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La poesia del giorno.
A di AemonTargaryen
creato il 22 marzo 2019

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AemonTargaryen
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AemonTargaryen
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Inviato il 27 marzo 2019 7:55 Autore

La poesia di Wisława Szymborska è eleganza e semplicità, ironia e profondità. Una scrittrice che non è stata insensibile alle vicissitudini politiche del proprio Paese. Questi versi riprendono il tema della guerra, della condizione umana, del tempo che passa e della memoria che sbiadisce. Un paesaggio di morte e di devastazione che a poco a poco si ricompone, proiettandosi, nel tempo, verso una sorta di normalità, fin quando l'erba, crescendo, non occulta la memoria dell'inferno passato e della faticosa ricostruzione.

 

Koniec i początek.

 

Po każdej wojnie
ktoś musi posprzątać.
Jaki taki porządek
sam się przecież nie zrobi.

 

Ktoś musi zepchnąć gruzy
na pobocza dróg,
żeby mogły przejechać
wozy pełne trupów.

 

Ktoś musi grzęznąć
w szlamie i popiele,
sprężynach kanap,
drzazgach szkła
i krwawych szmatach.

 

Ktoś musi przywlec belkę
do podparcia ściany,
ktoś oszklić okno
i osadzić drzwi na zawiasach.

 

Fotogeniczne to nie jest
i wymaga lat.
Wszystkie kamery wyjechały już
na inną wojnę.

 

Mosty trzeba z powrotem
i dworce na nowo.
W strzępach będą rękawy
od zakasywania.

 

Ktoś z miotłą w rękach
wspomina jeszcze jak było.
Ktoś słucha
przytakując nie urwaną głową.
Ale już w ich pobliżu
zaczną kręcić się tacy,
których to będzie nudzić.

 

Ktoś czasem jeszcze
Wykopie spod krzaka
przeżarte rdzą argumenty
i poprzenosi je na stos odpadków.

 

Ci, co wiedzieli
o co tutaj szło,
muszą ustąpić miejsca tym,
co wiedzą mało.
I mniej niż mało.
I wreszcie tyle co nic.

 

W trawie, która porosła
przyczyny i skutki,
musi ktoś sobie leżeć
z kłosem w zębach
i gapić się na chmury.


La fine e l’inizio.

 

Dopo ogni guerra
c’è chi deve ripulire.
In fondo un po’ d’ordine
da solo non si fa.

 

C’è chi deve spingere le macerie
ai bordi delle strade
per far passare
i carri pieni di cadaveri.

 

C’è chi deve sprofondare
nella melma e nella cenere,
tra le molle dei divani letto,
le schegge di vetro
e gli stracci insanguinati.

 

C’è chi deve trascinare una trave
per puntellare il muro,
c’è chi deve mettere i vetri alla finestra
e montare la porta sui cardini.

 

Non è fotogenico,
e ci vogliono anni.
Tutte le telecamere sono già partite
per un’altra guerra.

 

Bisogna ricostruire i ponti
e anche le stazioni.
Le maniche saranno a brandelli
a forza di rimboccarle.

 

C’è chi, con la scopa in mano,
ricorda ancora com’era.
C’è chi ascolta
annuendo con la testa non mozzata.

Ma presto lì si aggireranno altri
che troveranno il tutto
un po’ noioso.

 

C’è chi talvolta
dissotterrerà da sotto un cespuglio
argomenti corrosi dalla ruggine
e li trasporterà sul mucchio dei rifiuti.

 

Chi sapeva
di che si trattava,
deve far posto a quelli
che ne sanno poco.
E meno di poco.
E infine assolutamente nulla.

 

Sull’erba che ha ricoperto
le cause e gli effetti,
c’è chi deve starsene disteso
con una spiga tra i denti,
perso a fissare le nuvole.



Seija
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Seija
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Inviato il 27 marzo 2019 20:34

 Ogni poesia di Alain Jouffroy è un viaggio, nel mondo o all'interno di sé. È un'avventura rischiosa. Veloce. Le frasi sembrano lampi nella notte, scintille di corpi sfregati l'uno contro l'altro. Poesie come quadri.

 

Éros déraciné

 

Hanté

Frappée

Heureuse

Sans peur

Ta terre

Début enterré de ciel

Est celle où je m'envole

Pour te voler

Complète

 

Tu es cette proie

Cet aigle que j'emploie

La sortie du trou devient nid

Niche

Où pouliche tu galopes

Jusqu'au mors

- quand je te mors la cuisse

 

J'y suis passé

Par ton sexe de plumes

Volupté révoltée

Je ne reviendrai plus

D'où je suis parti

Sauf pour ton toit d'étoiles :

Nous nous sommes dévêtus

De nos nudités

Masqués par le sexe exhibé dans la joie

 

Tu n'as su ce secret que par moi

Qui en tapissé mes nuit avec toi

Mais tu l'avais devancé

Seule      Première

Par refus de tout ce qui tire en arrière

Et ton avance a accéléré ma voix

 

Sur ton sein

J'écoute le rire des dieux

Collé à ton cœur amazonien

Mien

Tiens-moi

Tu es ce que tu têtes

Tiens-moi la tête

Qui s'entête

Ne te tue pas

Ne te tue pas

Va jusqu'au tréfonds de toi

 

Aspire-moi

Avale-moi

Dévale en moi

Tu as parce'la digue

Il n'y a plus d'écluse

Ton eau est entré par tous mes pores

Mes tuyaux débouchés

Tirent comme des canons sur moi

Tu m'as inondé la voie

Tu as lancé ta flèche

De loin

Enflammé

Longeant de nuit la mer démontée

 

Tu n'as pas tremblé

Mais la terre l'a fait

Je me suis mis debout

J'ai embrassé ta cible

J'ai traversé ta cible

La mort dans tes yeux

La mort dans le miens

 

L'éclipse à voilé les étoiles

J'ai ressenti ce choc

Ce coup de boutoir dans l'être

Et j'ai rouvert les yeux

Sur une chance qui n'aveugle pas

Un soleil pour la planète entière

Un sourire qui succède aux cris

Aux larmes

Aux rires aux fou-rires des dieux

 

Aime-moi

Jusqu'à me défaire de moi

Aime-moi

Jusqu'à l'os définitif

Ce défi

Ce oui à tout

Qui ouvre tout à tout

T'ouvre

M'ouvre au non-fini de l'amour

La nuit où nous deferlerons pour mourir

Ne sera pas le but

Ne sera pas le but

 

Le jour se lève partout. Partons.

 

 

Assillata 

Stupita

Felice

Impavida

La tua terra 

Eretta in terra di cielo

È là che volerò

Per rubarti

Intera

 

Tu sei la preda 

L' aquila necessaria

L'uscita dalla tana diventa nido

Nicchia

Dove puledra galoppi

Fino al morso

_quando ti mordo la coscia

 

Ho attraversato

Il tuo sesso di piume

Voluttà in rivolta

Non tornerò più

Dove son partito

Tranne che per il tuo tetto stellato

Ci siamo svestiti

Di ogni nudità

Truccata dal sesso esibito dell'orgasmo

 

Ne hai saputo il segreto solo attraverso me

Che arredo le notti insieme a te

Ma tu l'avevi presagito

Da sola      Per prima

Col rifiuto di ciò che rigetta indietro

E il tuo presagio ha accelerato la mia voce

 

Sul tuo seno

Ascolto il riso degli dei

Stretto al tuo cuore di amazzone

Il mio

Tienimi

Tu sei ciò che succhi

Tienimi la testa

Che s'intesta

Non ti uccidere

Non ti uccidere

Va'nel profondo

 

Risucchiami 

Ingoia me

Precipita in me

Tu hai aperto la diga

Non c'è più chiusa

La tua acqua mi è entrata nei pori

I miei canali liberati

Mi colpiscono come cannoni

Tu mi hai inondato la strada

Tu hai lanciato la freccia

Da lontano

Infiammata

Costeggiando di notte il mare smembrato

 

Tu non hai tremato

Ma la terra l'ha fatto

Mi sono alzato

Ho abbracciato il tuo bersaglio

Ho attraversato il tuo bersaglio

La morte nei tuoi occhi

La morte nei miei occhi

 

L'eclisse ha velato le stelle

Ho sentito l'urto

Una bordata violenta nell'intimo

E ho riaperto gli occhi

Un sole per l'intero pianeta

Un sorriso che segue gli urli

Le lacrime

Le risa e le risa pazze degli dei

 

Amami

Fino a disfarmi di me

Amami

Consumami fino all'osso

Questa sfida

Questo totale assenso

Che apre tutto a tutto

Ti apre

Mi apre

La notte in cui prenderemo il largo per morire

Non sarà la fine

Non sarà la fine

 

Ovunque si fa giorno. Andiamo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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AemonTargaryen
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Inviato il 28 marzo 2019 23:14 Autore

La cifra della poetica di Raymond Carver risiede, coerentemente al resto della sua opera, nello scandagliare la condizione umana attraverso la prospettiva del vivere quotidiano, senza rinunciare all'utilizzo di un linguaggio semplice, comune. Come egli stesso ebbe a dire, nelle sue poesie ritroviamo un Carver più intimo, vulnerabile. È qui che può cogliersi, ancor più vividamente, il nucleo della sua opera.

In essa ritroviamo il ricorrere, costante, tanto di un soffocante senso di alienazione, quanto di un forte bisogno d'amore. E, nelle pur notevoli differenze stilistiche, è proprio qui che risiede il fil rouge che lega Carver a un altro grande scrittore americano: Charles Bukowski.

 

You Don’t Know What Love Is (an evening with Charles Bukowski)

 

You don’t know what love is Bukowski said
I’m 51 years old look at me
I’m in love with this young broad
I got it bad but she’s hung up too
so it’s all right man that’s the way it should be
I get in their blood and they can’t get me out
They try everything to get away from me
but they all come back in the end
They all came back to me except
the one I planted
I cried over that one
but I cried easy in those days
Don’t let me get onto the hard stuff man
I get mean then
I could sit here and drink beer
with you hippies all night
I could drink ten quarts of this beer
and nothing it’s like water
But let me get onto the hard stuff
and I’ll start throwing people out windows
I’ll throw anybody out the window
I’ve done it
But you don’t know what love is
You don’t know because you’ve never
been in love it’s that simple
I got this young broad see she’s beautiful
She calls me Bukowski
Bukowski she says in this little voice
and I say What
But you don’t know what love is
I’m telling you what it is
but you aren’t listening
There isn’t one of you in this room
would recognize love if it stepped up
and buggered you in the ass
I used to think poetry readings were a copout
Look I’m 51 years old and I’ve been around
I know they’re a copout
but I said to myself Bukowski
starving is even more of a copout
So there you are and nothing is like it should be
That fellow what’s his name Galway Kinnell
I saw his picture in a magazine
He has a handsome mug on him
but he’s a teacher
Christ can you imagine
But then you’re teachers too
here I am insulting you already
No I haven’t heard of him
or him either
They’re all termites
Maybe it’s ego I don’t read much anymore
but these people w! ho build
reputations on five or six books
termites
Bukowski she says
Why do you listen to classical music all day
Can’t you hear her saying that
Bukowski why do you listen to classical music all day
That surprises you doesn’t it
You wouldn’t think a crude bastard like me
could listen to classical music all day
Brahms Rachmaninoff Bartok Telemann
Shit I couldn’t write up here
Too quiet up here too many trees
I like the city that’s the place for me
I put on my classical music each morning
and sit down in front of my typewriter
I light a cigar and I smoke it like this see
and I say Bukowski you’re a lucky man
Bukowski you’ve gone through it all
and you’re a lucky man
and the blue smoke drifts across the table
and I look out the window onto Delongpre Avenue
and I see people walking up and down the sidewalk
and I puff on the cigar like this
and then I lay the cigar in the ashtray like this and take a deep breath
and I begin to write
Bukowski this is the life I say
it’s good to be poor it’s good to have hemorrhoids
it’s good to be in love
But you don’t know what it’s like
You don’t know what it’s like to be in love
If you could see her you’d know what I mean
She thought I’d come up here and get laid
She just knew it
She told me she knew it
Shit I’m 51 years old and she’s 25
and we’re in love and she’s jealous
Jesus it’s beautiful
she said she’d claw my eyes out if I came up here
and got laid
Now that’s love for you
What do any of you know about it
Let me tell you something
I’ve met men in jail who had more style
than the people who hang around colleges
and go to poetry readings
They’re bloodsuckers who come to see
if the poet’s socks are dirty
or if he smells under the arms
Believe me I won’t disappoint em
But I want you to remember this
there’s only one poet in this room tonight
only one poet in this town tonight
maybe only one real poet in this country tonight
and that’s me
What do any of you know about life
What do any of you know about anything
Which of you here has been fired from a job
or else has beaten up your broad
or else has been beaten up by your broad
I was fired from Sears and Roebuck five times
They’d fire me then hire me back again
I was a stockboy for them when I was 35
and then got canned for stealing cookies
I know what’s it like I’ve been there
I’m 51 years old now and I’m in love
This little broad she says
Bukowski
and I say What and she says
I think you’re.

 

Voi non sapete cos’è l’amore (una serata con Charles Bukowski)

 

Voi non lo sapete che cos’è l’amore ha detto Bukowski
Io ho 51 anni guardatemi
sono innamorato di questa pollastrella sono cotto ma anche lei si è fissata
e insomma va bene così è così che deve andare
gli entro nel sangue e non ce la fanno a sbattermi fuori
Le provano tutte per liberarsi di me
però alla fine tornano tutte indietro
Sono tornate tutte fuorché quella che avevo piantato
Ci ho pianto per quella
però in quei giorni piangevo facile
Non datemi da bere roba forte
se no divento cattivo
Posso starmene qui a bere birra
con voi hippies tutta la notte
potrei berne dieci litri di questa birra
e niente come fosse acqua
Ma se tocchiamo la roba forte
mi metto a buttar la gente fuori dalle finestre
butto fuori tutti dalla finestra I’ho già fatto
Ma voi non lo sapete che cos’è l’amore
Non lo sapete perché
non siete mai stati innamorati è chiaro
lo me la faccio con questa pollastrella lei è carina
Mi chiama Bukowski
Bukowski dice con questa vocina
e io dico Che c’è
Ma voi non lo sapete che cos’è l’amore
ve lo dico io che cos’è
ma voi non mi ascoltate
Non ce n’è uno di voi in questa stanza
che potrebbe riconoscere l’amore neanche se si alzasse
e ve lo mettesse nel c**o
L’ho sempre pensato che le letture di poesia significano svendersi
Guardatemi ho 51 anni e sono stato in giro
lo so che è svendersi
ma mi dico Bukowski
meglio svendersi che morire di fame –
Insomma eccovi qui e tutto va storto
Quel tizio come si chiama Galway Kinnell
ho visto la foto in una rivista
Ha un bel muso
ma è un professore
Cristo figuratevi
È anche vero che pure voi siete professori
ed ecco che sto già insultandovi
No non ne ho sentito parlare
non ho sentito nemmeno lui
Sono tutti termiti
Sarà il mio ego ma non leggo più molto
ma certa gente che costruisce
reputazioni su cinque o sei libri
termiti
Bukowski dice lei
Perché ascolti musica classica tutto il giorno
Non vi pare di sentirla mentre lo dice
Bukowski perché ascolti musica classica tutto il giorno
E’ sorprendente vero
Non l’avreste mai detto che un brutto bastardo come me
potesse ascoltare musica classica tutto il giorno
Brahms Rachmaninoff Bartok Telemann
me**a quassù non potrei scrivere
C’è troppo silenzio troppi alberi
Mi piace la città quello è il posto per me
metto su la mia musica classica ogni mattina
e mi siedo davanti alla macchina da scrivere
accendo un sigaro e fumo così guardate
e dico Bukowski sei un uomo fortunato
Bukowski l’hai sfangata
e sei un uomo fortunato
e il fumo azzurro galleggia sopra il tavolo
e io guardo fuori dalla finestra su Delongpre Avenue
e vedo la gente che va su e giù per il marciapiede
e tiro dal sigaro così
e poi appoggio il sigaro sul portacenere così
e faccio un respiro profondo
e attacco a scrivere
Bukowski questa sì che è vita dico
va bene esser poveri va bene avere le emorroidi
va bene essere innamorati
Ma voi non lo sapete che roba è
Voi non lo sapete che cosa vuol dire essere innamorati
Se la poteste vedere capireste quello che voglio dire
Lei era convinta che venissi quassù per scopare
Proprio così
Mi ha detto che lo sapeva
me**a ho 51 anni e lei ne ha 25
e siamo innamorati e lei è gelosa
Gesù è bellissimo
ha detto che mi strappava gli occhi se venivo quassù a scopare
Ecco, questo sì che è amore
Ma che cosa ne sapete voi
Lasciate che vi dica una cosa
ho incontrato uomini in galera che avevano più stile
della gente che bazzica i college
e va alle letture di poesia
Sono delle sanguisughe che vengono a vedere
se i calzini del poeta sono sporchi
o se gli puzzano le ascelle
Credetemi io non li deluderò quelli lì
Ma voglio che vi ricordiate questo
c’è solo un poeta in questa stanza stasera
solo un poeta in questa città stasera
forse solo un poeta vero in questa nazione stasera
e quello sono io
Che ne sapete voi della vita
Che ne sapete voi di qualsiasi cosa
Chi fra voi l’hanno mai licenziato da un lavoro
oppure ha mai picchiato la sua donna
oppure è stato mai picchiato dalla sua donna
Io sono stato licenziato cinque volte dalla Sears and Roebuck
Mi licenziavano e poi mi riassumevano di nuovo
facevo il magazziniere da loro a 35 anni
e poi mi hanno sbattuto



Seija
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Seija
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Inviato il 29 marzo 2019 9:20

Con Cartoline di mare vecchie e nuove, Nico Orengo si conferma come sensibile interprete di una natura animata e, nella sua semplicità fatta di particolari sorprendenti, fiabesca.

 

Lo spruzzo che leva 

la roccia trascina il

granchio sott'acqua

vicino alla stella marina :

è l'inizio di una cruenta 

mattina.

 

...............................................................

 

L'ofiura inganna l'anemone marino

cambiando in blu i tentacoli di scoglio

e a ventaglio avvolge la corolla,

petalo a petalo la smaglia

in cappio di amore e voglia.

 

...............................................................

 

Era estate di farfalle

perché troppi fiori

erano rimasti da

una primavera tarda.

La nube di farfalle

aveva confuso

l'immobilità delle tortore

che avevano abbandonato

i lunghi fili dell'Enel

per rifugiarsi alle case

dei cacciatori, spente

nei rovi di polverose 

more, eco di sparo.

 

...............................................................

 

Indovino' il cardellino

nel cantare l'attimo

dell'alba, quella luce

che spiazza vie e

correnti e induce

sulla terra a posare

il passo, infrangendo 

codici di brina

della nata bambina,

lei : la mattina.

 

 


*
***Silk***
Confratello
Utente
1752 messaggi
***Silk***
Confratello

*

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Inviato il 29 marzo 2019 15:58

Vorrei ringraziare l'ideatore del topic e gli altri utenti che lo hanno seguito. Questo rischia di essere uno dei topic, allo stesso tempo, più interessanti e vivi, tra le discussioni al momento in atto. Quindi, grazie. 

 

In un periodo come quello che stiamo vivendo e soprattutto in un weekend come quello che si appresta a iniziare, vorrei contribuire scegliendo una donna, che non solo è stata poetessa, scrittrice, ma anche attivista. Una donna che ha attraversato la propria attualità e che ha saputo trasformare gli intensi alti e bassi quotidiani in arte, collocandosi nell'ampiezza del suo tempo. Una donna dotata di grande umanità ed empatia: Maya Angelou

 

And still I rise

 

You may write me down in history

With your bitter, twisted lies,

You may trod me in the very dirt

But still, like dust, I'll rise.

 

Does my sassiness upset you?

Why are you beset with gloom?

'Cause I walk like I've got oil wells

Pumping in my living room.

 

Just like moons and like suns,

With the certainty of tides,

Just like hopes springing high,

Still I'll rise.

 

Did you want to see me broken?

Bowed head and lowered eyes?

Shoulders falling down like teardrops,

Weakened by my soulful cries?

 

Does my haughtiness offend you?

Don't you take it awful hard

'Cause I laugh like I've got gold mines

Diggin' in my own backyard.

 

You may shoot me with your words,

You may cut me with your eyes,

You may kill me with your hatefulness,

But still, like air, I'll rise.

 

Does my sexiness upset you?

Does it come as a surprise

That I dance like I've got diamonds

At the meeting of my thighs?

 

Out of the huts of history's shame I rise

Up from a past that's rooted in pain I rise

I'm a black ocean, leaping and wide,

Welling and swelling I bear in the tide.

 

Leaving behind nights of terror and fear I rise

Into a daybreak that's wondrously clear I rise

Bringing the gifts that my ancestors gave,

I am the dream and the hope of the slave.

I rise

I rise

I rise.

 

-------------------------------

Eppure mi rialzo

 

Puoi infangarmi nella storia
con le tue amare, contorte bugie.
Puoi schiacciarmi nella terra
ma, come la polvere, io mi rialzo.

 

La mia sfacciataggine ti disturba?
Perché sei afflitto dallo sconforto?
Perché cammino come se avessi pozzi di petrolio
che pompano nel mio salotto.

 

Proprio come le lune e i soli,
con la certezza delle maree,
come le speranze che volano alte,
io mi rialzo.

 

Volevi vedermi spezzata?
Con la testa china e gli occhi bassi?
Spalle cadenti come lacrime,
Indebolite dai pianti della mia anima?

 

La mia immodestia ti offende?
Non te la prendere così tanto
Solo perché io rido come se avessi miniere d’oro
Scavate nel mio giardino

 

Puoi ferirmi con le tue parole,
puoi trafiggermi con i tuoi sguardi,
puoi uccidermi con il tuo odio,
eppure, come la vita, io mi rialzo.

 

La mia sensualità ti disturba?
Ti coglie di sorpresa
Che io danzi come se avessi diamanti
alla confluenza delle mie cosce?

 

Dalle capanne della storia ignobile
io mi rialzo.
Da un passato radicato nel dolore
io mi rialzo.
Sono un oceano nero, impetuoso e vasto
che traboccante e gonfio avanza con la marea.

 

Lasciandomi indietro notti di terrore e paura io mi rialzo
in un nuovo giorno miracolosamente chiaro io mi rialzo
Portando i doni lasciati dai miei antenati,
sono la speranza e il sogno dello schiavo.
E così mi rialzo,
mi rialzo
mi rialzo. 

 

 

Modificato il 05 July 2024 17:07

"And now at last it comes. You will give me the Ring freely! In place of the Dark Lord you will set up a Queen. And I shall not be dark, but beautiful and terrible as the Morning and the Night! Fair as the Sea and the Sun and the Snow upon the Mountain! Dreadful as the Storm and the Lightning! Stronger than the foundations of the earth. All shall love me and despair!”

 

She lifted up her hand and from the ring that she wore there issued a great light that illuminated her alone and left all else dark. She stood before Frodo seeming now tall beyond measurement, and beautiful beyond enduring, terrible and worshipful. Then she let her hand fall, and the light faded, and suddenly she laughed again, and lo! she was shrunken: a slender elf-woman, clad in simple white, whose gentle voice was soft and sad.

 

“I pass the test”, she said. “I will diminish, and go into the West and remain Galadriel.”

 

***

 

"A ruler needs a good head and a true heart," she famously told the king. "A cock is not essential. If your Grace truly believes that women lack the wit to rule, plainly you have no further need of me." And thus Queen Alysanne departed King's Landing and flew to Dragonstone on her dragon Silverwing. [...] The queen died of a wasting illness in 100 AC, at the age of four-and-sixty, still insisting that her granddaughter Rhaenys and her children had been unfairly cheated of their rights. "The boy in the belly," the unborn child who had been the subject of so much debate, proved to be a girl when born in 93 AC. Her mother named her Laena. The next year, Rhaenys gave her a brother Laenor. 

 

 


Seija
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Inviato il 30 marzo 2019 12:25

Olga Broumas combina i toni epici e lirici dell'antica poesia greca con situazioni contemporanee, attraverso una lingua quotidiana priva di compromessi. L' amore, fisico e spirituale, diventa l'alfabeto di questo linguaggio, il filtro per leggere il mondo, come si può osservare nel testo che ho scelto per oggi che recupera e rilegge una delle fiabe più famose della tradizione occidentale.

 

Cinderella

 

Apart from my sisters, estranged 

from my mother, I am a woman alone

in a house of men

who secretly 

call themselves princes, alone

with me usually, under cover of dark. I am the one

allowed in

 

to the royal chambers, whose small foot conveniently 

fills the slipper of glass. The woman writer, the lady 

umpire, the madam chairman, anyone's wife

I know what I know.

And I once was glad

 

of the chance ti use it, even alone

in a strange castle, doing overtime on my own,

cracking

the royal code. The princes spoke

in their fathers' language, were eager to praise me

my nimble tougue. I am a woman in a state of siege,

alone

 

as one piece of laundry, strung on a windy clothsline a 

mile long. A woman co-opted by promises : the lure

of a job, the ruse of a choice, a woman forced 

to bear witness, falsely

against my kind, as each 

other sister was judged inadequate , bitchy, incompetent, 

jealous, too thin, too fat. I know what I know.

Wath sweet bread I make 

for myself in this prosperous house

is dirty, what good soup  I boil turns 

in my mouth to mud. Give 

me my ashes. A cold stove, a cinder-block pillow, wet

canvas shoes in my sisters', my sisters'hut .Or I swear 

 

I'll die young

like those favored before me, hand-picked each one 

for her joyful heart.

 

 

Lontana dalle mie sorelle, alienata

da mia madre, sono una donna sola

in una casa di uomini

che in segreto 

si definiscono principi, soli

con me di solito sotto la copertura del buio. Sono

quella ammessa nelle

 

stanze reali, quella il cui piccolo piede riempie

appropriatamente

la scarpetta di vetro. La scrittrice, l'arbitra,

la presidentessa, la moglie di chiunque.

Io so quel che so.

E un tempo ero grata

 

dell'opportunità di farne uso,anche da sola

in un castello straniero, facendo lo straordinario di mia

volontà, decifrando

il codice reale. I principi parlavano

nella lingua dei loro padri, erano entusiasti nel lodarmi,

la mia lesta lingua. Sono una donna sotto assedio,

sola

 

come un pezzo di biancheria, stesa al vento su una

corda di bucato

lunga un miglio. Una donna cooptata con promesse:

il miraggio

di un lavoro, l'inganno di una scelta, una donna

obbligata

a testimoniare, slealmente

contro il mio genere, dal momento che ogni

altra sorella era stata giudicata inadeguata, petulante,

incompetente,

gelosa, troppo magra, troppo grassa. So quel che so.

Il dolce pane che faccio

per me stessa in questa prospera casa

è sporco, la buona zuppa che cucino

diventa fango nella mia bocca. Dammi

le mie ceneri. Una fredda stufa, un cuscino di dure scorie,

scarpe

di tela bagnata nella capanna delle mie sorelle, delle mie sorelle. O giuro

che morirò giovane 

come quelle favorite prima di me, scelta ognuna 

per il suo gioioso cuore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 01 aprile 2019 19:18

Le parole di Luis Cernuda raccontano di un mondo poetico dolente, malinconico, tristemente sconfitto. Ma tra le righe emerge la voglia di parlare d'amore e di libertà, una libertà esistenziale, carnale, bruciante, fisica quanto mentale.

 

 

Carne de mar 

 

Dentro de breves días será otoño en Virginia,

cuando los cazadores, la miranda de lluvia,

vuelven a su tierra nativa, el árbor que no olvida,

corderos de apariencia terrible,

dentro de breves días será otoño en Virginia.

 

Sì, los cuerpos estrechamente enlazados,

los labios en la llave más íntima,

¿qué dirá él, hecho piel naufragio

o dolor con la puerta cerrada,

dolor frente a dolor,

sin esperar amor tampoco?

 

El amor viene y va, mira;

el amor viene y va,

sin dar limosna a nubes mutiladas,

por vestidos harapos de tierra,

y él no sabe, nunca sabrá más nada.

 

Ahora inútil pasar la mano sobre otoño.

 

 

Ancora pochi giorni e sarà autunno in Virginia,

allorché i cacciatori, con lo sguardo di pioggia,

tornano alla terra natia, l'albero che non dimentica,

agnelli di terribile aspetto;

ancora pochi giorni e sarà autunno in Virginia.

 

Sì, i corpi strettamente allacciati,

le labbra nella chiave più intima,

che dirà lui, fatto pelle di naufragio

o dolore a porte chiuse,

dolore di fronte a dolore,

senza neanche aspettarsi amore?

 

L'amore viene e va, vedi; 

l'amore viene e va,

senza dare elemosina a nubi mutilate,

con cenci di terra per vestiti,

e lui non sa, lui non saprà mai nulla.

 

Ora è inutile passar la mano sull'autunno.

 

 

 


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Inviato il 01 aprile 2019 20:43 Autore

Julio Cortázar visse una vita fondamentalmente nomade, sul piano fisico come su quello spirituale. Una vita sospesa tra le due sponde dell'Atlantico, tra Europa e America latina. Uno dei suoi tratti caratteristici fu il grande idealismo: egli, pur nato liberale,  "un producto del turismo y la diplomacia", finì per divenire un grande uomo di sinistra. Un uomo di sinistra che, paradossalmente, dovette moltissimo a un uomo di destra come Borges, colui che lo scoprì. Peraltro, molte delle cose nelle quali Cortázar credette finirono per infrangersi rovinosamente sugli scogli della storia.
Fu uno scrittore frizzante, dotato di una creatività assai peculiare: in tal senso, un'opera come Los Autonautas de la Cosmopista o Un Viaje atemporal Parìs - Marsella, a metà tra la follia e il genio e figlia di un gioco tenero e forse un po' malinconico con Carol Dunlop, rende bene l'idea.
Chiaramente, quello che ho scelto per oggi è uno dei lavori del Cortázar poeta.


Después de las fiestas

 

Y cuando todo el mundo se iba
y nos quedábamos los dos
entre vasos vacíos y ceniceros sucios,

 

qué hermoso era saber que estabas
ahí como un remanso,
sola conmigo al borde de la noche,
y que durabas, eras más que el tiempo,

 

eras la que no se iba
porque una misma almohada
y una misma tibieza
iba a llamarnos otra vez
a despertar al nuevo día,
juntos, riendo, despeinados.

 

Dopo le feste

 

E quando tutti se ne andavano
e restavamo noi due soli
tra bicchieri vuoti e posacenere sporchi,

 

com’era bello sapere che eri
lì come l’acqua di uno stagno,
sola con me sull’orlo della notte,
e che duravi, eri più del tempo,

 

eri  quella che non se ne andava
perché uno stesso cuscino
e uno stesso tepore
ci avrebbero chiamato ancora
a risvegliare il nuovo giorno,
insieme, ridendo, spettinati.



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Inviato il 03 aprile 2019 18:43

La lirica che ho scelto oggi è soffusa della malinconia caratteristica di Guido Gozzano. Che cos'è la felicità? Dove si trova? Essa è simile ad un'isola magica, la più bella di tutte ma inaccessibile come un sogno.

Questa Isola Non-Trovata, che ispirò a Francesco Guccini l'omonimo album nel 1970, è quel senso di nostalgia e di vana ricerca dell'illusione, è l'inseguimento di una felicità a cui si aspira ma che non si riuscirà a raggiungere, è il miraggio di quelle terre remote dove Gozzano cercò invano di sfuggire alla tubercolosi che lo avrebbe ucciso a soli 33 anni.

 

La più bella

 

I

Ma bella più di tutte l'Isola Non-Trovata:

quella che il Re di Spagna s'ebbe da suo cugino

il Re di Portogallo con firma sugellata

e bulla del Pontefice in gotico latino.

 

L'infante fece vela pel regno favoloso,

vide le Fortunate: Iunonia, Gorgo, Hera

e il Mare di Sargasso e il Mare Tenebroso

quell'isola cercando... Ma l'isola non c'era.

 

Invano le galee panciute a vele tonde,

le caravelle invano armarono la prora: 

con pace del Pontefice l'isola si nasconde,

e Portogallo e Spagna la cercano tuttora.

 

II

L'isola esiste. Appare talora da lontano

tra Teneriffe e Palma, soffusa di mistero:

"... l'Isola Non-Trovata! " Il buon Canariano

dal Picco alto di Teyde l'addita al forestiero.

 

La segnano le carte antiche dei corsari.

... Hifola da trovarfi? ... Hifola pellegrina? ...

È l'isola fatata che scivola sui mari; 

talora i naviganti la vedono vicina...

 

Radono con le prore quella beata riva:

tra fiori mai veduti svettano palme somme,

odora la divina foresta spessa e viva,

lacrima il cardamomo, trasudano le gomme...

 

S'annuncia col profumo, come una cortigiana,

l'Isola Non-Trovata... Ma, se il piloto avanza,

rapida si dilegua come parvenza vana,

ti tinge dell'azzurro colore di lontananza...

 

 

 

 


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Inviato il 04 aprile 2019 1:35

Come si vede, non passo più molto spesso come una volta, ma la vostra selezione quasi quotidiana tende ad attirarmi in questi lidi per la curiosità di sapere che cosa avete scelto e quale taglio abbiate usato per la vostra introduzione. 

È bello ripescare poesie dalla memoria, come è altrettanto interessante approcciarle dal punto di vista di colui o colei che le ha selezionate. 

Non troppo tempo fa, in un altro topic, ho menzionato il Vampiro di Munch, opera che nelle mie personali associazioni non può che portarmi alla mente Le Vampire di Charles Baudelaire, tratta da Les Fleurs du Mal. 

Ma prima di arrivare alla poesia stessa, due parole sulla raccolta. Nel tentativo di estrarre la bellezza dal male, Baudelaire fu giudicato dai suoi contemporanei e censurato. Ma se la morale è figlia del tempo e della cultura del momento, l'arte non è altrettanto labile nel valore che esprime, per quanto anch'essa sia dinamica e in costante evoluzione. Baudelaire, che ha qualcosa da dire, con stile, garbo e cultura, riesce a descrivere poeticamente la bellezza, a dare un ordine, anche quando il proprio sguardo si posa sul caos e di esso è impregnato. I suoi contemporanei si fermarono amaramente al giudizio, incapaci di comprendere eppur sentendosi sovrastati. 

Arrivando alla selezione di oggi, ecco un breve scorcio dell'estasi nell'orrore, del piacere nel dolore, del cedimento all'illusione, di coraggio e fragilità. Ciò che può non materializzarsi nella realtà non rende l'interiorità delle proprie sensazioni meno vivida. 

 

Le Vampire

 

Toi qui, comme un coup de couteau,

Dans mon coeur plaintif es entrée;

Toi qui, forte comme un troupeau

De démons, vins, folle et parée,

 

De mon esprit humilié

Faire ton lit et ton domaine;

– Infâme à qui je suis lié

Comme le forçat à la chaîne,

 

Comme au jeu le joueur têtu,

Comme à la bouteille l’ivrogne,

Comme aux vermines la charogne,

– Maudite, maudite sois-tu!

 

J’ai prié le glaive rapide

De conquérir ma liberté,

Et j’ai dit au poison perfide

De secourir ma lâcheté.

 

Hélas! Le poison et la glaive

M’ont pris en dédain at m’ont dit:

‘ Tu n’es pas digne qu’on t’enlève

A ton esclavage maudit,

 

Imbécile! – de son empire

Si nos efforts te délivraient,

Tes baiser ressusciteraient

Le cadavre de ton vampire!’

------------------

 

Il Vampiro

 

Tu che t'insinuasti come una lama 
Nel mio cuore gemente; tu che forte 
Come un branco di demoni venisti 
A fare, folle e ornata, del mio spirito 
Umiliato il tuo letto e il regno-infame 
A cui, come il forzato alla catena, 
Sono legato; come alla bottiglia 
L'ubriacone; come alla carogna 
I vermi; come al gioco l'ostinato 
Giocatore, - che tu sia maledetta! 
Ho chiesto alla fulminea spada, allora, 
Di conquistare la mia libertà; 
Ed il veleno perfido ho pregato 
Di soccorrer me vile. Ahimè, la spada 
Ed il veleno, pieni di disprezzo, 
M'han detto: "Non sei degno che alla tua 
Schiavitù maledetta ti si tolga, 
imb****le! - una volta liberato 
Dal suo dominio, per i nostri sforzi, 
Tu faresti rivivere il cadavere 
Del tuo vampiro, con i baci tuoi!" 


"And now at last it comes. You will give me the Ring freely! In place of the Dark Lord you will set up a Queen. And I shall not be dark, but beautiful and terrible as the Morning and the Night! Fair as the Sea and the Sun and the Snow upon the Mountain! Dreadful as the Storm and the Lightning! Stronger than the foundations of the earth. All shall love me and despair!”

 

She lifted up her hand and from the ring that she wore there issued a great light that illuminated her alone and left all else dark. She stood before Frodo seeming now tall beyond measurement, and beautiful beyond enduring, terrible and worshipful. Then she let her hand fall, and the light faded, and suddenly she laughed again, and lo! she was shrunken: a slender elf-woman, clad in simple white, whose gentle voice was soft and sad.

 

“I pass the test”, she said. “I will diminish, and go into the West and remain Galadriel.”

 

***

 

"A ruler needs a good head and a true heart," she famously told the king. "A cock is not essential. If your Grace truly believes that women lack the wit to rule, plainly you have no further need of me." And thus Queen Alysanne departed King's Landing and flew to Dragonstone on her dragon Silverwing. [...] The queen died of a wasting illness in 100 AC, at the age of four-and-sixty, still insisting that her granddaughter Rhaenys and her children had been unfairly cheated of their rights. "The boy in the belly," the unborn child who had been the subject of so much debate, proved to be a girl when born in 93 AC. Her mother named her Laena. The next year, Rhaenys gave her a brother Laenor. 

 

 


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Inviato il 04 aprile 2019 21:33

È sempre improbabile, inaspettato, inverosimile, il poeta. La sua donna è la verità, il suo mondo è tutto il reale.

Il suo nome fuori di Francia ha sempre significato soprattutto "surrealismo" : Louis Aragon, uno degli iniziatori, con Éluard, Breton, Péret, Soupault, di quelle forme di rivolta anarco-intellettuale attraverso le quali l'avanguardia del primo Novecento proponeva niente altro che un più completo dominio dell'uomo su se stesso, con una serie di azioni psicologico-individuali che dovevano presto sconfinare nell'etica e nella politica.

Ma in Francia Aragon è stato anche l'interprete di una certa realtà sociale tra il 1930 e il 1940; il poeta della violenta libertà verbale che dopo il '40 sì è raccolta in forme chiuse, in ritmi e metri della tradizione nazionale e popolare. Aragon è stato uno dei maggiori poeti della Resistenza francese, che a lui deve alcuni dei suoi canti più alti.

 

Art poétique

 

Pour mes amis morts en Mai

Et pour eux seuls désormais

 

Que mes rimes aient le charme

Qu'ont les larmes sur les armes

 

Et que pour tous les vivants

Qui changent avec le vent

 

S'y aiguise au nom des morts

L'arme blanche du remords

 

Mots mariés mots meurtris

Rimes où le crime crie

 

Elles font au fond du drame

Le double bruit d'eau des rames

 

Banales comme la pluie

Comme une vitre qui luit

 

Comme un miroir au passage

La fleur qui meurt au corsage

 

L'enfant qui joue au cerceau

La lune dans le ruisseau

 

Le vétiver dans l'armoire

Un parfum dans la mémoire

 

Rimes rimes où je sens

La rouge chaleur du sang

 

Rappelez-vous que nous sommes

Féroces comme des hommes

 

Et quand notre cœur faiblit

Réveillez-nous de l'oubli

 

Rallumez la lampe éteinte 

Que les verres vides tintent

 

Je chante toujours parmi

Les morts en Mai mes amis

 

 

Per i miei amici morti in maggio

solo per loro ormai

 

i miei versi abbiamo l'incanto

del pianto sulle armi

 

per tutti i vivi pronti

a mutare col vento

 

in nome dei morti vi si affili

l'arma bianca del rimorso

 

parole legate parole ferite

rime in cui grida il delitto

 

che in fondo al dramma fanno

il doppio battito dei remi

 

comuni come la pioggia come

un vetro che brilla

 

una fugace immagine riflessa

il fiore morto in petto

 

il bambino che gioca al cerchio

la luna nel ruscello

 

l'erba odorosa nell'armadio

un profumo nel ricordo

 

rime rime in cui sento il rosso

calore del sangue

 

ricordate che noi siamo

feroci come uomini e quando

 

viene meno il nostro cuore

dall'oblio risvegliateci

 

riaccendete la lampada spenta

che i vuoti bicchieri risuonino

 

io canto sempre in mezzo

sì morti in maggio miei amici

 

 

 

 

 

 

 

 


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Inviato il 06 aprile 2019 12:06 Autore

Leonida Repaci è stato tante cose. Scrittore, antifascista, addirittura pittore. Poeta.

La sua opera si caratterizza per un taglio fortemente autobiografico. Repaci guardava alla Calabria e, senza illudersi o voler illudere sulla realtà di una terra che pur aveva nel cuore, credeva sinceramente che fosse viva la speranza di un riscatto: insomma, un'opera all'insegna dell'utta a fa' jornu c'a notti è fatta.

I versi che ho scelto per oggi testimoniano proprio l'amore dell'autore per la terra natia. Versi come pennellate, che restituiscono paesaggi vividi, maestosi quanto aspri, andando a comporre una sorta di struggente dipinto lirico che ben restituisce, attraverso una lente paesaggistica, l'immagine di quella Calabria “grande e amara” così impressa nel pensiero e nell'opera di Repaci.

 

Calabria

 

Ti amo Calabria

per gli assorti silenzi delle tue selve

che conciliano i sogni dei pastori

e le estasi degli eremiti.

 

Ti amo per quel fiume di alberi

che dalle timpe montane

arriva ai due mari

a bere il vento del largo

frammisto all'aroma del mirto.

 

Ti amo per le solitarie calanche

chiuse da strapiombi di rocce

che prendon colore dell'alga

nata dallo spruzzo dell'onda.

 

Ti amo per le spiagge deserte

bianche di sole e di sale

dove fanciulli invisibili

sorelle di Nausicaa

corrono sul frangente marino

i piedi slacciati dai sandali.

 

Ti amo per la fatica durata

a domar le montagne, a bucarle,

a intrecciarle a festoni di pergola,

a cavarne grasse mammelle

di moscato d'oro per mense di dei.

 

Ti amo per l'aspro carattere

fortificato da solitudini

secolari, bisognoso

di poche essenziali parole

mai vacillante

davanti alla congiura dei giorni.

 

.......................................................

 

E un giorno non troppo lontano

unito a te nella zolla

sarò anch'io Calabria,

sarò il fremito dei tuoi alberi,

il murmure della tua onda,

il sibilo dei tuoi uragani,

il profumo delle tue siepi,

la luce del tuo cielo.

 

Si dirà Calabria e anch'io

sarò compreso in quel grande

e immortale nome, anch'io

diventato un ulivo

dalle enormi braccia contorte

spaccate dal vento dei secoli,

anch'io sarò favola al canto

che sgorghi d'improvviso

come acqua dal sasso

dalle labbra di un giovinetto pastore

dell'Aspromonte, davanti

al fuoco ristoratore

di un vaccarizzo odoroso

di latte e di redi

nella lunga notte invernale.

 

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 07 aprile 2019 9:52

Leggere le parole scritte da Edward Estiln Cummings e poi leggere le parole dei suoi traduttori in qualsiasi lingua, è nel suo caso, più che nel caso di altri poeti, paragonare il fuoco vero dell'inferno al fuoco dipinto, come dicono teologi e mistici. È infatti disperante ricreare la sua voce con accenti, ritmi e timbri che non siano i suoi.

Cummings, nel suo mondo poetico-onirico e nel suo stile, è un ossimoro vivente. Possiede la grazia degli antichi madrigali, si vale di molte canoniche metafore, si porta dietro i cruenti ricordi della prima Guerra Mondiale, della prigionia politica in Francia per un'accusa di spionaggio, rivive le visioni dantesche nell'esperienza della Russia di Stalin, si affida a un anelito cosmico, forte del suo apprendistato dai visionari simbolisti francesi. E soprattutto, forse, riceve l'imprinting di Marinetti e dei suoi compagni pittori.

 

Da : Tulips & Chimneys

 

                              VII

 

i was considering how

within night's loose

sack a star's

nibbling in-

 

fin

-i-

tes-

i

-mal-

ly devours 

 

darkness the

hungry star

which

will e

 

-ven

tu-

al

-ly jiggle

the bait of

dawn and be jerked

 

into

 

eternity. when over my head a

shooting

star

Bur           s    

                    (t 

                         into a stale shriek

like an alarm-clock)

 

 

 

riflettevo su come

nel lento sacco

della notte il rosicare

d'una stella in-

 

fin

-i-

tes-

i

-ma-

mente divora

 

il buio la

famelica stella

che 

da

 

ul-

ti-

m

-o scuoterà

l'esca dell'

alba e sarà scagliata

 

nell'

 

eternità. quando sul mio capo una

stella

cadente

Esp      l 

              (ose 

                        in un vieto strillo

di sveglia)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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Inviato il 09 aprile 2019 8:46

Il fascino della poesia di William Butler Yeats risiede nella magica suggestione creata dal linguaggio, efficace e vivissimo, e nel difficile equilibrio, sempre da riconquistare, tra universalità di una poesia cosmica e il microcosmo  della piccola patria che l'ha ispirata.

 

Into the Twilight

 

Out-worn heart, in a time out-worn,

Come clear of the nets of wrong and right;

Laugh, heart, again in the grey twilight, 

Sigh, heart, again in the dew of the morm.

 

Your mother Eire is always young,

Dew ever shining and twilight grey;

Though hope fall from you and love decay,

Burning in fires of a slanderous tongue.

 

Come, heart, where hill is heaped upon hill:

For there the mystical brotherhood

Of sun and moon and hollow and wood

And river and stream work out their will:

 

And God stands winding His lonely horn,

And time and the world are ever in flight;

And love is less kind than the grey twilight,

And hope is less dear than the dew of the morn.

 

 

 

Oh cuore logoro in un'età logorata,

Sciogliti dalle reti della ragione e del torto;

Ridi mio cuore ancora nel crepuscolo

Grigio, sospira ancora, mio cuore,

 

Nella rugiada del mattino. Tua madre

Eire è sempre giovane, rugiada che risplende

E crepuscolo grigio; sebbene la speranza

Da te si fugga e l'amore decada, bruciando

 

Nei fuochi di una lingua maldiciente.

Vieni, mio cuore, dove i colli s'ammucchiano sui colli:

Perché la fratellanza mistica del sole e della luna,

Della valle e del bosco, del fiume e del ruscello

 

Laggiù regna sovrana; e Dio suona il suo corno solitario,

E il tempo e il mondo sono sempre in fuga; e l'amore

È meno dolce del crepuscolo grigio, e la speranza

È meno cara della rugiada del mattino.

 

 

 

 

 


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Inviato il 09 aprile 2019 8:58

Ogni volta che entro in questo topic, mi sento grata verso chi continua a portarlo avanti. 

Vorrei spendere due parole sulle ultime due selezioni. Interessante la scelta di Seija, mi intriga soprattutto dal punto di vista linguistico, per le modalità e le scelte effettuate nel passaggio in traduzione, tanto da approfondire ciò che è stato proposto, che - ammetto - non conoscevo. Soprattutto il mondo che si nasconde dietro alla trasposizione di quel 

Bur            s

                         (t

in

Esp            l

                          (ose. 

 

E, diversamente, mi colpisce anche Calabria. Vuoi per ragioni personali, vuoi per l'amore che il poeta esprime nitidamente per la terra madre. Un amore discreto e decoroso che ne riconosce la bellezza, la grandezza e la difficoltà, una terra accogliente e dura, al cui abbraccio si anela di tornare in un annientamento che si trasforma in una serena promessa di eterna pace ed esistenza. 

 

Oggi, non credo di proporvi alcunché che non sia già di vostra conoscenza, ma l'aleatorietà della vita mi ha riportato davanti alla poesia, o meglio elegia, che più mi ha avvicinato all'interesse verso il teatro e che più intimamente mi ha colpito, almeno finora. 

La vita, la morte, la morte violenta, la celebrazione dell'eroismo, la celebrazione di un amico. E l'orologio si ferma in un ricordo quasi ossessivo, ridondante, musicale. 

 

Llanto por Ignacio Sánchez Mejías

 

1

 

La cogida y la muerte
 

A las cinco de la tarde.

Eran las cinco en punto de la tarde.

Un niño trajo la blanca sábana

a las cinco de la tarde.

Una espuerta de cal ya prevenida

a las cinco de la tarde.

Lo demás era muerte y sólo muerte

a las cinco de la tarde.

 

El viento se llevó los algodones

a las cinco de la tarde.

Y el óxido sembró cristal y níquel

a las cinco de la tarde.

Ya luchan la paloma y el leopardo

a las cinco de la tarde.

Y un muslo con un asta desolada

a las cinco de la tarde.

Comenzaron los sones del bordón

a las cinco de la tarde.

Las campanas de arsénico y el humo

a las cinco de la tarde.

En las esquinas grupos de silencio

a las cinco de la tarde.

¡Y el toro solo corazón arriba!

a las cinco de la tarde.

Cuando el sudor de nieve fue llegando

a las cinco de la tarde,

cuando la plaza se cubrió de yodo

a las cinco de la tarde,

la muerte puso huevos en la herida

a las cinco de la tarde.

A las cinco de la tarde.

A las cinco en punto de la tarde.

 

Un ataúd con ruedas es la cama

a las cinco de la tarde.

Huesos y flautas suenan en su oído

a las cinco de la tarde.

El toro ya mugía por su frente

a las cinco de la tarde.

El cuarto se irisaba de agonía

a las cinco de la tarde.

A lo lejos ya viene la gangrena

a las cinco de la tarde.

Trompa de lirio por las verdes ingles

a las cinco de la tarde.

Las heridas quemaban como soles

a las cinco de la tarde,

y el gentío rompía las ventanas

a las cinco de la tarde.

A las cinco de la tarde.

¡Ay qué terribles cinco de la tarde!

¡Eran las cinco en todos los relojes!

¡Eran las cinco en sombra de la tarde!

 

2

 

La sangre derramada

 

Que no quiero verla!

 

Dile a la luna que venga,

que no quiero ver la sangre

de Ignacio sobre la arena.

 

Que no quiero verla!

 

La luna de par en par.

Caballo de nubes quietas,

y la plaza gris del sueño

con sauces en las barreras.

 

Que no quiero verla!

Que mi recuerdo se quema.

Avisad a los jazmines

con su blancura pequeña!

 

Que no quiero verla!

 

La vaca del viejo mundo

pasaba su triste lengua

sobre un hocico de sangres

derramadas en la arena,

y los toros de Guisando,

casi muerte y casi piedra,

mugieron como dos siglos

hartos de pisar la tierra.

No.

Que no quiero verla!

 

Por las gradas sube Ignacio

con toda su muerte a cuestas.

Buscaba el amanecer,

y el amanecer no era.

Busca su perfil seguro,

y el sueño lo desorienta.

Buscaba su hermoso cuerpo

y encontró su sangre abierta.

No me digáis que la vea!

No quiero sentir el chorro

cada vez con menos fuerza;

ese chorro que ilumina

los tendidos y se vuelca

sobre la pana y el cuero

de muchedumbre sedienta.

Quién me grita que me asome!

No me digáis que la vea!

 

No se cerraron sus ojos

cuando vio los cuernos cerca,

pero las madres terribles

levantaron la cabeza.

Y a través de las ganaderías,

hubo un aire de voces secretas

que gritaban a toros celestes,

mayorales de pálida niebla.

No hubo príncipe en Sevilla

que comparársele pueda,

ni espada como su espada

ni corazón tan de veras.

Como un río de leones

su maravillosa fuerza,

y como un torso de mármol

su dibujada prudencia.

Aire de Roma andaluza

le doraba la cabeza

donde su risa era un nardo

de sal y de inteligencia.

Qué gran torero en la plaza!

Qué gran serrano en la sierra!

Qué blando con las espigas!

Qué duro con las espuelas!

Qué tierno con el rocío!

Qué deslumbrante en la feria!

Qué tremendo con las últimas

banderillas de tiniebla!

 

Pero ya duerme sin fin.

Ya los musgos y la hierba

abren con dedos seguros

la flor de su calavera.

Y su sangre ya viene cantando:

cantando por marismas y praderas,

resbalando por cuernos ateridos,

vacilando sin alma por la niebla,

tropezando con miles de pezuñas

como una larga, oscura, triste lengua,

para formar un charco de agonía

junto al Guadalquivir de las estrellas.

Oh blanco muro de España!

Oh negro toro de pena!

Oh sangre dura de Ignacio!

Oh ruiseñor de sus venas!

No.

Que no quiero verla!

Que no hay cáliz que la contenga,

que no hay golondrinas que se la beban,

no hay escarcha de luz que la enfríe,

no hay canto ni diluvio de azucenas,

no hay cristal que la cubra de plata.

No.

Yo no quiero verla!!

 

3
 

Cuerpo presente
 

La piedra es una frente donde los sueños gimen

sin tener agua curva ni cipreses helados.

La piedra es una espalda para llevar al tiempo

con árboles de lágrimas y cintas y planetas.

 

Yo he visto lluvias grises correr hacia las olas

levantando sus tiernos brazos acribillados,

para no ser cazadas por la piedra tendida

que desata sus miembros sin empapar la sangre.

 

Porque la piedra coge simientes y nublados,

esqueletos de alondras y lobos de penumbra;

pero no da sonidos, ni cristales, ni fuego,

sino plazas y plazas y otras plazas sin muros.

 

Ya está sobre la piedra Ignacio el bien nacido.

Ya se acabó; ¿qué pasa? Contemplad su figura:

la muerte le ha cubierto de pálidos azufres

y le ha puesto cabeza de oscuro minotauro.

 

Ya se acabó. La lluvia penetra por su boca.

El aire como loco deja su pecho hundido,

y el Amor, empapado con lágrimas de nieve,

se calienta en la cumbre de las ganaderías.

 

Qué dicen? Un silencio con hedores reposa.

Estamos con un cuerpo presente que se esfuma,

con una forma clara que tuvo ruiseñores

y la vemos llenarse de agujeros sin fondo.

 

Quién arruga el sudario? ¡No es verdad lo que dice!

Aquí no canta nadie, ni llora en el rincón,

ni pica las espuelas, ni espanta la serpiente:

aquí no quiero más que los ojos redondos

para ver ese cuerpo sin posible descanso.

 

Yo quiero ver aquí los hombres de voz dura.

Los que doman caballos y dominan los ríos:

los hombres que les suena el esqueleto y cantan

con una boca llena de sol y pedernales.

 

Aquí quiero yo verlos. Delante de la piedra.

Delante de este cuerpo con las riendas quebradas.

Yo quiero que me enseñen dónde está la salida

para este capitán atado por la muerte.

 

Yo quiero que me enseñen un llanto como un río

que tenga dulces nieblas y profundas orillas,

para llevar el cuerpo de Ignacio y que se pierda

sin escuchar el doble resuello de los toros.

 

Que se pierda en la plaza redonda de la luna

que finge cuando niña doliente res inmóvil;

que se pierda en la noche sin canto de los peces

y en la maleza blanca del humo congelado.

 

No quiero que le tapen la cara con pañuelos

para que se acostumbre con la muerte que lleva.

Vete, Ignacio: No sientas el caliente bramido.

Duerme, vuela, reposa: ¡También se muere el mar!

 

4

 

Alma ausente
 

No te conoce el toro ni la higuera,

ni caballos ni hormigas de tu casa.

No te conoce el niño ni la tarde

porque te has muerto para siempre.

 

No te conoce el lomo de la piedra,

ni el raso negro donde te destrozas.

No te conoce tu recuerdo mudo

porque te has muerto para siempre.

 

El otoño vendrá con caracolas,

uva de niebla y montes agrupados,

pero nadie querrá mirar tus ojos

porque te has muerto para siempre.

 

Porque te has muerto para siempre,

como todos los muertos de la Tierra,

como todos los muertos que se olvidan

en un montón de perros apagados.

 

No te conoce nadie. No. Pero yo te canto.

Yo canto para luego tu perfil y tu gracia.

La madurez insigne de tu conocimiento.

Tu apetencia de muerte y el gusto de su boca.

La tristeza que tuvo tu valiente alegría.

 

Tardará mucho tiempo en nacer, si es que nace,

un andaluz tan claro, tan rico de aventura.

Yo canto su elegancia con palabras que gimen

y recuerdo una brisa triste por los olivos.

--------------------------

 

Lamento per la morte di Ignacio Sanchez Mejías. 

 

1

 

Il cozzo e la morte

 

Alle cinque della sera.
Eran le cinque in punto della sera.
Un bambino portò il lenzuolo bianco
alle cinque della sera.
Una sporta di calce già pronta
alle cinque della sera.
Il resto era morte e solo morte
alle cinque della sera.
Il vento portò via i cotoni
alle cinque della sera.
E l’ossido seminò cristallo e nichel
alle cinque della sera.
Già combatton la colomba e il leopardo
alle cinque della sera.
E una coscia con un corno desolato
alle cinque della sera.
Cominciarono i suoni di bordone
alle cinque della sera.
Le campane d’arsenico e il fumo
alle cinque della sera.
Negli angoli gruppi di silenzio
alle cinque della sera.
Solo il toro ha il cuore in alto!
alle cinque della sera.
Quando venne il sudore di neve
alle cinque della sera,
quando l’arena si coperse di iodio
alle cinque della sera,
la morte pose le uova nella ferita
alle cinque della sera.
Alle cinque della sera.
Alle cinque in punto della sera.

Una bara con ruote è il letto
alle cinque della sera.
Ossa e flauti suonano nelle sue orecchie
alle cinque della sera.
Il toro già mugghiava dalla fronte
alle cinque della sera.
La stanza s’iridava d’agonia
alle cinque della sera.
Da lontano già viene la cancrena
alle cinque della sera.
Tromba di giglio per i verdi inguini
alle cinque della sera.
Le ferite bruciavan come soli
alle cinque della sera.
E la folla rompeva le finestre
alle cinque della sera.
Alle cinque della sera.
Ah, che terribili cinque della sera!
Eran le cinque a tutti gli orologi!
Eran le cinque in ombra della sera!

 

2

 

Il sangue versato

 

Non voglio vederlo!
Di’ alla luna che venga,
ch’io non voglio vedere il sangue
d’Ignazio sopra l’arena.

Non voglio vederlo!

La luna spalancata.
Cavallo di quiete nubi,
e l’arena grigia del sonno
con salici sullo steccato.

Non voglio vederlo!
Il mio ricordo si brucia.
Ditelo ai gelsomini
con il loro piccolo bianco!

Non voglio vederlo!

La vacca del vecchio mondo
passava la sua triste lingua
sopra un muso di sangue
sparso sopra l’arena,
e i tori di Guisando,
quasi morte e quasi pietra,
muggirono come due secoli
stanchi di batter la terra.

No.
Non voglio vederlo!

Sui gradini salì Ignazio
con tutta la sua morte addosso.
Cercava l’alba,
ma l’alba non era.
Cerca il suo dritto profilo,
e il sogno lo disorienta.
Cercava il suo bel corpo
e trovò il suo sangue aperto.
Non ditemi di vederlo!
Non voglio sentir lo zampillo
ogni volta con meno forza:
questo getto che illumina
le gradinate e si rovescia
sopra il velluto e il cuoio
della folla assetata.
Chi mi grida d’affacciarmi?
Non ditemi di vederlo!

Non si chiusero i suoi occhi
quando vide le corna vicino,
ma le madri terribili
alzarono la testa.
E dagli allevamenti
venne un vento di voci segrete
che gridavano ai tori celesti,
mandriani di pallida nebbia.
Non ci fu principe di Siviglia
da poterglisi paragonare,
né spada come la sua spada
né cuore così vero.
Come un fiume di leoni
la sua forza meravigliosa,
e come un torso di marmo
la sua armoniosa prudenza.
Aria di Roma andalusa
gli profumava la testa
dove il suo riso era un nardo
di sale e d’intelligenza.
Che gran torero nell’arena!
Che buon montanaro sulle montagne!
Così delicato con le spighe!
Così duro con gli speroni!
Così tenero con la rugiada!
Così abbagliante nella fiera!
Così tremendo con le ultime
banderillas di tenebra!

Ma ormai dorme senza fine.
Ormai i muschi e le erbe
aprono con dita sicure
il fiore del suo teschio.
E già viene cantando il suo sangue:
cantando per maremme e praterie,
sdrucciolando sulle corna intirizzite,
vacillando senz’anima nella nebbia,
inciampando in mille zoccoli
come una lunga, scura, triste lingua,
per formare una pozza d’agonia
vicino al Guadalquivir delle stelle.

Oh, bianco muro di Spagna!
Oh, nero toro di pena!
Oh, sangue forte d’Ignazio!
Oh, usignolo delle sue vene!

No.
Non voglio vederlo!
Non v’è calice che lo contenga,
non rondini che se lo bevano,
non v’è brina di luce che lo ghiacci,
né canto né diluvio di gigli,
non v’è cristallo che lo copra d’argento.
No.
Io non voglio vederlo!!

 

3

 

Corpo presente

 

La pietra è una fronte dove i sogni gemono
senz’aver acqua curva né cipressi ghiacciati.
La pietra è una spalla per portare il tempo
Con alberi di lagrime e nastri e pianeti.
Ho visto piogge grigie correre verso le onde
alzando le tenere braccia crivellate
per non esser prese dalla pietra stesa
che scioglie le loro membra senza bere il sangue.

Perché la pietra coglie semenze e nuvole,
scheletri d’allodole e lupi di penombre,
ma non dà suoni, né cristalli, né fuoco,
ma arene e arene e un’altra arena senza muri.

Ormai sta sulla pietra Ignazio il ben nato.
Ormai è finita. Che c’è? Contemplate la sua figura:
la morte l’ha coperto di pallidi zolfi
e gli ha messo una testa di scuro minotauro.

Ormai è finita. La pioggia entra nella sua bocca.
Il vento come pazzo il suo petto ha scavato,
e l’Amore, imbevuto di lacrime di neve,
si riscalda in cima agli allevamenti.

Cosa dicono? Un silenzio putrido riposa.
Siamo con un corpo presente che sfuma,
con una forma chiara che ebbe usignoli
e la vediamo riempirsi di buchi senza fondo.

Chi increspa il sudario? Non è vero quel che dice!
Qui nessuno canta, né piange nell’angolo,
né pianta gli speroni né spaventa il serpente:
qui non voglio altro che gli occhi rotondi
per veder questo corpo senza possibile riposo.

Voglio veder qui gli uomini di voce dura.
Quelli che domano cavalli e dominano i fiumi:
gli uomini cui risuona lo scheletro e cantano
con una bocca piena di sole e di rocce.

Qui li voglio vedere. Davanti alla pietra.
Davanti a questo corpo con le redini spezzate.
Voglio che mi mostrino l’uscita
per questo capitano legato dalla morte.

Voglio che mi insegnino un pianto come un fiume
ch’abbia dolci nebbie e profonde rive
per portar via il corpo di Ignazio e che si perda
senza ascoltare il doppio fiato dei tori.

Si perda nell’arena rotonda della luna
che finge, quando è bimba dolente, bestia immobile;
si perda nella notte senza canto dei pesci
e nel bianco spineto del fumo congelato.

Non voglio che gli copran la faccia con fazzoletti
perché s’abitui alla morte che porta.
Vattene, Ignazio. Non sentire il caldo bramito.
Dormi, vola, riposa. Muore anche il mare!

 

4

 

Anima assente

 

Non ti conosce il toro né il fico,
né i cavalli né le formiche di casa tua.
Non ti conosce il bambino né la sera
perché sei morto per sempre.
Non ti conosce il dorso della pietra,
né il raso nero dove ti distruggi.
Non ti conosce il tuo ricordo muto
perché sei morto per sempre.

Verrà l’autunno con conchiglie,
uva di nebbia e monti aggruppati,
ma nessuno vorrà guardare i tuoi occhi
perché sei morto per sempre.

Perché sei morto per sempre,
come tutti i morti della Terra,
come tutti i morti che si scordano
in un mucchio di cani spenti.

Nessuno ti conosce. No. Ma io ti canto.
Canto per dopo il tuo profilo e la tua grazia.
L’insigne maturità della tua conoscenza.
Il tuo appetito di morte e il gusto della sua bocca.
La tristezza che ebbe la tua coraggiosa allegria.

Tarderà molto a nascere, se nasce,
un andaluso così chiaro, così ricco d’avventura.
Io canto la sua eleganza con parole che gemono
e ricordo una brezza triste negli ulivi.


"And now at last it comes. You will give me the Ring freely! In place of the Dark Lord you will set up a Queen. And I shall not be dark, but beautiful and terrible as the Morning and the Night! Fair as the Sea and the Sun and the Snow upon the Mountain! Dreadful as the Storm and the Lightning! Stronger than the foundations of the earth. All shall love me and despair!”

 

She lifted up her hand and from the ring that she wore there issued a great light that illuminated her alone and left all else dark. She stood before Frodo seeming now tall beyond measurement, and beautiful beyond enduring, terrible and worshipful. Then she let her hand fall, and the light faded, and suddenly she laughed again, and lo! she was shrunken: a slender elf-woman, clad in simple white, whose gentle voice was soft and sad.

 

“I pass the test”, she said. “I will diminish, and go into the West and remain Galadriel.”

 

***

 

"A ruler needs a good head and a true heart," she famously told the king. "A cock is not essential. If your Grace truly believes that women lack the wit to rule, plainly you have no further need of me." And thus Queen Alysanne departed King's Landing and flew to Dragonstone on her dragon Silverwing. [...] The queen died of a wasting illness in 100 AC, at the age of four-and-sixty, still insisting that her granddaughter Rhaenys and her children had been unfairly cheated of their rights. "The boy in the belly," the unborn child who had been the subject of so much debate, proved to be a girl when born in 93 AC. Her mother named her Laena. The next year, Rhaenys gave her a brother Laenor. 

 

 

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