IL NUOVO MONDO
(Letter count: 4985)
La stanca luce del giorno si adagiava sulle onde dell’oceano, calma liquida che accarezzava le sponde dell’isola di Lost Angel, mentre due amanti si saziavano del loro silenzio.
Lei notò qualcosa di strano spiaggiarsi vicino, una bottiglia di quel vecchio e strano materiale che gli anziani del villaggio chiamavano plastica.
La carta contenuta all'interno suscitò uno stupore quasi reverenziale nei due giovani, i fogli ingialliti tremavano nelle mani di lui.
Fitti segni neri scorrevano incomprensibili sotto i loro occhi affusolati, segni che per noi suonerebbero più o meno così:
Diario di bordo del Capitano Abel Jamezhon
26 di Mezzavia dell’anno 1606 dal Ritorno del Sole
Un vento nuovo investe i nostri visi mentre salpiamo alla volta dell’Oceano.
Stamane l’Imperatrice Victoria in persona ha benedetto le tre navi della spedizione, Orizzonte, Speranza e Chiarastella al momento della partenza dal porto di New Sidney, sospinta dall'entusiasmo della folla.
La più grande missione esplorativa mai tentata dal glorioso Impero Australe è pronta, mi accingo a guidare la conquista delle leggendarie terre ad Est, il mio nome sarà storia.
7 Cadeluce 1606 R.S.
La Speranza è naufragata al largo delle Fiji, come nel cuore di molti di noi.
Una brutale tempesta ci ha colti di sprovvista, tra i pochi che siamo riusciti a trarre in salvo vi è pure un estraneo all'equipaggio. Un giovane ricoperto di tatuaggi tribali, l’unico superstite di una ciurma di pirati antartici che ci voleva arrembare nottetempo.
I più credono che la tempesta sia una punizione per aver osato oltrepassare i confini del mondo, superstizioni del secolo fosco, motivo per cui ho dato il permesso al tecnomante di bordo di accendere la radio.
L’energia solare è bastata per ascoltare uno scontro tra Highlanders e Hurricanes per il possesso di una palla, il tecnomante l’ha interpretato come una vittoria degli Dei dell’Etere in nostro favore. Ogni velleità di ammutinamento sembra essere sedata, per ora.
L’unico che durante il rito reggeva lo sguardo dell’Oceano era il giovane pirata, un inaspettato spirito affine. Lo terrò al mio fianco, il selvaggio popolo di Antartide sa cose che noi abbiamo dimenticato.
10 Mietigiorno 1606 R.S.
Terra.
Anche se l’isola avvistata pare rifiutare tale definizione.
Un informe distesa grigiastra, colline striate da colori putrefatti, squarci da un inferno arrugginito.
L’ancoraggio è impossibile, il fondale stesso sembra rifiutare di avvicinarsi. Per almeno due miglia dalla costa il mare è una poltiglia bianchiccia, secondo il nostro naturalista si tratta di un agglomerato di meduse privo di paragoni nel mondo organico.
La spiaggia ha retto abbastanza bene i miei primi passi, ma non ho bisogno di uno scienziato per capire che la manciata di sabbia che tengo nel palmo della mia mano è composta da granelli di plastica.
Tutto quello su cui poso lo sguardo è un’accozzaglia di resti della Prima Civiltà.
14 Mietigiorno
Scrivo queste brevi righe durante una sosta per cibarci di granchi albini.
Gli indigeni ci hanno decimati, catturati e costretti ad una marcia forzata verso l’entroterra, ma non osano toccarmi proprio grazie a questo diario. La scrittura deve avere qualcosa di magico e terribile per loro... Esseri sgraziati, coperti di stracci sintetici per nascondere i loro corpi anoressici, la loro pelle è dello stesso grigiore dell’isola, talmente opaco che in alcuni punti si distinguono muscoli, tendini e vene pulsanti.
L’unica parola che esce dalle loro bocche marce è “Levithaan”.
La fine
Chiunque tu sia, se stai leggendo questo messaggio, ti supplico, metti in guardia l’Imperatrice, metti in guardia tutti.
Ho riaperto la cancrena del mondo che presto si rovescerà su tutti noi.
L’altra notte mi sono trovato al cospetto del Leviatano, tiranno e Dio di quest’isola dal suo trono in ossa di balena sulla cima del suo palazzo, un ammasso di carcasse di navi in ferro scuro.
All'apparenza umano, nei brevi momenti illuminati dalla tempesta alle sue spalle ho intravisto le oscene deformità del suo corpo, tentacoli, carne viva e cavi metallici, guizzare fugacemente da sotto la cappa di plastica nera.
Nel mezzo dei suoi rochi deliri, ho intuito come quest’isola si generò dall'arroganza della Prima Civiltà, come si popolò di umani considerati rifiuti dai propri simili.
Mentre mi vomitava addosso la rabbia da secoli inespressa, i lampi riecheggiarono di un verde innaturale nei suoi occhi, schiarendo il suo volto senza pelle né pietà.
Adesso che sa di non essere solo, ha giurato vendetta sulle nostre terre, riversando l’energia venefica che corrompe i loro corpi ed alimenta le armi che hanno sopraffatto il mio equipaggio, la stessa energia che causò il secolo fosco.
Il suo congedo fu:
“I dimenticati verranno ricordati”
Nella speranza che servano per capire quello che vi aspetta, affido queste pagine al mio amico Antartico prima di coprire la sua fuga questa notte.
Che gli Dei dell’Etere mi perdonino e vi salvino, sempre se esistono.
Titolo: L'uomo nel faro
Totale caratteri: 4954 (lettercount)
Lo scafo della barca tagliava l’acqua come una lama, mentre alti spruzzi si sollevavano ai lati, ripiombando sul ponte. Cal percorse con gli occhi il profilo della terra che, di fronte a lui, emergeva dal mare. Ricordava ancora le parole di Marie, la prima volta che erano stati lì insieme: -credevo fosse una penisola, non un’isola-.
-Lo è quando il mare si ritira-, le aveva sussurrato in un orecchio, mentre le cingeva la vita. Erano rimasti a lungo abbracciati, cercando con lo sguardo il punto esatto in cui la marea aveva inghiottito il terreno.
Era un altro tempo, un’altra vita.
-Al diavolo! Non capirò mai perché la gente voglia propria passare la notte in questa vecchia catapecchia abbandonata-. Da diversi minuti, William armeggiava con il chiavistello della casa del faro. Alla fine, si arrese ed aprì la porta d’ingresso con una spallata.
-Ed eccoci qui! Meglio del grand hotel-. Togliendo i teli che ricoprivano il mobilio, si sollevarono pesanti nuvole di polvere.
-Starò bene, William, grazie-
Il vecchio marinaio risalì a bordo della sua piccola barca senza dire una parola e ripartì senza voltarsi mai indietro.
Cal si fermò al centro della stanza e si guardò intorno. Era tutto esattamente come lo ricordava: il camino in pietra con la mensola di marmo sbreccata, il pesante tavolo di faggio, la credenza vuota, l’orologio fermo appeso alla parete e le due poltrone di velluto verde sotto la finestra. Da lì si vedeva l’intera baia: una vista che, secondo Marie, valeva ogni disagio a stare lì. A Cal parve di rivederla seduta, con la sua lunga vestaglia rosa ed una tazza di thè, mentre scrutava oltre i vetri.
Mi è sembrato di vedere un delfino!
Sentì una dolorosa morsa al petto.
Siediti qui vicino a me
La stanza iniziò a girare. Poi, il vuoto.
Cal si risvegliò immerso nel buio e circondato da ombre. La voce di Marie gli risuonava ancora nella testa.
Lo sai che ti amo.
Forse non era stata una buona idea tornare. Era passato così tanto tempo. Cosa cercava? Cosa pensava di trovare?
Marie era semplicemente scomparsa. Quella notte, Cal si era svegliato di soprassalto e lei non era più accanto a lui. Aveva vagato tutta la notte, urlando il nome di lei fino a perdere la voce. Nei giorni successivi, l’intera costa era stata battuta palmo a palmo, ma le ricerche erano state inconcludenti. Diverse settimane più tardi le ultime speranze si era ritirate insieme alla marea. Il ritrovamento di Marie aveva fugato ogni dubbio. Caso chiuso per tutti, ma non per Cal, che cercava ancora di dare un senso a quell’assurda follia.
Ho commesso uno sbaglio, Cal. Devi credermi. Uno stupido passo falso.
-No! No!-. Cal si accorse che stava gridando. Gli mancava l’aria. Doveva uscire. Cal corse verso la porta d’ingresso. Era di nuovo bloccata. -Maledizione!-
Non volevo farlo…
Ora ricordava: c’era una porta anche sul retro!
Lo sai che ti amo
Cal si sentiva soffocare. Corse verso la porta secondaria e cercò disperatamente di aprirla. -E’ bloccata!-. Si guardò intorno per trovare qualcosa con cui rompere la serratura, un vetro o qualunque cosa. Doveva uscire di lì! Subito! Poi la stanza iniziò a girare.
Il fuoco scoppiettava nel camino, rilasciando nella stanza un piacevole aroma di legno. Marie era in piedi, di fronte a lui.
-Dovevo dirti la verità, Cal. Mi dispiace. So che ti sto facendo male, ma… ecco… io non potevo continuare a mentirti-. Lei si avvicinò e gli prese le mani. -Ho commesso uno sbaglio, Cal. Devi credermi. Uno stupido passo falso. Non volevo farlo. Lo sai che ti amo-.
Cal si divincolò dalla presa di lei e si lasciò scivolare sulla poltrona. Un tremore improvviso lo scosse. Sentì la testa leggera. Il suono della voce di Marie e l’immagine di lei svanirono pian piano. Poi la stanza iniziò a girare. E all’improvviso, lui non era più lì.
Il grosso SUV inchiodò di fronte al molo dove William attendeva visibilmente spazientito.
-Salve-. Un signore alto sulla quarantina scese e si avvicinò, seguito da una donna bionda e due ragazzi. -Non l’abbiamo fatta attendere troppo, vero?-.
-Dobbiamo avviarci. Voglio tornare prima che faccia buio-
La famiglia prese posto sulla piccola imbarcazione ed il vecchio marinaio partì.
-A quanto pare c’è una storia legata a quel faro-.
William si voltò versò il suo ospite. -Non è una storia adatta -, disse sotto voce, rivolgendo lo sguardo ai due ragazzini ed alla donna, che erano intenti a scattare foto con i cellulari.
-Andiamo… con quello che passa in televisione oggigiorno…-, insistette l’altro. -Allora? Fantasmi? Streghe? Cosa?-
-Un omicidio-. La voce di William era gelida come il vento. -Una coppia, una trentina di anni fa. Non si sa bene cosa prese a lui… ma quello che fece alla donna… Lei poi l’hanno trovata…-
-E lui?-
-Mai più visto. Né morto, né vivo. Qualcuno dice che sia scappato. Altri che si sia ucciso anche lui quella stessa notte. C’è però chi crede che viva ancora da queste parti e che torni ancora lì, più spesso di quanto vorrebbe-.
EEA.AVVISO AI NAVIGANTI.
"Le donne sono l'alterita'che non si può comprendere.E come tutto ciò che è incomprensibile ed incontrollabile,sono pericolose."
L'alba mette a nudo un altro giorno mentre un gruppo di uomini sbarca su un'isola che risuona di onirici segni,moti,parole,rilancia misteri e ombre(pericoli?)e inquieta la memoria.
Sbarcano dunque su una terra di boschi ed ossidiana,di viti e falchi,dove la Figlia del Sole li attende.
Li osserva attraverso gli occhi di una fulva volpe che se ne sta immobile tra il sole e l'ombra.E assapora il momento in cui cadranno. Tutti.
Lo sguardo non sosta a lungo su di loro. Sono solo uomini.Eccetto uno. Forse.
Sono in nove a staccarsi dal resto del gruppo e a dirigersi nel folto della vegetazione. Man mano che di addentrano tra gli alberi,la luce invece di farsi fioca è più accecante e i colori più densi. La mano pesante del sole scava dentro di loro uno struggimento senza nome.Sentono allo stesso tempo l'avvampare della febbre e il sopore della convalescenza.
È il richiamo.Il suo richiamo.
_ Cercami._ Sussurra nella testa.
_ Cercami._ Soffia nel cuore.
Quando infine arrivano da lei,sono già schiavi.
Allenta la presa su uno di loro. Lo lascia fuggire. Sarà il suo messaggero. Le porterà l'uomo dagli occhi di nibbio. Il solo su cui il suo sguardo si è soffermato per più di un secondo. Ma è solo un uomo.Oppure no?
Sorride mentre agli altri offre la coppa con il suo veleno. Distrattamente li guarda cadere a terra. Si contorcono come vermi.Non le interessa sapere in cosa la natura selvaggia dell'isola deciderà alla fine di trasformarli. Pecore.Maiali.
Gira loro le spalle e si siede su un trono fatto di pietre nere e fiori di tiglio che diffondono nell'aria la loro fragranza.
Un leone le si avvicina, cerca di strofinare il fianco contro la sua gamba nuda. Lei affonda la mano nella criniera. Porta il viso all'altezza degli occhi della fiera. Donna e animale si guardano per un istante interminabile.Lei sorride beffarda.
_ Un tempo eri così fiero e potente.Un re tra gli uomini. Ed ora sei un cucciolo da compagnia che mendica una carezza dalla sua Padrona._
Crudele seduttrice. Lusingatrice. Vizio. Questi i suoi nomi,quando le bave del mito avrebbero lasciato il posto alla memoria della storia.
Ma lei non è niente di tutto ciò. Lei è altro.
È l'incarnazione dello spirito femminile dominante. Idolo di una femminilità selvaggia che contiene una donna libera e consapevole.
Lei è un'isola : è nella densità della terra, nella vibrazione dell'aria, nello scorrere dell'acqua e nell'inganno del fuoco.
Una luce incerta tinge il tramonto,il sole insieme alle ombre, quando lo vede arrivare.
Non è bello,come un tempo è stato il lupo accucciato ai suoi piedi; non è forte,come l'orso alle sue spalle e non è elegante,come la pantera sdraiata alla destra del suo scranno.
Un corpo bruciato dal sole.Le natiche sode.Il muscolo pronto.Per la stanchezza sulla pelle ha come fremiti. Ma nel suo viso scabro,gli occhi sono due fari sulla mente. Ah,la portata e la velocità del suo pensiero! Una cosa che incanta.
_ Vedimi._ Gli sussurra.
Lui alza lo sguardo. Lei ha un profilo instabile che più segue il vento più agita il sangue. Un'isola perduta nel più lontano mare, tra fiori di spuma e grida di gabbiani.
Nell'aria annusa odore di pioggia. Sente il turbamento delle betulle che cominciano a fremere, poi a stormire follemente.
Un altro dio sta esercitando il suo potere sull'isola.
È Dioniso che scortica la pelle della terra,che corre sotto erbe e cortecce,che morsica le sue cosce bagnate.
Wow, siamo a nove racconti!
Riguardo la questione tempi:
Aumentare di pochi giorni non credo risolva il problema della mancanza di ispirazione, e spostare di una settimana(tempo considervole), allungherebbe troppo i tempi morti che già ci sono adesso.
Non credo aumenterebbero considerevolmente gli scritti per turno(siamo a 10 circa per ora, e non è male affatto) con questa settimana in più.
Del resto la controprova sono i megacontest passati, non è che ci fosse il doppio dei partecipanti.
Idem per il discorso "qualità", sempre a mio parere.
In passato, comunque, eesendoci stati casi di deroghe di tempo, si potrebbero eccezionalmente giustificare se, in un turno, dovessero esserci pochi scritti e qualcuno che ne ha altri pronti da rifinire, in uno/due giorni.
Ovviamente chi chiede la deroga sarà obbligato con la forza a postare XD
Imho.
Per questo turno non ci saranno deroghe. Per il prossimo io ed Emma valuteremo se aumentare di qualche giorno o no.
È Frittella il nostro Re
Fa i pasticci, fa i bignè
Io ne mangio pure tre
È Frittella il nostro Re!!!
You're mine. Mine, as I'm yours. And if we die, we die. All men must die, Jon Snow. But first we'll live.
La cosa bella di essere guardiani? l'affetto con cui veniamo ripagati, ma anche il rispetto, la riconoscenza. E' un impegno che dà molto onore e tanta gloria (Cit @Maya )
Per quanto mi riguarda, l'ispirazione può arrivare in un secondo o mancare per tutto l'anno, per cui due giorni possono essere decisivi o perfettamente inutili.
Detto questo, se nei prossimi turni "usciamo" qualche giorno in più... grazie, lo sfrutterò a dovere. ;) Altrimenti, amen!
Vabbé che questa è una competizione ecc., che nella vita vera ci sono le scadenze ecc.. Alla fine, però, siamo pur sempre solo un gruppo di amici che buttano giù un po' passione ed idee, mescolate con sano divertimento. Se qualche giorno in più agevola la vita di più di qualcuno, perché no? :)
Considererei il fatto che molti durante la settimana sono occupati, anche mentalmente, avere un fine settimana in più aiuterebbe sia l'ispirazione che l'elaborazione, lasciando più tempo per correggere piccoli errori etc.
A me sta bene quel che decidono Monica ed Emma ovviamente.
Sono più contento quando il contest è bello frequentato, da sempre, figuriamoci se mi metto a complicare la vita a qualcuno con le scadenze.
X me non e' tanto questione di qualche giorno in + per l'ispirazione, quanto di avere a disposizione due fine settimana anziche uno per scrivere.
Il problema non è l'ispirazione. Se non mi viene posso avere sei mesi e alla fine scrivo cmq una stupidaggine.
Però quello che posso dire per la mia situazione è che avere due weekend invece di uno mi aiuta molto a scrivere e pensare.
In mezzo alla settimana la sera faccio davvero fatica a trovare le motivazioni giuste.
Poi per carità cambia poco e non c'è problema, lo scopo è divertirsi tra amici.
Sol da poco son giunto in queste terre, da una estrema ultima Thule. Un paese selvaggio che giace, sublime, fuori dal Tempo, fuori dallo Spazio.
All fled, all done, so lift me on the pyre. The feast is over and the lamps expire.
"I walked this land when the Tlan Imass were but children. I have commanded armies a hundred thousand strong.
I have spread the fire of my wrath across entire continents, and sat alone upon tall thrones. Do you grasp the meaning of this?"
"Yes" said Caladan Brood "you never learn."
Memorie indiane...
(letter count: 4918)
Ho perso il conto di tutti gli alloggi con i quali, nella mia vita, ho avuto a che fare. Per il grosso alloggi pessimi. Pessimi talvolta al punto da volerli dimenticare.
Ma tra tutte le pessime stanze dentro le quali, durante il mio viaggio ho dormito, poche mi sono rimaste impresse come quella pessima stanza a Varanasi.
Ricordo ogni dettaglio di quella camera all'ultimo piano. Le lunghe notti insonni, ore e ore a fissare il soffitto tormentato dal sudore, accompagnato dal cigolio del ventilatore e dal ronzio delle zanzare.
Non ho mai dimenticato le voci che in quelle sere arrivavano dal Gange, i manthra indù che echeggiavano tra i palazzi: om namá shivae, cantavano, hare hare ho, om namà shivae. Una liturgia continua, sembrava infinita, andavano avanti per tutta la sera.
Di quella stanza, ricordo il canto dell'imam alle tre e mezzo del mattino. Dal quartiere islamico di sotto spezzava il silenzio della notte, ore dopo che gli induisti avevano terminato al sacro fiume. Ricordo ancora quell'orribile voce. Era stonato. L'unico imam stonato che avessi mai sentito.
Ricordo quel macaco che difendeva la postazione sulla ringhiera del balconcino e non si spostava di un millimetro, ogni mattina mentre andavo al bagno esterno per la doccia. Dopo un po' si era creata una sorta di cauta intesa tra noi due, mi lasciava passare senza mostrare i denti.
Ancora ricordo la visuale che si apriva dal terrazzo sul quale si trovava quella stanza. Talvolta mi sembra di ricordare ogni singola sagoma o torre dei templi lontani, ogni singolo terrazzino, cisterna o antenna della TV, che da lì si propagavano fino ai Ghats sulle rive del Gange. Lunghe sere passate su quel terrazzino, fumando e sorseggiando. Osservavo i colori della città e ascoltavo.
Ricordo che su quel terrazzo si trovava l'unico specchio. Uno specchietto, a dire il vero, legato con un fil di ferro sopra l'asticella del cancello. Al mio sesto mese in India, ormai avevo smesso di cercare la logica. Non me lo chiedevo neanche, perché diavolo il gestore del Guest House avesse deciso di fissare lo specchio sul terrazzo, anziché sopra il lavandino del bagno.
L'India mi aveva insegnato ad adattarmi a qualunque cosa.
Ricordo che ogni mattina in quello specchio mi guardavo e di giorno in giorno la mia barba cresceva, e ogni volta mi chiedevo se era giunto il momento. Ma poi ogni volta rimandavo. Un po' perché non avevo voglia di scendere cinque piani solo per chiedere una bacinella, e un po' perché ciò avrebbe voluto dire affrontare i macachi con un contenitore d'acqua. E non mi suonava come una buona idea, avevo già visto scimmie di città diventare cattive, per una bottiglietta d'acqua.
Ricordo che guardavo dentro quello specchio anche ogni sera, prima di andare a dormire. E ogni volta mi chiedevo: ma chi me lo fa fare? Che cosa era diventato ormai quel viaggio per me? Ricerca? Fuga?
Non avrei saputo dirlo.
Sapevo che quel viaggio mi aveva cambiato, e ancora mi stava cambiando.
Ero solo. Solo dentro un mare di estranei. E per quanto strano, mi andava bene così. Per me era l'unico modo.
Ero un estraneo, ma lo ero per scelta, in un viaggio solitario che mi ero posto per sfida. Dentro di me, da qualche parte, sentivo ancora l'Himalaya chiamarmi. Fin dall'inizio, quelle montagne erano state il mio sogno, la mia ossessione. Sapevo che la stagione era ormai inoltrata, le piogge monsoniche non erano poi più così lontane.
Ma se così, che cosa ci facevo ancora a Varanasi?
Me lo chiedevo ogni sera, e ogni sera rimandavo la risposta al domani.
“Dove andrai?”, mi chiedeva lei.
In quella stanza, lei me lo chiedeva di continuo, ma non ho mai capito se per reale interesse, oppure se si dimenticava di avermelo già chiesto.
“Al nord.”, le rispondevo ogni volta. “In Nepal forse, o verso il Sikkim. L'importante che siano montagne. E tu? Vuoi venire con me? O resterai qui a Varanasi?”
“Io resto a Varanasi, poco ma sicuro.”, mi rispondeva lei.”In questa città ho trovato la mia dimensione.”
“Capisco.”, le dicevo. Ma in verità non la capivo per niente.
Eravamo così diversi noi due, diversi ma allo stesso tempo così simili. Anime troppo libere, e per questo solitarie.
“Quando parti?”, mi chiedeva.
“Presto.”, le rispondevo. “Ma non domani.”
“Tu non ti preoccupare e segui la tua strada. Sono sicura che anche per te, lì fuori, si trova un posto dove troverai la tua dimensione.”
“Non è quello che sto cercando.”
“A no? E allora che cosa cerchi?”
“Non lo so.”, le rispondevo scrollando le spalle. “Forse lo capirò solo il giorno in cui mi deciderò di tornare a casa.”
“Tu sei un tipo strano.”
“A si?”
“Si.” - Ricordo ancora il caldo del suo sorriso, mentre lo diceva. ”Decisamente strano. E ora avvicinati.”
Quell'alloggio a Varanasi era davvero una pessimo alloggio.
Eppure, per quelle poche settimane fu un rifugio, una casa. Era un isola. Un isola circondata da un oceano di estranei, in un mondo al quale non appartenevo.
Considererei il fatto che molti durante la settimana sono occupati, anche mentalmente, avere un fine settimana in più aiuterebbe sia l'ispirazione che l'elaborazione, lasciando più tempo per correggere piccoli errori etc.
Naturalmente è solo un'osservazione. Se si decide di rimanere così, ok :)
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Il Secondo Round si è ufficialmente concluso!
Avete tempo fino a martedì 11 aprile alle 22.00 per esprimere le vostre preferenze.
Elenco completo dei partecipanti:
TyrionSonOfTywin - L'isola di Tilda
Seija - Eea. Avviso ai naviganti.