Il punto è che secondo me la scelta migliore non è cercare di ricopiare un ricordo così com'è avvenuto, ma usarlo per creare un'opera narrativa più efficace possibile. Non importa se il ricordo sarebbe stato manipolato. Anzi, la creatività è proprio la manipolazione delle cose.
Poi ovviamente ognuno scrive come vuole, questo è il mio consiglio
Io ad esempio, almeno tecnicamente, mi sento invece più serrata nella poeisa (forse perchè sono influenzata dalla scuola dove le poesie sono analizzate in modo capillare e minuzioso). Nella prosa vado molto più a orecchio e gusti...
Io credo invece tutto il contrario. Non si può mescolare l'emozione di un ricordo con una finzione narrativa fittizia. O meglio, si può, ma dipende dal ricordo e dal carattere della persona. Io non ci riesco, almeno con un ricordo ancora così sentito da me. E' come se prendi una maglia di un concerto storico, consunta e orribile, e la ripare per renderla più bella....perde tutto il suo valore.
Questa e' un'altra delle cose che ho imparato, mio malgrado, scrivendo qui. Inizialmente anch'io pensavo, come Metal Duchess, che il racconto poteva riportare fedelmente dei "fatti". Ma non ha mai veramente funzionato (vedi "Il Mostro", o "Quattro"). Oggi concordo al 100% con AryaSnow: possiamo riempire i nostri racconti di cose "reali", attingendo direttamente dalla nostra esperienza, ma il racconto puo' (e deve) essere una creazione artistica (nuova, costruita da noi per esprimere qualcosa di molto preciso), che e' una cosa completamente diversa dalla realta'. E' cosi' che si ottengono i risultati migliori.Il punto è che secondo me la scelta migliore non è cercare di ricopiare un ricordo così com'è avvenuto, ma usarlo per creare un'opera narrativa più efficace possibile. Non importa se il ricordo sarebbe stato manipolato. Anzi, la creatività è proprio la manipolazione delle cose.
Non per niente si chiama "fiction"...
Hai anche detto che la presenza in sè di un conflitto basta a rendere il racconto interessante. Per me no.
Mi devo essere spiegato male, allora.
mah... per cose meno sentite si può anche fare.ma non per ricordi di questo genere.Questa e' un'altra delle cose che ho imparato, mio malgrado, scrivendo qui. Inizialmente anch'io pensavo, come Metal Duchess, che il racconto poteva riportare fedelmente dei "fatti". Ma non ha mai veramente funzionato (vedi "Il Mostro", o "Quattro"). Oggi concordo al 100% con AryaSnow: possiamo riempire i nostri racconti di cose "reali", attingendo direttamente dalla nostra esperienza, ma il racconto puo' (e deve) essere una creazione artistica (nuova, costruita da noi per esprimere qualcosa di molto preciso), che e' una cosa completamente diversa dalla realta'. E' cosi' che si ottengono i risultati migliori.
Il punto è che secondo me la scelta migliore non è cercare di ricopiare un ricordo così com'è avvenuto, ma usarlo per creare un'opera narrativa più efficace possibile. Non importa se il ricordo sarebbe stato manipolato. Anzi, la creatività è proprio la manipolazione delle cose.
Non per niente si chiama "fiction"...
In effetti, Ilyn Payne, l'idea mi è venuta pensando ai tuoi ultimi racconti, diciamo di forma inconsueta, per cui mi sono chiesto quali fossero le forme concesse.
Grazie a tutti per le opinioni, ne terrò conto
sempre che mi venga qualche idea decente
Ma guarda che ti capisco benissimo: l'ho fatto anch'io (e lo rifarò), sento anch'io il bisogno di preservare e condividere queste memorie. Non voleva, in effetti, essere una critica.mah... per cose meno sentite si può anche fare.ma non per ricordi di questo genere.
Rendere il racconto più "fiction" non c'entra niente con la minore intensità delle emozioni. Tutt'altro...
Il punto è la differenza tra lo scrivere per altri e per se stessi. E' narrativa, non un diario personale. Personalmente si è affezionati a un preciso ricordo e magari lo si preferisce così com'è, ma il lettore non è l'autore, non ha vissuto quella precisa cosa e leggendo magari non la sentirà allo stesso modo. Se gli si vuole trasmettere particolari messaggi ed emozioni legati a quel ricordo, IMHO bisogna rielaborarlo e pensare al modo più efficace per far arrivare la cosa. Ad esempio l'importanza del cessare di avere paura del buio per me sarebbe arrivata meglio se il testo si fosse concentrato più su quello, non importa se poi le scene nella realtà non sono avvenute proprio in quel modo.
Inoltre, a me non piace tanto avere la sensazione troppo esplicita che l'autore abbia messo se stesso nel racconto. Distrae un po' dall'immersione nel racconto in sè.
La penso ESATTAMMENTE all'OPPOSTO!!! XD penso anche di aver ampliamente detto perchè(almeno per i miei standard. Non sono molto chiacchierona! )
Quindicesimo contest di scrittura creativa.
Notturno
“Niente più libri; anche i polizieschi richiedono un impegno mentale eccessivo. Niente più giochi; finirli è già un’impresa. E il cinema per bambini ha smesso di incantarci. Le scimmie, nel frattempo, meditano in silenzio”.
Questa volta fu un motorino a distrarlo. Continuava a leggere le stesse righe, ogni rumore un’interruzione. Quindi suonò il citofono, ma lo ignorò. Suonò ancora. Pierre posò il libro sul letto e si trascinò in ingresso. La cornetta emetteva un fruscio metallico: «Chi è?».
«Io», sussurrò la voce di una ragazza.
Evitò di protestare. Premette un pulsante e sentì lo scatto del portone, due piani più in basso. Uscì dall’appartamento, accese la luce condominiale; il pozzo delle scale sfumava nella penombra, dandogli le vertigini. Una serie di tonfi accompagnò delle dita che risalivano la ringhiera di ferro. I tonfi si avvicinarono, timidi, finché sul pianerottolo non comparvero un casco e un impermeabile sgualcito.
La ragazza lo raggiunse in punta di piedi, le scarpe in una mano. Era affannata. «Me le sono tolte per non svegliare tutto il palazzo», si sfilò il casco, liberando lunghi riccioli appassiti, «Dormivi?».
«Figurati. Sono solo le tre».
«Lo so, scusa. Ero a questa festa e...».
«Entra». La lasciò passare, senza guardarla. Chiuse la porta e vi si appoggiò contro.
«Insomma, non avevo voglia di tornare a casa. Mi andava di vederti», si grattò il naso, «Giuro che non ti darò fastidio. Più o meno». Sorrise, guardò a terra, «Vado a lavarmi i piedi». Corse in bagno.
***
«Come vanno le cose? Con lui, dico». Se ne stava sdraiato su un lato, verso il bordo del letto. Sentiva il seno di lei, morbidissimo, premergli contro la schiena, e le dita giocare coi capelli.«Continua a perseguitarmi, non si rassegna». L’alito le puzzava di alcool. «Lasciamo perdere, ti prego. Tu?».
«Ho questo progetto da finire, ma sto incominciando a odiarlo. Adesso sembra che le pareti divisorie “non rispettino la razionalità suggerita dal prospetto”».
«Oddio. Ed è grave?».
«Fosse per me, le abbatterei quasi tutte. Se hai bisogno di privacy, in casa tua, tanto vale vivere da soli in un monolocale». Si voltò: «Giusto?».
«Eh? Certo». Gli sfiorò il naso con le labbra, lui si ritrasse.
«Così ho lasciato perdere, e mi sono messo a leggere un libro». Le diede di nuovo le spalle, «Dopo ore, ero ancora fermo alla stessa pagina». Sospirò, chiuse gli occhi.
***
Attraversa un portale di corno e avorio. Si ritrova coi compagni dell’asilo in fila indiana, in un bosco di castagni, lungo una mulattiera. Sente gridare e guarda indietro: un bambino è sparito, le sue urla si allontanano. Continuiamo, dice qualcuno. Sente gridare ancora: un altro bambino scomparso nel nulla. Succede tante volte, quanti sono i suoi compagni, finché non rimane solo. Allora le foglie si sgretolano e diventano sabbia, il bosco lascia spazio a una radura bruciata dal sole; in mezzo alla radura nasce un villaggio di fango e paglia. I bimbi sono tutti lì, legati a dei pali, e lo implorano di liberarli. Le scimmie, dicono, ci hanno preso le scimmie. Si avvicina, ma un gorilla lo vede e suona l’allarme. Dalle capanne escono altri gorilla; indossano giubbe in cuoio chiodato e impugnano vecchi fucili da caccia. Corre via e loro iniziano a inseguirlo. Arriva sull’orlo di un burrone, gli manca il fiato, si volta, gli sono quasi addosso. Si butta nella voragine.
***
«Pierre?».Aprì gli occhi e sollevò lo sguardo; era a terra, lei lo osservava dal letto, preoccupata.
«Devo averti spinto nel sonno, mi spiace».
«Non scusarti in continuazione». Si alzò tastando il comodino. La voce era impastata. «È colpa di uno stupido incubo che facevo da piccolo. E non solo, a quanto sembra», si accese una sigaretta e andò alla finestra.
«Che incubo?».
«Vengo inseguito dagli uomini scimmia, quelli del film», fece un tiro, «Il libro di cui parlavo ha ispirato il film. Un sogno infantile, tutto qui». Le parole si condensarono sul vetro, il fumo scivolava via. Aprì la finestra. «Che ore sono?».
«Le... undici, secondo la tua sveglia. Non hai freddo?».
Si girò, la vedeva a malapena. «Abbiamo dormito tutto il giorno».
Lei scosse la testa: «Le undici del mattino».
Guardò fuori. Un denso strato di nebbia univa il davanzale alle altre palazzine, come un pavimento ricoperto di polvere. Più in alto, oltre un mosaico di finestre scure, il cielo era limpido e nero.
Alle undici del mattino.
Sentì un click, «Manca la luce», un ticchettare nervoso, «E il cellulare non prende. Pierre, mi sto spaventando».
Lui fece spallucce. «Sarà finito il mondo. Oppure si starà riposando: oggi è domenica».
«Non scherzare, è successo qualcosa». Lo raggiunse alla finestra, si affacciò. Tremava. «Perché non c’è il sole? Un’eclissi?».
«Ne avrebbero parlato in tv». L’aria gelida lo convinse a stringersi alla ragazza, che si fece piccola tra le sue braccia.
«Usciamo, chiediamo ai vicini». Lo stava implorando.
«Vuoi fare le scale al buio? Potremmo cadere».
«Ma...».
Gettò fuori la sigaretta. «Vieni, torniamo a letto. Ci penseremo dopo».
Note: fe9bca18ceed1d3ff655012e7bf406a0'fe9bca18ceed1d3ff655012e7bf406a0
Il virgolettato iniziale è tratto dal libro Il pianeta delle scimmie (La planète des singes) di Pierre Boulle, 1963. In realtà è una mia libera traduzione: non ho la versione in italiano, ma volevo comunque citare una frase significativa per il racconto.
Il libro (che ha una trama diversa dai film) è ambientato su un pianeta in cui gli uomini sono lentamente regrediti a uno stato mentale primitivo, soppiantati dagli altri primati, che si sono invece evoluti. Non un capolavoro, ma comunque una pietra miliare della fantascienza distopica.
Detto questo, per la gioia(?) di grandi e piccini, stavolta mi sono sforzato di scrivere qualcosa di lineare e semplice: è un racconto di introspezione, ma tutto è ciò che sembra.
Quindicesimo contest di scrittura creativa
La Notte
Il 23 settembre 2010 le prime immagini filmate dell'ultimo tramonto furono trasmesse dal Giappone. Occhistanchi, nel suo maglione bucato e i pantaloni lerci e spiegazzati, le vide dagli schermi esposti in una vetrina del centro. Teneva le mani in tasca, e sulla sua faccia mal rasata dominava un profondo disinteresse. Però guardava lo stesso. La radio aveva detto che quello era l'ultimo tramonto. Tutte le radio del mondo lo avevano annunciato, il giorno prima. Nessuno sapeva chi avesse trasmesso quel messaggio.
Occhistanchi si guardò attorno: tutto continuava come se niente fosse, ma percepiva chiaramente il nervosismo. Era come se la gente avesse più fretta, il traffico fosse più concitato, le parole più impazienti, e troppo spesso echeggiavano risate esagerate.
E se davvero fosse venuta per sempre la notte? A Occhistanchi non importava: lui amava la notte. Prima c'erano le luci dei bar, dei night club, e a lui piaceva passeggiarci in mezzo. Era quello il momento in cui poteva capitargli l'occasione di cogliere al volo qualche lavoretto, guadagnarsi un buon bicchiere, o persino i soldi che gli avrebbero permesso di vivere senza preoccupazioni per qualche giorno. Più tardi molte di quelle luci si sarebbero spente, e sarebbe venuto il silenzio amico. Qualche ultima prostituta con la quale scambiare due parole vicino a una porta oscura, un'occasionale automobile che sfrecciava rombando per le strade deserte, passanti furtivi e solitari. E lui lì, insonne e signore di tutto: anche di sé stesso.
Un tizio in giacca e cravatta gli passò accanto spingendolo malamente, sibilandogli parole rabbiose: Occhistanchi barcollò appoggiandosi alla vetrina. Magari venisse davvero la notte, pensò. Magari.
Camminò a casaccio per le strade fino a ora di pranzo, poi entrò dalla porta sul retro della pizzeria del Gatto. Il locale era vuoto, ma questo era abbastanza normale. Il Gatto lo accolse tutto spiritato: - Ehi, Occhi, vuoi mangiare?
- Un piatto di pasta ce l'hai? Posso pagare.
- Siediti, faccio in un minuto, - disse il Gatto, allontanando una sedia da un tavolo prima di filare in cucina. Occhistanchi sedette, ascoltando il Gatto che parlava col cuoco. C'era la TV accesa, ma il volume era quasi a zero e non riusciva a capire cosa dicesse. Mostrava un sole basso su un orizzonte dentellato da tetti e torri arrossati dalla luce. Si mise a giocherellare con la forchetta, e notò una macchietta di ruggine su una delle punte. Cercò di pulirla, ma presto rinunciò.
Il Gatto tornò, tutto allegro: - Una bella pizza ai quattro formaggi, ecco cosa ti offre la casa!
- Grazie.
- Giornata schifosa, oggi, - cominciò a lamentarsi il Gatto, tanto per fare.
- Uhm. Puoi alzare la TV?
Il Gatto non si fece pregare: - Adesso stanno trasmettendo da Bombay. Hai sentito questa storia?
Occhistanchi si strinse nelle spalle, tornando a fissare la forchetta. Il commentatore offriva frasi divertite, proponendo l'ultimo tramonto dell'India.
- Sono sicuro che è una trovata pubblicitaria. Ci tengono appiccicati alla TV, è questo quello che vogliono. Credono di rincoglionirci così.
- Può darsi.
- È pubblicità.
Occhistanchi mangiò la pizza in silenzio, e poi fece per pagare.
- Oh, no, no! Offre la casa, te l'ho detto!
- Grazie. Allora... ciao.
- E dove te ne vai?
- Vado in cerca di un buon posto per vedere il tramonto.
Il Gatto esitò. Poi prese il suo giubbotto: - Aspetta, vengo con te.
Camminarono a lungo, senza parlare. A pomeriggio inoltrato giunsero sulla spiaggia. C'era parecchia gente, per essere quasi ottobre. Dei ragazzi giocavano a calcio, qualcuno faceva persino il bagno, ma i più passeggiavano su e giù, senza meta. Occhistanchi seguì con lo sguardo un ragazzo e una ragazza che si tenevano per mano.
- E adesso?
- Beh, aspettiamo.
Quando il sole arrivò a toccare il mare, la gente si era ormai fermata e se ne stava in silenzio. Tutti guardavano. Il sole scomparve lentamente, iniziò il crepuscolo, poi fu sera. La folla cominciava a diradarsi, si udivano risate, parole, motori d'auto che si avviavano.
- Torniamo al ristorante.
- Cerchiamo un passaggio, - propose Occhistanchi. Lo trovarono facilmente: uomini e donne erano generosi, quella sera.
Il cuoco se ne era andato, e il Gatto dovette usare la chiave. Accesero la TV. Capirono che era Tokio. Il sole non era ancora sorto, in Giappone. C'erano luci inquadrate da una telecamera malferma, immagini fugaci di folle che riempivano strade e piazze. Il sole non era sorto, in Giappone, ripetè Occhistanchi a sé stesso. Sarebbe dovuto sorgere un'ora fa. Improvvisamente si sentì elettrizzato, quasi felice, mentre una folata di vento gelido faceva fremere i vetri bui delle finestre sulla strada. Sì. Era venuta la notte. Per sempre.
Ilyn Payne: Non succede granché nemmeno qui, ma è l’atmosfera generale ad essere bella, soprattutto grazie al fatto che il brano è ben scritto. Cioè… sono dei difetti (in particolare, non mi convince la punteggiatura e la scelta dei soggetti sottintesi nella parte iniziale, e “devo averti spinto nel sonno” forse non è molto colloquiale in bocca a una ragazza moderna), ma non molti e in compenso ci sono svariati momenti efficaci, interessanti e non banali. Mi è piaciuta anche la parte del sogno.
Non mi sembra però un racconto del tutto semplice, sento addirittura il bisogno di rileggerlo per capire il senso di alcune cose. O magari sono ritardata io :-P
Tyrion Hill: Anche questo brano mi sembra scritto abbastanza bene. La situazione è resa bene anche qui (e pure qui succede poco). Mi piace anche l'idea alla base. Niente, va bene^^
Per questo contest fate tutti pezzi con poca trama. Quello che sto scrivendo io invece di trama ne ha fin troppa. E' la prima volta che il limite di caratteri mi crea davvero problemi (fino ad ora non mi ha mai messo in difficoltà, a parte in un brano, ma non tanto quanto qui...). Temo che non venga decente, ma vedrò se postarlo o meno...
Arya, se non lo posti, ti prego mandamelo in privato. Non posso vivere senza i tuoi racconti!