anni sempre nuovi.

 

Eppure, si dibattono nel maggio

Turbate e solenni fortezze.

Sembrano dire l'anno passato è morto,

E ancora si riparte, e ancora e ancora.

 

 

No Road

 

Since we agreed to let the road between us fall to disuse,

and bricked our gates up, planted trees to screen us,

and turned all time's eroding agents loose,

silence, and space, and strangers-our neglect 

has not had much effect.

 

Leaves drift unswept, perhaps; grass creeps unmown 

no other change.

So clear it stands, so little over grown,

walking that way tonight would not seem strange,

and still would be allowed. A little longer,

and time would be the stronger,

 

drafting a world where no such road will run

from you to me;

to watch that world come up like a cold sun,

rewarding others, is my liberty.

Not to prevent it is my will's fulfillment.

Willing it, my aliment.

 

 

Da quando abbiamo deciso di lasciare

 

che cadesse in disuso la strada tra noi,

 

e murati i cancelli, piantato alberi

 

atti a nasconderci, data piena libertà

 

a tutti gli agenti corrosivi del tempo,

 

spazio, silenzio, estranei-

 

la nostra incuria non ha avuto molto effetto.

 

Foglie sparse, forse; ciuffi d'erba;

 

non è cambiato altro.

 

Sta ancora così pulito, così sgombro,

 

quel sentiero, che percorrerlo stanotte

 

non sembrerebbe strano,

 

e sarebbe permesso, ancora. Tra poco,

 

il tempo avrà la meglio,

 

tracciando un mondo in cui nessuna strada 

 

correrà più  così tra me e te;

 

e guardare quel mondo realizzarsi

 

come un gelido sole che riscalda

 

soltanto gli altri, è la mia libertà.

 

Non fare nulla perché ciò non si compia

 

è il compimento della mia volontà.

 

Desiderarlo, il mio tormento.

 

 

 

 

Modificato il 05 July 2024 17:07

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Inviato il 29 dicembre 2019 14:37 Autore

Le differenti versioni della storia di Caino e Abele hanno in comune tra loro la gelosia e l'invidia come movente del fratricidio. Che sia per l'amore, per la terra o per la considerazione di Dio, Caino si mostra debole: teso tra l'assecondare i propri istinti peggiori e la scelta della strada meno battuta, che significa dominarli, accettare le sconfitte e andare avanti, compie la scelta peggiore, lordando le proprie mani con il sangue di Abele. È incapace di dominare un istinto che finisce per travolgerlo. L'emblema dell'uomo che cede alla violenza.

Caino è un essere fallibile, e fallisce. Questo non attenua in alcun modo la sua colpa. D'altro canto, il mito non ci racconta di un Dio. Caino è un uomo. Meglio, Caino è specchio dell'umanità. Ed è questa la chiave della poesia che ho scelto per oggi.

 

310px-Titian-Cain-and-Abel.jpg

(Caino uccide Abele, Tiziano)

 

La lirica si apre con il poeta che insegue Caino attraverso un bosco, in preda a una febbrile, incontrollabile, viscerale voglia di assecondare i propri istinti. È una scena assai vivida: egli corre dietro a Caino, colui che persegue il male per ritagliarsi e conservare una propria, miseranda posizione; Caino, che è uomo ma anche pastore di lupi, un fratricida, un'ombra, una figura che è forse essa stessa poesia. Un uomo che non è fatto a immagine di Dio, ma a immagine del cuore. E accade, nell'ora più buia, che Caino svanisce nell'oscurità, lasciando il poeta solo e spaesato: qui, nelle tenebre insondabili, ogni interpretazione diviene possibile.

 

Eppure, quando il pensiero di un nuovo giorno si avvicina, pur ebbro di una dimensione lirica oscura, il poeta fa infine i conti con l'anima e con la memoria. Egli ha, da un lato, la necessità di guardare oltre i propri istinti peggiori, di ritrovare una sorta di innocenza senza la quale non è possibile riappacificarsi con se stesso, per tornare a vedere oltre la “notte del sangue”; dall'altro, il poeta si chiede se sia possibile liberarsi dalle ceneri sedimentate nella memoria, se si possa addirittura immaginarne una nuova e al contempo onesta. Un quesito che Giuseppe Ungaretti lascia insoluto.

 

 

Caino


Corre sopra le sabbie favolose
e il suo piede è leggero.
O pastore di lupi,
hai i denti della luce breve
che punge i nostri giorni.
Terrori, slanci,
rantolo di foreste, quella mano
che spezza come nulla vecchie querci,
sei fatto a immagine del cuore.
E quando è l’ora molto buia,
il corpo allegro
sei tu fra gli alberi incantati?
E mentre scoppio di brama,
cambia il tempo, t’aggiri ombroso,
col mio passo mi fuggi.
Come una fonte nell’ombra, dormire!
Quando la mattina è ancora segreta,
saresti accolta, anima,
da un’onda riposata.
Anima, non saprò mai calmarti?
Mai non vedrò nella notte del sangue?
Figlia indiscreta della noia,
memoria, memoria incessante,
le nuvole della tua polvere,
non c’è vento che se le porti via?
Gli occhi mi tornerebbero innocenti,
vedrei la primavera eterna
e, finalmente nuova,
o memoria, saresti onesta.

Modificato il 05 July 2024 17:07


Seija
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Inviato il 07 gennaio 2020 17:13

Nel 1957 Mario Luzi pubblica Onore del vero. Nato a Castello, presso Firenze, nel 1914, Luzi si è ritagliato un posto importante nella storia della letteratura italiana del XX secolo: attivo sostenitore della cultura ermetica e cattolica, è poeta spesso oscuro, talvolta difficile, ma sempre animato da una grande tensione intellettuale ed emotiva che cerca il perché delle cose, il senso dell'esperienza e della civiltà umana. La sua prima raccolta poetica La barca è del 1935. Da allora il poeta sembra muoversi principalmente sul binario dell'ermetismo fiorentino: la sua parola anela ad una verità segreta e inafferrabile, e si esprime con immagini balenanti e sfuggenti.

Con Onore del vero si ha un passaggio dall'ermetismo al realismo. Senza approdare a nessuna ideologia veramente realista, il poeta riconosce fino in fondo il valore della realtà, scoprendo la verità nelle cose più povere e fragili, nelle occasioni più banali della vita quotidiana, nei gesti semplici di cui afferma l'onore. E attingendo ad una lunga tradizione di ascendenza classica, Luzi ritrova il valore delle cose vere e semplici nella vita contadina, di cui esalta l'ambiente, le radici e lo stile di vita povero ed essenziale. È un mondo nel quale si crea grande condivisione e solidarietà nella piena accettazione di una vita cristiana e sofferente, che qualche volta trova la possibilità di viaggiare con la fantasia e immergersi direttamente in episodi del passato o della storia sacra, riflessi di una religiosità latente che alberga nell'animo del poeta. Un animo, in ogni modo, da cui emerge sofferenza e amarezza. Da Onere del vero emerge l'inquietitudine di un uomo in piena crisi novecentesca: ed è certamente il testamento letterario più importante di uno scrittore che crede ancora nel valore pieno della poesia.

Nella poesia scelta per oggi, il poeta descrive una giornata invernale in montagna mentre soffia la tramontana. Vivida è la sofferenza che il poeta, simbolo di tutta l'umanità, prova ogni giorno quando si è soli e tristi e subisce l'inclemenza del clima che diventa il simbolo della natura ostile verso gli uomini. Il poeta cerca spontaneamente Dio di sua volontà perché desidera che la sua presenza dia un senso alla sofferenza degli uomini.

 

Come tu vuoi

 

La tramontana screpola le argille, 

stringe, assoda le terre di lavoro,

irrita l'acqua nelle conche; lascia 

zappe confitte, aratri inerti

nel campo. Se qualcuno esce per legna, 

o si sposta a fatica o si sofferma

rattrappito in cappucci e pellegrine,

serra i denti. Chi regna nella stanza

è il silenzio del testimone muto

della neve, della pioggia, del fumo,

dell'immobilità del mutamento.

 

Sono qui che metto pine

sul fuoco, porgo orecchio

al fremere dei vetri, non ho calma 

né ansia. Tu che per lunga promessa

vieni ed occupi il posto

lasciato dalla sofferenza

non disperare o di me o di te

fruga nelle adiacenze della casa,

cerca i battenti grigi della porta.

A poco a poco la misura è colma,

a poco a poco, a poco a poco, come

tu vuoi, la solitudine trabocca,

vieni ed entra, attingi a mani basse.

 

È un giorno dell'inverno di quest'anno,

un giorno, un giorno della nostra vita.

 



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Inviato il 16 gennaio 2020 17:35

Tra le raccolte di poesie di Wystam Hugh Auden un posto molto particolare spetta ad Un altro tempo. Il periodo della composizione abbraccia la vigilia e gli inizi della seconda guerra mondiale, e comprende i giorni di una decisione drammatica  nella vita del poeta: lasciate l'Inghilterra e stabilirsi negli Stati Uniti. Auden interpreta da poeta non solo l'invasione tedesca della Polonia, ma anche la scomparsa di figure come Yeats e Freud. Freud.Un altro tempo è tipicamente audeniano anche perché alterna liriche metafisiche ad altre cosiddette light, che sono tra le sue più famose; e perché l'omaggio ai grandi del passato ( Meville, Rimbaud, Voltaire ) non escluda l'attenzione per le piccole creature del presente.

 

Another Time

 

For us like any other fugitive,

Like the numberless flowers that cannot number

And all the beasts that need not remember,

It is to-day in which we live.

So many try to sai Not Now,

 

So many have forgotten how

 

To say I Am, and would be

 

Lost, if they could, un history.

 

Bowing, for instance, with soch old-world grace

To a proper flag in a proper place,

Muttering like ancients as they stump upstairs

 

Of Mine and His or Our and Theirs.

 

Just as if time were what they used to wice

When it was gifted with possession stice,

Just as if they were wrong

In no more wishing to belong.

 

No wonder then so many die of grief,

So many are so lonely as they die;

No one has yet believed or liked a lie:

Another time has other lives to live.

 

Per noi come per gli altri esiliati,

 

come per gli incontabili fiori che non sanno contare

 

e tutti gli animali che non devono ricordare,

 

è oggi che viviamo.

 

Tanti provano a dire Non Ora,

 

tutti hanno dimenticato come

 

si dice Io Sono, e di sarebbero 

 

persi, se avessero potuto, nella storia.

 

Per esempio, chinandosi con grazia antiquata

 

alla bandiera giusta nel posto giusto,

 

borbottando come vecchi mentre s'arrampicano per le scale

 

del Mio e del Suo o del Nostro e del Loro.

 

Proprio come se il tempo fosse quel che volevamo

 

quando ancora era dato in dono e in possesso,

 

proprio come se avessero torto

 

a non desiderare più di appartenere.

 

Nessuna meraviglia se tanti muoiono di dolore,

 

tanti sono così soli quando muoiono;

 

nessuno ha ancora creduto o gradito una bugia:

 

un altro tempo ha altre vite da vivere.

 

 

 

 

 

 



Seija
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Inviato il 23 gennaio 2020 17:02

L' esistenza di Sara Teasdale trascorse fra problemi di salute che non le permisero di frequentare regolarmente una scuola pubblica e amori che credeva eterni, ma che non erano per lei. Scoprì tardi ( quattro anni prima del suicidio ) la sua omosessualità, che forse rimase latente per troppi anni trasformandosi in un fardello troppo pesante per la sua fragile mente. Cominciò a scrivere durante gli anni dell' adolescenza. La sua prima pubblicazione è datata 1907, ma scrisse molte liriche che vennero date alle stampe soprattutto nel decennio successivo e che la fecero conoscere per l'intensità dei versi. Nel 1918 con Love Song vinse il suo primo Pulitzer Prize di poesie. Per oggi ho scelto Winter Stars, in un mondo dove tutto cambia, e non in meglio, si può far affidamento solo sulla bellezza delle immutabili stelle.

 

I went out at night alone;

The young blood flowing beyond the sea

Seemed to have drenched my spirit's wings-

I bore my sorrow heavily.

 

But when I lifted up my head 

From shadows shaken on the snow,

I saw  Orion in the east 

Burn steadily as long ago.

 

From windows in my father's house,

Dreaming my dreams in winter nights,

I watched Orion as a girls

Above another city's lights.

 

Years go, dreams go, and youth goes too,

The world's heart breaks beneath its wars,

All things are changed, save in the east

The faithful beauty of the stars.

 

 

Sono uscita di notte, da sola:

Il sangue giovane che scorreva al di là del mare

Sembrava aver infradiciato il mio spirito-

Duramente sopportavo il mio dolore. 

 

Ma quando ho sollevato la testa

Dalle ombre tremanti sulla neve,

Ho visto Orione, verso est,

Brillare costante come un tempo.

 

Dalle finestre della casa di mio padre,

Sognando i miei sogni nelle notti d'inverno,

Guardavo Orione quand'ero bambina 

Al di sopra delle luci di un'altra città.

 

Passano gli anni, passano i sogni, passa anche la giovinezza

Il cuore del mondo sotto il peso delle sue guerre si spezza,

Tutto è cambiato, tranne, verso est,

La fedele bellezza delle stelle.

 

 

 

 

 

 

 



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Inviato il 25 gennaio 2020 12:13

Poeta dai toni accesi e dalla ostentazione verbale, ma al tempo stesso di una tristezza disincantata ed elusiva, Corrado Govoni percorse con originalità il complesso universo che si andava muovendo intorno alla "nuova poesia", sorta nella prima quindicina del XX secolo. La sua esperienza letteraria si contraddistingue per uno spiccato eclettismo poetico: simbolismo-liberty di stampo dannunziano, crepuscolarismo, vocianesimo, Futurismo. Govoni passa attraverso tutte le stazioni della passione lirica italiana del primo Novecento, << senza però che mai l'adozione di una tendenza comporti il netto superamento delle precedenti.>>

 

 

Charlot

 

Con la tua bombetta all'idrogeno

piena d'uova di pasqua e canarini;

con la tua finanziera rattoppata

che hai nelle tasche i resti dell'aquilone

impiccato al lampione del sobborgo

per rumoroso vertebrato fazzoletto;

con la tua giannettina di rabdomante,

scettro di re in esilio,

bastone del vescovo pazzo,

vincastro del pastore;

con le tue scalcagnate scarpe

buone da far bollire nella pentola

nei giorni della carestia;

pagliaccio schiaffeggiato dai milioni:

girerai sempre l'ironico disco

della luna dei poveri

col tuo tacco di eterno vagabondo,

usignolo fischiato dal silenzio,

sull'ipocrito cuore del mondo.

 

 

La trombettina

 

Ecco che cosa resta

di tutta la magia della fiera

quella trombettina

di latta azzurra e verde,

che suona una bambina

camminando scalza, per i campi.

Ma, in quella nota sforzata,

ci son dentro i pagliacci bianchi e rossi,

c'è la banda d'oro rumoroso,

la giostra coi cavalli, l'organo, i lumini.

Come, nello sgocciolare della gronda,

c'è tutto lo spavento della bufera,

la bellezza dei lampi e l'arcobaleno;

nell'umido cerino d'una lucciola

che si sfalda su una foglia di brughiera

tutta la meraviglia della primavera.

 

 

Siepe

 

All'odore crudele 

che viene dalle spine della siepe

il tuo sangue amareggia l'amore,

e ti diventan gli occhi 

una luce cattiva pigiata.

Sulla tua statua che cammina

aprendo una nuova strada nel vento

invano battono le mie parole

come gocce di rugiada da me scossa.

Prego l'erba dell'argine ti venga incontro

con la lampada avvelenata del gigaro

per far soffrire la tua bocca rossa.

 

 

Il palazzo dell'anima

 

Triste dimora! Aborti nelle fiale,

rachitici e verdastri. Sorridenti

bambole sparse ovunque. Sofferenti

in vasi d'ambra fior di digitale.

Campane di cristallo su agonie

di cera, rose maschere di seta

annegate nell'acqua ovale inquieta

degli specchi, malinconie impagliate.

Laggiù la città bianca col suo rombo

d'api e il suo fiume di ardente piombo,

come un pallido sogno di morfina.

Oh crepuscoli tristi d' anilina

sulle mura echeggianti di fanfare!

Da una finestra si scorge il mare.

 

 

 


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