...Io avevo capito che i due lupi erano i genitori... pensavo fossero licantropi o roba del genere...
mannò... e perchè mai? " />
Mi sono accorto solo ora, dopo dodici turni, dell'esistenza di questo contest. Ho letto un po' di racconti dall'inizio (ancora non tutti) e mi è venuta voglia di scriverne uno cercando di aggiungere qualcosa di nuovo. Ero indeciso se postarlo o meno, perché l'ho ideato come un gioco. Lo posto, ma vi consiglio di fumare/ingerire/annusare/bere qualcosa, prima della lettura. Credo aiuterebbe. Ci aggiungo uno spoiler facoltativo, una premessa col solo scopo di instradarvi.
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Il racconto è un omaggio psichedelico all'altrettanto psichedelico The Prisoner (1967/68) di Patrick McGoohan, soprattutto agli ultimi due episodi: Once Upon a Time e Fall Out. Ho visto da poco il rifacimento del 2009, e mi ha deluso parecchio. Non solo perché gli attori, fatta eccezione per Ian McKellen, mi sono sembrati sottotono; non solo perché l'ho trovato noioso. Ma soprattutto perché il messaggio mi è sembrato non c'entrasse nulla con quello dell'originale.
Qui, ho cercato di riproporlo in poco meno di 5000 caratteri (spazi inclusi), pur con tutti i miei limiti espressivi e la mia poca dimestichezza con la scrittura. Una schifezza, insomma, ma almeno è mia. Le ultime parole del racconto contengono il collegamento a una canzone: potete ignorarla, o potete ascoltarla a mo' di titoli di coda.
Contest di scrittura creativa: Mangiare (in una delle sue possibili accezioni)
Divertimento: n°9
R
L’etichetta in cartoncino rosso del quarantacinque giri recitava, in uno stampatello sbiadito, una manciata di parole inglesi: The Four Lads Dry Bones. Il piatto iniziò a ruotare miscelando le parole. Il cartoncino divenne rosa, la testina di lettura planò con grazia sul disco.
Nove reagì deliziata al calore sprigionato dal contatto tra metallo e vinile. Con la punta dell'indice prese a ticchettare il vassoio in porcellana sul quale era sdraiata, adeguandosi al tempo scandito da una bacchetta. Tic. Tic. Tic.
«Se non le dispiace, inizierei dalla coscia», le disse con galanteria l’uomo seduto al tavolo.
La superficie del vassoio era fredda e liscia, il disegno un soffice ovale bianco. Ancheggiando, Nove fece scivolare la schiena per mettersi più comoda.
«Va bene. Ma mordimi con gentilezza, per piacere».
«Morderla? Mi ha preso per un selvaggio?», l’uomo sollevò entrambe le mani e mostrò coltello e forchetta. Coi denti in bella vista, le fece l’occhiolino.
Poi le affondò la forchetta nella gamba.
Intorno all'acciaio sbocciarono quattro goccioline porpora, mentre il coltello affettava delicato sino all’osso. Le gocce colarono sulla porcellana.
La testa di Nove si fece leggera e seguì il ritmo del dito. Il vassoio diventava tiepido.
«Ci sai fare davvero», disse, e gli restituì l’occhiolino. Seguì la propria carne viaggiare verso la bocca dell’uomo, ma si annoiò presto nel guardarlo masticare.
Fu distratta dal televisore acceso di fronte al tavolo. Le immagini erano trasmesse in toni di grigio, mute. Una palla colpiva una traversa di legno e rimbalzava sul terreno, finché un ragazzo non la calciava lontano. Il filmato si riavvolse e ricominciò daccapo, ma lentamente.
B
«Mi dica come si sente».
Come priva di una parte di sè, capì che tutto questo era solo a fin di bene.
Vide una finestra chiusa e la raggiunse. Vanitosa, si specchiò nel vetro rettangolare; poi guardò oltre, ammirando un cielo limpido e dei bambini che giocavano a pallone. Era giorno.
Si mosse in direzione dell’uomo. Il ritmo la guidava, ogni rintocco un passo: tic, piede destro, tic, piede sinistro. La moquette le faceva il solletico.
«Mi è venuta fame», gli disse. «Non c’è niente da mangiare, qui?».
L’uomo posò ciò che impugnava. La sua mano, grande e protettiva, si aprì a ventaglio su una ciotola al centro del tavolo. All’interno della ciotola si accalcavano decine di cioccolatini colorati.
«La domanda che le sto per fare è fondamentale. Adesso che è a suo agio, vorrei che fosse sincera».
«D’accordo». Scartò la confezione blu di un cioccolatino: sperava fosse al latte.
«Perché ha cambiato idea?»
Sì, era al latte, ma non doveva distrarsi. Pensò alla risposta da dare e non gliene venne in mente nessuna. Era sicura di aver preparato un discorso, la sera prima. Ma ora… puff, tutto sparito. La cioccolata, però, quella sì che era buona.
«Non ricordo».
L’uomo si tolse gli occhiali e le sorrise. Nel suo sguardo vi erano dolcezza e comprensione.
«Mi ripeta il suo nome».
«Non ricordo neanche quello».
Fu il turno della cravatta.
«Non può uscire da questo studio senza un nome», la voce era entusiasta. «Facciamo così: qual è il suo numero preferito?».
V
La donna che uscì dallo studio fu gentile. Le sorrise e le tenne la porta aperta.
«Salve! Vedo che ha deciso di farsi mangiare, eh?». Le fece l’occhiolino.
Non ricordava di averle mai parlato, ma era un volto conosciuto. Non fece in tempo a rispondere, che la donna si era già allontanata in una scia di sangue. Posso ancora tornare indietro. Forse.
Varcò l’ingresso mordendosi il labbro.
All’interno, l’aria aveva il sapore di un disinfettante alla menta. Una luce al neon rimbalzò sul pavimento e le schiaffeggiò gli occhi.
«La prego, si metta a suo agio». La voce proveniva dal fondo della stanza.
«Non riesco a vederla». Portò il braccio a protezione del volto, ma riuscì a notare solo la montatura in corno di un paio d’occhiali, una cravatta verde e una penna stilografica. Gli occhiali la osservavano; la stilo pizzicava indolente il ripiano di una scrivania.
«Mi vedrà quando sarà pronta», cravatta e occhiali si mossero in avanti, «Sappia, in ogni caso, che sono lieto di averle fatto cambiare idea», la stilo si ritrasse dal ripiano e con un colpetto si tramutò in punto esclamativo, «Io ho sempre creduto in lei».
Erano denti, quel riflesso sotto gli occhiali?
«Lei non mi ha fatto cambiare idea». Abbassò il braccio perché le stava tremando, «La decisione è mia. Solo mia».
«La pensi come vuole». Ancora quel riflesso. «Ora, da brava, faccia quello che le ho chiesto: si metta a suo agio». La stilo si inclinò a indicare un appendiabiti adiacente alla porta; non ricevendo risposta, graffiò alcune linee nell’aria: «Si tolga i vestiti. Tutti».
Era inutile continuare a parlargli. Si avvicinò all’appendiabiti e notò la propria immagine riflessa sulla cromatura smeraldo dell’asta. Distolse lo sguardo, imbarazzata. La stilo colpì la scrivania: Tic. Gli abiti caddero a terra, uno a uno. Tic.Tic. Finchè non le rimase nulla. Tic. Tic. Tic.
Ilyn Payne: capolavoro, con tanto di colonna sonora. Surreale. Tecnica avanzatissima, crea e offre immagini efficaci come fossero noccioline. Ironia stellare ("«Morderla? Mi ha preso per un selvaggio?», l’uomo sollevò entrambe le mani e mostrò coltello e forchetta"). Sensuale. Violento. Cinico. Efficace.
Non ci ho capito un ca**o (non ho mai visto The Prisoner), ma mi è piaciuto lo stesso. E quindi lo voterò. Mi piacerebbe anche capirlo, quindi esigo spiegazioni.
P.S.: Mi scuso per non avere postato il mio pezzo, ma in questo periodo ho una relazione epistolare con una grafomane. Forse riuscirò a scriverlo nei prossimi giorni, nella fase di votazione - tanto il mio brano sarebbe in ogni caso fuori concorso.
Penso che nessuno di noi abbia una grande dimestichezza, però intanto il tuo brano è uno di quelli tecnicamente scritti meglio di tutti i contest di questo forum. Uno dei pochi che mi soddisfano sotto questo aspetto.pur con tutti i miei limiti espressivi e la mia poca dimestichezza con la scrittura.
Solo qualche appunto che spero possa esserti utile...
La superficie del vassoio era fredda e liscia, il disegno un soffice ovale bianco. Ancheggiando, Nove fece scivolare la schiena per mettersi più comoda.
Da qui non si capisce ancora bene che lei è sdraiata sul vassoio, perchè è una cosa molto insolita che uno non intuisce se non gli viene indicata in modo più esplicito. Magari volevi riservare la sorpresa totale alla battuta successiva, ma secondo me è un peccato che uno possa non cogliere nell'immediato un'immagine così buona.
che la donna si era già allontanata in una scia di sangue.
Qui l'immagine è un po' vaga...
la stilo si ritrasse dal ripiano e con un colpetto si tramutò in punto esclamativo,
Questo pezzo non l'ho capito bene
Per il resto, a parte qualche altra cosa veramente insignificante, vedo pulizia ed efficacia espressiva.
La trama in sè è carina ma... nemmeno io ho afferrato bene il senso. Ma non so nemmeno se c'è un significato particolare...
Non ho proprio capito il senso delle lettere prima di ogni paragrafo O_o
Prima dice che "Con la punta dell'indice prese a ticchettare il vassoio in porcellana sul quale era sdraiata".La superficie del vassoio era fredda e liscia, il disegno un soffice ovale bianco. Ancheggiando, Nove fece scivolare la schiena per mettersi più comoda.
Da qui non si capisce ancora bene che lei è sdraiata sul vassoio, perchè è una cosa molto insolita che uno non intuisce se non gli viene indicata in modo più esplicito
Hai proprio ragione, sul momento non ci avevo fatto caso e mi scuso. Ecco cosa succede e non leggere un brano due volte
in attesa di postare il mio pezzo, commento:
AryaSnow: è molto divertente, ma comunque borderline alla fanfiction. Alternate universe, senza dubbio, ma.... inoltre l'atmosfera è poco caratterizzata.
metal duchess: Crudele al punto giusto. poveri bimbi... mi accodo a chi commentava che all'inizio il comportamento della famiglia è poco confacente al loro status regale.
Stark from Jugoslavija: mi piace molto l'atmosfera, si può quasi sentire la neve e l'odore degli alberi. mi dispiace che tu abbia dovuto tagliare.
lysimaya: Aaah! un lemon! molto ben scritto e non volgare, con un sacco di similitudini alimentari molto azzeccate. (me è vagamente imbarazzata, tuttavia)
Ilyn Payne: scritto benissimo, con anche il montaggio al contrario che è tanto attuale. Un virtuosismo, ma non si capisce il senso. Forse sono troppo poco post-moderna per apprezzare e comunque non ho mai letto/visto le opere a cui fai riferimento. E in ogni caso credo che i racconti debbano avere un messaggio. L'arte per amore dell'arte mi lascia freddina.
L'ambientazione è una normalissima casa e il racconto non deve essere affatto "serio", non era mio intento creare un'atmosfera particolare... che genere di atmosfera avresti voluto, per curiosità? " />AryaSnow: è molto divertente, ma comunque borderline alla fanfiction. Alternate universe, senza dubbio, ma.... inoltre l'atmosfera è poco caratterizzata.
Io non avevo capito che ci fosse il montaggio al contrario. Pensavo che la donna del primo paragrafo fosse un'altra rispetto a quella che si vede dopo, perchè solo nel primo paragrafo viene nominata.Ilyn Payne: scritto benissimo, con anche il montaggio al contrario che è tanto attuale. Un virtuosismo, ma non si capisce il senso. Forse sono troppo poco post-moderna per apprezzare e comunque non ho mai letto/visto le opere a cui fai riferimento. E in ogni caso credo che i racconti debbano avere un messaggio. L'arte per amore dell'arte mi lascia freddina.
Però adesso che ci penso... il titolo è "divertimento n°9 e lei si chiama "Nove". Ahhh, capito, prende questo nome solo quando lui inizia a "divertirsi"
... un po' troppo criptico e la tecnica del montaggio al contrario la trovo un po' fine a sè stessa
Resta comunque il mio preferito del contest per la scrittura.
12° contest di scrittura
Appostato sul tetto del convento dei domenicani, Raymond annusava l'aria della notte. Da lassù, Tolosa odorava di pioggia e di dolci natalizi. Le cucine del convento fervevano di attività in quei giorni. Cannella, miele, frutta candita... Uhmm...
Un tempo questo profumo gli avrebbe fatto venire l'acquolina in bocca, ora invece, sebbene fossero giorni che non si nutriva, non sentiva niente, a parte un po' di nostalgia. Come un fedele prima del consolament 1), il sacramento dei Buoni Cristiani, come ai vecchi tempi di Limoux, Raymond aveva digiunato per prepararsi all'impresa. La fame gli attanagliava le viscere, ma più di tutto era il senso di vuoto che si portava dentro dalla morte di Alienor a divorarlo. Li aveva cercati tutti, uno per uno, gli uomini che erano stati lì quella notte, ma quella sensazione continuava a consumarlo a poco a poco, erodendo la sua sanità mentale, cancellando ogni sentimento tranne l'odio e il senso di colpa e trasformando la sua esistenza in una caccia continua e disperata. Dopo ogni uccisione, quel vuoto si acquietava, momentaneamente saziato, ma non durava mai. Prima o poi ricominciava a divorargli l'anima e lui era costretto a ritornare a cercare, a cacciare, a trovare altre vittime per placarlo.
Frate Aymeric era l'ultimo, ed era quello che aveva inferto la ferita più profonda alla sua anima. Forse con la sua morte tutto sarebbe finito. Forse il vuoto dentro di lui sarebbe scomparso.
Sospirando, Raymond si calò dal tetto nel loggiato che circondava il chiostro. Tutto era silenzioso. Il cavaliere rinnegato avanzò lungo un corridoio dove su entrambi i lati si affacciavano le semplici celle dei frati. Camminava silenzioso come un'ombra alla luce fioca e rossastra delle torce disposte ad intervalli regolari lungo le pareti.
Arrivato alla porta della biblioteca, Raymond esitò un attimo con la mano sulla maniglia. Dalla fessura tra anta e battente filtrava una lama di luce. Qualcuno studiava ancora, nonostante l'ora tarda, come era sempre stata l'abitudine dell'ambizioso Aymeric. Al ricordo, la rabbia e la fame gli bruciarono dentro. Girò la maniglia con decisione ed entrò. Come gli avevano detto i suoi informatori e come immaginava, Aymeric era lì e si girò di scatto al suono della porta che si apriva.
“Chi è là?” chiamò l'inquisitore, allarmato. Era solo.
Nascosto nel buio, con il mantello nero e il cappuccio alzato, Raymond Le Maur era poco più di un'ombra fra le ombre. Fece un passo avanti , entrando nel cerchio di luce proiettato da una delle torce e abbassò il cappuccio.
Il volto pallido dell'inquisitore si fece terreo. Aymeric sgranò gli occhi e fece per gridare, ma Raymond si mosse fulmineo, lanciandosi contro di lui. Gli strinse la gola con una mano possente e lo fece sbattere contro il muro. L'impatto brutale contro la parete costrinse l'inquisitore ad esalare l'aria che aveva nei polmoni con un gemito. Aymeric chiuse gli occhi, forse perdendo conoscenza per un istante, ma subito dopo riuscì a trovare la forza di lanciare un sguardo rovente al suo avversario. “Ero quasi riuscito ad ucciderti, figlio del demonio...” riuscì a gracchiare con voce colma di disprezzo. Raymond strinse più forte la gola del domenicano. Il vuoto nella sua anima si risvegliò al pieno della sua furia.
L'inquisitore cercava di mostrarsi forte, ma sotto l'odore di cera da candele ed inchiostro, Raymond sentiva il puzzo acre della sua paura, un odore che un tempo l'avrebbe disgustato, ma che ora lo inebriava. Solo e senza guardie, Aymeric era indifeso. Era la sua preda. La fame era ormai così forte da fargli girare la testa, era troppo tempo che non si nutriva.
Aymeric, da quel viscido serpente che era, se ne accorse e ne approfittò per cercare di prendere qualcosa nascosto tra le pieghe del saio bianco e nero. Ringhiando, Raymond gli fece sbattere la testa contro il muro abbastanza forte da lasciare una macchia insanguinata sui mattoni e lui perse la presa. Una fiala di acqua benedetta si ruppe ai suoi piedi.
Raymond spostò lo sguardo dalla fiala infranta all'inquisitore semi-svenuto e sorrise, mettendo in mostra le zanne. “Questo è per Alienor e per i catari che avete impiccato a Limoux.” mormorò.
Il sangue dell'inquisitore era amaro come il fiele per il terrore, ma Raymond lo sorbì fino all'ultima goccia, gustandolo come un vino pregiato, finché non sentì il suo cuore marcio che si fermava. La sensazione del calore e del potere che lo pervadevano fu più forte del solito, abbastanza intensa da farlo accasciare al suolo accanto al cadavere, tremando per l'esaltazione, come un mujaheddin 2) intossicato di hashish. Accanto a lui Aymeric fissava il soffitto con occhi spenti.
Raymond ridacchiò come se fosse lievemente brillo. Era valsa la pena di aspettare, di digiunare, per gustarsi meglio la vendetta. La sua fame era saziata, il vuoto finalmente riempito. Si sentiva in pace, ma per quanto?
Conta caratteri: 4880
Note facoltative, solo se volete saperne di più sull'ambientazione. Il testo non perde niente se non le leggete.
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Note:
1) consolament: il sacramento unico dei Buoni Cristiani, anche conosciuti come catari. Prima di avvicinarsi al sacramento era necessario osservare un periodo di digiuno rituale. I catari furono vittima di spedizioni militari giudate dal regno di Francia nella prima metà del 1200. Nel 1234 fu istituito un tribunale dell'inquisizione, affidato ai domenicani, per sconfiggere questa eresia. I catari si estinsero verso il 1300.
2) mujaheddin: combattente per la fede. Non implica necessariamente il concetto di terrorismo. Così si definivano anche i guerrieri che combattevano contro i cristiani durante le crociate.
L'ambientazione è una normalissima casa e il racconto non deve essere affatto "serio", non era mio intento creare un'atmosfera particolare... che genere di atmosfera avresti voluto, per curiosità?
Una qualunque. Così com'è i fatti sembrano avvenire nel vuoto, o meglio in un non-luogo. Una casa non altrimenti specificata, che non odora, non ha colori. Senza segni particolari. Un ambiente vuoto con il solo fine di contenere i personaggi e fare da sfondo all'azione. A me sembra un po' scarno...
Ma forse volevi dare ad intendere che i fatti avrebbero potuto verificarsi in una casa qualsiasi. O forse è una casa universale? La Casa per antonomasia?
Una normalissima casa in montagna contemporanea come mille altre.Una qualunque. Così com'è i fatti sembrano avvenire nel vuoto, o meglio in un non-luogo. Una casa non altrimenti specificata, che non odora, non ha colori. Senza segni particolari. Un ambiente vuoto con il solo fine di contenere i personaggi e fare da sfondo all'azione. A me sembra un po' scarno...
Ma forse volevi dare ad intendere che i fatti avrebbero potuto verificarsi in una casa qualsiasi. O forse è una casa universale? La Casa per antonomasia?
I mobili e tutto il resto sono normali e non hanno la minima importanza nella storia e in ciò che si vuole trasmettere (solo un po' di divertimento per via delle sue protagoniste e della vicenda), e per la protagonista PdV sono cose assolutamente famigliari.
Le cose di cui si parla sono quelle che servono nella trama o su cui comunque l'attenzione di Yara ha motivo di cadere: l'uccello sul cespuglio, la natura morta con i relativi accessori per la pittura, la presenza di una finestra con la serranda, di un telefono, il fatto che prima sono in sala e Nassa scappa in cucina, la posizione dei lupi, il fatto che i genitori vadano a funghi ecc
Bentornata tra noi, adesso leggo
Bentornata Nymeria Sand!
Buona l'ambientazione, ottime le descrizioni (gli odori, le luci, ...).
Una sola cosa è molto fastidiosa, secondo me: frasi come questa:
Il volto pallido dell'inquisitore si fece terreo. Aymeric sgranò gli occhi [...]
a mio parere non vanno assolutamente bene. E ce ne sono molte così. È giusto non ripetere continuamente "Aymeric" e indicarlo alternativamente con "l'inquisitore", ovviamente: ma farlo non elimina il fatto che il soggetto non debba essere così frequentemente ripetuto. Oltretutto rallenta e spezza totalmente l'azione. Quella frase, ad esempio, andrebbe scritta:Il volto pallido dell'inquisitore si fece terreo. Sgranò gli occhi [...]
E sicuramente non scriveresti mai:Il volto pallido di Aymeric si fece terreo. Aymeric sgranò gli occhi [...]
Altro brutto effetto collaterale è che, nella frase originale, la doppia specificazione del soggetto distrae - fa pensare istintivamente che "Aymeric" e "l'inquisitore" non siano la stessa persona.Nymeria Sand: Anche se la trama non è tanto originale, mi piace perchè io adoro il tema della vendetta " /> e l'empatia per il personaggio per me è riuscita.
Ha ragione Tyrion sull'osservazione che ti ha fatto.
Altra cosa specifica:
Cannella, miele, frutta candita... Uhmm...
Un tempo questo profumo gli avrebbe fatto venire l'acquolina in bocca, ora invece, sebbene fossero giorni che non si nutriva, non sentiva niente, a parte un po' di nostalgia.
Mi sembra un po' contradditorio fargli pensare "Uhmm..." e poi dire che non sentiva niente. Anche perchè forse "Uhmm" non è molto bello da leggere in sè e potrebbe andare solo per evidenziare una sensazione davvero forte (che ora non c'è).
Poi c'è qualche ripetizione e diversi punti in cui sono usate parole inutilmente in più, anche precisando cose un po' ovvie. Questo è un peccato specialmente quando il ritmo doveva essere più veloce.
La descrizione dei sentimenti del protagonista, quando fa riferimento al "vuoto nello stomaco-vuoto interiore più profondo" mi ricorda l'inizio del capitolo di Arya nel Portale delle Tenebre, così come anche l'espressione solenzioso come un'ombra mi ricorda Arya ... questo però per quanto mi riguarda non è per forza un difetto " />
Ma il tizio è diventato un vampiro dopo essere stato impiccato?
Belli anche gli ultimi due, mi sa che do anche la seconda preferenza stavolta ^^.
Quello di Ilyn è perfetto, quasi come quelli di Andrea; che non mi piaccia il contenuto (o la difficoltà di trovarlo) è un problema mio.
Quello di Nymeria è meno perfetto (più o meno sono d'accordo con gli appunti di Arya e non con quelli del nonno) ma è una rivisitazione molto piacevole del 'solito' racconto di vampiro...che parlando di 'mangiare' doveva assolutamente venire fuori prima o poi :P
Forse è meno in tema (più 'fame', meno 'mangiare') ma poco.
vediamo... ^^
Ma il tizio è diventato un vampiro dopo essere stato impiccato?
No, hanno solo impiccato dei suoi amici. Lui è diventato vampiro perché è morto scomunicato.
Tipo questo?Quello di Nymeria è meno perfetto (più o meno sono d'accordo con gli appunti di Arya e non con quelli del nonno)
Ha ragione Tyrion sull'osservazione che ti ha fatto.