Libros de amor è una straordinaria opera del premio Nobel Juan Ramón Jiménez che, nonostante già compiuta, è rimasta inedita per quasi un secolo. Infatti, pur essendo la sua uscita programmata per il 1913, il poeta ne bloccò la stampa perché, proprio qualche mese prima, aveva conosciuto il grande amore della sua vita, la donna che diede un senso affettivo insostituibile alla sua vita sofferente. Dall'autore della toccante prosa poetica Platero ed io e soprattutto poeta raffinatissimo al limite del concettuale, tutto ci si sarebbe aspettati tranne un libro così concreto, referenziale e intimo come questo. Molti dei nomi femminili che compaiono in questi versi sono stati identificati con quelli di donne con cui il poeta ebbe realmente relazioni amorose in gioventù. Tuttavia il valore di questi testi è tutto nella loro qualità letteraria, all'altezza dei migliori della prima epoca. Siamo di fronte ad un bellissimo e raffinatissimo esempio di poesia erotico-sensuale, degno di colui che molti poeti della Generazione del 27 assunsero come indiscusso maestro.
Reían las persianas transparentes de sol
rosado, el levantarse sobre las rosas frescas,
y el ocaso infinito de oro inextinguible
surgía, enfrente de tu garganta de seda...
¡Oh, momentos de carne surgían de tus hábitos
como pétalos que delataran gardenias !
... Aquellos brazos nítidos como cristales blandos
hermanos de tus pechos amasados de estrellas.
¿Qué vida puede dar aquel encanto alegre
y triste por tu boca desplegada y risueña
que entre tú gracias joven de pájaro intranquilo
me regalaba trinos de aurora y de floresta...?
Tu ojos... sí, tu ojos, llenos de tantos cielos
entrevistos me ahogaban en mares de demencia;
tus ojos que debían cerrase... para mí...
que vienen _ ¿desde dónde?_ y siguen mis tristezas.
Ridevano le persiane trasparenti di sole
rosato nell'alzarsi sulle rose fresche,
e il tramonto infinito d'inesauribile oro
sorgeva davanti alla tua serica gola...
Oh, momenti di carne sorgevan dai tuoi vestiti
come fossero petali insinuanti gardenie !
... Quelle braccia nitide come fragili cristalli,
sorelle dei tuoi seni impastati di stelle.
Quale vita può dare quel fascino allegro
e triste della tua bocca aperta e ridente
che nella grazia giovane di passero inquieto
mi donava trilli d'aurora e di foresta...?
I tuoi occhi... sì, i tuoi occhi, pieni di tanti cieli
intravisti, m'inabissavano in mari di demenza,
i tuoi occhi che dovevano chiudersi ... per me...,
che vengono _ da dove?_ a prolungar le mie tristezze.
Sylvia Plath è una delle anime più inquiete, irrequiete ma allo stesso tempo straordinariamente sublimi che ho letto. Nella versione in lingua inglese non si può non notare la musicalità delle parole e la scelta molto accurata e minuziosa nelle tecnica del linguaggio poetico e nella metrica. Ma quello che più colpisce sono le forti, assordanti emozioni, violente, compulsive, parole forti, di metallo, che colpiscono e feriscono come armi. Una donna come lei che ha convissuto per molti anni col dolore di un'anima non compresa o non sufficientemente amata, non poteva che esprimersi con parole che fossero lo specchio e insieme la via di fuga dalla vita, finché le parole e le poesie non sono più bastate e ha deciso di farla finita davvero.
La rivale dei versi scelti per oggi non è solo la luna, ma anche l'ex marito Ted Hughes.
The Rival
If the moon smiled, she would ressemble you.
You leave the same impression
Of something beautiful, but annihilating.
Both of you are great light borrowers.
Her O-mouth grieves at the world; yours is unaffected,
And your firts gift is making stone out of everything.
I wake to a mausoleum; you are here,
Ticking your fingers in the marble table, looking for cigarettes,
Spiteful as a woman, but not so nervous,
And dying to say something unanswerable.
The moon, too, abases her subjects,
But in the daytime she is ridicolous.
Your dissatisfactions, on the other hand,
Arrive through the mailslot with loving regularity,
White and blank, espansive ad carbon monoxide.
No day is safe news of you,
Walking about in Africa maybe, but thinking of me.
Se sorridesse, la luna somiglierebbe a te.
Tu fai lo stesso effetto:
Di un qualcosa di bello ma che annichilisce.
Tutti e due siete dei grandi scroccatori.
La sua bocca a O si accora sul mondo; la tua
Non fa una piega, tu pietrifichi ogni cosa.
Guardo, c'è un mausoleo; eccoti qui che picchietti
Il marmo del tavolino, cerchi le sigarette,
Sprezzante come una donna, ma non così nervoso,
E muori dalla voglia di dire impertinenze.
Anche la luna i suoi sudditi umilia,
Ma di giorno è ridicola.
I tuoi malumori, d'altra parte,
Arrivano per posta amorosamente regolari,
Bianchi e vani, espansivi come il gas.
Non c'è giorno al riparo da notizie di te,
Magari a spasso in Africa, ma pensando a me.
Quella di Antonia Pozzi fu una voce isolata e solitaria, a lungo poco nota, fino alla "riscoperta" da parte di Montale, che ne decreto' la fama definitiva. Le sue prime opere furono pubblicate postume, dopo un anno dal suicidio e dopo essere state revisionate dal padre che modificò soprattutto quelle dal contenuto amoroso. Ma, a dispetto delle manipolazioni subite, la sua produzione lirica affascina per la modernità e per la scarna essenzialità dei suoi versi soffusi di tristezza, debitori del crepuscolismo e dell'espressionismo tedesco.
Lieve offerta
Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera
come le estreme foglie
dei pioppi, che s'accendono di sole
in cima ai tronchi fasciati
di nebbia _
Vorrei condurti con le mie parole
per un deserto viale, segnato
d'esili ombre _
fino a una valle d'erboso silenzio,
al lago _
ove tinnisce per un fiato d'aria
il canneto
e le libellule si trastullano
con l'acqua non profonda _
Vorrei che la mia anima ti fosse
leggera,
che la mia poesia ti fosse un ponte,
sottile e saldo,
bianco_
sulle oscure voragini
della terra.
Posto una poesia struggente di Miguel Hernández, poeta contadino dell'abortita generazione del 36, morì in carcere. La scrisse dopo aver saputo da una lettera della moglie che il loro piccolo mangiava solo cipolla.
NANAS DE LA CEBOLLA
La cebolla es escarcha
cerrada y pobre.
Escarcha de tus días
y de mis noches.
Hambre y cebolla,
hielo negro y escarcha
grande y redonda.
En la cuna del hambre
mi niño estaba.
Con sangre de cebolla
se amamantaba.
Pero tu sangre,
escarchada de azúcar,
cebolla y hambre.
Una mujer morena
resuelta en luna
se derrama hilo a hilo
sobre la cuna.
Ríete, niño,
que te traigo la luna
cuando es preciso.
Alondra de mi casa,
ríete mucho.
Es tu risa en tus ojos
la luz del mundo.
Ríete tanto
que mi alma al oírte
bata el espacio.
Tu risa me hace libre,
me pone alas.
Soledades me quita,
cárcel me arranca.
Boca que vuela,
corazón que en tus labios
relampaguea.
Es tu risa la espada
más victoriosa,
vencedor de las flores
y las alondras
Rival del sol.
Porvenir de mis huesos
y de mi amor.
La carne aleteante,
súbito el párpado,
el vivir como nunca
coloreado.
¡Cuánto jilguero
se remonta, aletea,
desde tu cuerpo!
Desperté de ser niño:
nunca despiertes.
Triste llevo la boca:
ríete siempre.
Siempre en la cuna,
defendiendo la risa
pluma por pluma.
Ser de vuelo tan lato,
tan extendido,
que tu carne es el cielo
recién nacido.
¡Si yo pudiera
remontarme al origen
de tu carrera!
Al octavo mes ríes
con cinco azahares.
Con cinco diminutas
ferocidades.
Con cinco dientes
como cinco jazmines
adolescentes.
Frontera de los besos
serán mañana,
cuando en la dentadura
sientas un arma.
Sientas un fuego
correr dientes abajo
buscando el centro.
Vuela niño en la doble
luna del pecho:
él, triste de cebolla,
tú, satisfecho.
No te derrumbes.
No sepas lo que pasa ni
lo que ocurre.
§
È brina la cipolla
misera e chiusa.
È brina dei tuoi giorni,
delle mie notti.
Fame e cipolla,
è gelo nero e brina
grande e rotonda.
Nella culla di fame
stava il mio bimbo.
Con sangue di cipolla
si alimentava.
Però il tuo sangue,
inzuccherata brina,
cipolla e fame.
Una bruna signora
dissolta in luna
si sparge filo a filo
sulla tua cuna.
– Ridi bambino,
ti porterò la luna
quand’è il momento.
Lodola di mia casa,
tu, ridi forte.
il riso nei tuoi occhi
è luce al mondo.
Oh, ridi tanto
che l’anima al sentirti
vinca lo spazio.
Mi libera il tuo riso,
mi mette ali.
Solitudini scioglie,
carcere abbatte.
Bocca che vola,
cuore che nelle tue
labbra lampeggia.
Il tuo riso è la spada
più vittoriosa,
vincitore dei fiori
e delle lodole.
Rivale al sole.
Futuro alle mie ossa
ed al mio amore.
Aleggiante la carne,
lesta la palpebra,
iridata la vita
come non mai.
Che luccichio
aleggiando si libra
su dal tuo corpo!
Mi destai non più bimbo:
tu non destarti.
Quanto triste ho la bocca:
tu, ridi sempre.
Sempre alla cuna,
il riso difendendo
piuma per piuma.
Così ampio è il tuo volo,
così disteso,
che la tua carne è il cielo
appena nato.
Se io potessi
risalire agl’inizi
della tua strada!
L’ottavo mese ridi
con cinque zagare.
Con cinque assai minute
feroci lame.
Con cinque denti
con cinque gelsomini
adolescenti.
La frontiera dei baci
saran domani,
quando tu nei tuoi denti
sentirai un’arma.
Sentirai un fuoco
scorrere sotto i denti
cercando il centro.
Vola, bimbo, alla doppia
luna del petto
ch’è triste di cipolla,
tu soddisfatto.
Che tu non cada
né sappia quel che scorre
né quel che accade.
La poesia scelta per oggi è del pluripremiato Stanley Kunitz ed invita ad avere il coraggio di abbracciare tutti "gli strati", tutte le fasi della nostra vita, perché l'essenza della nostra esistenza si trova proprio lì, tra quegli "strati" e tutti hanno contribuito a renderci ciò che siamo . Insomma, non si vive alla giornata ma con tutte le nostre storie dentro. Sempre.
The layers
I have walked through many lives,
some of thème my own,
and I am not who I was,
throug, from which I struggle
not to stray.
When I look behind,
as I am compelled to look
before I can gather strength
to proceed on my journey,
I see the milestones dwindling
toward the horizon
and the slow fires trailing
from the abandoned camp-sites,
over which scavenger angels
wheel on heavy wings.
Oh, I have made my self a tribe
out of my true affections,
and my tribe is scattered!
How shall the heart be reconciled
to its feast of losses?
In a rising wind
the manic dust of my friends,
those who fell along the way,
bitterly stings my face.
Yet I turn, I turn,
exulting somewhat,
with my will intact to go
wherever I need to go,
and every stone on the road
precious to me.
In my darkest night,
when the moon was covered
and I roamed through wreckage,
a nimbs-clouded voice
directed me :
<< Live in the layers,
not on the litter.>>
Through I lack the art
to decipher it,
no doubt the next chapter
in my book of transformations
is already written.
I am not done with my changes.
Ho camminato attraverso molte vite,
tra di esse c'è la mia,
e non sono più ciò che ero,
pur se qualche principio essenziale
mi rimane, da cui faccio fatica
a non allontanarmi.
Quando mi guardo alle spalle,
quanto questo è necessario,
prima di poter raccogliere le forze,
per procedere nel mio viaggio,
vedo le tappe fondamentali
mentre vado incontro all'orizzonte
e i fuochi che si spengono lentamente
negli accampamenti abbandonati,
su di essi avvolti
ruotano con ali pesanti.
Oh, io stesso avevo una tribù
fatta di affetti
ormai dispersi!
Come potrà il cuore riconciliarsi
con il dolore di tante perdite?
In un vento crescente
le traversie dei miei amici,
coloro che sono caduti lungo la strada,
pungono amaramente la mia faccia.
Eppure mi giro, mi giro,
alquanto esultante,
con la volontà di andare salvo,
ovunque ho bisogno di andare,
e ogni pietra della strada
è per me preziosa.
Nella mia notte più buia,
quando la luna era coperta
e vagavo tra le macerie,
una voce da una nuvola
mi ha detto :
<< Vivi sui molteplici strati della tua vita
non sulle macerie.>>
Anche se non sono capace
a decifrarlo,
senza dubbio il prossimo capitolo
nel mio libro dei mutamenti
è già scritto.
La poesia di Chinua Achebe, considerato il padre della letteratura africans moderna in lingua inglese, è intrisa di un rude realismo dove la parola non consola ma diviene martellante mostra della tragedia e della miseria.
Refugee Mother and Child
No Madonna and Child could touch
thet picture of a mother's tenderness
for a son she soon would have to forget.
The air was heavy with odours
of diarrhoea of unwasched children
with washed-out ribs and dried-up
bottoms struggling in laboured
steps behing blown empty bellies. Most
mothers there had long ceased
to care but not this one; she held
a ghost smile between her teeth
and in her eyes the gost of a mother's
pride as she combed the rust-coloured
hair left in his skull and then-
singing in her eyes- began carefully
to part it ... In another life this
would have-been a little daily
act of no consequence before his
breakfast and school; now she
did it like putting flowers
on a tiny grave.
Nessuna Madonna con Bambino
poteva eguagliare
quell'immagine di tenerezza di madre
per un bambino che presto
doveva dimenticare.
L' aria era pesante di odore
di diarrea di bambini non lavati
con costole slavate e sederi
prosciugati
in lotta con passi affaticati dietro
vuoti ventri rigonfi.
Molte lì hanno da tempo cessato
di preoccuparsi, ma non quella
madre,
che manteneva tra i denti un
sorriso spettrale,
e negli occhi il fantasma
dell'orgoglio materno
mentre gli pettinava i capelli
rugginosi
rimasti sul cranio, e poi,
solo negli occhi cantando, iniziò
a ripartirli adagio ... In un'altra
vita
questo sarebbe stato un piccolo
atto quotidiano
privo d'importanza tra colazione
e scuola :
ora lei lo faceva come ponendo
fiori
sulla minuscola tomba di un
bambino.
C'era una volta un ragazzo che, poco più che ventenne, si ritrovò a emigrare dal suo Paese d'origine, l'Eritrea, una terra uscita a pezzi dal conflitto con l'Etiopia, per incamminarsi, con la speranza di poter vivere una vita degna di potersi definire tale, verso un sogno chiamato “Europa”. Questo ragazzo finì, come tanti altri prima di lui e come tanti altri dopo di lui, prigioniero in Libia, in quei luoghi infernali che l'ONU stesso ha definito senza mezzi termini lager. Dopo un anno e mezzo di prigionia, tra torture e sevizie, questo ragazzo riuscì finalmente a lasciare l'inferno delle prigioni libiche, per imbarcarsi su uno di quei relitti galleggianti sui quali migliaia di esseri umani mettono in gioco tutto ciò che hanno, la propria stessa vita, per cercare di raggiungere quest'altro lato del Mediterraneo. O forse del mondo. Questo giovane uomo venne salvato in mare dall'ONG Proactiva Open Arms il 12 di marzo dello scorso anno. Tesfalidet Tesfom, era questo il suo nome, pesava solo 35 chili, e morì il giorno dopo all'ospedale di Modica, ucciso dalla fame e dalle ingiustizie che il cuore corrotto degli uomini ha contribuito a generare. Ingiustizie che sono in larga parte imputabili anche al mantenimento del tenore di vita di chi vive da questa parte del mondo. Ingiustizie che continuano a consumarsi nell'assordante silenzio dell'indifferenza.
Nel portafogli di Tesfalidet sono state ritrovate due poesie scritte in tigrino. Una delle due, della quale riporto la traduzione in italiano, è la mia poesia del giorno. I versi di Tesfalidet, soprannominato Segen, pongono l'uomo di fronte a quell'ineluttabile processo che vede il Tempo nei panni di giudice ultimo. È di fronte ad esso, che avverrà la condanna dell'egoismo, dell'ignavia, di quel gravissimo errore che è il restare indifferenti.
La poesia si conclude con un ultimo lacerante urlo che potrebbe essere considerato figlio di una speranza non ancora spenta oppure di un'illusione. O magari l'annuncio di una verità che un giorno finirà per travolgere il mondo.
Tempo sei maestro
Tempo sei maestro
per chi ti ama e per chi ti è nemico,
sai distinguere il bene dal male,
chi ti rispetta
e chi non ti dà valore.
Senza stancarti mi rendi forte,
mi insegni il coraggio,
quante salite e discese abbiamo affrontato,
hai conquistato la vittoria
ne hai fatto un capolavoro.
Sei come un libro, l’archivio infinito del passato
solo tu dirai chi aveva ragione e chi torto,
perché conosci i caratteri di ognuno,
chi sono i furbi, chi trama alle tue spalle,
chi cerca una scusa,
pensando che tu non li conosci.
Vorrei dirti ciò che non rende l’uomo
un uomo
finché si sta insieme tutto va bene,
ti dice di essere il tuo compagno d’infanzia
ma nel momento del bisogno ti tradisce.
Ogni giorno che passa, gli errori dell’uomo sono sempre di più,
lontani dalla Pace,
presi da Satana,
esseri umani che non provano pietà
o un po’ di pena,
perché rinnegano la Pace
e hanno scelto il male.
Si considerano superiori, fanno finta di non sentire,
gli piace soltanto apparire agli occhi del mondo.
Quando ti avvicini per chiedere aiuto
non ottieni nulla da loro,
non provano neanche un minimo dispiacere,
però gente mia, miei fratelli,
una sola cosa posso dirvi:
nulla è irraggiungibile,
sia che si ha tanto o niente,
tutto si può risolvere
con la fede in Dio.
Ciao, ciao
vittoria agli oppressi.
Questa famosissima poesia di Paul Eluard, che fa parte della raccolta "Poesia e verità" del 1942, è un inno alla libertà, bene supremo dell'uomo grazie al quale egli può aspirare a propugnare le proprie idee, decidere le proprie azioni, estrinsecare la propria personalità. In questa accezione la libertà non è solo un mezzo, ma rappresenta il fine che ogni uomo è chiamato a perseguire con tenacia.
Il conflitto mondiale che fa da sfondo a questi versi finisce per conferirle una duplice matrice, una di tipo esistenziale e l'altra di tipo politico-ideologico.
Liberté
Sur mes cahiers d'écolier
Sur mon pupitre et les arbres
Sur le sable sur la neige
J'écris ton nom
Sur toutes les pages lues
Sur toutes les pages blanches
Pierre sang papier ou cendre
J'écris ton nom
Sur les images dorée
Sur les armes des guerriers
Sur la couronne des rois
J'écris ton nom
Sur la jungle et le désert
Sur les nids sur les genêts
Sur l'écho de mon enfance
J'écris ton nom
Sur les merveilles des nuits
Sur le pain blanc des journées
Sur les saison fiancées
J'écris ton nom
Sur tous mes chiffons d'azur
Sur l'étang soleil moisi
Sur le lac lune vivante
J'écris ton nom
Sur les champs sur l'horizon
Sur les ailes des oiseaux
Et sur le moulin des ombres
J'écris ton nom
Sur chaque bouffée d'aurore
Sur la mer sur les bateaux
Sur la montagne démente
J'écris ton nom
Sur les mousse des nuages
Sur le sueurs de l'orange
Sur la pluie épaisse et fade
J'écris ton nom
Sur le formes scintillantes
Sur les cloches des couleurs
Sur la vérité physique
J'écris ton nom
Sur les sentiers éveillés
Sur les routes déployées
Sur les places qui débordent
J'écris ton nom
Sur la lampe qui s'allume
Sur la lampe qui s'éteint
Sur mes maisons réunies
J'écris ton nom
Sur le fruit coupé en deux
Du miroir et de ma chambre
Sur mon lit coquille vide
J'écris ton nom
Sur mon chien gourmand et tendre
Sur ses oreilles dressées
Sur sa patte maladroite
J'écris ton nom
Sur le tremplin de ma porte
Sur les objets familiers
Sur le flot du feu béni
J'écris ton nom
Sur toute chair accordée
Sur le front de mes amis
Sur chaque main qui se tende
J'écris ton nom
Sur la vitre des surprises
Sur les lèvres attentives
Bien au-dessus du silence
J'écris ton nom
Sur mes refuges détruits
Sur mes phares écroulés
Sur les murs de mon ennui
J'écris ton nom
Sur l'absence sans désir
Sur la solitude nue
Sur les marches de la mort
J'écris ton nom
Sur la santé revenue
Sur le risque disparu
Sur l'espoir sans souvenir
J'écris ton nom
Et par le pouvoir d'un mot
Je recommence ma vie
Je suis né pour ta connaître
Pour te nommer
Liberté
Sui miei quaderni di scuola
Sul banco e sugli alberi
Sulla sabbia e sulla neve
Scrivo il tuo nome
Su tutte le pagine lette
Su tutte le pagine bianche
Pietra sangue carta o cenere
Scrivo il tuo nome
Sulle immagini dorate
Sulle armi dei guerrieri
Sulla corona dei re
Scrivo il tuo nome
Sulla giungla e sul deserto
Sui nidi sulle ginestre
Sull'eco della mia infanzia
Scrivo il tuo nome
Sulle meraviglie delle notti
Sul pane bianco delle giornate
Sulle stagioni fidanzate
Scrivo il tuo nome
Su tutti i miei lembi d'azzurro
Sullo stagno sole ammuffito
Sul lago luna viva
Scrivo il tuo nome
Sui campi sull'orizzonte
Sulle ali degli uccelli
E sul mulino delle ombre
Scrivo il tuo nome
Su ogni folata d'aurora
Sul mare sulle barche
Sulla montagna formidabile
Scrivo il tuo nome
Sulla spuma delle nubi
Sui trasudi del temporale
Sulla pioggia spessa e scialba
Scrivo il tuo nome
Sulle forme scintillanti
Sulle campane dei colori
Sulla verità fisica
Scrivo il tuo nome
Sui sentieri ridestati
Sulle strade districate
Sulle piazze traboccanti
Scrivo il tuo nome
Sulla lampada che si accende
Sulla lampada che si spegne
Sulle mie case riunite
Scrivo il tuo nome
Sul frutto dimezzato
Dello specchio e della mia stanza
Sul mio letto conchiglia vuota
Scrivo il tuo nome
Sul mio cane goloso e tenero
Sulle sue orecchie ritte
Sulla sua zampa maldestra
Scrivo il tuo nome
Sulla soglia della mia porta
Sugli oggetti familiari
Sul fiotto di fuoco benedetto
Scrivo il tuo nome
Su ogni corpo promesso
Sulla fronte degli amici
Su ogni mano che si tende
Scrivo il tuo nome
Sul vetro delle sorprese
Sulle labbra attente
Ben al di sopra del silenzio
Scrivo il tuo nome
Sui miei rifugi distrutti
Sui miei fari crollati
Sui muri della mia noia
Scrivo il tuo nome
Sull'assenza senza desiderio
Sulla solitudine nuda
Sui passi della morte
Scrivo il tuo nome
Sulla salute ritornata
Sul rischio sparito
Sulla speranza dimenticata
Scrivo il tuo nome
E il potere di una parola
Fa ricominciare la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per chiamarti
Libertà.
“Sono enfant de fortune, figlio dei tempi... mi sento come il grillo nell'uragano, come la cicala sorpresa dai primi freddi dell'autunno.”
La poetica, decisamente moderna, di Vincenzo Cardarelli, è sospesa tra un'inquietudine che segna in profondità l'animo umano e una liberazione cercata attraverso la via della lirica. Un uomo dotato di una profondità non comune, poeta nel senso più pieno del termine. Come ebbe a dire Natalino Sapegno, "nel poeta si trova l'uomo". Un uomo il cui rapporto con la vita fu complicato e, allo stesso tempo, caratterizzato da quello che egli stesso definì un amore temerario.
Tempi immacolati
Una volta, su questo mondo,
il beneficio che avevo
era immenso e ignorato.
Non sospettando l'ampiezza
ed il pericolo dei miei appetiti,
godevo le cose più rare
e pregne di soddisfazione.
Le mie allegre curiosità
non erano state ancora
dalla coscienza scoperte e turbate.
Tra me e le ore
vigeva un accordo esatto.
Potevo anche sparire
e dimenticarmi,
ero sicuro che al momento scritto
non avrei perso l'entrata.
E se mi ricordo che già,
in quel tempo così naturale,
estremamente inclinato
a fidarmi e aspettare,
andavo con mite follia
ammettendo impossibili ubiquità
e visite miracolose,
è perché tutte le cose
hanno un passato e un presentimento:
anche il mio male di ora.
Ma sono stato avvertito
in forma di sussulti,
ho conosciuto l'ignoto
trapestio delle sorprese
che neanche si sognano,
e la dolcezza dei connubi che strappano,
prima del disinganno,
la sua potenza all'amore!
Quand'è che una tale grazia
ha cominciato a finire?
Noi non possiamo seguire
le oblique magie del tempo.
Il tempo è dietro di noi,
ma come fondo che non appare,
a questa, che è la vita,
azione di contrasti
nel vuoto.
Imprercettibile come
l'ordine che si muove,
infallibile e retto come il male,
non distoglie le cose e non le affronta:
si contenta di siorarle.
E questa piaga che mi s'è scoperta
sull'anima insensata
quando nacque era appena
una volatile impronta
delle sue dita.
E ora! Già sono passato,
viandante disorientato
al mio stesso paese,
messo in sospetto dalla realtà,
acquisito agl'inganni,
con tuto il destino degli anni
a venire già bell'e tramontato
nel ricordo di quelli che ho vissuto.
La poesia di Lucio Piccolo, poeta siciliano con forti radici europee, predilige l'oscurità, la penombra per il dramma che, come dice il poeta, è insito in ogni siciliano come un'esigenza interna perché in contrapposizione con l'eccessiva luce della calda Sicilia. La sua poesia si presenta innovativa e surrealista in modo mitologico, in cui ad essere protagonista è la natura con le sue variegate forme, una natura umanizzata che individua in presenze apparentemente invisibili, i protagonisti di un mondo a metà tra sogno e incubo, in perfetto equilibrio che svela tutta la sua straordinaria forza e bellezza all'alternarsi della notte o delle stagioni.
Il simbolismo di Piccolo risente non solo di quello francese, ma efficace e decisiva anche l'influenza dei poeti italiani crepuscolari e vociani come Gozzano, Rebora, Govoni e Campana che intende proporre una concezione della poesia come fatto magico e misterioso.
La notte
La notte si fa dolce talvolta,
se dalla cerchia oscura
dei monti non leva alito di frescura
perché non soffochi, ai muri vicini apre corimbo
di canti,
sale coi rampicanti pei lunghi archi,
alle terrazze alte, ai pergolati, al traforo
dei mobili rami segna garofani d'oro,
segreti fievoli coglie ai fili d'acqua sui greti
o muove i passi stanchi
dove l'onde buje si frangono ai bianchi moli.
Subito allo schermo dei sogni
soffia in vene vive volti già cenere, parole afone...
muove la girandola d'ombre :
sulla soglia, in alto, ogni dove
vacuo vano, andito grande tende a forme,
sguardo che muove le prende,
sguardo che ferma le annulla.
Riverberi d'echi, frantumi, memorie insaziate,
reflusso di vita svanita che trabocca
dall'urna del Tempo, la nemica clessidra che
spezza,
è bocca d'aria che cerca bacio, ira,
è mano di vento che vuole carezza.
Alle scale di pietra, al gradino di lavagna,
alla porta che si fende per secchezza
è solo lume d'olio quieto;
spento il rigore dei versetti a poco a poco
il buio è più denso _ sembra riposo ma è febbre;
l'ombra pende al segreto
battere d'un immenso
Cuore
di fuoco.
In Cantico dei Vangeli, Alda Merini compie un meraviglioso viaggio poetico attraverso la propria, personale rilettura dei testi cristiani. L'affresco che ne emerge è una raccolta che è una sorta di inno all'amore, un viaggio nel cuore umano percorso attraverso la lente di protagonisti dei quali la poetessa non si esime dal sottolinearne debolezze che, se vogliamo, finiscono per metterne meglio in evidenza anche le virtù, in una chiave che potrebbe forse definirsi “realistica”.
Nella poesia che ho scelto, Gesù si rivolge a Pietro. Quest'ultimo è un uomo condotto dal dubbio. Giunti a questo punto della storia, Pietro ha bisogno di certezze, di un appiglio. Non si è ancora spinto troppo avanti, e per non crollare lungo il cammino, per far propria la causa di Gesù dopo la sua fine, ha bisogno di toccarne con mano la verità. La negazione di Pietro (meglio, il suo tradimento), rappresentata fra gli altri, con intenso pathos, dal Caravaggio degli ultimi anni, matura dunque attorno al dubbio. Nella prima parte del componimento, Gesù sembra sottolineare la differenza tra la sua natura divina e la natura umana di Pietro, anzi, pare quasi rinfacciare l'avergli fatto dono di divenire un pescatore di anime. Tuttavia, più che a ciò che gli uomini fanno o dicono, Gesù sceglie di guardare a ciò che è racchiuso nel loro cuore (in questo mi viene addirittura in mente 1984): di fatti, riconoscendo l'amore nel cuore di Pietro, sa che il tutto finirà nel perdono. Significativo che l'autrice faccia perdonare prima il maestro dal discepolo, e poi viceversa: in un ultimo atto di umana compassione, Gesù comprende la paura nell'animo di Pietro, e riconosce di doversi far perdonare il non aver provato la sua esistenza ultraterrena. Gli ultimi versi, quasi palpabili, racchiudono in sé questa prova. Che è come dire che se c'è qualcosa di ultraterreno, qualcosa di più alto nel mondo degli uomini, quel qualcosa è l'amore.
Gesù a Pietro
Mi perseguita la morte come il tuo giorno,
O Pietro,
fossi nudo come tu sei...
Tu sei un uomo che spera nel mio miracolo.
Sei fatto di terra e di sangue,
ma in questo momento,
io che sono il fatto e il perdono di Dio
ho bisogno della tua forza.
Non rinnegarmi, Pietro,
non scappare dal mio Calvario,
non fuggire dal mio sguardo.
Tu lo sai che con il mio sguardo io ti anniento
e hai paura di questo.
Io ti metto nuovamente radici nel cuore.
Perché scappi come un cerbiatto?
Perché ascolti il canto del gallo?
Non coprirti le spalle con un mantello
che non è il tuo:
tanto tornerai indietro,
tanto io ti ho reso ricco con una pesca sublime,
quella delle anime.
Tu mi devi ringraziare per questo.
Tu vorrai ancora pescare anime.
Tu rinuncerai alla pastura dei pesci.
Tu vorrai mangiare la carne di Dio.
Ascolto le tue parole quando gridi:
«Io non l'ho mai visto,
io non lo conosco».
Ti guardo e mi rassegno:
traditore anche tu,
ma tanto innamorato di Dio
che tornerai a perdonarmi
e io e te, Pietro,
ci perdoneremo insieme
di aver dubitato l'uno dell'altro.
Sai qual è la cosa che ti conduce, Pietro?
Il dubbio.
Tu hai dubitato di me
e hai avuto talmente paura
che sei impazzito.
Io ti darò la prova
della mia esistenza ultraterrena.
Lo so che l'uomo ha bisogno
di mettere le sue dita
nelle ferite degli altri.
Io presenterò il mio corpo pieno di ferite:
tutte le mani potranno affondare
nelle mie ferite, Pietro:
anche le tue mani.
Liao Yiwu ha scritto questa poesia nel giugno del 1989 per denunciare i fatti di Piazza Tienanmen.
Massacro
E un altro tipo di massacro avviene nel
cuore dell'utopia
Il primo ministro prende un raffreddore, e
il popolo deve tossire;
si dichiara la legge marziale
più e più volte.
La macchina senza denti dello Stato rotola
verso coloro che hanno il coraggio
di resistere alla malattia.
Teppisti disarmati cadono a migliaia; killer
professionisti coperti di ferro nuotano in
un mare di
sangue, accendono fuochi sotto finestre
ermeticamente chiuse puliscono gli stivali
d'ordinanza
con le gonne delle ragazze morte. Sono
incapaci di tremare!
I loro cervelli elettronici possiedono un
unico programma : un documento ufficiale
pieno di buchi.
In nome della Patria, massacrare la
costituzione!
Cambiare la costituzione, massacrare la
giustizia!
In nome delle madri, strangolare i figli!
In nome dei figli, sodomizzare i padri!
In nome delle mogli, uccidere i mariti!
In nome dei cittadini, bombardate le città!
Aprite il fuoco! Fuoco!
Sui vecchi!
Sui bambini!
Aprite il fuoco sulle donne!
Su studenti. Lavoratori. Insegnanti.
Aprite il fuoco sui venditori ambulanti!
Aprite il fuoco! Mitragliate!
Prendete di mira queste facce irose.
Facce terrorizzate.
Facce stravolte.
Svuotare i caricatori sulle facce disperate e
pacifiche!
Sparate su quello che avete nel cuore!
Quelle facce che avanzano come una
marea e l'istante dopo sono morte sono
così belle!
Quelle facce che salgono al cielo e
scendono all'inferno sono così belle!
Belle.
Una bellezza che spinge gli uomini a devastare, calunniare, dominare, depredare!
Fatela finita con la bellezza!
Fatela finita con i fiori!
I boschi. L' università. L' amore.
Chitarre e aria pura!
Basta con queste idee che inducono in
errore!
Aprite il fuoco! Mitragliate ! Com'è bello!
...
Fategli esplodere il cervello! Esplodere
l'anima.
Che schizzino sul cavalcavia . La portineria.
I parapetti.
Schizzino sulla strada!
Schizzino verso il cielo dove diventeranno
stelle!
Stelle in fuga!
Stelle con due gambe umane!
Cielo e terra si sono scambiati di posto.
L' umanità porta cappelli luminosi,
splendenti.
Luminosi, splendenti elmetti di metallo.
Un drappello di soldati viene alla carica
dalla luna.
Aprite il fuoco! Da tutte le canne!
Mitragliate! Com'è bello!
L'umanità e le stelle cadono.
Fuggono insieme.
Impossibile distinguerle.
Dategli la caccia nelle nuvole!
Dategli la caccia nelle fenditure della terra
e nella loro carne e fatele fuori!
Aprite un altro buco nell'anima!
Aprite un altro buco nelle stelle!
Anime con camicie rosse!
Anime con cinture bianche! Anime con
scarpe da corsa che fanno ginnastica alla
radio!
Dove credete di poter scappare?
Vi tireremo fuori dal fango.
Vi strapperemo fuori dalla carne.
Vi tireremo fuori dall'aria e dall'acqua.
Aprite il fuoco! Mitragliate! Che bello!
Com'è bello!
Il massacro avviene in tre mondi.
Sulle ali degli uccelli.
Nella pancia dei pesci.
Nella polvere sottile.
In innumerevoli organismi viventi.
Saltare! Ululare! Volare ! Correre !
Com'è bella la libertà!
Com'è bello far fuori la libertà!
Il potere trionferà per sempre.
Si tramandera' di generazione in generazione per sempre.
Anche la libertà tornerà dal regno dei
morti.
Tornerà alla vita generazione dopo
generazione.
Come la luce fioca prima dell'alba.
No. Non c'è nessuna luce.
Nel cuore dell'utopia non può mai esserci
luce.
...
Andiamo a casa.
Fratelli e sorelle, i vostri corpi sparsi come
rifiuti sulla terra.
Andiamo a casa.
Camminiamo senza far rumore.
Camminiamo un metro sopra la terra.
Sempre avanti, dev'esserci un posto per
riposare.
Dev'esserci un posto dove non si sentono
spari ed esplosioni.
Abbiamo così voglia di nasconderci in un
filo d'erba.
In una foglia.
Zio. Zia. Nonno. Nonna. Papà. Mamma.
Quanto manca ancora a casa?
Noi non abbiamo una casa.
Lo sanno tutti.
I cinesi non hanno nessuna casa.
La casa è un desiderio confortante.
Lasciateci morire in questo desiderio.
APRITE IL FUOCO, MITRAGLIATE, FUOCO!
Lasciateci morire in libertà.
Giustizia. Uguaglianza. Amore Universale.
Pace, in questi vaghi desideri.
In piedi all'orizzonte
chiamiamo altri vivi alla morte!
...
Di Vladimir Majakovskij è difficile parlare, non tanto perché la sua poesia è un'intera enciclopedia di temi collegati alla tradizione e allo stesso tempo nuovi, quanto perché, in modo e per ragioni diverse, sia in Europa che in patria è rimasto spesso ingabbiato in definizioni e canonizzazioni letterarie che hanno allontanato l'attenzione dalla sua poesia, che è una forza così prorompente da non perdersi neanche nella traduzione.
Invece di una lettera
Il fumo del tabacco ha roso l'aria.
La stanza
è un capitolo dell'inferno di Kruchenych.
Ricordi?
Accanto a questa finestra
per la prima volta
accarezzai freneticamente le tue mani.
Oggi, ecco, sei seduta,
il cuore rivestito di ferro.
Ancora un giorno,
e mi scaccerai,
forse maledicendomi.
Nella buia anticamera, la mano, rotta dal tremito,
a lungo non saprà infilarsi nella manica.
Poi uscirò di corsa,
e lancerò il mio corpo per la strada.
Fuggito da tutti,
folle diventerò,
consunto dalla disperazione.
Ma non è necessario tutto questo;
cara,
dolce,
diciamoci adesso addio.
Il mio amore,
peso così schiacciante ancora,
ti grava sopra
lo stesso,
dovunque tu fugga.
Lasciami sfogare in un ultimo grido
l' amarezza degli offesi lamenti.
Se lo sfiancano di lavoro, un bue,
se ne va
ad adagiarsi sulle fredde acque.
Ma, al di fuori del tuo amore,
per me
non c'è mare,
e dal tuo amore neanche col pianto puoi
imperare tregua.
Se l' elefante sfinito cerca pace,
si stende regalmente sulla sabbia
arroventata.
Ma, al di fuori del tuo amore,
per me
non c'è sole,
e io non so neppure dove sei e con chi.
Se così tu avessi ridotto un poeta,
lui
avrebbe lasciato la sua amata per la gloria e
il denaro
ma per me
non un solo
suono è di festa
oltre a quello del tuo amato nome.
Non mi butterò nella tromba delle scale,
non ingoiero' veleno,
non saprò premere il grilletto contro la
tempia.
Su di me,
al di fuori del tuo sguardo
non ha potere la lama di nessun coltello.
Domani dimenticherai
che ti ho incoronato,
che l'anima in fiore ho incenerito con
l'amore,
e lo scatenato carnevale dei giorni irrequieti
scompigliera' le pagine dei miei libri.
Potranno mai le foglie secche delle mie
parole
trattenerti un momento
per aspirare avidamente?
Ma lascia almeno
ch'io lastrichi con un'ultima tenerezza
il tuo passo che s'allontana.
La mia poesia del giorno è di Attilio Bertolucci, grande poeta e padre di Bernardo e Giuseppe. Si tratta di versi dedicati all'amata Ninetta, della quale il poeta delinea, con la metafora della rosa bianca, un'immagine immersa in un tempo che deve ancora venire. Un'istantanea da conservare nel cuore, come in una dimensione atemporale, mentre la vita al di fuori va avanti, inesorabilmente scandita dallo scorrere del tempo.
Peraltro, se la passione di Ninetta per il cinema finì per contagiare i figli Bernardo e Giuseppe, altrettanto potrebbe dirsi di quella di Attilio per la poesia, la quale li segnò, inevitabilmente, in profondità.
Da un'intervista a Bernardo nel '91: "Immaginate dunque questo universo, un podere abbastanza piccolo, la casa dei padroni, quella dei contadini, io totalmente diviso tra le due case (come si può vedere nel film Novecento), e un padre poeta, grande poeta. Il mio modello primario è stato quello di una persona creativa. Per me bambino la cosa da fare da grande era scrivere poesie. In questo senso io ripeto sempre che credo di aver avuto il privilegio, la chance, di un grande maestro. Perché il modo di essere maestro di mio padre era, credo, non tanto diverso da quello di un guru, fascinoso, a volte incomprensibile, apparentemente mitissimo, sempre ipnotico, imbattibile, comunque il favorito di mia madre.
[…]
"L’insegnamento non avveniva mai all’interno dei confini rassicuranti, ma un po’ limitati della scuola. C’era l’esperienza profonda, immediata, direi quasi verticale, dalla superficie fino al cuore della cosa, della poesia. C’è un esempio che ho fatto altre volte, ma che considero molto efficace: mio padre parla di mia madre in una poesia che si chiama La Rosa bianca, la descrive come una rosa bianca che fiorisce in fondo al giardino, «le ultime api dell’estate l’hanno visitata», dice, e finisce: «Un po’ smemorata come tu sarai a trent’anni». Io leggo la poesia, esco di casa, con una corsetta arrivo in fondo al giardino ed ecco lì la rosa bianca.
"Questo poter verificare nella realtà, nell’esperienza immediata della vita, qualcosa che avevo letto poco prima, era irresistibile come un gioco di specchi. Questa verifica nel reale getta sulla poesia una luce di incredibile verità: le parole non sono illusione, le parole sono soltanto il segno che definisce qualcosa che è lì, palpabile, davanti ai miei occhi e le parole gettano sulla rosa una luce in più. Ecco che lì io imparo cosa è la poesia."
La rosa bianca.
Coglierò per te
l'ultima rosa del giardino,
la rosa bianca che fiorisce
nelle prime nebbie.
Le avide api l'hanno visitata
sino a ieri,
ma è ancora così dolce
che fa tremare.
È un ritratto di te a trent'anni.
Un po' smemorata, come tu sarai allora.
Solo de amor è una raccolta poetica di Alejandro Jodorowsky, ma nn tratta dell'amore sentimentale ed edulcorato della tradizione romantica. Perfettamente inserita nell' universo creativo di Jodorowsky e nel suo concetto di "arte che cura", la sua poesia parla dell'amore concreto, reale, che tutti viviamo: le nevrosi, le ossessioni, la gelosia, le incomprensioni, gli enormi sforzi che si compiono per sfrondare e "pulire" il rapporto d'amore delle scorie che tendono a demolirlo. È un amore concreto che è volto alla scoperta di se stessi tramite il gioco di specchi della relazione, perché solo nell'uscire dalle proprie nevrosi si racchiude la possibilità di creare un vero rapporto d'amore.
Llegas a mí como una brisa sin paisaje
a nacer en aquello que emerge de la herida
allí donde ya no es posible establecer un nido
Humilde y silenciosa te dejas llevar por el torrente
no te dices libre pero sabes sonreír cuando no pides
porque lo has perdido todo menos a ti misma
Sombra a sombra entrando en el placer
yo de tu piel vacía tú del olvido que es mi alma
como sobrevivientes de todos las guerras
cada caricia es un ave del milagro
cada beso un parto
cada orgasmo un Edén en la nada
Vieni a me come una brezza senza paesaggio
per nascere in ciò che scaturisce dalla ferita
là dove ormai più non è possibile stabilire un nido
Umile e silenziosa ti lasci portare dal torrente
libera non ti dici ma sai sorridere quando non chiedi
perché tutto hai perduto tranne te stessa
Ombra su ombra entrando nel piacere
io della tua pelle vuota tu dell'oblio che è la mia anima
come sopravvissuti di tutte le guerre
ogni carezza è un uccello del miracolo
ogni bacio un parto
ogni orgasmo un Eden nel nulla