Una donna identificata con la terra, con la natura, con le collina ispira le liriche di La terra e la morte. Esistenzialmente Cesare Pavese prende coscienza della sua solitudine, neppure la donna assicura comunicabilità, anzi ella stessa è chiusa e lontana.
Rispetto a Lavorare stanca , questa raccolta si distingue per l'intenso lirismo e per l'uso di un verso breve, perlopiù il settenario, che si allontana dai ritmi maggiormente narrativi della poesia-racconto tipici delle prime poesie. Semmai queste liriche possono venir accostate a quelle, altrettanto intense, di Verrà la morte è avrà i tuoi occhi.
Da: La terra e la morte
Terra rossa terra nera,
tu vieni dal mare,
dal verde riarso,
dove sono parole
antiche e fatica sanguigna
e gerani tra i sassi –
non sai quanto porti
di mare parole e fatica,
tu ricca come un ricordo,
come la brulla campagna,
tu dura e dolcissima
parola, antica per sangue
raccolto negli occhi;
giovane, come un frutto
che è ricordo e stagione –
il tuo fiato riposa
sotto il cielo d'agosto,
le olive del tuo sguardo
addolciscono il mare,
e tu vivi rivivi
senza stupire, certa
come la terra, buia
come la terra, frantoio
di stagioni e di sogni
che alla luna si scopre
antichissimo, come
le mani di tua madre
la conca del braciere.
I versi che ho scelto per oggi sono di Pierluigi Cappello, un uomo dalla rara, vertiginosa profondità di pensiero.
L'antichissima città di Gerico era abitata da una comunità chiusa, protetta da poderose mura fortificate. Tuttavia, dove sta il confine tra la funzione difensiva e l'oppressione figlia del ritrovarsi al di qua del muro in un mondo spaccato in due? Gerico presenta una sua dimensione profonda, esistenziale. Le possenti mura, nella narrazione biblica, finirono per essere abbattute grazie alla preghiera e al suono delle sette trombe di corno d'ariete e attraversate, infine, da un popolo in viaggio, migrante. E però, il fischiettare di quel qualcuno per strada, che pur risveglia, almeno per un fugace e vivido attimo, da un grigio torpore, non riesce, qui, ad abbattere le barriere erette attorno alla propria dimensione esistenziale. La sfida, dunque, è sopravvivere al di qua delle mura.
Gerico
È raro sentire cantare in strada
molto più raro sentire fischiare
o fischiettare
se qualcuno lo fa
l'aria sembra fargli spazio
ti sembra che un refolo muova
la flora dei tuoi pensieri
ti metta dove prima non eri;
ma come passa chi fischia
la noia stende le vertebre al sole
e tu rientri dov'eri
dietro il douglas dei serramenti
dentro il livore
degli appartamenti
al tango delle dita sul tavolo ti chiedi
da quali trombe scosse
scrollate le mura
per quali brecce potremo vedere
- fresca -
come un sogno appena sbucciato
la terra che calpesteremo, allegri.
Il Nobel Vicente Aleixandre, ancora nel pieno della sua fase surrealista, canta la forza dell'amore come unica capace di superare tutti i limiti dell'essere umano. Nessuna alternativa esiste all'amore, forza radicale che distrugge ogni sentire anche se stesso, essendo raggiungibile solo con la dissoluzione della forma e della vita stessa.
Se querían
Se querían
Sufrían por luz, labios azules en la madrugada,
labios partidos,sangre, ¿sangre dónde?
Se querían en un lecho navío, mitad noche, mitad luz.
Se querían como las flores a las espinas hondas,
a esa amorosa tema del amarillo nuevo,
cuando los rostros giran melancólicamente,
giralunas que brillan recibiendo aquel beso.
Se querían de noche, cuando los perros hondos
laten bajo la tierra y los valles se estiran
como lomos arcaicos que se sienten repasados:
caricia, seda, mano, luna que llega y toca.
Se querían de amor entre la madrugada,
entre las duras piedras cerradas de la noche,
duras come los cuerpos helados por las horas,
duras como los besos de diende a diende sólo.
Se querían de día, playa que va creciendo,
ondas que por los pies acarician los muslos,
cuerpos que se levantan de la tierra y flotando...
Se querían de día, sobre el mar, bajo el cielo.
Mediodía perfecto, se querían tan íntimos,
mar altísimo y joven, intimidad extensa,
soledad de lo vivo, horizonte remotos
ligados como cuerpos en soledad cantando.
Amando. Se querían como la luna lúcida,
como ese mar redondo que se aplica a ese rostro,
dulce eclipse de agua, mejilla oscurecida,
donde los peces rojos van y vienen sin música.
Día, noche, ponientes, madrugada, espacios,
onda nuevas, antiguas, fugitivas, perpetuas,
mar o tierra, navío, lecho, pluma, cristal,
metal, música, labio, silencio, vegetal,
mundo, quietud, su forma. Se querían, sabedlo.
Si amavano.
Per la luce soffrivano, azzurre labbra nell'alba,
labbra affioranti dalla dura notte,
labbra spaccate, sangue, dove sangue?
Si amavano in alcova naviglio, metà notte, metà luce.
Si amavano come amano i fiori le spine profonde,
la gemma tutta amore del giallo nuovo,
allorché i volti volgono malinconicamente
giralune che brillano al tocco di quel bacio.
Si amavano di notte, quando i cani profondi
latrano sottoterra e le valli si stirano
simili a schiene arcaiche che si sentano sfiorare:
carezza, seta, mano, luna che giunge e tocca.
Si amavano d'amore nell'alba,
tra le solide e chiuse pietre della notte,
dure come corpi gelati dalle ore,
come i baci da dente a dente, soltanto.
Si amavano di giorno, spiaggia che va crescendo,
onde che su dai piedi carezzano i ginocchi,
corpi che dalla terra si levano e fluttuando...
Si amavano di giorno, sul mare, sotto il cielo.
Mezzogiorno perfetto, così in fondo s'amavano,
giovane mare altissimo, intimità distesa,
eremo del vivente e orizzonti remoti
legati come corpi che solitari cantano.
Amando. Essi si amavano come la luna lucida,
come quel pieno mare che s'imprime sul volto,
tenera eclisse d'acqua, bruna guancia per dove
vanno e vengono pesci rossi senza musica.
Giorno, notte, ponenti, aurore, spazi,
onde recenti, antiche, fuggitive, perpetue,
mare o terra, naviglio, letto, piuma, cristallo,
vegetale, metallo, musica, labbro e silenzio,
mondo, quiete e sua forma. Si amavano, sappiatelo.
Bella e dannata, sexy e infantile, sposata e sciupamaschi, indifesa ed esibizionista, plurisuicida con un incrollabile senso dell'umorismo, fragile e carismatica, autodidatta e docente universitaria, atea e mistica, benestante signora drogata di T******a e alcolizzata, Anne Sexton è stata la più scandalosa fra le madri fondatrici della "specie' culturale delle poetesse contemporanee.
Al di là delle peculiarità formali, l'innovazione più ovvia della sua opera fu la tematica. A lei spetta il merito storicamente dimostrabile di aver parlato per prima in poesia di una serie di tematiche, legate in particolar modo alla corporeità, che sono oggi materia corrente, se non spesso luoghi comuni, della poesia, che vuole caratterizzarsi come femminile, mentre negli anni Sessanta suscitarono un certo clamore da parte del pubblico e critica benpensante.
The Black Art
A woman who writes feels too much,
those trances and portents !
As if cycles and children and islands
weren't enough; as if mourners and gossips
and vegetables were never enough.
She thinks She can warn the stars.
A writes is essentially a spy.
Dear love, I am that girl.
A man who writes knows to much,
such spells and fetiches !
As if erection and congresses and products
weren't enough; as if machines and galleons
and wars were never enough.
With used furniture he makes a tree.
A writer is essentially a crook.
Dear love, you are that man.
Never loving ourselves,
hating even our shoes and our hats,
we love each other, precious, precious.
Our hands are light blue and gentle.
Our when we marry,
the children leave in disgust.
There is too much food and no one left over
to eat up all the weird abundance.
Una donna che scrive è troppo sensibile e sensuale,
quali estasi e portenti !
Come se mestrui bimbi ed isole
non fossero abbastanza; come se iettatori pettegoli
e ortaggi non fossero già abbastanza.
Crede di poter prevedere gli astri.
Nell'essenza una scrittrice è una spia.
Amore mio, così son io ragazza.
Un uomo che scrive è troppo colto e cerebrale,
quali fatture e feticci !
Come se erezioni congressi e merci
non fossero abbastanza; come se macchine galeoni
e guerre non fossero già abbastanza.
Con un mobile usato costruisce un albero.
Nell'essenza uno scrittore è un ladro.
Amore mio, tu sei maschio così.
Mai amando noi stessi,
odiando anche le nostre scarpe, i nostri cappelli,
ci amiamo, preziosa, prezioso.
Le nostre mani sono azzurre e gentili,
gli occhi piene di tremende confessioni.
Ma quando ci sposiamo
ci abbandonano i figli, disgustati.
Il cibo è troppo e nessuno è restato
a mangiare l'estrosa abbondanza.
Un componimento di Giosuè Carducci sospeso tra storia e leggenda, intriso di bellezza e malinconia.
L'amore irraggiungibile, platonico, appunto "di terra lontana" del trovatore Jaufré Rudel per Melisenda, contessa di Tripoli. Un amore, dunque, che non può, coerentemente alla poesia dello stesso Rudel, sfociare in qualcosa di diverso da una sublimazione essenzialmente mentale, spirituale. Così, l'epilogo malinconico di questi versi carducciani non può che assumere la forma del viso di Melisenda: come la luna in una notte di primavera, ella "diffonde il suo candido raggio / su ‘l mondo che vegeta e odora", mentre Jaufré, nella struggente bellezza del parallelismo con il sole che sprofonda nel mare, si spegne, alla sua vista, col sorriso sulle labbra.
Da Rime e ritmi,
Jaufré Rudel
Dal Libano trema e rosseggia
Su ’l mare la fresca mattina:
Da Cipri avanzando veleggia
La nave crociata latina.
A poppa di febbre anelante
Sta il prence di Blaia, Rudello,
E cerca co ’l guardo natante
Di Tripoli in alto il castello.
In vista a la spiaggia asïana
Risuona la nota canzone:
«Amore di terra lontana,
Per voi tutto il core mi duol.»
Il volo d’un grigio alcïone
Prosegue la dolce querela,
E sovra la candida vela
S’affligge di nuvoli il sol.
La nave ammaina, posando
Nel placido porto. Discende
Soletto e pensoso Bertrando,
La via per al colle egli prende.
Velata di funebre benda
Lo scudo di Blaia ha con sé:
Affretta al castel: – Melisenda
Contessa di Tripoli ov’è?
Io vengo messaggio d’amore,
Io vengo messaggio di morte:
Messaggio vengo io del signore
Di Blaia, Giaufredo Rudel.
Notizie di voi gli fûr porte,
V’amò vi cantò non veduta:
Ei viene e si muor. Vi saluta,
Signora, il poeta fedel. –
La dama guardò lo scudiero
A lungo, pensosa in sembianti:
Poi surse, adombrò d’un vel nero
La faccia con gli occhi stellanti:
– Scudier, – disse rapida – andiamo.
Ov’è che Giaufredo si muore?
Il primo al fedele richiamo
E l’ultimo motto d’amore. –
Giacea sotto un bel padiglione
Giaufredo al conspetto del mare:
In nota gentil di canzone
Levava il supremo desir.
– Signor che volesti creare
Per me questo amore lontano,
Deh fa cha a la dolce sua mano
Commetta l’estremo respir! –
Intanto co ’l fido Bertrando
Veniva la donna invocata;
E l’ultima nota ascoltando
Pietosa risté su l’entrata:
Ma presto, con mano tremante
Il velo gittando, scoprì
La faccia; ed al misero amante
– Giaufredo, – ella disse – son qui.
Voltossi, levossi co ’l petto
Su i folti tappeti il signore,
E fiso al bellissimo aspetto
Con lungo sospiro guardò.
– Son questi i begli occhi che amore
Pensando promisemi un giorno?
È questa la fronte ove intorno
Il vago mio sogno volò? –
Sí come a la notte di maggio
La luna da i nuvoli fuora
Diffonde il suo candido raggio
Su ’l mondo che vegeta e odora,
Tal quella serena bellezza
Apparve al rapito amatore,
Un’altra divina dolcezza
Stillando al morente nel cuore.
– Contessa, che è mai la vita?
È l’ombra d’un sogno fuggente.
La favola breve è finita,
Il vero immortale è l’amor.
Aprite le braccia al dolente.
Vi aspetto al novissimo bando.
Ed or, Melisenda, accomando
A un bacio lo spirto che muor. –
La donna su ’l pallido amante
Chinossi recandolo al seno,
Tre volte la bocca tremante
Co ’l bacio d’amore baciò,
E il sole da ’l cielo sereno
Calando ridente ne l’onda
L’effusa di lei chioma bionda
Su ’l morto poeta irraggiò.
Willie Perdomo nei suoi testi ci racconta la realtà del ghetto, vite di portoricani che rimpiangono l'isola perduta e non sono riusciti ad integrarsi. Storie di vite disperate narrate in un alternarsi di inglese e spagnolo, di slang e linguaggio letterario, che contribuiscono al ritmo costante di questi testi. Ritmo rinforzato dalla presenza della musica, sia essa salsa o hip-hop, costante sottofondo delle strade del Barrio. Nelle parole di un critico, siamo qui di fronte a un "intersecarsi di strada ed accademia".
Nuyorican School of Poetry
Looking for happy endings
we came
over-extended familias
with secrets named
sofrito y salsa
that made broken homes smell
good from the outside
that made you run up the stairs
three steps at a time
Even third generation
Africans from North Carolina
started using Goya beans
Signs of life
were up in the wall
NO LOITERING
NO RADIO PLAYING
NO SELLING DRUGS
NO TRAPASSING
NO SMOKING
We came to this skyscraped city
to live
to survive
to die
in concentration camps
named after
dead presidents
dead abolitionists
dead peanut farmers
whose names have no meaning
as we pray
and sing
in a night lit by candles
using
healing herbs
magic potions
to save the souls
of our children
who run hard and fast
looking for themselves
Number halls
behind bodegas
next to casitas
by botanicas
keep history
on the same block
Cuchifrito kitchens
can't compete
with take-out
chicken wing dinasties
because they don't accept
food stamps
On the second Sunday in June
you can down and avenue
that doesn't belong to us
singing a celebration of an island
that some of us will never see
We Boricuas
Porta-Rocks
Spics
Goya-bean-eatin'-muthafu–
us was the first
to come planes
no chains
just one-way tickets
to a sold-out dream
Un order to understand
the pain and joy of all this
you must listen to Pancho
crouched low on the corner
refusing to learn English
singing the last song he
heard before he got on
the plane to New York
In cerca di un lieto fine
siamo arrivati
familias superallargate
con segreti chiamati
sofrito y salsa
che facevano sì che case malandate odorassero
di buono da fuori
che ti facevano correre su per le scale
tre scalini alla volta
Anche africani della terza
generazione dal Nord Carolina
hanno cominciato a usare i fagioli Goya
C'erano segni di vita
sul muro
NON BIGHELLONARE
NON ASCOLTARE LA RADIO
NON VENDERE DROGA
NON SCONFINARE
NON FUMARE
Siamo venuti in questa città di grattacieli
per vivere
per sopravvivere
per morire
in campi di concentramento
col nome
di presidenti morti
di abolizionisti morti
di coltivatori di noccioline morti
i cui nomi non hanno significato
mentre preghiamo
e cantiamo
in una notte illuminata da candele
usando
erbe guaritrici
pozioni magiche
per salvare le anime
dei nostri bambini
che corrono ostinati e veloci
cercando se stessi
Centri di scommesse
dietro a bodegas
vicino a casitas
presso botanicas
mantengono la storia
sullo stesso isolato
Cucine cuchifrito
non possono competere
con dinastie di ali
di pollo da portar via
perché loro non accettano
buoni pasto
La seconda domenica di giugno
Ci puoi guardare su Channel II
in parata lungo un viale
che non ci appartiene
cantare in celebrazione di un'isola
che alcuni di noi non vedranno mai
Noi Boricuas
Porta-Rocks
Spics
bastardi mangiatori di fagioli Goya -
noi i primi
ad arrivare in aereo
niente catene
solo un biglietto sola andata
per un sogno esaurito
Per capire
il dolore e la gioia di tutto questo
devi ascoltare Pancho
rannicchiato in un angolo
che si rifiuta di imparare l'inglese
che canta L'ultima canzone che ha
sentito prima di salire
sull'aereo per New York
La poesia che ho scelto oggi fa parte di Nuove Poesie incluse in Ed è subito sera. Fa quindi parte di quelle poesie che annunciano il tentativo di Salvatore Quasimodo di un approccio alla realtà, una necessaria reazione antiermetica per rinnovare la poesia, per aprirla agli oggetti, al reale, alla gente. Il verso si presenta meno arduo e di tonalità più affidabile, le parole cercano un'apparenza discorsiva. I sentimenti ricompaiono con la natura viva e con il dibattito umano : la perfezione diventa emozione.
Ora che sale il giorno
Finita è la notte e la luna
si scioglie lenta nel sereno,
tramonta nei canali.
È così vivo settembre in questa terra
di pianura, i prati sono verdi
come nelle valli del sud a primavera.
Ho lasciato i compagni,
ho nascosto il cuore dentro le vecchie mura,
per restare a ricordarti.
Come sei più lontana della luna,
ora che sale il giorno
e sulle pietre batte il piede dei cavalli.
L'amore fu l'architrave delle avventure poetiche di Guillaume Apollinaire da Le bestiaire a Alcools a Calligrammes ; un tema che attraversa anche le sue opere in prosa, i testi libertini, persino le sue invenzioni critiche. L'amore muore e il verso fiorisce quando all'ardente estate della passione succede l'autunno, la stagione mentale dal triste e melodioso delirio. È comunque sempre il tono lirico a primeggiare, anche nei resoconti in versi della guerra, anche nelle poesie figurate.
Come un ironicissimo disc jockey Apollinaire mescolò Verlaine a Villon, Laforgue a Catullo, Withman a Jarry, Cendras a Rudel, a Ronsard, a Petrarca, rimanendo sempre se stesso. Contro ogni sistema poetico che non contempli la libertà di romperlo, contro la rima a favore dell'assonanza, per un alessandrino più orale che scritto, per un verso lungo, prosaico, agli antipodi del verso libero simbolista, i suoi versi sono il frutto di una lunga alchimia.
La vera immagine di Apollinaire che va tenuta presente in questa poesia traboccante di erotismo è quella di un soldato al fronte durante il primo conflitto mondiale, di un uomo "in gabbia", come tanti altri, immerso nell'orrore. Lo scrittore evade dalla realtà della guerra costruendo con la fantasia immagini voluttuose del corpo femminile, affidandosi al ricordo delle due donne. Ma l' eccitazione erotica non resta fine a se stessa e si fa stimolante opera letteraria.
A Madeleine Pagés
Désir
Mon désir est la région qui est devant moi
Derrière les lignes boches
Mon désir est aussi derrière moi
Après la zone des armées
Mon désir c'est la butte du Mesnil
Mon désir est là sur quoi je tire
De mon désir vqui est au-delà de la zone des armées
Je n'en parle pas aujourd'hui mais j'y pense
Butte du Mesnil je t'imagines en vain
Des fils de fer des mitrailleuses des ennuis trop sûrs d'eux
Trop enfoncés sous terre déjà enterrés
Ca ta clac des coups qui meurent en s'éloignant
En y veillant tard dans la nuit
Le Decauville qui toussote
La tôle ondulée sous la pluie
Et sous la pluie ma bourguignotte
Entends la terre véhémente
Vois les lueurs avant d'entrende les coups
Et tel obus siffler de la démence
Ou le tac tac tac monotone et bref plein de dégoût
Je désire
Te serrer dans ma main Main de Massiges
Si décharnée sur la carte
Le boyau Goethe où j'ai tiré
J'ai tiré même sur le boyau Nietzsche
Décidément je ne respecte aucune gloire
Nuit violente et violette et d'ombre et pleine d'or par moments
Nuit des hommes seulement
Nuit du 24 septembre
Demain l'assaut
Nuit violente o nuit dont l'épouvantable cri profond devenait
plus intense de minute en minute
Nuit qui criait une femme qui accouche
Nuit des hommes seulement
Il mio desiderio è la zona che mi sta davanti
Dietro le linee dei crucchi
Il mio desiderio è anche dietro di me
Dietro la zona degli eserciti
Il mio desiderio è la collina di Mesnil
Il mio desiderio è là dove tiro
Del mio desiderio che sta al di là della zona degli eserciti
Non ne parlo oggi ma vi penso
Collina di Mesnil io ti immagino invano
Filo spinato mitragliatrici nemici troppo sicuri di sé
Troppo sprofondati sotto terra già seppelliti
Ca ta clac dei colpi che muoiono allontanandosi
Stando svegli tardi nella notte
La Decouville che tossicchia
La tettoia ondulata sotto la pioggia
E sotto la pioggia il mio elmo medievale
Ascolta la terra veemente
Vedi bagliori prima di udire colpi
E un obice sibilare demente
O il tactactac monotono e breve pieno di disgusto
Io desidero
Stringerti nella mia mano Main de Massiges
Così scarnita sulla carta
Il camminamento Goethe da cui ho sparato
Ho tirato anche su quello Nietzsche
Decisamente non rispetto alcuna gloria
Notte violenta e viola e cupa e a tratti piena d'oro
Notte degli uomini soltanto
Notte del 24 settembre
Domani l'assalto
Notte violenta o notte il cui spaventoso grido profondo diveniva
più intenso di minuto in minuto
Notte che gridava come una partoriente
Notte di uomini solamente
Bertold Brecht è noto soprattutto come drammaturgo, ma è anche autore di numerose poesie, tra le più toccanti della lirica tedesca novecentesca. La sua scrittura poetica è semplice, con il tono della semplice annotazione immediata, della confessione di un intellettuale che vive in un'epoca di atroci crudeltà. Non ci porta in nessun mondo fantastico o enigmatico, eppure ha un fascino, una bellezza a cui è difficile sottrarsi. Le sue poesie, indipendentemente da quello che esprimono, sono di una innegabile eleganza formale . Non a caso si adattano molto bene ad essere musicate. La scelta di oggi ricade su una delle sue poesie politiche perché questo autore è riuscito nel miracolo di essere non un poeta e un militante, ma di essere invece un poeta militante. Brecht ebbe la capacità di fare della letteratura un'arma di lotta politica, senza per questo subordinarla alle esigenze espressive e propagandistica di una qualche autorità partitica. Brecht è forse nella storia della letteratura occidentale lo scrittore che più di tutti ha esortato il lettore a rimanere sveglio, anzi a svegliarsi per mezzo del confronto con l'opera d'arte.
Das vierte Sonett
Den du so freundlich eingeladen hast:
Du hattest keinen Ort, ihn zu empfangen.
Bevor er ging, beschwerte sich dein Gast
Gekommen eilig, eilig auch gegangen.
Randstad du ihm, den du einludst, keinen Raum?
Der armste Bettler findet seinem Gast ein Brot!
Hier tat kein Haus und keine Kammer not
Nur ein klein Obdach hinter einem Baum!
Denn ohne das war seiner man nich froh
Schnell abgefertigt, schien er unwillkommen
Ihn da zu haben, schien recht unerquicklich!
So ward der Mut ihm, da zu sein, genommen
All seine Wunsche schienen ihm jetzt roh
Und seine Eile schien ihm nich mehr schicklich.
Quegli da te così amabilmente invitato
un luogo non avevi dove accoglierlo.
Si sentì offeso prima di lasciarti l'ospite
venuto in fretta e anche in fretta andato.
Fosse soltando un angolo, per lui non si trovava?
Ma trova un pane all'ospite il pezzente più meschino!
Non voleva una casa e neanche un abbaino:
un piccolo riparo dietro un albero bastava!
Senza dar ciò, come potevi essere soddisfatto?
Allontanato in fretta, a te sgradito lo indicavi
e averlo in casa poco rallegrante!
Così il coraggio d'esser là venivagli sottratto,
tutti i suoi desideri sembravano sgarbati
e la sua fretta stessa gli appariva sconveniente.
Emily Dickinson aveva dentro di sé un mondo immenso. È straordinario pensare a quanta bellezza abbia potuto celarsi nel cuore di una donna che scelse di non vivere -- o di farlo in un modo difficilmente comprensibile ai più. Si potrebbe dire, con Hugo, che "morire è nulla; tremendo è non vivere". Eppure, il mondo che questa autrice aveva dentro non perse i suoi colori.
I versi che ho scelto per oggi potrebbero somigliare benissimo a una preghiera. Meglio, a un vero e proprio credo. Un credo dalla spiccata dimensione sociale.
If I can stop one heart from breaking
If I can stop one heart from breaking,
I shall not live in vain;
If I can ease one life the aching,
Or cool one pain,
Or help one fainting robin
Unto his nest again,
I shall not live in vain.
Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi
non avrò vissuto invano;
se allevierò il dolore di una vita,
o guarirò una pena,
o aiuterò un pettirosso caduto
a rientrare nel nido,
non avrò vissuto invano.
Dino Campana morì nel manicomio di Castel di Pulci nel 1932, dopo esserci rimasto rinchiuso per anni. Lì fu talmente bombardato di elettroshock da autonominarsi "Dino elettrico". L'epitaffio sulla sua tomba a Badia a Settimo, vicino Firenze, recita: " Nel cuore antico di questa terra fiorentina che accolse i suoi ultimi giorni, la quiete e il silenzio onorano colui che fu voce di disperati sogni umani".
Sebastiano Valli ha dedicato a Campana un libro, "La notte della cometa". Un romanzo-verita' sulla sua vita, illuminante per la capacità di cogliere l'universale nelle dolorose vicende e negli scritti del poeta. Per esempio, una sua frase era :" essere un grande artista non significa nulla. Essere un puro artista, ecco ciò che importa". E Dino Campana "puro" lo era veramente. Una di quelle anime così poco integrate nel vivere comune, ma così importanti per il mondo intero. Fu schernito e allontanato dagli abitanti di Marradi, il suo paese, perché lo consideravano "pazzo", il pazzo del villaggio; fu emarginato arrogantemente dall'intellighenzia dell'epoca e abbandonato anche dal suo grande amore, Sibilla Aleramo, quando la scrittrice annusò aria di problemi. A lei Campana dedicò una delle sue poesie più belle e famose.
In un momento
In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose
P.S. E così dimenticammo le rose
La morte assume, nella poesia di Alfonso Gatto, un ruolo di primo piano. Questo autore non si sottrasse a una contemplazione intensa – per dirla con lo stesso poeta, serena – di essa, tanto che giunse a definirla «il vino dei poeti». E invero, in Osteria flegrea, la morte assurge a leitmotiv dell'opera: il poeta si immerge nella sua contemplazione -- come sottolineava Carlo Bo -- a corpo morto.
I versi che seguono si incentrano, dunque, sul tema della “serena contemplazione della morte”. Ma sono anche emblematici del rapporto di Gatto con Roma, una città della quale si innamorò, e dalla quale seppe cogliere istantanee trasformate in poesia, sospese tra il reale e una dimensione onirica tutta sua, tra il tempo presente e una dimensione atemporale, eterna.
Ara Coeli
Qui la grande scala notturna
vivida d’oscura gioia
e noi soli nel cielo vasto
della pioggia che verrà.
Parole presàghe, l’avvenimento,
questo è Roma,
una superbia che ogni volta impara.
La morte non è sepoltura,
la morte è un banco fiorito
d’occhi, di lumi, di fiere mansuete
addormentate nel grande perdono.
La morte è un capo fresco di rugiada
e lunghe le mani, finalmente.
O povertà che impari
a stringere nel nulla la tua gioia,
dura e ci vince e si rivolta in noi
il bisogno di rompere la madre
che ci sta dentro. E’ l’urlo, è la mansueta
fiera che si addormenta nel perdono.
Eugenio Montale scriveva che "il caso Thomas Hardy è piuttosto raro", perché "non si ha notizia di un prosatore-pensatore che, su altro registro, sia stato tanto poeta-poeta". E in effetti il grande narratore inglese, famoso per i suoi romanzi (fra i quali Tess dei d'Urberville e Giuda l'oscuro) e i suoi racconti, è stato anche grande poeta e la sua poesia ha avuto un ruolo di primo piano nella formazione di altri grandi poeti di lingua inglese, come Robert Graves, Philip Larkin, Dylan Thomas e gli stessi Pound e Auden.
Anche nella poesia si denota lo stile anticonvenzionale, già emerso nei suoi romanzi. Uno stile influenzato dall'arte impressionista in cui in ogni opera appaiono intense e suggestive tonalità cromatiche e, per dare un tocco realista, non disdegna espressioni dialettali e parole arcaiche.
Shut out that moon
Close up the casement, draw the blind,
Shut out that stealing moon,
She wears top much the guide she wore
Before our lutes were strewn
With years-deep dust, and names we read
On a white stone were hewn.
Step not forth on the dew-dashed lawn
To view the Lady's Chair,
Immense Orion's glittering form,
The Less and Greater Bear:
Stay on; to such sights WE were drawn
When faded ones were fair.
Brush not the bough for midnight scents
That come forth lingeringly,
And wake the same sweet sentiments
They breathed to you and me
When living seemed a laugh, and love
All It was said to be.
Within the common lamp-lit room
Prison my eyes and though ;
Let dingy details crudely loom,
Mechanic speech be wrought:
Too fragrant was Life's early bloom,
Too tart the fruit it brought!
Chiudi la finestra, abbassa le persiane,
sbarra fuori quella luna dal passo furtivo,
il suo aspetto è troppo simile a quello di una volta,
prima che sui nostri liuti si addensasse
la polvere degli anni, e i nomi che ora leggiamo
venissero scolpiti su una pietra bianca.
Non poggiare i piedi sull'erba morbida di rugiada
per vedere Cassiopea,
la forma radiante dell'Orione,
o l'Orsa Minore e Maggiore;
rimani dentro; eravamo attratti da queste scene
quando quelli che sono appassiti erano in fiore.
Non sfiorare il ramo in cerca dei profumi della mezzanotte
che lentamente emanano,
e risvegliano gli stessi sentimenti
da me e da te conosciuti,
quando il vivere pareva quasi un riso
e amore tutto ciò a cui credevamo.
Nella banale stanza illuminata da una lampada
imprigiona i miei occhi e il mio pensiero;
e lascia che gli scialbi dettagli risaltino crudamente,
e il parlare sia del tutto meccanico:
era troppo bello il primo sbocciar della Vita,
è troppo acre il frutto che diede.
Un po' perché mi piacciono in quasi tutte le forme artistiche, i russi(i russi, gli americani), poi perché questa si intitola "Silenzio", che insomma, per troppe ragioni mi attrae, quando ne lessi il terzo periodo, rimasi a bocca aperta, in silenzio totale, per l'appunto, perché in certi casi realizzo quanto possano essere vicine e simili le emozioni e il sentire di persone vissute in tempi diversi e posti lontani, posti perfino opposti, direi, e quanto possa unire un concetto condiviso, affermato e riconosciuto, scritto in versi o in parole, o in qualche altro linguaggio a cui ci affidiamo per mostrare quanto ci appartiene e non si può semplicemente spiegare.
Sono sempre stato convinto che Dio fosse nel silenzio.
Di Dmitrij Merezkovskij(ometto la versione originale in cirillico XD):
SILENZIO
Le bufere sol in gioventù esercitan sul cor malìa
ma volan via:
nulla può la lor bruta potestà,
e quando passan rimane solo
una grande verità,
indistruttibile —
quiete nel cor, silenzio nel cielo,
giacché la volta celeste
è eternamente muta,
irraggiungibile,
come la verità, compiuta,
più alta delle bufere funeste.
Dio non è nelle parole od orazioni,
né nel fuoco letale,
né in battaglie o distruzioni,
Dio è nel silenzio totale.
Nel ciel e nel cor tutto tace:
più profondo dei suoni transitori
più profondo di gioie e dolori,
nel cor senza bufere,
nelle celesti sfere —
l’eterna pace.
Per la giornata mondiale della Terra ho scelto una poesia di Gary Snyder, poeta della Beat Generation, padre della Deep Ecology, e nome illustre del Bioregionalismo. Il suo è uno stile nel quale convergono diverse forme letterarie in un dialogo intimista ed aspro, non convenzionale, né in metrica, né in rima. I versi fanno parte della raccolta di poesia che gli valse il premio Pulitzer, nel 1975, intitolata L' isola della Tartaruga, ovvero il nome che i nativi americani avevano dato alla loro terra.
For All
Ah to be alive
on a mid-September morn
fording a stream
borefoot, pants rolled up,
holding boots, pack on,
sunshine, ice in the shallows,
northern rockies.
Rustle and shimmer or icy creek waters
stones turn underfoot, small and hard as
toes
cold nose dripping
singing inside
creek music, heart music,
smell of sun on gravel.
I pledge allegiance .
I pledge allegiance to the soil
of Turtle Island,
and to the beings who thereon dwell
one ecosystem
in diversity
under the sun
With joyful interpenetration for all.
Essere vivi
in un mattino a metà settembre
per guardare scalzi
un rio, gli orli dei calzoni
fatti su, stivali in mano, zaino su, sole, ghiaccio nelle lame,
le rocciose di su a nord.
Tremolare gelato e brillante dei torrenti
i sassi sotto i piedi si rivoltano duri come
denti
il naso freddo cola
suonando dentro
musiche di sabbie, musiche di cuore,
odor di sole sulle ghiaie.
Prometto fedeltà.
Prometto fedeltà alla terra
di Turtle Island
e agli esseri che su di essa stanno
un ecosistema
in diversità
sotto il sole
in lieta unione tra di tutto.