La questione che fa da sfondo alla Giornata della Terra si presta a fornire, per forza di cose, vari spunti, in primis sul tema della responsabilità intergenerazionale. Peraltro, anche guardando alla storia di Martin, troveremmo delle forti assonanze tra l'avvicinarsi della minaccia proveniente da nord e il significato ultimo della battaglia per la salvaguardia dell'ambiente.
Oggi vado con Walt Whitman. I suoi versi potrebbero ricordarci come il tempo di una vita umana non sia altro che un granello di sabbia di fronte all'immenso scorrere della storia del mondo. La natura, nella sua vertiginosa insondabilità, si rivela qualcosa di molto più grande di noi. Azzarderei a dire che i versi di Whitman ci ricordano come, in fondo, lo sia anche la poesia. Potrebbe risultare persino significativa, sotto un certo punto di vista, la licenza presa dal traduttore per quanto riguarda il titolo: in italiano è stato infatti reso in La poesia salverà il mondo.
The world below the brine
The world below the brine,
Forests at the bottom of the sea, the branches and leaves,
Sea-lettuce, vast lichens, strange flowers and seeds, the thick tangle, openings, and pink turf,
Different colors, pale gray and green, purple, white, and gold, the play of light through the water,
Dumb swimmers there among the rocks, coral, gluten, grass, rushes, and the aliment of the swimmers,
Sluggish existences grazing there suspended, or slowly crawling close to the bottom,
The sperm-whale at the surface blowing air and spray, or disporting with his flukes,
The leaden-eyed shark, the walrus, the turtle, the hairy sea-leopard, and the sting-ray,
Passions there, wars, pursuits, tribes, sight in those ocean-depths, breathing that thick-breathing air, as so many do,
The change thence to the sight here, and to the subtle air breathed by beings like us who walk this sphere,
The change onward from ours to that of beings who walk other spheres.
Il mondo sottomarino,
Foreste al fondo del mare, i rami, le foglie,
Ulve, ampi licheni, strani fiori e sementi, folte macchie, radure, prati rosa,
Variegati colori, pallido grigio verde, porpora, bianco e oro, la luce vi scherza fendendo le acque
Esseri muti nuotan laggiù tra le rocce, il corallo, il glutine, l’erba, i giunchi, e l’alimento dei nuotatori
Esseri torpidi brucan fluttuando laggiù, o arrancano lenti sul fondo,
Il capodoglio affiora a emetter lo sbuffo d’aria e vapore, o scherza con la sua coda,
Lo squalo dall’occhio di piombo, il tricheco, la testuggine, il peloso leopardo marino, la razza,
E passioni, guerre, inseguimenti, tribù, affondare lo sguardo in quei fondi
marini, respirando quell’aria così densa che tanti respirano,
Il cambiamento, volgendo lo sguardo qui o all’aria sottile respirata da esseri che al pari di noi su questa sfera camminano,
Il cambiamento più oltre, dal nostro mondo passando a quello di esseri che in altre sfere camminano.
Avrei voluto mettere Corpo Presente di Lorca, ma Silk ha messo tutte le parti del Compianto per Ignacio Sanchez Mejias, e così va anche meglio, mi sono ricreato a rileggerla.
(Tanto)Tempo fa, ebbi la bellissima occasione e possibilità di musicare diversi testi di poesie, selezionate da un appassionato attore/interprete di arte drammatica, la cui idea era quella di recitarle mentre un paio di musicisti suonavano un accompagnamento musicale e un pittore stendeva le sue immagini ispirandosi ai testi e di conseguenza alla musica.
La passione per la poesia me la trasmise proprio lui, cui non posso far altro che mandare un saluto rivolto alle stelle...
Anche il coraggio di comporre musica me lo consolidò quella fantastica esperienza.
Corpo Presente ed Anima Assente(non sempre) erano il fulcro centrale dell'opera, che concatenava tante altre poesie attraverso tematiche come la libertà, la rivoluzione, la morte, l'amicizia eccetera.
L'inizio, che mi coinvolse tantissimo nel progetto, era una composizione di un poeta russo sconosciuto, Alexei Khvostenko, che si dipanava in 50 punti diversi, in un crescendo/variando emotivo per poi esplodere nell'Ora per la pazzia e la gioia di Whitman( il buon Walt che come vedo è stato selezionato anche da Aemon).
Eccolo:
Il Sospettoso.
1.
Io-
degenerato-
avendo tutti i motivi.
2.
Qualche volta io dormo.
3.
Santa è la ghigna del miliardario
Santo il c**o della commessa del fornaio
E’ caduta una vecchietta
Intorno stanno a guardare
4.
In birreria non c’è posto abbastanza
per gli amanti della birra
5.
Ma guarda là
Ma guarda questo qui
Ma guarda quello là
Ma guarda chi?
6.
Io vivo nel serraglio
7.
Io
8.
Non posso
Non voglio
Non bramo
9.
Nè le mie forze
Nè i miei anni
Nè le mie labbra
Nè le mie mani
Nè i miei piedi
10.
Io.
11.
D’inverno di continuo
Arde carta
12.
E’ così strano
E’ semplicemente inspiegabile
13.
Mosca si spande per la russia intera
Qui in casa mia
stà stretta
14.
Topi
Piccoli topi
Topi-topi
15.
Blatte
Piccole blatte
Blatte-blatte
16.
La fedele muore sempre
17.
Senza dubbio io sono qui
Sono presente
Io sparisco
Io m…
18.
Un coraggioso pilota russo
19.
Siediti accanto
Io sono vicino
non va
riposo
20.
Quando son nato?
Nell’anno 1840
quando son nato?
…..
21.
Quando vivo?
Quando vivo?
Quando vivo?
22.
Che razza di cognomi-
Ivanov
Petrov
23.
Chi è là
Chi è là
Chi è qui
Chi è là
24.
Cerchiamo di ricordare
25.
Non sono un Adone
Non sono un Cane
Non sono un Solco
26.
Cos’è -una prigione?
Cos’è-una casa?
Cos’è -una città?
Cos’è-una musica?
27.
Baciami
Non baciarmi
28.
Gelo
Porcheria
me**a
29.
Io.
30.
Apatia-
La più forte passione
31.
Io.
32.
Oh?
33.
La storia -una malattia
La fauna-una malattia
La flora-demenza
34.
La sudicia vile giacchetta.
35.
Domani io partirò
Partirò una volta ancora
con tutto ciò
36.
I fiori rifioriscono
37.
Di tutt’altro si tratta
38.
Beati i poveri di spirito
39.
La wodka
La fame
40.
La felicità
41.
La strada sulla quale
la mia finestra stà
42.
Io.
43.
La fermata del tram
44.
La buca delle lettere
45.
Il recinto
46.
Bruciano i versi
Su scodelle
Su piattini
Sul pavimento
47.
Io brucio versi sulla scala
48.
I miei amici conoscono me
Ma io non conosco
49.
Chi mi ama
50.
Chi mi sporca.
Ho sempre trovato i progetti di questo tipo assai interessanti. Mi piace l'idea che più forme d'arte vengano a intrecciarsi, suscitando emozioni in un unico, comune istante. In ogni caso, bellissimo momento di condivisione. Grazie.
Oggi vorrei pagare un vecchio "debito letterario" con alcuni versi tratti da The Lord of the Rings di J.R.R. Tolkien.
All that is gold does not glitter
All that is gold does not glitter,
Not all those who wander are lost;
The old that is strong does not wither,
Deep roots are not reached by the frost.
From the ashes a fire shall be woken,
A light from the shadows shall spring;
Renewed shall be blade that was broken:
The crownless again shall be king.
Non tutto quel ch'è oro brilla,
Né gli erranti son perduti;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza
E le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco
L'ombra sprigionerà una scintilla,
Nuova la lama ora rotta,
E re quei ch'è senza corona.
È la mia poesia poesia preferita in assoluto, quella che ancora oggi, dopo tanti anni, quando la leggo mi fa ..."sentire il sale nella gola", la prima volta invece ho proprio pianto .
In questa poesia, contenuta nella raccolta Poeta en Nueva York del 1929, Federico Garcia Lorca analizza con acutissima lucidità il suo stato di "diverso", di uomo che sente il mondo dall'altra parte della porta della "normalità", "dal lato contrario".
Poema doble del lago Eden
Era mi voz antigua
ignorante de los densos jugos amargos.
La adivino lamiendo mis pies
bajo los frágiles helechos mojados.
¡Ay voz antigua de mi amor,
ay voz de mi verdad,
ay voz de mi abierto costado,
cuando todas las rosas mandaban de mi lengua
y el césped no conocía la impasible dentatura del cavallo!
Estás aquí bebiendo mi sangre,
bebiendo mi humor de niño pesado,
mientras mis ojos se quiebran en el viento
con el aluminio y las voces de los borrachos.
Déjame pasar la puerta
donde Eva come hormigas
y Adán fecunda peces deslumbrados.
Déjame pasar, hombrecillo de los cuernos,
al bosque de los desperezos
y los alegrisimos saltos.
Yo sé el uso más secreto
que tiene un viejo alfiler oxidado
y sé del horror de unos ojos despiertos
sobre la superficie concreta del plato.
Pero no quiero mundo ni sueño, voz divina,
quiero mi libertad, mi amor humano
en el rincón más oscuro de la brisa que nadie quiera.
¡Mi amor humano!
Esos perros marinos se persiguen
y el viento acecha troncos descuidados.
¡Oh voz antigua, quema con tu lengua
esta voz de hojalata y de talco!
Quiero llorar porque me da la gana
como lloran los niños de último banco,
porque yo no soy un hombre, ni un poeta, ni una hoja,
pero sí un pulso herido que sonda las cosas del otro lado.
Quiero llorar diciendo mi nombre,
rosa, niño y abeto a la orilla de este lago,
para decir mi verdad de hombre de sangre
mirando en mí la burla y la sugestión del vocablo.
No, no, yo no pregunto, yo deseo,
voz mía libertada que me lames las manos.
En el labirinto de biombos es mi desnudo el que recibe
la luna de castigo y el reloj encenizado.
Así hablaba yo.
Así hablaba yo cuando Saturno detuvo los trenes
y la bruma y el Sueño y la Muerte me estaban buscando.
Me estaban buscando
allí donde mugen las vacas que tienen patitas de paje
y allí donde flota mi cuerpo entre los equilibrios contrarios.
Era la mia antica voce
ignara dei densi succhi amari.
Sento che lambisce i miei piedi
sotto le fragili felci bagnate.
Ahi, voce antica del mio amore!
ahi, voce della mia verità!
ahi, voce del mio aperto costato,
quando tutte le rose nascevano dalla mia lingua
e la zolla non conosceva la dentatura impassibile del cavallo!
Tu sei qui che bevi il mio sangue,
e bevi il mio umore di bambino noioso,
mentre i miei occhi si spezzano nel vento
con l'alluminio e le voci degli ubriachi.
Lasciami varcare la porta
dove Eva mangia formiche
e Adamo feconda pesci abbaglianti.
Lasciami passare, omuncolo dei corni,
verso il bosco degli stiramenti
e degli allegrissimi salti.
Io conosco l'uso più segreto
che ha un vecchio spillo ossidato
e so l'orrore di certi occhi svegli sulla concreta superficie del piatto.
Ma non voglio mondo né sogno, voce divina,
voglio la mia libertà, il mio amore umano
nell'angolo più buio del vento che nessuno vuole.
Mio amore umano!
Questi cani marini s'inseguono
e il vento spia tronchi trascurati.
Oh voce antica, brucia con la tua lingua
questa voce di latta e talco!
Voglio piangere perché ne ho voglia
come piangono i bambini dell'ultimo banco
perché io non sono né un uomo, né un poeta, né una foglia
bensì un polso ferito che sonda le cose dall'altro lato.
Voglio piangere dicendo il mio nome,
rosa, bimbo e abete sulla sponda di questo lago
per dire la mia verità d'uomo di sangue
uccidendo in me la beffa e la suggestione del vocabolo.
No, no, io non domando, io desidero,
mia voce liberata che mi lambisci le mani.
Nel labirinto di paraventi è il mio nudo che riceve
la luna di castigo e l'incenerito orologio.
Così parlavo.
Così parlavo quando Saturno fermò i treni
e la bruma e il Sogno e la Morte si misero alla mia ricerca.
Si misero alla mia ricerca
là dove muggiscono le vacche che hanno zampette da paggio
e là dove galleggia il mio corpo tra equilibri contrari.
La scelta di oggi è molto ardua, di poesie adatte ce ne sono tante : da Alle fronde dei salici di Salvatore Quasimodo, a Tu non sai le colline di Cesare Pavese, a 25 Aprile di Alfonso Gatto e ancora La resistenza e la sua luce di Pier Paolo Pasolini, Partigia di Primo Levi.
Alla fine ho optato per le parole di uno dei padri della nostra Costituzione, Pietro Calamandrei.
Processato per crimini di Guerra nel 1947, Albert Kesselring, comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in Italia, fu condannato a morte. La condanna fu commutata nel carcere a vita. Ma nel 1952, in considerazione delle"gravissime" condizioni di salute, egli fu messo in libertà. Tornato in patria fu accolto come un eroe. Pochi giorni dopo il suo rientro a casa Kesselring ebbe l'impudenza di dichiarare pubblicamente che non aveva proprio nulla da rimproverarsi, ma che, anzi, gli italiani dovevano essergli grati per il suo comportamento durante i 18 mesi di occupazione, tanto che avrebbero fatto bene ad erigergli ...un monumento.
A tale affermazione rispose Calamandrei, con una famosa epigrafe, dettata per una lapide "ed ignominia", collocata nell'atrio del Palazzo Comunale di Cuneo in segno di imperitura protesta contro l'avvenuta scarcerazione.
Lo avrai
camerata Kesselring
il monumento che pretendi da noi italiani
ma con che pietra si costruirà
e deciderlo tocca a noi.
Non coi sassi affumicati
dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio
non colla terra dei cimiteri
dove i nostri compagni giovinetti
riposano in serenità
non colla neve inviolata delle montagne
che per due inverni ti sfidarono
non colla primavera di quelle valli
che ti videro fuggire.
Ma soltanto col silenzio dei torturati
più duro di ogni macigno
soltanto con la roccia di questo patto
giurato tra uomini liberi
che volontari si adunarono
per dignità e non per odio
decisi a riscattare
la vergogna e il terrore del mondo.
Su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci troverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
RESISTENZA.
Jacques Prévert, con l'apparente semplicità dei suoi versi, ha svolto quella che lui considerava la missione di denuncia sacrale del poeta contro quel fasullo irritante perbenismo ancora oggi presente nella nostra società.
Intollerante al conformismo e al potere, nei suoi versi molti sono i temi predominanti.
Ai bambini e agli animali, scevri della bassezza e dell'individualismo degli adulti, il poeta affida il valore simbolico della libertà, fonte d'ispirazione per l'uomo che voglia intraprendere un percorso che lo affranchi dalla monotonia di un'esistenza priva di scopo.
Ma è soprattutto l'amore il tema centrale della sua poetica. L'amore riesce a sconfiggere il male e le meschinità del mondo e, anche se a volte è sinonimo di sofferenza e tradimento, viene sempre ricercato dall'uomo che aspira alla fuga da una realtà opprimente.
Nella poesia che ho scelto per oggi, il poeta descrive una faticosa e lenta rinascita. Le illusioni che con il ricordo riprendono vita non sono altro che specchietti per le allodole. Gli specchi del poeta riflettono un passato duro da decifrare, ma metabolizzato e sulle cui macerie è possibile costruire un presente, lontano dai turbamenti.
Ricordare è sempre il primo passo per dimenticare.
Sang et plumes
Alouette du souvenir
c'est ton sang qui coule
et non pas le mien
Alouette du souvenir
j'ai serré mon poing
Alouette du souvenir
oiseau mort joli
tu n'aurais pas dû venir
manger dans ma main
les graines de l'obli
Allodola del ricordo
è tuo il sangue che scorre
è tuo e non il mio
Allodola del ricordo
ho stretto il pugno mio
Allodola del ricordo
gentile uccello ferito
non saresti dovuto venire
a beccare nella mia mano
i semi della dimenticanza
Miguel Otero Silva è stato un personaggio di spicco del Novecento venezuelano. Giornalista e scrittore, a vent'anni fece parte del gruppo della Generazione del '28, movimento studentesco in prima linea contro la dittatura di Gómez. Egli visse intensamente le vicissitudini politiche del proprio Paese, di fronte alle quali si mostrò tutt'altro che indifferente, tanto che fu costretto per ben due volte all'esilio. La lotta alla tirannia fu ricorrente nelle sue opere.
La poesia di Otero Silva che ho scelto per oggi si pone in realtà su un piano differente dalla lotta politica, ed è citata in un libro che credo di poter definire una delle mie letture di formazione. L'autore dipinge vividamente un addio che potrebbe essere "agrodolce" ma allo stesso tempo carico di intensità, in cui il silenzio, rotto soltanto dallo sguazzare dei piedi, finisce per farsi assordante. E l'addio, che nel suo originario significato altro non è che una promessa carica di speranza, potrebbe essere, in fondo, nient'altro che una parte del viaggio. Un passo necessario per poter proseguire, portati da "venti di avventure" verso nuovi mondi.
Yo escuchaba chapotear en el barco
Yo escuchaba chapotear en el barco
los pies descalzos
y presentía los rostros anochecidos de hambre.
Mi corazón fue un péndulo entre ella y la calle.
Yo no sé con qué fuerza me libré de sus ojos
me zafé de sus brazos.
Ella quedó nublando des làgrimas su angustia
tras de la lluvia y el cristal.
Pero incapaz para gritarme: ¡Espérame,
Yo me marcho contigo!
Io ascoltavo sguazzare nella barca
i piedi scalzi
e immaginavo i volti spenti dalla fame.
Il mio cuore è stato un pendolo fra lei e la strada.
Io non so con quale forza mi sono liberato dei suoi occhi
e sono sfuggito alle sue braccia.
Lei rimase ad annebbiare di lacrime la sua angustia
al di là della pioggia e del vetro.
Ma incapace di gridarmi: Aspettami
io vengo via con te!
La lirica di Vincenzo Cardarelli che ho scelto per oggi esprime, nel giro di pochi versi tutti risolti in immagini, l'ansia e il tormento di un'intera esistenza. Il linguaggio è limpido e misurato, ma in grado di scolpire immagini ed emozioni in periodi tanto brevi e concisi quanto intensi e suggestivi.
Gabbiani
Non so dove i gabbiani
abbiano il nido,
ove trovino pace.
Io sono come loro
in perpetuo volo.
La vita la sfioro
com'essi l'acqua
ad acciuffare il cibo.
E come forse anch'essi
amo la quiete,
la grande quiete marina,
ma il mio destino è vivere
balenando in burrasca.
Questi versi di Alda Merini contenuti nella raccolta intitolata "Antenate bestie da manicomio " sono stati messi in musica da Rodolfo Maltese, chitarrista e compositore, e interpretati da Francesco Di Giacomo, voce dei Banco del Mutuo Soccorso per uno spettacolo teatrale " Il pane loro - Storie da una Repubblica fondata sul lavoro."
Lo spettacolo aveva l'intento di raccontare le storie di chi sopravvive dopo un incidente sul lavoro, la rabbia e la solitudine di chi perde un familiare, i ricatti e le sopraffazioni a cui spesso si è sottoposti nel mondo del lavoro, e denunciare il silenzio che spesso cade sulle vittime del lavoro .
Oddio il mio grembiule
guarda come mi torno indietro
era una bobina di anima
ogni giorno un filo d'amore
ogni giorno quelle ore mi massacravano
io ogni giorno non ridevo mai
e la sera tornavo così stanca
e vedevo mio marito che mi guardava
e io mi giravo dall'altra parte
ma il mio grembiule era pieno di rose
erano tutti i baci che avrei dato a lui
invece di quello sporco lavoro
non hanno voluto pagarmi
né il grembiule e neanche la vita
perché ero una donna che non poteva
sognare
ero una volgare operaia
che in un giorno qualsiasi
e chissà perché
aveva perso di vista il suo grembiule
per pensare soltanto a lui.
Mi sono spesso chiesto cosa significhi fare lo schiavo in un Paese lontano e radicalmente differente dal proprio. Vivere in una baraccopoli fatiscente per poi vedersi sgomberato persino da lì, finire per strada. Sentirsi dire che no, non c'è posto neppure per fare lo schiavo. Sentirsi, talvolta, disprezzato per il solo fatto di esistere, per aver cercato la propria fortuna lontano da un posto al quale magari la stessa fortuna ha voltato le spalle. Rischiare la vita stessa, per ritrovarsi di fronte a tutto questo.
Amo la poesia perché sono convinto che nel mondo ci sia un gran bisogno di bellezza. E trovo ci sia una bellezza sublime e rara nel sorriso di chi, pur vivendo tutto questo, continua a lottare per la propria libertà e per la propria dignità.
In una giornata particolare come quella odierna, che offre innumerevoli spunti di riflessione, ho scelto dei versi di Langston Hughes che trovo particolarmente significativi.
Let America Be America Again.
Facciamo che l'America sia America ancora.
Facciamo che torni ad essere il sogno ch'è stato.
Facciamo ch'essa ritrovi nella prateria il pioniere
in cerca d'una magione dove trovare la propria libertà.
(L'America non fu mai America per me.)
Facciamo che l'America torni ad essere il sogno sognato
da quei visionari — facciamo che sia questa immensa solida terra d'amore
laddove mai vi dovranno attecchire regimi o regni o tiranni corrotti
né più alcun uomo sarà schiacciato da qualcuno sopra di lui.
(Questa non è mai stata l'America per me)
Oh, facciamo che il nostro Paese sia la terra dove la Libertà
è onorata senza alcuna patriottica coccarda,
ma l'opportunità si riveli reale, e libera sia la vita,
e l'Uguaglianza sia nell'aria stessa che respiriamo.
(Non vi è mai stata uguaglianza per me,
né libertà, in questa Patria della Libertà.)
Dimmi, chi sei tu che mormori nel buio?
Chi sei tu che stendi il tuo velo di traverso alle stelle?
Io sono il Bianco nella miseria, ingannato ed emarginato.
Io sono il Negro che ancora reca gli sfregi della schiavitù.
Io sono il pellerossa strappato alla sua terra,
Io sono il migrante che stringe nel pugno la propria speranza —
e ritrova soltanto il consueto stupido schema
del cane che mangia cane, del piccolo divorato da chi è più grande.
Io sono la gioventù colma di energia e speranza,
impastoiata in questa antica perpetua catena
di profitto, potere, guadagno, occupazione di terre!
Di conquistar l'oro! Di cogliere ogni occasione per saziare i bisogni!
Dell'uomo al lavoro! Del giorno di paga!
Del possedere tutto per la brama di avere!
Io sono il mezzadro asservito alla terra.
Io sono l'operaio, asservito al congegno.
Io sono il negro, il servo d'ognuno di voi.
Io sono la gente, vile, umile, violata,
offesa ancor oggi, nonostante quel sogno.
Sconfitta, ancora oggi — Oh, Pionieri!
Io sono colui che non ha mai avanzato, il miserrimo
operaio sconfitto in perpetuo, anno dopo anno.
Eppure io sono colui che ha avuto il sogno originale,
mentre nel mondo passato era ancora servo di re,
colui che ebbe un sogno così ardito, così saldo, così vero,
che ancora oggi intona la sua immensa audacia
in ogni pietra o mattone, in ogni solco tracciato,
colui che ha fatto l'America la Nazione che è diventata.
Oh, io sono l'uomo che ha navigato quei primi oceani
in cerca di ciò che sarebbe divenuta sua patria —
perché io sono colui che ha lasciato le scure rive d'Irlanda,
e le pianure della Polonia, e le brughiere di Britannia,
e sono quell'uomo che è stato strappato dai lidi dell'Africa Nera
per venire a edificare questa "Patria della Libertà".
La Libertà?
Chi ha parlato di Libertà? Non io?
Davvero non io? Tutti i milioni tra noi oggi licenziati?
I milioni tra noi abbattuti mentre manifestiamo?
I milioni di noi che non hanno alcuno stipendio?
Per tutti i sogni che abbiamo sognato
e tutti i canti che abbiamo cantato
e tutte le speranze che abbiamo abbracciato
e tutte le bandiere che abbiamo innalzato,
tutti i milioni di noi che non hanno alcun compenso —
se non quel sogno che è ormai quasi spento.
Oh, facciamo che l'America sia l'America ancora —
la terra che ancora non è mai stata —
e pure ha da essere infine — la terra dov'è libero ogni Uomo,
la mia terra, la terra del povero, dell'Indiano, del Negro, la MIA —
Chi ha fatto l'America
del suo sudore e del suo sangue, della sua fede e dolore,
delle sue braccia in fonderia, del suo aratro sotto la pioggia,
deve riportarci qui il nostro sogno, di nuovo.
Certo, chiamatemi pure con ogni epiteto vi pare —
l'acciaio della libertà non si macchia e non s'intacca.
Dalle mani di coloro che vivono come cimici sulla vita di altri,
dobbiamo riprenderci indietro la nostra terra,
l'America.
Oh, sì,
chiaro e forte lo dico,
l'America non è mai stata America per me,
eppure, lo giuro su Dio —
America sarà.
Via dalle mafie, e dalla vergogna della morte nostra criminale,
dallo stupro e marciume della corruzione, e dalla truffa, dalla
menzogna e dalla coazione, noi, la gente, dobbiamo riscattare
le terre, le miniere, e i campi, e i fiumi.
E le montagne e le sterminate pianure —
tutto; per tutto l'estendersi di questi Stati fecondi,
e fare l'America ancora, di nuovo!
Arthur Rimbaud, poeta maledetto, di quelli stregati dalla farina verde, ci ha lasciato in memoria della sua genialità avanguardistica, poesie di rara bellezza.
L' étoile a pleuré rose
L' étoile a pleuré rose au cœur de tes oreilles,
L' infini roulé blanc de ta nuque à tes reins;
La mer a perlé rousse à tes mammes vermeilles
Et l'Homme saigné noir à ton flanc souverain.
La stella ha pianto rosa nel cuore delle tue orecchie,
L' infinito è rotolato bianco dalla tua nuca alle tue reni;
Il mare si è imperlato rosso alle tue mamme vermiglie
E l'Uomo ha sanguinato nero al tuo fianco sovrano.
Di solito non amo soffermarmi sui dettagli tecnici di una poesia, perché penso che possa essere apprezzata e capita indipendentemente dai tecnicismi per le emozioni che è capace di regalare. Spesso ho anche notato una certa certa "superficialità" in chi dice :" Cosa ci vuole a scrivere una poesia, basta mettere quattro parole in rima, vuoi mettere un racconto!"
Prendiamo ad esempio questo piccolo gioiellino...
Abbiamo quattro alessandrini (che corrispondono al nostro endecasillabo). Quattro proposizioni indipendenti, solo l'ultima introdotta da un "et"che ha lo scopo di separare l'ultimo verso dai tre precedenti. Possiamo notare una ripetitività sia in orizzontale che in verticale. In orizzontale : soggetto, verbo, aggettivo, complemento.
In verticale : i soggetti sono tutti relativi alla simbologia cosmica ( stella, infinito, mare, Uomo); i verbi tutti al passato; gli aggettivi possono riferirsi sia al soggetto che al complemento e sono tutti colori( rosa, bianco, rosso,nero); i complementi possono essere ascritti ad una forma poetica chiamata "blason", in questo caso del corpo femminile (seno, cuore, reni, mammelle).
I primi tre versi sono chiaramente un omaggio alla nascita di Venere (alla donna in generale); la ripetitività viene interrotta dall' " et " dell'ultimo verso dove il nero prende il posto dei colori e dalla donna (Venere) si sposta all'Uomo, in maiuscolo, quindi all'umanità intera.
Il sangue e il fianco rimandano alla figura del Cristo negli ultimi suoi istanti di vita, quando fu trafitto nel fianco. Ne esce dunque una sorta di "pietà"rovesciata, non più la madre/donna (Venere) protettrice che sta al fianco dell'Uomo nel momento più tragico della sua vita partecipando al suo dolore, ma una complice indifferente della società dove l'amore è diventato impossibile da raggiungere.
Dell'immensa Marina I. Cvetaeva mi ha sempre affascinato particolarmente il ritmo della sua poesia che non viene mai meno : irruente, incalzante, precipitoso, spesso somigliante allo smozzicato parlare di una persona affannata ed emozionata; un ritmo denso di assonanze e di rime serrate, dove i versi s'impongono al lettore-ascoltatore per il suono alto, energico, intenso anche come instradamento al senso, come un complesso sistema di segnali acustici che avvertono dei significati.
Riporto la traduzione di Pietro A. Zveteremich non essendo in grado ahimè di tradurre da me.
A te - fra cento anni
A te, che dovevi essere nato
un secolo dopo, quando avrò ripreso fiato -
dal sottosuolo, come un condannato a morte,
con la mia mano - scriverò :
Amico! Non cercarmi! Altra moda!
Di me non si ricordano nemmeno i vegliardi.
Con la bocca non ci si tocca! Oltre le acque del Lete
protendo due mani.
Come due roghi io vedo i tuoi occhi,
fiammeggianti verso me, nella tomba, nell'inferno.
Quella, vedenti, che non muove neanche una mano,
morta cento anni fa.
Con me, nella mano, quasi una manciata di polvere:
le mie poesie! Vedo : al vento
tu cerchi la casa dove io sono nata - oppure
in cui morirò.
Le donne che ti vengono incontro, quelle, le vive, le felici -
io sono fiera di come le guardi, e colgo le parole:
<< Assembramento d'usurpatrici! Siete tutte morti voi!
Lei sola è viva!
Io l'ho servita in volontario servizio,
tutti i segreti conoscevo, tutto il fondaco dei suoi anelli!
Saccheggiatrici di defunte! Questi anelli
sono rubati a lei! >>
Oh, i miei cento anelli! Mi si tirano le vene,
per la prima volta mi pento
che tanti a destra e a manca ne ho regalati -
non ti avevo aspettato!
E ancora mi fa tristezza che in questa sera
d'oggi così lungamente io sia andata dietro
al sole che tramontava - e incontro
a te : attraverso cento anni.
Scommetto che tu scagli una maledizione
ai miei amici, verso la caligene delle tombe :
<<Tutti la lodavate! Ma un abito rosa nessuno le ha regalato!
Chi era più disinteressato?! >> No, io la cupida!
Già che non mi ucciderai, non c'è avidità da nascondere,
che a tutti io chiedevo le lettere
per baciarle di notte.
Dirlo? - Lo dirò! Il non essere è una convenzione.
Tu per me adesso sei il più appassionato degli ospiti
e tu rifiuterai la perla di tutte le amanti
in nome di quella - delle ossa.
Agosto 1919
*
Tu non mi caccerai via in nessun posto :
non si respinge la primavera!
Tu non mi toccherai, nemmeno con un dito :
troppo teneramente io canto verso il sonno.
Tu non mi diffamerai :
il mio nome è acqua per le labbra!
Tu non mi lascerai :
la porta è aperta, e la mia casa è vuota!
Luglio 1919
*
La mia strada non passa vicino alla-tua casa.
La mia strada non passa vicino alla-casa di nessuno.
E tuttavia io smarrisco il cammino
(specialmente di primavera!)
e tuttavia mi struggo per la gente
come fa il cane sotto la luna.
Ospite dappertutto gradita,
non lascio dormire nessuno!
E con il nonno gioco agli ossi,
e con il nipote - canto.
Di me non s'ingelosiscono le mogli :
io sono una voce e uno sguardo.
E a me nessun innamorato
ha mai costruito un palazzo.
Le vostre generosità non richieste
mi fanno ridere, mercanti!
Da me stessa mi erigo per la notte
e ponti e palazzi.
(Ma ciò che dico - non ascoltarlo!
È tutto un inganno di donna!)
Da sola al mattino demolisco
la mia creazione.
Le magioni - come covoni di paglia - niente!
La mia strada non passa vicino alla-tua casa.
27 aprile 1920
*
Alla mia povera fragilità
guardi senza sprecare parole.
Tu sei di pietra, ma io canto.
Tu sei un monumento, ma io volo.
Io so che il più tenero maggio
all'occhio dell'Eternità è nulla.
Ma io sono un uccello e non incolparmi
se una facile legge m'è imposta.
16 maggio 1920
*
Una metà della finestra s'è spalancata.
Una metà dell'anima s'è mostrata.
Su, apriamo anche l'altra metà,
anche l'altra metà della finestra!
25 maggio 1920
*
Le altre - con gli occhietti e il visetto luminoso,
e io invece nelle notti discorro con il vento.
Non con quello - l'italico
zefiro giovinetto -
con quello buono, con il vasto
russo vento di tramontana!
Le altre con tutta la carne - nelle cose di carne sbagliano,
con le labbra inaridite - inghiottono il respiro...
Ma io - le braccia spalancate! - rappresa - catalessi
perché mi strappi fuori l'anima - la russa tramontana!
Le altre - o tenere, tenaci catene!
No, con noi Eolo si comporta senza riguardi.
<<Certo, non ti scioglierai! La famiglia e pur una sola!>>
Come se davvero - non fossi una donna io!
2 agosto 1920
In questo periodo leggo più del solito e questo mi lascia meno tempo per le divagazioni. Ciononostante, mi faceva piacere condividere qualcosa che mi ha colpito, forse più intimamente che formalmente,per quanto non mi esimeró anche da una nota formale.
Adoro questa descrizione che Hannah Arendt dà di Wystan Auden. È molto profonda, una visione capace di chi sa scrutare lo spirito e il cuore dell'uomo. Parole in cui, osservando acutamente la realtà non è difficile intravedere oltre che la grandezza, la determinazione e la forza del destino di Auden, ma anche qualità similari nei prossimi che ci circondano.
Questa confidenza non lo lasciò mai, ma non gli proveniva da confronti con gli altri o dal tagliare per primo il traguardo; era naturale, ben connessa, ma non identica, con la sua enorme abilità a trattare la lingua, e a farlo rapidamente, quando gli andava a genio. E poi non gli andava nemmeno a genio, perché non esibiva la perfezione finale, né vi aspirava. Sempre tornava alle sue vecchie poesie, d’accordo con Valéry quando dice che una poesia non è mai chiusa per sempre, ma solo abbandonata. In altre parole Auden era benedetto da quella rara confidenza in se stesso che non abbisogna di ammirazione e di buone opinioni altrui; e che può benissimo reggere l’autocritica senza cadere nel trabocchetto del dubbio perpetuo su se stessi. E la cosa spesso la confondiamo con l’arroganza: Auden non fu mai arrogante tranne quando qualche volgarità lo provocava; allora si proteggeva con i modi rudi e abbastanza improvvisi, tipici dell’inglese di razza.
Ma le parole della Arendt che meglio descrivono la grandezza del poeta, almeno in termini formali, sono queste:
Questo genere di perfezione è molto rara; la troviamo nelle migliori poesie di Goethe e anche, decisamente, in quelle di Puskin, giacché la loro caratteristica è essere intraducibili. Simili poesie d’occasione sono slegate dall’originale e poi si dissolvono in una nuvoletta banale. Qui tutto dipende da “gesti fluenti che elevano i fatti dal prosaico al poetico” – un punto evidenziato dal critico Clive James nel saggio su Auden apparso sul numero del Dicembre 1973 di Commentary. Se questo stile fluente è raggiunto, siamo convinti magicamente che il linguaggio quotidiano sia latentemente poetico e, ammaestrati dallo sciamanesimo poetico, apriamo per bene le orecchie ai veri misteri della lingua. Anni fa Auden mi risultò intraducibile: fui convinta della sua grandezza. Tre traduttori tedeschi si erano dati da fare e avevano fatto stramazzare senza troppi scrupoli una delle mie poesie favorite, “If I could tell you”, la quale sorge in modo naturale da giri di frase colloquiali come “Time will tell” e “I told you so”.
Aggiungo il piacere che si prova nel leggere la sua elevata prova formale, unita alla capacità di rendere vivida e superficialmente semplice quell'intimo e variegato connubio di sensi e profondità di A day for a lay. Più volgarmente noto come il poema del pompino. Invero, ciò che più mi diverte è Funeral Blues. Mi diverte perché, leggendola, senza conoscere l'autore, viene da chiedersi chi mai possa avergli ispirato tanto strazio, quale perdita, quale compagno... E invece. E invece. E invece non si tratta che di un estratto satirico! XD
Prima di passare alla selezione, mi piace anche lasciare un'immagine finale di Auden, tratta dalla conclusione del saggio che Brodskij scrive su di lui:
lo vidi l’ultima volta a Londra nel luglio 1973, a una cena da Stephen Spender. Wystan, seduto a tavola con una sigaretta nella destra e un bicchiere nella sinistra, dissertava sul tema del salmone freddo. Poiché la sedia era troppo bassa, la padrona di casa provvide a infilargli sotto la persona due squinternati volumi dell’Oxford English Dictionary. Pensai allora che davanti ai miei occhi stava l’unico uomo che avesse il diritto di usare quei volumi come sedile.
Infine la mia scelta. Il modo in cui Auden anticipa una tematica ancora oggi attuale, una tematica probabilmente ciclica nella storia dell'uomo. La paura del diverso, la chiusura verso l'altro, l'assenza di accoglienza. Qualcuno nei giorni scorsi si interrogava riguardo al sentirsi disprezzato per il solo fatto di esistere. Eppure facciamo tutti parte della stessa umanità.
Ciò che mi piace soprattutto è anche la pennellata di riflessione che scaturisce dal contemporaneo etichettare ogni uomo coi propri dati di riconoscimento. Un concetto sempre più ossessivo, specie nel mondo di oggi, tanto da far chiedere dove finisce la sicurezza e dove inizia il controllo. Un concetto ormai così necessario, tanto da rendere morto chi questi dati documentari ufficialmente non può. Siamo ormai lontani dai tempi di Mattia Pascal.
Mi piace soprattutto la menzione del passaporto, quel documento, ormai divenuto - se vogliamo - uno strumento talvolta improprio nelle mani degli Stati, più che delle persone.
Refugee Blues
Say this city has ten million souls,
Some are living in mansions, some are living in holes:
Yet there's no place for us, my dear, yet there's no place for us.
Once we had a country and we thought it fair,
Look in the atlas and you'll find it there:
We cannot go there now, my dear, we cannot go there now.
In the village churchyard there grows an old yew,
Every spring it blossoms anew:
Old passports can't do that, my dear, old passports can't do that.
The consul banged the table and said,
"If you've got no passport you're officially dead":
But we are still alive, my dear, but we are still alive.
Went to a committee; they offered me a chair;
Asked me politely to return next year:
But where shall we go to-day, my dear, but where shall we go to-day?
Came to a public meeting; the speaker got up and said;
"If we let them in, they will steal our daily bread":
He was talking of you and me, my dear, he was talking of you and me.
Thought I heard the thunder rumbling in the sky;
It was Hitler over Europe, saying, "They must die":
O we were in his mind, my dear, O we were in his mind.
Saw a poodle in a jacket fastened with a pin,
Saw a door opened and a cat let in:
But they weren't German Jews, my dear, but they weren't German Jews.
Went down the harbour and stood upon the quay,
Saw the fish swimming as if they were free:
Only ten feet away, my dear, only ten feet away.
Walked through a wood, saw the birds in the trees;
They had no politicians and sang at their ease:
They weren't the human race, my dear, they weren't the human race.
Dreamed I saw a building with a thousand floors,
A thousand windows and a thousand doors:
Not one of them was ours, my dear, not one of them was ours.
Stood on a great plain in the falling snow;
Ten thousand soldiers marched to and fro:
Looking for you and me, my dear, looking for you and me.
Blues dei rifugiati
Poniamo che in questa città vi siano dieci milioni di anime,
c’è chi abita in palazzi, c’è chi abita in tuguri:
Ma per noi non c’è posto, mia cara, ma per noi non c’è posto.
Avevamo una volta un Paese e lo trovavamo bello,
Tu guarda nell’atlante e lì lo troverai:
Non ci possiamo più andare, mia cara, non ci possiamo più andare.
Nel cimitero del villaggio si leva un vecchio tasso,
A ogni primavera s’ingemma di nuovo:
I vecchi passaporti non possono farlo, mia cara, i vecchi passaporti non possono farlo.
Il console batté il pugno sul tavolo e disse:
“Se non avete un passaporto voi siete ufficialmente morti”:
Ma noi siamo ancora vivi, mia cara, ma noi siamo ancora vivi.
Mi presentai a un comitato: mi offrirono una sedia;
Cortesemente m’invitarono a ritornare l’anno venturo:
Ma oggi dove andremo, mia cara, ma oggi dove andremo?
Capitati a un pubblico comizio, il presidente s’alzò in piedi e disse:
“Se li lasciamo entrare, ci ruberanno il pane quotidiano”:
Parlava di te e di me, mia cara, parlava di te e di me.
Mi parve di udire il tuono rombare nel cielo;
Era Hitler su tutta l’Europa, e diceva: “Devono morire”;
Ahimè, pensava a noi, mia cara, ahimè, pensava a noi.
Vidi un barbone, e aveva il giubbino assicurato con un fermaglio,
Vidi aprire una porta e un gatto entrarvi dentro:
Ma non erano ebrei tedeschi, mia cara, ma non erano ebrei tedeschi.
Scesi al porto e mi fermai sulla banchina,
Vidi i pesci nuotare in libertà:
A soli tre metri di distanza, mia cara, a soli tre metri di distanza.
Attraversai un bosco, vidi gli uccelli tra gli alberi,
Non sapevano di politica e cantavano a gola spiegata:
Non erano la razza umana, mia cara, non erano la razza umana.
Vidi in sogno un palazzo di mille piani,
Mille finestre e mille porte;
Non una di esse era nostra, mia cara, non una di esse era nostra.
Mi trovai in una vasta pianura sotto il cader della neve;
Diecimila soldati marciavano su e giù:
Cercavano te e me, mia cara, cercavano te e me.
"And now at last it comes. You will give me the Ring freely! In place of the Dark Lord you will set up a Queen. And I shall not be dark, but beautiful and terrible as the Morning and the Night! Fair as the Sea and the Sun and the Snow upon the Mountain! Dreadful as the Storm and the Lightning! Stronger than the foundations of the earth. All shall love me and despair!”
She lifted up her hand and from the ring that she wore there issued a great light that illuminated her alone and left all else dark. She stood before Frodo seeming now tall beyond measurement, and beautiful beyond enduring, terrible and worshipful. Then she let her hand fall, and the light faded, and suddenly she laughed again, and lo! she was shrunken: a slender elf-woman, clad in simple white, whose gentle voice was soft and sad.
“I pass the test”, she said. “I will diminish, and go into the West and remain Galadriel.”
***
"A ruler needs a good head and a true heart," she famously told the king. "A cock is not essential. If your Grace truly believes that women lack the wit to rule, plainly you have no further need of me." And thus Queen Alysanne departed King's Landing and flew to Dragonstone on her dragon Silverwing. [...] The queen died of a wasting illness in 100 AC, at the age of four-and-sixty, still insisting that her granddaughter Rhaenys and her children had been unfairly cheated of their rights. "The boy in the belly," the unborn child who had been the subject of so much debate, proved to be a girl when born in 93 AC. Her mother named her Laena. The next year, Rhaenys gave her a brother Laenor.
" L'originalità di uno scrittore si riconosce dal coraggio con cui ha osato lanciarsi nell'abisso, e da quanto questo è profondo! " ; "Rinnegare il male è evocare il male... Dobbiamo guardare in faccia i nostri mostri, ammansire i lupi, cercare il Minotauro nel labirinto del nostro animo e ucciderlo. " E Ted Hughes, geniale poeta del verso barbarico, che giocava a fare gli oroscopi, s'imponeva una numerologia privata, giocava con la cabala, scagliò i suoi mostri contro chi lo amava. Infatti è stato spesso tacciato di essere la causa dell'infelicità della consorte, Sylvia Plath. Lo si è colpevolizzato di essere un boia, ipocrita e meschino. Quello che è certo è che il rapporto tra i due fu come un parto, doloroso ma necessario, intenso e vitale.
Lovesong
He loved her and she loved him
His kisses suked out her whole past and future or tried to
He had no other appetite
She bit him she gnawed him she sucked
She wanted him complete inside her
Safe and sure forever and ever
Their little cries fluttered into the curtains
Her eyes wanted nothing to get away
Her looks nailed down his hands his wrists his elbows
He gripped her hard so that life
Should not drag her from that moment
He wanted all future to cease
He wanted to topple with his arms round her
Off that moment's brink and into nothing
Or everlasting or whatever there was
Her embrace was an immense press
To print him into her bones
His smiles were the garrets of a fairy palace
Where the real world would never come
Her smiles were spider bites
So he would lie still till she felt hungry
His words were occupying armies
Her laughs were an assassin's attempts
His looks were bullets daggers of revenge
Her glances were ghosts in the corner with horrible secrets
His whispers were whips and jackboots
Her kisses were lawyers steadily writing
His caresses were the last hooks of castaway
Her love-tricks were the grindind of locks
And their deep cries crawled over the floors
Like an animal dragging a great trap
His promise were the surgeon's gag
Her promises took the top off his skull
She would get a brooch made of it
His vows pulled out all her sinews
He showed her how to make a love-knot
Her vows put his eyes in formalin
At the back of her secret drawer
Their screams stuck in the wall
Their heads fell apart into sleep like the two halves
Of a lopped melon, but love is hard top stop
In their entwined sleep they exchanged and legs
In their dreams their brains took each other hostage
In the morning they wore each other's face
Lui la amava e lei lo amava
i suoi baci le suggevan via l'intero passato e futuro o così tentavano
lui non aveva altro appetito
lei lo mordeva lei lo morsicava lei suggeva
lo voleva completamente dentro di sé
sano e salvo per sempre e poi sempre
le loro piccole urla svolazzavano nelle tende
gli occhi di lei volevano che nulla si perdesse
gli sguardi di lei gli inchiodavano polsi mani gomiti
lui la avvinghiava stretta così che la vita
non la trascinasse via da quel momento
lui voleva che tutto il futuro cessasse
lui voleva buttarsi con le sue braccia intorno a lei
dall'orlo di quel momento e nel nulla
o durevole o quel che fosse
l'abbraccio di lei era un torchio immenso
a stamparselo nelle sue ossa
i sorrisi di lui erano soffitte d'un palazzo incantato
ove non vi giungerebbe mai il mondo reale
i sorrisi di lei erano morsi di ragno
così lui giacerebbe immoto fino a che lei non si sentisse affamata
le parole di lui erano eserciti d'occupazione
le risate di lei erano tentativi d'assassinio
gli sguardi di lui erano proiettili pugnali di vendetta
le occhiate di lei erano spettri nell'angolo con orribili segreti
i sussurri di lui erano fruste e stivali
i baci di lei erano avvocati che non smettevano di scrivere
le carezze di lui erano gli ultimi ami di un naufrago
i trucchi d'amore di lei erano frantumazione di legami
e i loro gemiti profondi strisciavano sul pavimento
un animale trascinante una grossa trappola
le promesse di lui erano il bavaglio del chirurgo
le promesse di lei gli scoperchiavano il teschio
lei ne farebbe fare una spilla
i giuramenti di lui estraevano tutti i tendini
lui le mostrava come fare un nodo d'amore
i giuramenti di lei gli mettevano gli occhi in formalina
sul fondo del suo cassetto segreto
le loro urla si appiccicavano alla parete
le loro teste si staccavano nel sonno come le due metà
d'un melone spaccato, ma è duro da smettere l'amore
nel loro sonno intrecciato si scambiavano braccia e gambe
nei loro sogni i loro cervelli prendevano l'un l'altro a ostaggio
il mattino portavano l'uno il viso dell'altro
Nazim Hikmet è sempre stato ignorato dalla critica letteraria ufficiale, sconcertata dall'enorme libertà e varietà delle sue forme poetiche, e dall'impossibilità di farlo rientrare in un filone letterario noto e definito. Con perfetta reciprocità, ha sempre ignorato la critica letteraria, e la letteratura in generale. La sua fonte d'ispirazione era la coscienza storica e la lotta politica; si rivolgeva al popolo del suo paese e di tutti i paesi, anche agli analfabeti. La poesia per lui è un linguaggio come un altro, una comunicazione che deve servire a renderci reciprocamente più consapevoli e responsabili, a non evadere dalle responsabilità storiche.
Da Lettere dal carcere, scritta al figlio bambino :
Forse la mia ultima lettera a Mehmet
Da una parte
gli aguzzini tra noi
ci separano come un muro
d'altra parte
questo cuore sciagurato
mi ha fatto un brutto scherzo
mio piccolo, mio Mehmet
forse il destino
m'impedira' di rivederti.
Sarai un ragazzo, lo so,
simile alla spiga di grano
ero così quand'ero giovane
biondo, snello, alto di statura;
i tuoi occhi saranno vasti come quelli di tua madre
con dentro talvolta uno straccio amaro
di tristezza,
la tua fronte sarà chiara infinitamente
avrai anche una bella voce
_ la mia era atroce _
le canzoni che canterai
spezzeranno cuori
sarai un conversatore brillante
in questo ero maestro anch'io
quando la gente non m'irritava i nervi
dalle tue labbra colerà il miele
ah Mehmet
quanti cuori spezzati!
È difficile allevare un figlio senza padre
non dare pena a tua madre
gioia non gliene ho potuta dare
dagliene tu.
Tua madre
forte e dolce come seta
tua madre
sarà bella anche all'età delle nonne
come il primo giorno che l'ho vista
quando aveva diciassette anni
sulla riva del Bosforo
era il chiaro di luna
era il chiaro del giorno
era simile ad una susina dorata.
Tua madre
un giorno come al solito
ci siamo lasciati: A stasera!
Era per non vederci più.
Tua madre
nella sua bontà la più saggia delle madri
che viva cent'anni
che Dio la benedica.
Non ho paura di morire, figlio mio;
però malgrado tutto
a volte quando lavoro
trasalisco di colpo
oppure nella solitudine del dormiveglia
contare i giorni è difficile
non ci si può saziare del mondo
Mehmet
non ci si può saziare.
Non vivere su questa terra
come un inquilino
oppure in villeggiatura
nella natura
vivi in questo mondo
come se fosse la casa di tuo padre
credi al grano al mare alla terra
ma soprattutto all'uomo.
Ama la nuvola la macchina il libro
ma innanzitutto ama l'uomo.
Senti la tristezza
del ramo che si secca
del pianeta che si spegne
dell'animale infermo
ma innanzitutto la tristezza dell'uomo.
Che tutti i beni terrestri
ti diano gioia
che l'ombra e il chiaro
ti diano gioia
che le quattro stagioni
ti diano gioia
ma che soprattutto l'uomo
ti dia gioia.
La nostra terra, la Turchia
è un bel paese
tra gli altri paesi
e i suoi uomini
quelli di buona lena
sono lavoratori
pensosi e coraggiosi
e atrocemente miserabili
si è sofferto e si soffre ancora
ma la conclusione sarà splendida.
Tu, da noi, col tuo popolo
costruirai il futuro
lo vedrai con i tuoi occhi
lo toccherai con le tue mani.
Mehmet, forse morirò
lontano dalla mia lingua
lontano dalle mie canzoni
lontano dal mio sale e dal mio pane
con la nostalgia di tua madre e di te
del mio popolo e dei miei compagni
ma non in esilio
non in terra straniera
morirò nel paese dei miei sogni
nella bianca città dei miei giorni più belli.
Mehmet, piccolo mio
ti affido
ai compagni turchi
me ne vado ma sono calmo
la vita che si disperde in me
si ritroverà in te
per lungo tempo
e nel mio popolo, per sempre.
Traduzione di Joyce Lussu.