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La poesia del giorno.
A di AemonTargaryen
creato il 22 marzo 2019

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AemonTargaryen
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AemonTargaryen
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Inviato il 22 aprile 2019 19:54 Autore

La questione che fa da sfondo alla Giornata della Terra si presta a fornire, per forza di cose, vari spunti, in primis sul tema della responsabilità intergenerazionale. Peraltro, anche guardando alla storia di Martin, troveremmo delle forti assonanze tra l'avvicinarsi della minaccia proveniente da nord e il significato ultimo della battaglia per la salvaguardia dell'ambiente.
Oggi vado con Walt Whitman. I suoi versi potrebbero ricordarci come il tempo di una vita umana non sia altro che un granello di sabbia di fronte all'immenso scorrere della storia del mondo. La natura, nella sua vertiginosa insondabilità, si rivela qualcosa di molto più grande di noi. Azzarderei a dire che i versi di Whitman ci ricordano come, in fondo, lo sia anche la poesia. Potrebbe risultare persino significativa, sotto un certo punto di vista, la licenza presa dal traduttore per quanto riguarda il titolo: in italiano è stato infatti reso in La poesia salverà il mondo.

 

The world below the brine

 

The world below the brine,   
Forests at the bottom of the sea, the branches and leaves,   
Sea-lettuce, vast lichens, strange flowers and seeds, the thick tangle, openings, and pink turf,   
Different colors, pale gray and green, purple, white, and gold, the play of light through the water,   
Dumb swimmers there among the rocks, coral, gluten, grass, rushes, and the aliment of the swimmers,
Sluggish existences grazing there suspended, or slowly crawling close to the bottom,   
The sperm-whale at the surface blowing air and spray, or disporting with his flukes,   
The leaden-eyed shark, the walrus, the turtle, the hairy sea-leopard, and the sting-ray,   
Passions there, wars, pursuits, tribes, sight in those ocean-depths, breathing that thick-breathing air, as so many do,
The change thence to the sight here, and to the subtle air breathed by beings like us who walk this sphere,
The change onward from ours to that of beings who walk other spheres.

 


Il mondo sottomarino,
Foreste al fondo del mare, i rami, le foglie,
Ulve, ampi licheni, strani fiori e sementi, folte macchie, radure, prati rosa,
Variegati colori, pallido grigio verde, porpora, bianco e oro, la luce vi scherza fendendo le acque
Esseri muti nuotan laggiù tra le rocce, il corallo, il glutine, l’erba, i giunchi, e l’alimento dei nuotatori
Esseri torpidi brucan fluttuando laggiù, o arrancano lenti sul fondo,
Il capodoglio affiora a emetter lo sbuffo d’aria e vapore, o scherza con la sua coda,
Lo squalo dall’occhio di piombo, il tricheco, la testuggine, il peloso leopardo marino, la razza,
E passioni, guerre, inseguimenti, tribù, affondare lo sguardo in quei fondi
marini, respirando quell’aria così densa che tanti respirano,
Il cambiamento, volgendo lo sguardo qui o all’aria sottile respirata da esseri che al pari di noi su questa sfera camminano,
Il cambiamento più oltre, dal nostro mondo passando a quello di esseri che in altre sfere camminano.

 

Modificato il 05 July 2024 17:07

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hacktuhana
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hacktuhana
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Inviato il 22 aprile 2019 23:21

Avrei voluto mettere Corpo Presente di Lorca, ma Silk ha messo tutte le parti del Compianto per Ignacio Sanchez Mejias, e così va anche meglio, mi sono ricreato a rileggerla.

 

(Tanto)Tempo fa, ebbi la bellissima occasione e possibilità di musicare diversi testi di poesie, selezionate da un appassionato attore/interprete di arte drammatica, la cui idea era quella di recitarle mentre un paio di musicisti suonavano un accompagnamento musicale e un pittore stendeva le sue immagini ispirandosi ai testi e di conseguenza alla musica.

La passione per la poesia me la trasmise proprio lui, cui non posso far altro che mandare un saluto rivolto alle stelle...

 

Anche il coraggio di comporre musica me lo consolidò quella fantastica esperienza. 

Corpo Presente ed Anima Assente(non sempre) erano il fulcro centrale dell'opera, che concatenava tante altre poesie attraverso tematiche come la libertà, la rivoluzione, la morte, l'amicizia eccetera.

 

L'inizio, che mi coinvolse tantissimo nel progetto, era una composizione di un poeta russo sconosciuto, Alexei Khvostenko, che si dipanava in 50 punti diversi, in un crescendo/variando emotivo per poi esplodere nell'Ora per la pazzia e la gioia di Whitman( il buon Walt che come vedo è stato selezionato anche da Aemon).

Eccolo:

 

Il Sospettoso.

 

1.

Io-

degenerato-

avendo tutti i motivi.

 
2.

Qualche volta io dormo.

 
3.

Santa è la ghigna del miliardario

Santo il c**o  della commessa  del fornaio

E’ caduta una vecchietta

Intorno stanno a guardare

 
4.

In birreria non c’è posto abbastanza

per gli amanti della birra

 
5.

Ma guarda là

Ma guarda questo qui

Ma guarda quello là

Ma guarda chi?

 
6.

Io vivo nel serraglio

 
7.

Io

 
8.

Non posso

Non voglio

Non bramo

 
9.

Nè le mie forze

Nè i miei anni

Nè le mie labbra

Nè le mie mani

Nè i miei piedi

 
10.

Io.

 
11.

D’inverno di continuo

Arde carta

 
12.

E’ così strano

E’ semplicemente inspiegabile

 
13.

Mosca si spande per la russia intera

Qui  in casa mia

stà stretta

 
14.

Topi

Piccoli topi

Topi-topi

 
15.

Blatte

Piccole blatte

Blatte-blatte

 
16.

La fedele muore sempre

 
17.

Senza dubbio io sono qui

Sono presente

Io sparisco

Io m…

 
18.

Un coraggioso pilota russo

 
19.

Siediti accanto

Io sono vicino

non va

riposo

 
20.

Quando son nato?

Nell’anno 1840

quando son nato?

…..

 
21.

Quando vivo?

Quando vivo?

Quando vivo?

 
22.

Che razza di cognomi-

Ivanov

Petrov

 
23.

Chi è là

Chi è là

Chi è qui

Chi è là

 
24.

Cerchiamo di ricordare

 
25.

Non sono un Adone

Non sono un Cane

Non sono un Solco

 
26.

Cos’è -una prigione?

Cos’è-una casa?

Cos’è -una città?

Cos’è-una musica?

 
27.

Baciami

Non baciarmi

 
28.

Gelo

Porcheria

me**a

 
29.

Io.

 
30.

Apatia-

La più forte passione

 

31.

Io.

 

32.

Oh?

 

33.

La storia -una malattia

La fauna-una malattia

La flora-demenza

 

34.

La sudicia  vile giacchetta.

 

35.

Domani  io partirò

Partirò una volta ancora

con tutto ciò

 

36.

I fiori rifioriscono

 

37.

Di tutt’altro si tratta

 

38.

Beati i poveri di spirito

 

39.

La wodka

La fame

 

40.

La felicità

 

41.

La strada sulla quale

la mia finestra stà

 
42.

Io.

 

43.

La fermata del tram

 
44.

La buca delle lettere

 

45.

Il recinto

 

46.

Bruciano i versi

Su scodelle

Su piattini

Sul pavimento

 
47.

Io brucio versi sulla scala

 

48.

I miei amici conoscono me

Ma io non conosco

 

49.

Chi mi ama

 

50.

Chi mi sporca.

 

 


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AemonTargaryen
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AemonTargaryen
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Inviato il 24 aprile 2019 13:36 Autore

Ho sempre trovato i progetti di questo tipo assai interessanti. Mi piace l'idea che più forme d'arte vengano a intrecciarsi, suscitando emozioni in un unico, comune istante. In ogni caso, bellissimo momento di condivisione. Grazie.

 

Oggi vorrei pagare un vecchio "debito letterario" con alcuni versi tratti da The Lord of the Rings di J.R.R. Tolkien.

 


All that is gold does not glitter
 
All that is gold does not glitter,
Not all those who wander are lost;
The old that is strong does not wither,
Deep roots are not reached by the frost.
From the ashes a fire shall be woken,
A light from the shadows shall spring;
Renewed shall be blade that was broken:
The crownless again shall be king.


Non tutto quel ch'è oro brilla,
Né gli erranti son perduti;
Il vecchio ch'è forte non s'aggrinza
E le radici profonde non gelano.
Dalle ceneri rinascerà un fuoco
L'ombra sprigionerà una scintilla,
Nuova la lama ora rotta,
E re quei ch'è senza corona.

 



Seija
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Seija
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Inviato il 24 aprile 2019 15:28

È la mia poesia poesia preferita in assoluto, quella che ancora oggi, dopo tanti anni, quando la leggo mi fa ..."sentire il sale nella gola", la prima volta invece ho proprio pianto .

In questa poesia, contenuta nella raccolta Poeta en Nueva York del 1929, Federico Garcia Lorca analizza con acutissima lucidità il suo stato di "diverso", di uomo che sente il mondo dall'altra parte della porta della "normalità", "dal lato contrario".

 

Poema doble del lago Eden

 

Era mi voz antigua

ignorante de los densos jugos amargos.

La adivino lamiendo mis pies

bajo los frágiles helechos mojados.

 

¡Ay voz antigua de mi amor,

ay voz de mi verdad,

ay voz de mi abierto costado,

cuando todas las rosas mandaban de mi lengua

y el césped no conocía la impasible dentatura del cavallo!

 

Estás aquí bebiendo mi sangre,

bebiendo mi humor de niño pesado,

mientras mis ojos se quiebran en el viento

con el aluminio y las voces de los borrachos.

 

Déjame pasar la puerta 

donde Eva come hormigas 

y Adán fecunda peces deslumbrados.

Déjame pasar, hombrecillo de los cuernos,

al bosque de los desperezos

y los alegrisimos saltos.

 

Yo sé el uso más secreto

que tiene un viejo alfiler oxidado

y sé del horror de unos ojos despiertos

sobre la superficie concreta del plato.

 

Pero no quiero mundo ni sueño, voz divina,

quiero mi libertad, mi amor humano

en el rincón más oscuro de la brisa que nadie quiera.

¡Mi amor humano!

 

Esos perros marinos se persiguen

y el viento acecha troncos descuidados.

¡Oh voz antigua, quema con tu lengua

esta voz de hojalata y de talco!

 

Quiero llorar porque me da la gana

como lloran los niños de último banco,

porque yo no soy un hombre, ni un poeta, ni una hoja,

pero sí un pulso herido que sonda las cosas del otro lado.

 

Quiero llorar diciendo mi nombre,

rosa, niño y abeto a la orilla de este lago,

para decir mi verdad de hombre de sangre

mirando en mí la burla y la sugestión del vocablo.

 

No, no, yo no pregunto, yo deseo,

voz mía libertada que me lames las manos.

En el labirinto de biombos es mi desnudo el que recibe

la luna de castigo y el reloj encenizado.

 

Así hablaba yo.

Así hablaba yo cuando Saturno detuvo los trenes

y la bruma y el Sueño y la Muerte me estaban buscando.

Me estaban buscando

allí donde mugen las vacas que tienen patitas de paje

y allí donde flota mi cuerpo entre los equilibrios contrarios.

 

 

Era la mia antica voce

ignara dei densi succhi amari.

Sento che lambisce i miei piedi

sotto le fragili felci bagnate.

 

Ahi, voce antica del mio amore!

ahi, voce della mia verità!

ahi, voce del mio aperto costato,

quando tutte le rose nascevano dalla mia lingua

e la zolla non conosceva la dentatura impassibile del cavallo!

 

Tu sei qui che bevi il mio sangue,

e bevi il mio umore di bambino noioso,

mentre i miei occhi si spezzano nel vento

con l'alluminio e le voci degli ubriachi.

 

Lasciami varcare la porta

dove Eva mangia formiche

e Adamo feconda pesci abbaglianti.

Lasciami passare, omuncolo dei corni,

verso il bosco degli stiramenti

e degli allegrissimi salti.

 

Io conosco l'uso più segreto

che ha un vecchio spillo ossidato

e so l'orrore di certi occhi svegli sulla concreta superficie del piatto.

 

Ma non voglio mondo né sogno, voce divina,

voglio la mia libertà, il mio amore umano

nell'angolo più buio del vento che nessuno vuole.

Mio amore umano!

 

Questi cani marini s'inseguono

e il vento spia tronchi trascurati.

Oh voce antica, brucia con la tua lingua

questa voce di latta e talco!

 

Voglio piangere perché ne ho voglia

come piangono i bambini dell'ultimo banco

perché io non sono né un uomo, né un poeta, né una foglia

bensì un polso ferito che sonda le cose dall'altro lato.

 

Voglio piangere dicendo il mio nome,

rosa, bimbo e abete sulla sponda di questo lago

per dire la mia verità d'uomo di sangue

uccidendo in me la beffa e la suggestione del vocabolo.

 

No, no, io non domando, io desidero,

mia voce liberata che mi lambisci le mani.

Nel labirinto di paraventi è il mio nudo che riceve

la luna di castigo e l'incenerito orologio.

 

Così parlavo.

Così parlavo quando Saturno fermò i treni

e la bruma e il Sogno e la Morte si misero alla mia ricerca.

Si misero alla mia ricerca

là dove muggiscono le vacche che hanno zampette da paggio

e là dove galleggia il mio corpo tra equilibri contrari. 

 

 



Seija
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Inviato il 25 aprile 2019 10:47

La scelta di oggi è molto ardua, di poesie adatte ce ne sono tante : da Alle fronde dei salici di Salvatore Quasimodo, a Tu non sai le colline di Cesare Pavese, 25 Aprile di Alfonso Gatto e ancora La resistenza e la sua luce di Pier Paolo Pasolini, Partigia di Primo Levi.

Alla fine ho optato per le parole di uno dei padri della nostra Costituzione, Pietro Calamandrei.

Processato per crimini di Guerra nel 1947, Albert Kesselring, comandante in capo delle forze armate di occupazione tedesche in Italia, fu condannato a morte. La condanna fu commutata nel carcere a vita. Ma nel 1952, in considerazione delle"gravissime" condizioni di salute, egli fu messo in libertà. Tornato in patria fu accolto come un eroe. Pochi giorni dopo il suo rientro a casa Kesselring ebbe l'impudenza di dichiarare pubblicamente che non aveva proprio nulla da rimproverarsi, ma che, anzi, gli italiani dovevano essergli grati per il suo comportamento durante i 18 mesi di occupazione, tanto che avrebbero fatto bene ad erigergli ...un monumento.

A tale affermazione rispose Calamandrei, con una famosa epigrafe, dettata per una lapide "ed ignominia", collocata nell'atrio del Palazzo Comunale di Cuneo in segno di imperitura protesta contro l'avvenuta scarcerazione.

 

 

Lo avrai 

camerata Kesselring

il monumento che pretendi da noi italiani

ma con che pietra si costruirà

e deciderlo tocca a noi.

 

Non coi sassi affumicati 

dei borghi inermi straziati dal tuo sterminio

non colla terra dei cimiteri

dove i nostri compagni giovinetti

riposano in serenità

non colla neve inviolata delle montagne

che per due inverni ti sfidarono

non colla primavera di quelle valli 

che ti videro fuggire.

 

Ma soltanto col silenzio dei torturati

più duro di ogni macigno

soltanto con la roccia di questo patto

giurato tra uomini liberi

che volontari si adunarono

per dignità e non per odio

decisi a riscattare

la vergogna e il terrore del mondo.

 

Su queste strade se vorrai tornare

ai nostri posti ci troverai

morti e vivi collo stesso impegno

popolo serrato intorno al monumento

che si chiama 

ora e sempre

RESISTENZA.



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Inviato il 26 aprile 2019 17:51

Jacques Prévert, con l'apparente semplicità dei suoi versi, ha svolto quella che lui considerava la missione di denuncia sacrale del poeta contro quel fasullo irritante perbenismo ancora oggi presente nella nostra società. 

Intollerante al conformismo e al potere, nei suoi versi molti sono i temi predominanti.

Ai bambini e agli animali, scevri della bassezza e dell'individualismo degli adulti, il poeta affida il valore simbolico della libertà, fonte d'ispirazione per l'uomo che voglia intraprendere un percorso che lo affranchi dalla monotonia di un'esistenza priva di scopo.

Ma è soprattutto l'amore il tema centrale della sua poetica. L'amore riesce a sconfiggere il male e le meschinità del mondo e, anche se a volte è sinonimo di sofferenza e tradimento, viene sempre ricercato dall'uomo che aspira alla fuga da una realtà opprimente.

Nella poesia che ho scelto per oggi, il poeta descrive una faticosa e lenta rinascita. Le illusioni che con il ricordo riprendono vita non sono altro che specchietti per le allodole. Gli specchi del poeta riflettono un passato duro da decifrare, ma metabolizzato e sulle cui macerie è possibile costruire un presente, lontano dai turbamenti.

Ricordare è sempre il primo passo per dimenticare.

 

Sang et plumes

 

Alouette du souvenir

c'est ton sang qui coule

et non pas le mien

Alouette du souvenir

j'ai serré mon poing

Alouette du souvenir

oiseau mort joli

tu n'aurais pas dû venir

manger dans ma main 

les graines de l'obli

 

Allodola del ricordo

è tuo il sangue che scorre

è tuo e non il mio

Allodola del ricordo

ho stretto il pugno mio

Allodola del ricordo 

gentile uccello ferito

non saresti dovuto venire

a beccare nella mia mano

i semi della dimenticanza

 

 

 


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AemonTargaryen
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AemonTargaryen
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Inviato il 27 aprile 2019 18:15 Autore

Miguel Otero Silva è stato un personaggio di spicco del Novecento venezuelano. Giornalista e scrittore, a vent'anni fece parte del gruppo della Generazione del '28, movimento studentesco in prima linea contro la dittatura di Gómez. Egli visse intensamente le vicissitudini politiche del proprio Paese, di fronte alle quali si mostrò tutt'altro che indifferente, tanto che fu costretto per ben due volte all'esilio. La lotta alla tirannia fu ricorrente nelle sue opere.

La poesia di Otero Silva che ho scelto per oggi si pone in realtà su un piano differente dalla lotta politica, ed è citata in un libro che credo di poter definire una delle mie letture di formazione. L'autore dipinge vividamente un addio  che potrebbe essere "agrodolce" ma allo stesso tempo carico di intensità,  in cui il silenzio, rotto soltanto dallo sguazzare dei piedi, finisce per farsi assordante.  E l'addio, che  nel suo originario significato altro non è che una promessa carica di speranza, potrebbe essere, in fondo, nient'altro che una parte del viaggio. Un passo necessario per poter proseguire, portati da "venti di avventure" verso nuovi mondi.

 

Yo escuchaba chapotear en el barco

 

Yo escuchaba chapotear en el barco

los pies descalzos

y presentía los rostros anochecidos de hambre.

Mi corazón fue un péndulo entre ella y la calle.

Yo no sé con qué fuerza me libré de sus ojos

me zafé de sus brazos.

Ella quedó nublando des làgrimas su angustia

tras de la lluvia y el cristal.

Pero incapaz para gritarme: ¡Espérame,
Yo me marcho contigo!

 

Io ascoltavo sguazzare nella barca

i piedi scalzi

e immaginavo i volti spenti dalla fame.

Il mio cuore è stato un pendolo fra lei e la strada.

Io non so con quale forza mi sono liberato dei suoi occhi

e sono sfuggito alle sue braccia.

Lei rimase ad annebbiare di lacrime la sua angustia

al di là della pioggia e del vetro.

Ma incapace di gridarmi: Aspettami

io vengo via con te!

 

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 30 aprile 2019 11:24

La lirica di Vincenzo Cardarelli che ho scelto per oggi esprime, nel giro di pochi versi tutti risolti in immagini, l'ansia e il tormento di un'intera esistenza. Il linguaggio è limpido e misurato, ma in grado di scolpire immagini ed emozioni in periodi tanto brevi e concisi quanto intensi e suggestivi.

 

 

Gabbiani

 

Non so dove i gabbiani

abbiano il nido,

ove trovino pace.

Io sono come loro

in perpetuo volo.

La vita la sfioro

com'essi l'acqua

ad acciuffare il cibo.

E come forse anch'essi

amo la quiete,

la grande quiete marina,

ma il mio destino è vivere

balenando in burrasca.



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Inviato il 01 maggio 2019 10:18

Questi versi di Alda Merini contenuti nella raccolta intitolata "Antenate bestie da manicomio " sono stati messi in musica da Rodolfo Maltese, chitarrista e compositore, e interpretati da Francesco Di Giacomo, voce dei Banco del Mutuo Soccorso per uno spettacolo teatrale " Il pane loro - Storie da una Repubblica fondata sul lavoro."

Lo spettacolo aveva l'intento di raccontare le storie di chi sopravvive dopo un incidente sul lavoro, la rabbia e la solitudine di chi perde un familiare, i ricatti e le sopraffazioni a cui spesso si è sottoposti nel mondo del lavoro, e denunciare il silenzio che spesso cade sulle vittime del lavoro .

 

 

Oddio il mio grembiule

guarda come mi torno indietro

era una bobina di anima

ogni giorno un filo d'amore

ogni giorno quelle ore mi massacravano

 

io ogni giorno non ridevo mai

e la sera tornavo così stanca

e vedevo mio marito che mi guardava

e io mi giravo dall'altra parte

ma il mio grembiule era pieno di rose

erano tutti i baci che avrei dato a lui

invece di quello sporco lavoro

 

non hanno voluto pagarmi

né il grembiule e neanche la vita

perché ero una donna che non poteva

sognare

ero una volgare operaia

che in un giorno qualsiasi

e chissà perché

aveva perso di vista il suo grembiule

per pensare soltanto a lui.

 

 

 


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AemonTargaryen
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Inviato il 01 maggio 2019 23:57 Autore

Mi sono spesso chiesto cosa significhi fare lo schiavo in un Paese lontano e radicalmente differente dal proprio. Vivere in una baraccopoli fatiscente per poi vedersi sgomberato persino da lì, finire per strada. Sentirsi dire che no, non c'è posto neppure per fare lo schiavo. Sentirsi, talvolta, disprezzato per il solo fatto di esistere, per aver cercato la propria fortuna lontano da un posto al quale magari la stessa fortuna ha voltato le spalle. Rischiare la vita stessa, per ritrovarsi di fronte a tutto questo.

Amo la poesia perché sono convinto che nel mondo ci sia un gran bisogno di bellezza. E trovo ci sia una bellezza sublime e rara nel sorriso di chi, pur vivendo tutto questo, continua a lottare per la propria libertà e per la propria dignità.

In una giornata particolare come quella odierna, che offre innumerevoli spunti di riflessione, ho scelto dei versi di Langston Hughes che trovo particolarmente significativi.

 

Let America Be America Again.

 

Let America be America again.
Let it be the dream it used to be.
Let it be the pioneer on the plain
Seeking a home where he himself is free.
 
(America never was America to me.)
 
Let America be the dream the dreamers dreamed—
Let it be that great strong land of love
Where never kings connive nor tyrants scheme
That any man be crushed by one above.
 
(It never was America to me.)
 
O, let my land be a land where Liberty
Is crowned with no false patriotic wreath,
But opportunity is real, and life is free,
Equality is in the air we breathe.
 
(There's never been equality for me,
Nor freedom in this "homeland of the free.")
 
Say, who are you that mumbles in the dark?
And who are you that draws your veil across the stars?
 
I am the poor white, fooled and pushed apart,
I am the Negro bearing slavery's scars.
I am the red man driven from the land,
I am the immigrant clutching the hope I seek—
And finding only the same old stupid plan
Of dog eat dog, of mighty crush the weak.
 
I am the young man, full of strength and hope,
Tangled in that ancient endless chain
Of profit, power, gain, of grab the land!
Of grab the gold! Of grab the ways of satisfying need!
Of work the men! Of take the pay!
Of owning everything for one's own greed!
 
I am the farmer, bondsman to the soil.
I am the worker sold to the machine.
I am the Negro, servant to you all.
I am the people, humble, hungry, mean—
Hungry yet today despite the dream.
Beaten yet today—O, Pioneers!
I am the man who never got ahead,
The poorest worker bartered through the years.
 
Yet I'm the one who dreamt our basic dream
In the Old World while still a serf of kings,
Who dreamt a dream so strong, so brave, so true,
That even yet its mighty daring sings
In every brick and stone, in every furrow turned
That's made America the land it has become.
O, I'm the man who sailed those early seas
In search of what I meant to be my home—
For I'm the one who left dark Ireland's shore,
And Poland's plain, and England's grassy lea,
And torn from Black Africa's strand I came
To build a "homeland of the free."
 
The free?
 
Who said the free?  Not me?
Surely not me?  The millions on relief today?
The millions shot down when we strike?
The millions who have nothing for our pay?
For all the dreams we've dreamed
And all the songs we've sung
And all the hopes we've held
And all the flags we've hung,
The millions who have nothing for our pay—
Except the dream that's almost dead today.
 
O, let America be America again—
The land that never has been yet—
And yet must be—the land where every man is free.
The land that's mine—the poor man's, Indian's, Negro's, ME—
Who made America,
Whose sweat and blood, whose faith and pain,
Whose hand at the foundry, whose plow in the rain,
Must bring back our mighty dream again.
 
Sure, call me any ugly name you choose—
The steel of freedom does not stain.
From those who live like leeches on the people's lives,
We must take back our land again,
America!
 
O, yes,
I say it plain,
America never was America to me,
And yet I swear this oath—
America will be!
 
Out of the rack and ruin of our gangster death,
The rape and rot of graft, and stealth, and lies,
We, the people, must redeem
The land, the mines, the plants, the rivers.
The mountains and the endless plain—
All, all the stretch of these great green states—
And make America again!
 
 

Facciamo che l'America sia America ancora.

Facciamo che torni ad essere il sogno ch'è stato.

Facciamo ch'essa ritrovi nella prateria il pioniere

in cerca d'una magione dove trovare la propria libertà.

 

(L'America non fu mai America per me.)

 

Facciamo che l'America torni ad essere il sogno sognato

da quei visionari — facciamo che sia questa immensa solida terra d'amore

laddove mai vi dovranno attecchire regimi o regni o tiranni corrotti

né più alcun uomo sarà schiacciato da qualcuno sopra di lui.

 

(Questa non è mai stata l'America per me)

 

Oh, facciamo che il nostro Paese sia la terra dove la Libertà

è onorata senza alcuna patriottica coccarda,

ma l'opportunità si riveli reale, e libera sia la vita,

e l'Uguaglianza sia nell'aria stessa che respiriamo.

 

(Non vi è mai stata uguaglianza per me,

né libertà, in questa Patria della Libertà.)

Dimmi, chi sei tu che mormori nel buio?

Chi sei tu che stendi il tuo velo di traverso alle stelle?

Io sono il Bianco nella miseria, ingannato ed emarginato.

Io sono il Negro che ancora reca gli sfregi della schiavitù.

Io sono il pellerossa strappato alla sua terra,

Io sono il migrante che stringe nel pugno la propria speranza —

e ritrova soltanto il consueto stupido schema

del cane che mangia cane, del piccolo divorato da chi è più grande.

 

Io sono la gioventù colma di energia e speranza,

impastoiata in questa antica perpetua catena

di profitto, potere, guadagno, occupazione di terre!

Di conquistar l'oro! Di cogliere ogni occasione per saziare i bisogni!

Dell'uomo al lavoro! Del giorno di paga!

Del possedere tutto per la brama di avere!

 

Io sono il mezzadro asservito alla terra.

Io sono l'operaio, asservito al congegno.

Io sono il negro, il servo d'ognuno di voi.

Io sono la gente, vile, umile, violata,

offesa ancor oggi, nonostante quel sogno.

Sconfitta, ancora oggi — Oh, Pionieri!

Io sono colui che non ha mai avanzato, il miserrimo

operaio sconfitto in perpetuo, anno dopo anno.

 

Eppure io sono colui che ha avuto il sogno originale,

mentre nel mondo passato era ancora servo di re,

colui che ebbe un sogno così ardito, così saldo, così vero,

che ancora oggi intona la sua immensa audacia

in ogni pietra o mattone, in ogni solco tracciato,

colui che ha fatto l'America la Nazione che è diventata.

Oh, io sono l'uomo che ha navigato quei primi oceani

in cerca di ciò che sarebbe divenuta sua patria —

perché io sono colui che ha lasciato le scure rive d'Irlanda,

e le pianure della Polonia, e le brughiere di Britannia,

e sono quell'uomo che è stato strappato dai lidi dell'Africa Nera

per venire a edificare questa "Patria della Libertà".

 

La Libertà?

 

Chi ha parlato di Libertà? Non io?

Davvero non io? Tutti i milioni tra noi oggi licenziati?

I milioni tra noi abbattuti mentre manifestiamo?

I milioni di noi che non hanno alcuno stipendio?

Per tutti i sogni che abbiamo sognato

e tutti i canti che abbiamo cantato

e tutte le speranze che abbiamo abbracciato

e tutte le bandiere che abbiamo innalzato,

tutti i milioni di noi che non hanno alcun compenso —

se non quel sogno che è ormai quasi spento.

 

Oh, facciamo che l'America sia l'America ancora —

la terra che ancora non è mai stata —

e pure ha da essere infine — la terra dov'è libero ogni Uomo,

la mia terra, la terra del povero, dell'Indiano, del Negro, la MIA —

Chi ha fatto l'America

del suo sudore e del suo sangue, della sua fede e dolore,

delle sue braccia in fonderia, del suo aratro sotto la pioggia,

deve riportarci qui il nostro sogno, di nuovo.

 

Certo, chiamatemi pure con ogni epiteto vi pare —

l'acciaio della libertà non si macchia e non s'intacca.

Dalle mani di coloro che vivono come cimici sulla vita di altri,

dobbiamo riprenderci indietro la nostra terra,

l'America.

 

Oh, sì,

chiaro e forte lo dico,

l'America non è mai stata America per me,

eppure, lo giuro su Dio —

 

America sarà.

Via dalle mafie, e dalla vergogna della morte nostra criminale,

dallo stupro e marciume della corruzione, e dalla truffa, dalla

menzogna e dalla coazione, noi, la gente, dobbiamo riscattare

le terre, le miniere, e i campi, e i fiumi.

E le montagne e le sterminate pianure —

tutto; per tutto l'estendersi di questi Stati fecondi,

e fare l'America ancora, di nuovo!

 

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 03 maggio 2019 9:41

Arthur Rimbaud, poeta maledetto, di quelli stregati dalla farina verde, ci ha lasciato in memoria della sua genialità avanguardistica, poesie di rara bellezza.

 

L' étoile a pleuré rose

 

L' étoile a pleuré rose au cœur de tes oreilles,

L' infini roulé blanc de ta nuque à tes reins;

La mer a perlé rousse à tes mammes vermeilles

Et l'Homme saigné noir à ton flanc souverain.

 

 

La stella ha pianto rosa nel cuore delle tue orecchie,

L' infinito è rotolato bianco dalla tua nuca alle tue reni;

Il mare si è imperlato rosso alle tue mamme vermiglie

E l'Uomo ha sanguinato nero al tuo fianco sovrano.

 

 

Di solito non amo soffermarmi sui dettagli tecnici di una poesia, perché penso che possa essere apprezzata e capita indipendentemente dai tecnicismi per le emozioni che è capace di regalare. Spesso ho anche notato una certa certa "superficialità" in chi dice :" Cosa ci vuole a scrivere una poesia, basta mettere quattro parole in rima, vuoi mettere un racconto!":figo:

Prendiamo ad esempio questo piccolo gioiellino...

Abbiamo quattro alessandrini (che corrispondono al nostro endecasillabo). Quattro proposizioni indipendenti, solo l'ultima introdotta da un "et"che ha lo scopo di separare l'ultimo verso dai tre precedenti. Possiamo notare una ripetitività sia in orizzontale che in verticale. In orizzontale : soggetto, verbo, aggettivo, complemento.

In verticale : i soggetti sono tutti relativi alla simbologia cosmica ( stella, infinito, mare, Uomo); i verbi tutti al passato; gli aggettivi possono riferirsi sia al soggetto che al complemento e sono tutti colori( rosa, bianco, rosso,nero); i complementi possono essere ascritti ad una forma poetica chiamata "blason", in questo caso del corpo femminile (seno, cuore, reni, mammelle).

I primi tre versi sono chiaramente un omaggio alla nascita di Venere (alla donna in generale); la ripetitività viene interrotta dall' " et " dell'ultimo verso dove il nero prende il posto dei colori e dalla donna (Venere) si sposta all'Uomo, in maiuscolo, quindi all'umanità intera. 

Il sangue e il fianco rimandano alla figura del Cristo negli ultimi suoi istanti di vita, quando fu trafitto nel fianco. Ne esce dunque una sorta di "pietà"rovesciata, non più la madre/donna (Venere) protettrice che sta al fianco dell'Uomo nel momento più tragico della sua vita partecipando al suo dolore, ma una complice indifferente della società dove l'amore è diventato impossibile da raggiungere.

 



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Inviato il 04 maggio 2019 14:25

Dell'immensa Marina I. Cvetaeva mi ha sempre affascinato particolarmente il ritmo della sua poesia che non viene mai meno : irruente, incalzante, precipitoso, spesso somigliante allo smozzicato parlare di una persona affannata ed emozionata; un ritmo denso di assonanze e di rime serrate, dove i versi s'impongono al lettore-ascoltatore per il suono alto, energico, intenso anche come instradamento al senso, come un complesso sistema di segnali acustici che avvertono dei significati.

Riporto la traduzione di Pietro A. Zveteremich non essendo in grado ahimè di tradurre da me. :ehmmm:

 

A te - fra cento anni

 

A te, che dovevi essere nato

un secolo dopo, quando avrò ripreso fiato -

dal sottosuolo, come un condannato a morte,

        con la mia mano - scriverò :

 

Amico! Non cercarmi! Altra moda!

Di me non si ricordano nemmeno i vegliardi.

Con la bocca non ci si tocca! Oltre le acque del Lete

         protendo due mani.

 

Come due roghi io vedo i tuoi occhi,

fiammeggianti verso me, nella tomba, nell'inferno.

Quella, vedenti, che non muove neanche una mano,

       morta cento anni fa.

 

Con me, nella mano, quasi una manciata di polvere:

le mie poesie! Vedo : al vento

tu cerchi la casa dove io sono nata - oppure

         in cui morirò.

 

Le donne che ti vengono incontro, quelle, le vive, le felici -

io sono fiera di come le guardi, e colgo le parole:

<< Assembramento d'usurpatrici! Siete tutte morti voi!

        Lei sola è viva!

 

Io l'ho servita in volontario servizio,

tutti i segreti conoscevo, tutto il fondaco dei suoi anelli!

Saccheggiatrici di defunte! Questi anelli

        sono rubati a lei! >>

 

Oh, i miei cento anelli! Mi si tirano le vene,

per la prima volta mi pento

che tanti a destra e a manca ne ho regalati - 

        non ti avevo aspettato!

 

E ancora mi fa tristezza che in questa sera

d'oggi così lungamente io sia andata dietro

al sole che tramontava - e incontro

        a te : attraverso cento anni.

 

Scommetto che tu scagli una maledizione

ai miei amici, verso la caligene delle tombe

<<Tutti la lodavate! Ma un abito rosa           nessuno le ha regalato!

 

Chi era più disinteressato?! >> No, io la cupida!

Già che non mi ucciderai, non c'è avidità da nascondere,

che a tutti io chiedevo le lettere

        per baciarle di notte.

 

Dirlo? - Lo dirò! Il non essere è una convenzione.

Tu per me adesso sei il più appassionato degli ospiti

e tu rifiuterai la perla di tutte le amanti

        in nome di quella - delle ossa.

 

Agosto 1919

 

                                *

 

Tu non mi caccerai via in nessun posto

non si respinge la primavera!

Tu non mi toccherai, nemmeno con un dito :

troppo teneramente io canto verso il sonno.

Tu non mi diffamerai :

il mio nome è acqua per le labbra!

Tu non mi lascerai :

la porta è aperta, e la mia casa è vuota!

 

Luglio 1919

 

                                *

 

La mia strada non passa vicino alla-tua casa.

La mia strada non passa vicino alla-casa di nessuno.

 

E tuttavia io smarrisco il cammino

(specialmente di primavera!)

e tuttavia mi struggo per la gente

come fa il cane sotto la luna.

 

Ospite dappertutto gradita,

non lascio dormire nessuno!

E con il nonno gioco agli ossi,

e con il nipote - canto.

 

Di me non s'ingelosiscono le mogli :

io sono una voce e uno sguardo.

E a me nessun innamorato

ha mai costruito un palazzo.

 

Le vostre generosità non richieste

mi fanno ridere, mercanti!

Da me stessa mi erigo per la notte

e ponti e palazzi.

 

(Ma ciò che dico - non ascoltarlo!

È tutto un inganno di donna!)

Da sola al mattino demolisco

la mia creazione.

 

Le magioni - come covoni di paglia - niente!

La mia strada non passa vicino alla-tua casa.

 

27 aprile 1920

 

                                  *

 

Alla mia povera fragilità

guardi senza sprecare parole.

 

Tu sei di pietra, ma io canto.

Tu sei un monumento, ma io volo.

 

Io so che il più tenero maggio

all'occhio dell'Eternità è nulla.

 

Ma io sono un uccello e non incolparmi

se una facile legge m'è imposta.

 

16 maggio 1920

 

                                *

 

Una metà della finestra s'è spalancata.

Una metà dell'anima s'è mostrata.

Su, apriamo anche l'altra metà,

anche l'altra metà della finestra!

 

25 maggio 1920

 

                                 *

 

Le altre - con gli occhietti e il visetto luminoso,

e io invece nelle notti discorro con il vento.

Non con quello - l'italico

zefiro giovinetto - 

con quello buono, con il vasto

russo vento di tramontana!

 

Le altre con tutta la carne - nelle cose di carne sbagliano,

con le labbra inaridite - inghiottono il respiro...

Ma io - le braccia spalancate! - rappresa - catalessi

perché mi strappi fuori l'anima - la russa tramontana!

 

Le altre - o tenere, tenaci catene!

No, con noi Eolo si comporta senza riguardi.

<<Certo, non ti scioglierai! La famiglia e pur una sola!>>

Come se davvero - non fossi una donna io!

 

2 agosto 1920

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Modificato il 05 July 2024 17:07

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Inviato il 06 maggio 2019 12:43

In questo periodo leggo più del solito e questo mi lascia meno tempo per le divagazioni. Ciononostante, mi faceva piacere condividere qualcosa che mi ha colpito, forse più intimamente che formalmente,per quanto non mi esimeró anche da una nota formale. 

 

Adoro questa descrizione che Hannah Arendt dà di Wystan Auden. È molto profonda, una visione capace di chi sa scrutare lo spirito e il cuore dell'uomo. Parole in cui, osservando acutamente la realtà non è difficile intravedere oltre che la grandezza, la determinazione e la forza del destino di Auden, ma anche qualità similari nei prossimi che ci circondano. 

 

Questa confidenza non lo lasciò mai, ma non gli proveniva da confronti con gli altri o dal tagliare per primo il traguardo; era naturale, ben connessa, ma non identica, con la sua enorme abilità a trattare la lingua, e a farlo rapidamente, quando gli andava a genio. E poi non gli andava nemmeno a genio, perché non esibiva la perfezione finale, né vi aspirava. Sempre tornava alle sue vecchie poesie, d’accordo con Valéry quando dice che una poesia non è mai chiusa per sempre, ma solo abbandonata. In altre parole Auden era benedetto da quella rara confidenza in se stesso che non abbisogna di ammirazione e di buone opinioni altrui; e che può benissimo reggere l’autocritica senza cadere nel trabocchetto del dubbio perpetuo su se stessi. E la cosa spesso la confondiamo con l’arroganza: Auden non fu mai arrogante tranne quando qualche volgarità lo provocava; allora si proteggeva con i modi rudi e abbastanza improvvisi, tipici dell’inglese di razza. 

 

Ma le parole della Arendt che meglio descrivono la grandezza del poeta, almeno in termini formali, sono queste:

 

Questo genere di perfezione è molto rara; la troviamo nelle migliori poesie di Goethe e anche, decisamente, in quelle di Puskin, giacché la loro caratteristica è essere intraducibili. Simili poesie d’occasione sono slegate dall’originale e poi si dissolvono in una nuvoletta banale. Qui tutto dipende da “gesti fluenti che elevano i fatti dal prosaico al poetico” – un punto evidenziato dal critico Clive James nel saggio su Auden apparso sul numero del Dicembre 1973 di Commentary. Se questo stile fluente è raggiunto, siamo convinti magicamente che il linguaggio quotidiano sia latentemente poetico e, ammaestrati dallo sciamanesimo poetico, apriamo per bene le orecchie ai veri misteri della lingua. Anni fa Auden mi risultò intraducibile: fui convinta della sua grandezza. Tre traduttori tedeschi si erano dati da fare e avevano fatto stramazzare senza troppi scrupoli una delle mie poesie favorite, “If I could tell you”, la quale sorge in modo naturale da giri di frase colloquiali come “Time will tell” e “I told you so”. 

 

Aggiungo il piacere che si prova nel leggere la sua elevata prova formale, unita alla capacità di rendere vivida e superficialmente semplice quell'intimo e variegato connubio di sensi e profondità di A day for a lay. Più volgarmente noto come il poema del pompino. Invero, ciò che più mi diverte è Funeral Blues. Mi diverte perché, leggendola, senza conoscere l'autore, viene da chiedersi chi mai possa avergli ispirato tanto strazio, quale perdita, quale compagno... E invece. E invece. E invece non si tratta che di un estratto satirico! XD

 

Prima di passare alla selezione, mi piace anche lasciare un'immagine finale di Auden, tratta dalla conclusione del saggio che Brodskij scrive su di lui:

 

lo vidi l’ultima volta a Londra nel luglio 1973, a una cena da Stephen Spender. Wystan, seduto a tavola con una sigaretta nella destra e un bicchiere nella sinistra, dissertava sul tema del salmone freddo. Poiché la sedia era troppo bassa, la padrona di casa provvide a infilargli sotto la persona due squinternati volumi dell’Oxford English Dictionary. Pensai allora che davanti ai miei occhi stava l’unico uomo che avesse il diritto di usare quei volumi come sedile. 

 

Infine la mia scelta. Il modo in cui Auden anticipa una tematica ancora oggi attuale, una tematica probabilmente ciclica nella storia dell'uomo. La paura del diverso, la chiusura verso l'altro, l'assenza di accoglienza. Qualcuno nei giorni scorsi si interrogava riguardo al sentirsi disprezzato per il solo fatto di esistere. Eppure facciamo tutti parte della stessa umanità. 

Ciò che mi piace soprattutto è anche la pennellata di riflessione che scaturisce dal contemporaneo etichettare ogni uomo coi propri dati di riconoscimento. Un concetto sempre più ossessivo, specie nel mondo di oggi, tanto da far chiedere dove finisce la sicurezza e dove inizia il controllo. Un concetto ormai così necessario, tanto da rendere morto chi questi dati documentari ufficialmente non può. Siamo ormai lontani dai tempi di Mattia Pascal. 

Mi piace soprattutto la menzione del passaporto, quel documento, ormai divenuto - se vogliamo - uno strumento talvolta improprio nelle mani degli Stati, più che delle persone. 

 

Refugee Blues

Say this city has ten million souls,
Some are living in mansions, some are living in holes:
Yet there's no place for us, my dear, yet there's no place for us.

Once we had a country and we thought it fair,
Look in the atlas and you'll find it there:
We cannot go there now, my dear, we cannot go there now.

In the village churchyard there grows an old yew,
Every spring it blossoms anew:
Old passports can't do that, my dear, old passports can't do that.

The consul banged the table and said,
"If you've got no passport you're officially dead":
But we are still alive, my dear, but we are still alive.

Went to a committee; they offered me a chair;
Asked me politely to return next year:
But where shall we go to-day, my dear, but where shall we go to-day?

Came to a public meeting; the speaker got up and said;
"If we let them in, they will steal our daily bread":
He was talking of you and me, my dear, he was talking of you and me.

Thought I heard the thunder rumbling in the sky;
It was Hitler over Europe, saying, "They must die":
O we were in his mind, my dear, O we were in his mind.

Saw a poodle in a jacket fastened with a pin,
Saw a door opened and a cat let in:
But they weren't German Jews, my dear, but they weren't German Jews.

Went down the harbour and stood upon the quay,
Saw the fish swimming as if they were free:
Only ten feet away, my dear, only ten feet away.

Walked through a wood, saw the birds in the trees;
They had no politicians and sang at their ease:
They weren't the human race, my dear, they weren't the human race.

Dreamed I saw a building with a thousand floors,
A thousand windows and a thousand doors:
Not one of them was ours, my dear, not one of them was ours.

Stood on a great plain in the falling snow;
Ten thousand soldiers marched to and fro:
Looking for you and me, my dear, looking for you and me.

 

Blues dei rifugiati

Poniamo che in questa città vi siano dieci milioni di anime, 

c’è chi abita in palazzi, c’è chi abita in tuguri: 

Ma per noi non c’è posto, mia cara, ma per noi non c’è posto.‎

 

Avevamo una volta un Paese e lo trovavamo bello,

Tu guarda nell’atlante e lì lo troverai: ‎

Non ci possiamo più andare, mia cara, non ci possiamo più andare.

 

Nel cimitero del villaggio si leva un vecchio tasso,

A ogni primavera s’ingemma di nuovo: ‎

I vecchi passaporti non possono farlo, mia cara, i vecchi passaporti non possono farlo.

 

Il console batté il pugno sul tavolo e disse:

“Se non avete un passaporto voi siete ufficialmente morti”:

Ma noi siamo ancora vivi, mia cara, ma noi siamo ancora vivi.

 

Mi presentai a un comitato: mi offrirono una sedia;

Cortesemente m’invitarono a ritornare l’anno venturo:

Ma oggi dove andremo, mia cara, ma oggi dove andremo?

 

Capitati a un pubblico comizio, il presidente s’alzò in piedi e disse:

“Se li lasciamo entrare, ci ruberanno il pane quotidiano”:

Parlava di te e di me, mia cara, parlava di te e di me.

 

Mi parve di udire il tuono rombare nel cielo;

Era Hitler su tutta l’Europa, e diceva: “Devono morire”; ‎

Ahimè, pensava a noi, mia cara, ahimè, pensava a noi. 

 

Vidi un barbone, e aveva il giubbino assicurato con un fermaglio,

Vidi aprire una porta e un gatto entrarvi dentro: ‎

Ma non erano ebrei tedeschi, mia cara, ma non erano ebrei tedeschi. ‎

 

Scesi al porto e mi fermai sulla banchina,

Vidi i pesci nuotare in libertà: ‎

A soli tre metri di distanza, mia cara, a soli tre metri di distanza. ‎

 

Attraversai un bosco, vidi gli uccelli tra gli alberi,

Non sapevano di politica e cantavano a gola spiegata: 

Non erano la razza umana, mia cara, non erano la razza umana. 

 

Vidi in sogno un palazzo di mille piani, ‎

Mille finestre e mille porte;

Non una di esse era nostra, mia cara, non una di esse era nostra. 

 

Mi trovai in una vasta pianura sotto il cader della neve; 

Diecimila soldati marciavano su e giù: 

Cercavano te e me, mia cara, cercavano te e me.‎


"And now at last it comes. You will give me the Ring freely! In place of the Dark Lord you will set up a Queen. And I shall not be dark, but beautiful and terrible as the Morning and the Night! Fair as the Sea and the Sun and the Snow upon the Mountain! Dreadful as the Storm and the Lightning! Stronger than the foundations of the earth. All shall love me and despair!”

 

She lifted up her hand and from the ring that she wore there issued a great light that illuminated her alone and left all else dark. She stood before Frodo seeming now tall beyond measurement, and beautiful beyond enduring, terrible and worshipful. Then she let her hand fall, and the light faded, and suddenly she laughed again, and lo! she was shrunken: a slender elf-woman, clad in simple white, whose gentle voice was soft and sad.

 

“I pass the test”, she said. “I will diminish, and go into the West and remain Galadriel.”

 

***

 

"A ruler needs a good head and a true heart," she famously told the king. "A cock is not essential. If your Grace truly believes that women lack the wit to rule, plainly you have no further need of me." And thus Queen Alysanne departed King's Landing and flew to Dragonstone on her dragon Silverwing. [...] The queen died of a wasting illness in 100 AC, at the age of four-and-sixty, still insisting that her granddaughter Rhaenys and her children had been unfairly cheated of their rights. "The boy in the belly," the unborn child who had been the subject of so much debate, proved to be a girl when born in 93 AC. Her mother named her Laena. The next year, Rhaenys gave her a brother Laenor. 

 

 


Seija
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Inviato il 06 maggio 2019 19:12

" L'originalità di uno scrittore si riconosce dal coraggio con cui ha osato lanciarsi nell'abisso, e da quanto questo è profondo! " ; "Rinnegare il male è evocare il male... Dobbiamo guardare in faccia i nostri mostri, ammansire i lupi, cercare il Minotauro nel labirinto del nostro animo e ucciderlo. " E Ted Hughes, geniale poeta del verso barbarico, che giocava a fare gli oroscopi, s'imponeva una numerologia privata, giocava con la cabala, scagliò i suoi mostri contro chi lo amava. Infatti  è stato spesso tacciato di essere la causa dell'infelicità della consorte, Sylvia Plath. Lo si è colpevolizzato di essere un boia, ipocrita e meschino. Quello che è certo è che il rapporto tra i due fu come un parto, doloroso ma necessario, intenso e vitale.

 

Lovesong

 

He loved her and she loved him

His kisses suked out her whole past and future or tried to

He had no other appetite

She bit him she gnawed him she sucked

She wanted him complete inside her

Safe and sure forever and ever

Their little cries fluttered into the curtains

 

Her eyes wanted nothing to get away

Her looks nailed down his hands his wrists his elbows

He gripped her hard so that life

Should not drag her from that moment

He wanted all future to cease

He wanted to topple with his arms round her

Off that moment's brink and into nothing

Or everlasting or whatever there was

Her embrace was an immense press

To print him into her bones

His smiles were the garrets of a fairy palace

Where the real world would never come

Her smiles were spider bites

So he would lie still till she felt hungry

His words were occupying armies

Her laughs were an assassin's attempts

His looks were bullets daggers of revenge 

Her glances were ghosts in the corner with horrible secrets

His whispers were whips and jackboots

Her kisses were lawyers steadily writing

His caresses were the last hooks of castaway

Her love-tricks were the grindind of locks

And their deep cries crawled over the floors

Like an animal dragging a great trap

His promise were the surgeon's gag

Her promises took the top off his skull

She would get a brooch made of it

His vows pulled out all her sinews

He showed her how to make a love-knot

Her vows put his eyes in formalin

At the back of her secret drawer

Their screams stuck in the wall

 

Their heads fell apart into sleep like the two halves 

Of a lopped melon, but love is hard top stop

 

In their entwined sleep they exchanged and legs

In their dreams their brains took each other hostage

 

In the morning they wore each other's face

 

 

Lui la amava e lei lo amava

i suoi baci le suggevan via l'intero passato e futuro o così tentavano

lui non aveva altro appetito

lei lo mordeva lei lo morsicava lei suggeva

lo voleva completamente dentro di sé

sano e salvo per sempre e poi sempre

le loro piccole urla svolazzavano nelle tende

 

gli occhi di lei volevano che nulla si perdesse

gli sguardi di lei gli inchiodavano polsi mani gomiti

lui la avvinghiava stretta così che la vita

non la trascinasse via da quel momento

lui voleva che tutto il futuro cessasse

lui voleva buttarsi con le sue braccia intorno a lei

dall'orlo di quel momento e nel nulla

o durevole o quel che fosse

l'abbraccio di lei era un torchio immenso

a stamparselo nelle sue ossa

i sorrisi di lui erano soffitte d'un palazzo incantato

ove non vi giungerebbe mai il mondo reale

i sorrisi di lei erano morsi di ragno

così lui giacerebbe immoto fino a che lei non si sentisse affamata

le parole di lui erano eserciti d'occupazione

le risate di lei erano tentativi d'assassinio

gli sguardi di lui erano proiettili pugnali di vendetta

le occhiate di lei erano spettri nell'angolo con orribili segreti

i sussurri di lui erano fruste e stivali

i baci di lei erano avvocati che non smettevano di scrivere

le carezze di lui erano gli ultimi ami di un naufrago 

i trucchi d'amore di lei erano frantumazione di legami

e i loro gemiti profondi strisciavano sul pavimento

un animale trascinante una grossa trappola

le promesse di lui erano il bavaglio del chirurgo

le promesse di lei gli scoperchiavano il teschio

lei ne farebbe fare una spilla

i giuramenti di lui estraevano tutti i tendini

lui le mostrava come fare un nodo d'amore

i giuramenti di lei gli mettevano gli occhi in formalina

sul fondo del suo cassetto segreto 

le loro urla si appiccicavano alla parete

 

le loro teste si staccavano nel sonno come le due metà

d'un melone spaccato, ma è duro da smettere l'amore

 

 nel loro sonno intrecciato si scambiavano braccia e gambe

nei loro sogni i loro cervelli prendevano l'un l'altro a ostaggio

 

il mattino portavano l'uno il viso dell'altro

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



Seija
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Inviato il 08 maggio 2019 0:20

Nazim Hikmet è sempre stato ignorato dalla critica letteraria ufficiale, sconcertata dall'enorme libertà e varietà delle sue forme poetiche, e dall'impossibilità di farlo rientrare in un filone letterario noto e  definito. Con perfetta reciprocità, ha sempre ignorato la critica letteraria, e la letteratura in generale. La sua fonte d'ispirazione era la coscienza storica e la lotta politica; si rivolgeva al popolo del suo paese e di tutti i paesi, anche agli analfabeti. La poesia per lui è un linguaggio come un altro, una comunicazione che deve servire a renderci reciprocamente più consapevoli e responsabili, a non evadere dalle responsabilità storiche.

Da Lettere dal carcere, scritta al figlio bambino :

 

Forse la mia ultima lettera a Mehmet

 

Da una parte

       gli aguzzini tra noi

       ci separano come un muro

d'altra parte

       questo cuore sciagurato

       mi ha fatto un brutto scherzo

mio piccolo, mio Mehmet

       forse il destino

        m'impedira' di rivederti.

Sarai un ragazzo, lo so,

        simile alla spiga di grano

ero così quand'ero giovane

biondo, snello, alto di statura;

i tuoi occhi saranno vasti come quelli di tua madre

con dentro talvolta uno straccio amaro

        di tristezza,

la tua fronte sarà chiara infinitamente

avrai anche una bella voce 

        _ la mia era atroce _

le canzoni che canterai

     spezzeranno cuori

sarai un conversatore brillante

in questo ero maestro anch'io

quando la gente non m'irritava i nervi

dalle tue labbra colerà il miele

       ah Mehmet

        quanti cuori spezzati!

È difficile allevare un figlio senza padre

non dare pena a tua madre

      gioia non gliene ho potuta dare

       dagliene tu.

Tua madre

        forte e dolce come seta

tua madre

        sarà bella anche all'età delle nonne

come il primo giorno che l'ho vista

quando aveva diciassette anni

      sulla riva del Bosforo

era il chiaro di luna

       era il chiaro del giorno

era simile ad una susina dorata.

Tua madre

        un giorno come al solito

         ci siamo lasciati: A stasera!

Era per non vederci più.

Tua madre

       nella sua bontà la più saggia delle madri

che viva cent'anni 

che Dio la benedica.

Non ho paura di morire, figlio mio;

però malgrado tutto

        a volte quando lavoro

        trasalisco di colpo

oppure nella solitudine del dormiveglia

contare i giorni è difficile

       non ci si può saziare del mondo

       Mehmet

        non ci si può saziare.

Non vivere su questa terra

         come un inquilino

oppure in villeggiatura

           nella natura

vivi in questo mondo

come se fosse la casa di tuo padre

credi al grano al mare alla terra

ma soprattutto all'uomo.

Ama la nuvola la macchina il libro

ma innanzitutto ama l'uomo.

Senti la tristezza

       del ramo che si secca

       del pianeta che si spegne

       dell'animale infermo

ma innanzitutto la tristezza dell'uomo.

 

Che tutti i beni terrestri

      ti diano gioia

che l'ombra e il chiaro

       ti diano gioia

che le quattro stagioni

        ti diano gioia

ma che soprattutto l'uomo

        ti dia gioia.

La nostra terra, la Turchia

        è un bel paese

         tra gli altri paesi

e i suoi uomini

          quelli di buona lena

sono lavoratori

          pensosi e coraggiosi

e atrocemente miserabili

si è sofferto e si soffre ancora

ma la conclusione sarà splendida.

 

Tu, da noi, col tuo popolo

     costruirai il futuro

lo vedrai con i tuoi occhi

lo toccherai con le tue mani.

 

Mehmet, forse morirò

lontano dalla mia lingua

     lontano dalle mie canzoni

lontano dal mio sale e dal mio pane

con la nostalgia di tua madre e di te

del mio popolo e dei miei compagni

       ma non in esilio

       non in terra straniera

morirò nel paese dei miei sogni

nella bianca città dei miei giorni più belli.

Mehmet, piccolo mio

         ti affido

         ai compagni turchi

me ne vado ma sono calmo

la vita che si disperde in me

si ritroverà in te

        per lungo tempo

e nel mio popolo, per sempre.

 

Traduzione di Joyce Lussu.

 

 

 

 

   

 

 


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