Ti ho visto camminare lentamente
attraverso il deserto.
La tua figura guizzava come fiamma
-magra come un sepente a sonagli.
In un campo di rose rosse
ci sta una Torre Nera
ma per arrivarci molti sono i sacrifici fatti.
Ho seguito i tuoi passi in questo strano mondo
sotto le ombre mi sei venuta a cercare.
Ho strizzato gli occhi
su di me hai fissato i tuoi
-occhi azzurri da bombardiere
che lasciano il segno.
In un campo di rose rosse
ci sta una Torre Nera
ma per arrivarci molti sono i sacrifici fatti.
Quante volte mi è sembrato
di star seduta con te a tenere conciliabolo.
Ti ho visto diretto alla volta del mare occidentale.
Sotto le montagne
seguendo i binari di un treno
fuggendo dai lenti mutanti
-nei loro occhi raffiche di meraviglia gialla.
In un campo di rose rosse
ci sta una Torre Nera
ma per arrivarci molti sono i sacrifici fatti.
Ti ho seguito in ogni dove e quando.
Ti ho visto sofferente, le dita mutilate
con il corpo e la mente in fiamme.
Ogni tuo passo ti portava fuori dalle pagine del libro
ogni tuo passo ti faceva di sangue e carne.
In un campo di rose rosse
ci sta una Torre Nera
ma per arrivarci molti sono i sacrifici fatti.
Passi di: Stephen King. “La torre Nera 4 - La Sfera Del Buio”.
L'avviso sulla porta non era una citazione dal film e solo Susannah riconobbe le parole di Dante:
LASCIATE OGNI SPERANZA O VOI CHE ENTRATE
Roland allungò la mano destra mutilata e aprì la porta alta dieci metri.
Agli occhi di Jake, Eddie e Susannah, si presentò una strana combina-zione di Il Mago di Oz e Blaine il Mono. Sul pavimento era posato un tappeto folto (celeste, come quello della Carrozza della Baronia). Il locale sembrava la navata di una cattedrale, tra mura che s'innalzavano a impenetrabili altitudini di nero verdastro. I pilastri che reggevano il soffitto rilucente erano enormi costole di vetro in cui si alternavano luci verdi e rosa; il rosa era della stessa identica sfumatura di Blaine. Jake vide che nei pilastri erano scolpite miliardi di immagini diverse, nessuna delle quali incoraggiante; urtavano l'occhio e sconvolgevano il cuore. Erano in preponderanza volti urlanti.
Davanti a loro, gigantesco tanto da ridurre i visitatori a formichine, c'era l'unico mobile del salone: un enorme trono di vetro verde. Privo di punti di riferimento, Jake non fu in grado di valutarne le dimensioni. Pensò che lo schienale dovesse essere alto una quindicina di metri, ma avrebbero potuto essere tranquillamente venticinque o quaranta. Vi campeggiava il simbolo dell'occhio spalancato, questa volta in rosso invece che giallo. Le pulsazioni ritmiche dell'illuminazione lo facevano sembrare vivo; sembrava battere come un cuore.
Al di sopra del trono, come le canne di un maestoso organo medievale, s'innalzavano tredici cilindri, ciascuno pulsante di un colore diverso. Tutti colorati, s'intende, salvo il tubo che emergeva al centro esatto dello schienale. Quello era nero come la mezzanotte e immobile come la morte.
«Ehi!» gridò Susannah dalla sua sedia a rotelle. «C'è nessuno?»
Al suono della sua voce i colori dei tubi si accesero di una luce così intensa che Jake dovette schermarsi gli occhi. Per un momento tutta la sala del trono riverberò come un arcobaleno che esplode. Poi i tubi si spensero, si oscurarono, morirono, proprio come era accaduto alla sfera del Mago nella storia di Roland quando aveva deciso (o la sfera stessa o la forza che l'abitava) di interrompere per un po' le comunicazioni. Rimase solo una colonna di tenebra nel costante pulsare verde del trono vuoto.
Poi prese a gemere nelle loro orecchie un ronzio stanco, quasi il lamento di un antico servomeccanismo chiamato a entrare in funzione per un'ultima volta. Nei braccioli del trono si aprirono due pannelli, lunghi ciascuno due metri e larghi mezzo. Dalle nere aperture cominciò a filtrare un fumo rosato. Alzandosi nell'aria assumeva un colore più intenso, virando sempre più al rosso. E in esso apparve una linea zigzagante terribilmente familiare. Jake capì di che cosa si trattava (Lud Candleton Rilea le Cascate dei Cani Dasherville Topeka) prima ancora che apparissero le prime parole nella forma di fumo brillante.
Era il grafico di Blaine.
Roland poteva dire quello che voleva, ma Jake concluse a quel punto che non era cambiato un bel niente, che la sua sensazione di essere stato intrappolato in un incubo (è il peggior incubo della mia vita, ed è questa la verità) non era affatto un'illusione creata dalla sua mente confusa e dal suo cuore spaventato. L'ambiente poteva anche far pensare un po' alla sala del trono di Oz il Grande e Terribile, ma quello era Blaine il Mono. Erano di nuovo a bordo della monorotaia e presto sarebbe ricominciata la gara di indovinelli.
Sentì che stava per urlare.
La donna uscì dalla costola dell’uomo, non dai piedi per essere calpestata, non dalla testa per essere superiore ma dal lato, per essere uguale, sotto il braccio per essere protetta, accanto al cuore per essere amata. (William Shakespeare).
Voto ROLAND !
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Venghino signori, venghino a votare il Pistolero di Gilead!
Voto Roland !
Voto Paperone!!!
Lo ziastro tutta la vita: Paperone.
Voto ROLAND DESCHAIN
Passi di: Stephen King. “La torre Nera 4 - La Sfera Del Buio”.
Eddie riconobbe la voce che rimbombò dal fumoso grafico del percorso che si era formato sopra il trono verde, ma non pensò che fosse né Blaine il Mono, né il Mago di Oz. Un mago, forse, ma quella non era la Città di Smeraldo e Blaine era più morto di una ca**a di cane. Eddie l'aveva spedito a casa con una frattura del ca**o.
«SALUTE DI NUOVO A VOI, PICCOLI ESPLORATORI!»
Il grafico pulsò, ma Eddie non lo associò più alla voce, rifiutandosi di cedere a una tentazione sapientemente stimolata. No, la voce veniva dalle canne.
Guardò Jake, vide la sua faccia che sembrava uno straccio, e si chinò accanto a lui. «Sono balle, figliolo», gli disse.
«N-no... è Blaine... non è morto...»
«È morto, credimi. Questa è solo una versione amplificata degli annunci scolastici alla fine delle lezioni... chi deve rimanere a scuola per punizione e chi deve presentarsi in Aula 6 per la terapia dei disturbi di dizione. Capito?»
«Che cosa?» Jake lo guardava incredulo, con le labbra umide e tremanti.
«Che cosa...»
«Quelle canne sono altoparlanti. Anche il pigolio di un pulcino rimbomba da un impianto dolby a dodici casse; non ricordi il film? Deve fare la voce grossa perché è un blabla, Jake. Solo un blabla.»
«CHE COSA GLI STAI RACCONTANDO, EDDIE DI NEW YORK? UNA DELLE TUE STUPIDE BARZELLETTE PIENE DI VOLGARITÀ? O UNO DEI TUOI INDOVINELLI CHE SONO TRANELLI?»
«Già», confermò Eddie. «Quella che fa così: 'Quanti computer dipolari ci vogliono per avvitare una lampadina?' Chi sei, amico? So benissimo che non sei Blaine il Mono, dunque chi sei invece?»
«IO... SONO... OZ!» tuonò la voce. I pilastri di vetro sprigionarono un lampo. Lo stesso fecero le canne dietro il trono. «OZ IL GRANDE! OZ IL POTENTE! VOI CHI SIETE?»
Susannah spinse la sua carrozzella alla base della scalinata verde che saliva al trono e che avrebbe sminuito persino Lord Perth.
«Io sono Susannah Dean, piccola e invalida», si presentò. «Mi hanno insegnato a essere educata, ma non a subire str***ate. Se siamo qui è perché siamo stati chiamati qui. Altrimenti perché avremmo trovato le scarpe?»
«CHE COSA VUOI DA ME, SUSANNAH? CHE COSA CERCHI, PICCOLA COWGIRL?»
«Lo sa», rispose lei. «Vogliamo quello che vogliono tutti, a quel che mi risulta, cioè tornare a casa, perché non c'è nessun altro posto come casa propria. Noi...»
«Non si può tornare a casa», intervenne Jake. Parlava in un sussurro concitato dallo spavento. «Non si può tornare a casa, l'ha detto Thomas Wolfe ed è la verità.»
«È una bugia, zuccherino», lo apostrofò Susannah. «Una bugia spudora-ta. Si può tornare a casa. Bisogna solo trovare l'arcobaleno giusto e passar-ci sotto. Noi l'abbiamo trovato. Ora resta solo da camminare.»
«VUOI TORNARE A NEW YORK, SUSANNAH DEAN? E TU, EDDIE DEAN? E TU, JAKE CHAMBERS? È QUESTO CHE CHIEDETE A OZ, IL GRANDE E POTENTE?»
«New York non è più casa nostra», replicò Susannah. Era tanto minuscola quanto impavida, seduta sulla sua carrozzella nuova ai piedi del gigantesco trono pulsante. «Come Gilead non è più la casa di Roland. Ripor-taci al Sentiero del Vettore. È lì che vogliamo andare, perché quella è la nostra via di casa. L'unica via di casa che abbiamo.»
«ANDATEVENE!» proruppe la voce dalle canne. «ANDATEVENE E TORNATE DOMANI! DISCUTEREMO ALLORA DEL VETTORE! SCIOCCHEZZE, DISSE ROSSELLA. PARLEREMO DEL VETTORE DOMANI, PERCHÉ DOMANI È UN ALTRO GIORNO!»
«No», si oppose Eddie. «Ne parliamo ora.»
«NON PROVOCARE LA COLLERA DEL GRANDE E POTENTE OZ!» lo ammonì la voce e a ogni parola le canne mandarono lampi furiosi.
Susannah era sicura che in quel modo intendesse intimorirli, ma trovò quella messinscena abbastanza divertente. Era come assistere alle fatiche di un venditore ambulante che cerca di piazzare il suo giocattolo. Ehi, bambini! Quando parlate, i tubi mandano lampi colorati! Provare per credere!
«Sentimi bene, zuccherino», lo invitò Susannah. «Sei tu che devi stare attento a non provocare la collera di persone armate di pistola. Specialmente considerato che vivi in una casa di vetro.»
«HO DETTO DI TORNARE DOMANI!»
Dalle aperture nei braccioli del trono scaturì altro fumo rosso e ribollente. Ora era più denso. Il rettangolo su cui era disegnato il percorso di Blaine si rimescolò e il fumo si ricompose in una faccia. Era allungata, spigolosa e vigile, incorniciata da lunghi capelli.
È l'uomo che Roland ha ucciso nel deserto, pensò Susannah. È quel Jonas. Ne sono certa.
«AVRESTE LA PRESUNZIONE DI MINACCIARE IL GRANDE OZ?» chiese Oz con un lieve tremito nella voce. Le labbra dell'enorme faccia di fumo sospesa al di sopra del sedile del trono si aprirono in un ringhio di sfida e sdegno.
«CREATURE INGRATE! OH, CREATURE INGRATE!»
Eddie, che non era abituato a lasciarsi incantare da fumo e specchi, si era messo a guardare altrove. A un tratto sgranò gli occhi e afferrò Susannah per un braccio. «Guarda», sibilò. «Cristo, Suze, guarda Oy!»
Il bimbolo non provava alcun interesse per i fantasmi, fossero grafici di reti monorotaia, di Cacciatori della Bara defunti o solo effetti speciali hollywoodiani di prima della seconda guerra mondiale. Aveva visto (o fiutato) qualcosa di più interessante.
Susannah afferrò Jake e lo girò mostrandogli il bimbolo. Vide gli occhi del ragazzo dilatarsi di comprensione un momento prima che Oy raggiungesse la nicchia che si apriva nella parete sinistra. Era protetta dalla navata principale da una tenda dello stesso verde delle mura di vetro. Oy allungò il collo, affondò i denti nella stoffa e tirò.
Però prima di raccontarvi il seguito, come ogni cantastorie errante, mi fermo e faccio il giro tra di voi con il piattino in mano e mi affido al vostro buon cuore per racimolare qualche manciata dei Vostri preziosi voti.
La donna uscì dalla costola dell’uomo, non dai piedi per essere calpestata, non dalla testa per essere superiore ma dal lato, per essere uguale, sotto il braccio per essere protetta, accanto al cuore per essere amata. (William Shakespeare).
Voto Roland
''Omnia fert aetas, animum quoque'' (Virgilio-Bucoliche)
Incredibilmente e inaspettatamente passa la semifinale!
Riconfermo il mio voto al taccagno per eccellenza: Zio Paperone!
"And now at last it comes. You will give me the Ring freely! In place of the Dark Lord you will set up a Queen. And I shall not be dark, but beautiful and terrible as the Morning and the Night! Fair as the Sea and the Sun and the Snow upon the Mountain! Dreadful as the Storm and the Lightning! Stronger than the foundations of the earth. All shall love me and despair!”
She lifted up her hand and from the ring that she wore there issued a great light that illuminated her alone and left all else dark. She stood before Frodo seeming now tall beyond measurement, and beautiful beyond enduring, terrible and worshipful. Then she let her hand fall, and the light faded, and suddenly she laughed again, and lo! she was shrunken: a slender elf-woman, clad in simple white, whose gentle voice was soft and sad.
“I pass the test”, she said. “I will diminish, and go into the West and remain Galadriel.”
***
"A ruler needs a good head and a true heart," she famously told the king. "A cock is not essential. If your Grace truly believes that women lack the wit to rule, plainly you have no further need of me." And thus Queen Alysanne departed King's Landing and flew to Dragonstone on her dragon Silverwing. [...] The queen died of a wasting illness in 100 AC, at the age of four-and-sixty, still insisting that her granddaughter Rhaenys and her children had been unfairly cheated of their rights. "The boy in the belly," the unborn child who had been the subject of so much debate, proved to be a girl when born in 93 AC. Her mother named her Laena. The next year, Rhaenys gave her a brother Laenor.
Childe Roland in finale giunse... Dopo tutta la fatica che ha fatto, non posso non votarlo ;)
Voto ROLAND!
Personalmente ritengo la torre nera una caca*a inaudita, king al suo peggio, il classico esempio di saga sfuggita di mano all'autore, che è riuscito a inserirvi sia uno dei peggiori colpi di scena di sempre
i personaggi incontrano l'autore: ovvero come stuprare, torturare e infine assassinare ogni possibilità di suspension of disbelief
sia sicuramente il più trolloso e irriguardoso finale di sempre (considerato anche il tempo impiegato per arrivarci).
La torre nera (e il fatto che i suoi fan abbiano ingoiato queste e altre camionate di spazzatura lodandone il sapore) probabilmente è ciò che fa dormire sonni tranquilli a Martin. Tanto peggio non si può fare.
Roland, nonostante sia la versione un po' mezza sega di clint eastwood, ha un certo carisma e resta probabilmente l'unica cosa che rende tollerabile il tutto.
Tuttavia non è degno neppure di pulire le ghette al papero più ricco del mondo.
Voto Paperone
Ora che "Il SER" ha fatto il suo show da prima donna con i suoi soliti toni garbati e rispettosi, stiamo tutti più sereni !
Lunghi giorni e piacevoli notti, "SER" ! :)
voto Paperon De' Paperoni
« I met a traveller from an antique land
Who said: Two vast and trunkless legs of stone
Stand in the desert. Near them on the sand,
Half sunk, a shatter'd visage lies, whose frown
And wrinkled lip and sneer of cold command
Tell that its sculptor well those passions read
Which yet survive, stamp'd on these lifeless things,
The hand that mock'd them and the heart that fed.
And on the pedestal these words appear:
"My name is Ozymandias, king of kings:
Look on my works, ye Mighty, and despair!"
Nothing beside remains. Round the decay
Of that colossal wreck, boundless and bare,
The lone and level sands stretch far away. »