Evidentemente tu sei già più "matura" del tuo coetaneo se non nella capacità, almeno nella critica letteraria. Nei casi che hai citato oltre a soffrire del classico "innamoramento per ciò che si è scritto" vi è anche "incapacità di critica nei riguardi di un proprio lavoro" perciò la decisione di procedere ad una pubblicazione senza questi due filtri è dettata dall'immaturità e dall'inconsapevolezza della qualità raggiunta. Perciò, da questo punto di vista, chi pubblica si accorge dei propri limiti solo in base alle critiche ricevute dopo la pubblicazione. Escludo i casi in cui uno è conscio di aver scritto una cosa orrenda ma lo pubblica ugualmente per guadagnarci su. Non credo sia questo il caso. :huh:
premettendo che io NON scrivo, eh :figo: ...al di là di innamoramento o che, io utlimamente non riesco a capire cosa stia prendendo a tanti giovani nei riguardi della pubblicazione: considerando che pubblicare significa appunto diffondere un qualcosa, e questo qualcosa inoltre andrà ad occupare quintali di carta e di scaffali...ma davvero, maturità o no, non riesco a credere che una persona sia così inconsapevole di cosa abbia scritto,soprattutto se ha dovuto anche cercare parecchio e spendere per farsi pubblicare (che nessuno si ricorre alle case editrici a pagamento senza aver prima inviato manoscitti a chiunque altro ci sia).
Magari uno si autoconvince che quello che ha scritto non sia mediocre, ma non basta che un libro sia più che medriocre per essere adatto a pubblicazione.
Visto che da Paolini in poi c'è la moda degli autori giovani mi sembra che tanti dicano: è fattibile, lo fanno in tanti, posso farlo anch'io di pubblicare a vent'anni, anche sapendo di non aver scritto un capolavoro.
Che uno può non capire di aver scritto una cagatella, ma autoconvincersi che sia qualcosa di davvero meritevole ce ne vuole, e non credo ci sia tanta gente così.
Secondo me in troppi guardano in modo superficiale il far pubblicare qualcosa, tutto qui. Della serie che qualsiasi cosa non sia uno schifo (a propri occhi, sempre)sia meritevole di un tentativo di diffusione, quando non è affatto così.
Non tutti fanno come Seetharaman, che ha preso le cose per quello che sono e magari glie le dice anche in faccia
io e un mio amico lo facemmo davvero, a tempi. Ci rimase male.
E non perchè lo avessimo preso in giro, semplicemente gli facemmo notare che non era propio cosa leggerlo per come l'aveva scritto e che magari era meglio se leggeva qualche autore fantasy dalla prosa semplice tipo Martin, e fare qualche confronto con lo stile (orripilante) che aveva utilizzato.
Chi mi conosce sa che sono ipercritica quando si tratta di libri, ma l'altro mio amico che lo lesse è moooooolto più elastico di gusti, e se non piacque per niente nemmeno a lui vuol dire che non erano solo capricci miei. L'autore, se non fosse per problemi di copyright (era "liberamente ispirato a ", diciamo), avrebbe voluto far pubblicare anche quello.
Se mi spedisse gratis (20 euro mica li spendo) questo nuovo libro (anzi inizio di trilogia, ma va?) gli farei anche una recensione da pubblicare online se volesse, ovviamente fatta con sincerità.
Però una mia amica gliel'ha comprato, quindi forse me lo posso far prestare da lei, ma a meno che non me lo chiedesse lui esplicitamente la recensione pubblica non mi azzardo a farla, non voglio ritrovarmi un bufalo inferocito alle calcagna, che non ne vale la pena.
Non sarà mica Le Chiavi del Fato, per caso? :figo:
mai sentito sto libro, che sarebbe :huh: ?
Niente, corrispondeva alla tua descrizione. Anche questo pubblicato a pagamento dall'autore.
Nei casi che hai citato oltre a soffrire del classico "innamoramento per ciò che si è scritto" vi è anche "incapacità di critica nei riguardi di un proprio lavoro" perciò la decisione di procedere ad una pubblicazione senza questi due filtri è dettata dall'immaturità e dall'inconsapevolezza della qualità raggiunta. Perciò, da questo punto di vista, chi pubblica si accorge dei propri limiti solo in base alle critiche ricevute dopo la pubblicazione. Escludo i casi in cui uno è conscio di aver scritto una cosa orrenda ma lo pubblica ugualmente per guadagnarci su. Non credo sia questo il caso. ^_^
Mah, le critiche negative sono ricevute anche ben prima della pubblicazione - e sono ignorate...
Inoltre, se l'autore non è in grado da solo di capire che la sua è una schifezza, se non ha capacità autocritiche, ecc., come fa a essere "arte"?
Niente, corrispondeva alla tua descrizione. Anche questo pubblicato a pagamento dall'autore.
immagino che tra il mare delle roba pubblicata a pagamento ci siano colline e colline di obbrobri, soprattutto visto che non esiste proprio editing lì :figo:
comunque m'informo su questo "chiavi del fato", mi hai messo curiosità, anche se solo il titolo lo trovo un calcio negli stinchi :huh: .
Ne approfitto e rispondo anche a Tyrion. :huh:
...al di là di innamoramento o che, io utlimamente non riesco a capire cosa stia prendendo a tanti giovani nei riguardi della pubblicazione: considerando che pubblicare significa appunto diffondere un qualcosa, e questo qualcosa inoltre andrà ad occupare quintali di carta e di scaffali...ma davvero, maturità o no, non riesco a credere che una persona sia così inconsapevole di cosa abbia scritto,soprattutto se ha dovuto anche cercare parecchio e spendere per farsi pubblicare (che nessuno si ricorre alle case editrici a pagamento senza aver prima inviato manoscitti a chiunque altro ci sia).
Magari uno si autoconvince che quello che ha scritto non sia mediocre, ma non basta che un libro sia più che medriocre per essere adatto a pubblicazione.
Visto che da Paolini in poi c'è la moda degli autori giovani mi sembra che tanti dicano: è fattibile, lo fanno in tanti, posso farlo anch'io di pubblicare a vent'anni, anche sapendo di non aver scritto un capolavoro.
Che uno può non capire di aver scritto una cagatella, ma autoconvincersi che sia qualcosa di davvero meritevole ce ne vuole, e non credo ci sia tanta gente così.
Ma allora questo ricade nel caso in cui uno pubblica per guadagnarci, o come diceva Iskall per fare qualcosa di gratificante che esca dalla routine, consapevole dei propri limiti artistici, diciamo così, che è tutta un'altra cosa. Non è quello di cui parlavo io. Che poi io non abbia nulla in contrario nella volontà di capitalizzare un progetto a cui si è lavorato per anni trascurando altre cose è un altro discorso. Ma non è quello di cui parlavamo. In questo caso si parla di "prodotto".
Secondo me in troppi guardano in modo superficiale il far pubblicare qualcosa, tutto qui. Della serie che qualsiasi cosa non sia uno schifo (a propri occhi, sempre)sia meritevole di un tentativo di diffusione, quando non è affatto così.
Su questo sono d'accordissimo con te e con quanto diceva Iskall prima, nel modo in cui alcuni si accostano alla pubblicazione di un libro. Specialmente nel fantasy molti ritengono sia facile scrivere anche non avendone le doti e ci provano lo stesso. Però questo dipende dal fatto che "credono davvero" di poter fare meglio di qualche autore che hanno letto. E questa per me è immaturità artistica dovuta ad una scarsa cultura del genere. I giovani autori di cui parlo, cioè quelli che credono davvero di aggiungere qualcosa di nuovo ed originale al genere con le loro opere, scambiano l'arte (come può essere Il SdA tanto per dirne uno), con i "prodotti commerciali" come quelli della serie Paolini&Co tanto per citare quelli già nominati, che di arte, imho, non hanno niente. Magari le loro idee sarebbero state originali 50 anni fa, ma adesso non aggiungono niente al panorama mondiale perchè sviluppate prima e meglio da altri. Se avessero avuto una conoscenza più approfondita nemmeno ci avrebbero speso tanto tempo su. credo che chi voglia pubblicare solo per essere apprezzato, molte volte sia solo ingenuo e poco acculturato.
Tyrion se non sono stato chiaro, espongo meglio.
Non tutti fanno come Seetharaman, che ha preso le cose per quello che sono e magari glie le dice anche in facciaio e un mio amico lo facemmo davvero, a tempi. Ci rimase male.
E non perchè lo avessimo preso in giro, semplicemente gli facemmo notare che non era propio cosa leggerlo per come l'aveva scritto e che magari era meglio se leggeva qualche autore fantasy dalla prosa semplice tipo Martin, e fare qualche confronto con lo stile (orripilante) che aveva utilizzato.
Chi mi conosce sa che sono ipercritica quando si tratta di libri, ma l'altro mio amico che lo lesse è moooooolto più elastico di gusti, e se non piacque per niente nemmeno a lui vuol dire che non erano solo capricci miei, el'autore, se non fosse tper problemi di copyright (era "liberamente ispirato a ", diciamo), avrebbe voluto far pubblicare anche quello.
Se mi spedisse gratis (20 euro mica li spendo) questo nuovo libro (anzi inizio di trilogia, ma va?) gli farei anche una recensione da pubblicare online se volesse, ovviamente fatta con sincerità.
Però una mia amica gliel'ha comprato, quindi forse me lo posso far prestare da lei, ma a meno che non me lo chiedesse lui esplicitamente la recensione pubblica non mi azzardo a farla, non voglio ritrovarmi un bufalo inferocito alle calcagna, che non ne vale la pena.
Io sono fortunato. Non ho amici che abbiano velleità letterarie al momento e me la scampo dal distruggere i loro sogni. ^_^ Ma credo che se un mio amico mi chiedesse di recensire un suo libro non glielo stroncherei così su due piedi perchè avrei il timore di ottenere l'effetto contrario, una voglia di rivincita o qualcosa del genere che lo porterebbero ad ignorare i miei consigli. Mi metterei e gli segnerei col rosso tutto quanto c'è di dubbio come si faceva coi temi alle scuole superiori, quello si. Della serie se io ti ho trovato millemila errori chissà quanti altri me ne sono dimenticati. :figo:
Visto che lo hai introdotto, faccio una domanda rivolta a tutti: perchè i fantasy devono per forza di cose essere trilogie, o addirittura cicli smisurati? Capisco la necessità di creare un'ambientazione credibile, ma anche questa non è un'omologazione nel genere che ha abituato i lettori ad un certo tipo di storie?
se chiedesse una recensione gli direi prima che cercherei di essere la più oggettiva possibile, e quindi di assumersi il rischio di ciò, ovviamente. Per questo eviterò di fare qualsiasi cosa di mia iniziativa, non sopporterei che si mettessero di mezzo questioni personali.
Visto che lo hai introdotto, faccio una domanda rivolta a tutti: perchè i fantasy devono per forza di cose essere trilogie, o addirittura cicli smisurati? Capisco la necessità di creare un'ambientazione credibile, ma anche questa non è un'omologazione nel genere che ha abituato i lettori ad un certo tipo di storie?
io delle trilogie ne ho le palle piene (anche se teoricamente nemmeno ce le ho, consentitemi la licenza poetica e scusate la volgarità).
Quando progetto una recensione è uno degli aspetti che metto sempre in conto, anche se non sempre è colpa degli autori.
Comunque il problema di erogon&soci non è solo la banalità. Sono scritti male.
edit:mi rendo conto che il post così è un po' scarno, provvedo a sitemare :huh:
perdonate il disagio :figo:
La questione delle trilogie inutile la vedo comel'ennesima prova che il fantasy non è un genere ancora cresciuto: non è maturo l'aproccio di molti autori, di molti lettori, delle case editrici. Persino i "gialletti" e i romanzetti rosa hanno raggiunto una situazione di maggiore maturità.
In fantasy è imbolsito su se stesso, gli autori ci godono a scrivere saghe inutilmente lunghe, le case editrici ne approfittano per spezzare anche l'inspezzabile, e i lettori non protestano. Manca la professionalità da parte di tutti i giocatori.
I giovani autori di cui parlo, cioè quelli che credono davvero di aggiungere qualcosa di nuovo ed originale al genere con le loro opere, scambiano l'arte (come può essere Il SdA tanto per dirne uno), con i "prodotti commerciali" come quelli della serie Paolini&Co tanto per citare quelli già nominati, che di arte, imho, non hanno niente. Magari le loro idee sarebbero state originali 50 anni fa, ma adesso non aggiungono niente al panorama mondiale perchè sviluppate prima e meglio da altri. Se avessero avuto una conoscenza più approfondita nemmeno ci avrebbero speso tanto tempo su. credo che chi voglia pubblicare solo per essere apprezzato, molte volte sia solo ingenuo e poco acculturato.
Tyrion se non sono stato chiaro, espongo meglio.
No, no, hai esposto benissimo: ma in fondo questo è proprio quello che volevo dire io, cioè questo scambiare l'arte con i "prodotti commerciali" (Paolini&Co). È questo che mi sembra triste, oggi, soprattutto nel genere fantasy.
Visto che lo hai introdotto, faccio una domanda rivolta a tutti: perchè i fantasy devono per forza di cose essere trilogie, o addirittura cicli smisurati? Capisco la necessità di creare un'ambientazione credibile, ma anche questa non è un'omologazione nel genere che ha abituato i lettori ad un certo tipo di storie?
Mah, credo proprio che la questione centrale sia proprio quella dell'ambientazione, che è in principio più complessa perché si tratta di costruire un mondo nuovo, con una sua storia, popolazioni, leggi fisiche+magia, ecc. Nel fantasy non è solo la trama cui occorre pensare... So che la Troisi aveva spedito alla Mondadori un unico romanzo, ma era un pacco di millecinquecento pagine, o giù di lí. Lo hanno separato in tre parti, facendone una trilogia, ma mi sembra una decisione abbastanza motivata, almeno in questo caso (non sicuramente nel caso delle Cronache di Martin, la cui struttura a PdV rende questa operazione totalmente dannosa).
Mah, credo proprio che la questione centrale sia proprio quella dell'ambientazione, che è in principio più complessa perché si tratta di costruire un mondo nuovo, con una sua storia, popolazioni, leggi fisiche+magia, ecc. Nel fantasy non è solo la trama cui occorre pensare...
fin qui è una buona giustificazione, ma mi pare che tropo spesso venga meno. Un sacco di fantasy in fondo hanno sempre la stessa ambientazione, o almeno buona parte. Diventa tedioso leggere ogni volta la stessa descrizione di elfi e nani, vita di villaggio, etc. Mi sta benissimo quando effettivamente si ha qualcosa da raccontare, ma per molti sembra semplicemente che "sto scrivendo un fantasy, scrivo tre libri. Quattro se mi servono soldi".
So che la Troisi aveva spedito alla Mondadori un unico romanzo, ma era un pacco di millecinquecento pagine, o giù di lí. Lo hanno separato in tre parti, facendone una trilogia, ma mi sembra una decisione abbastanza motivata, almeno in questo caso (non sicuramente nel caso delle Cronache di Martin, la cui struttura a PdV rende questa operazione totalmente dannosa).
al massimo quello della troisi sarebbe stato da spezzare in due, non in tre. Il primo non è certo lungo e soprattutto la vicenda s'interrompe in modo troppo brusco, quando ancora non è praticamente successo nulla di nulla. Quando chiudi quell ibro ti viene proprio da tirare un bel "ma vaffancola!": non solo trama banale, personaggi odiosi e scritto coi piedi, non arrivi nemmeno a una qualche svolta che il primo finisce :unsure:.
Comunque in giro si trovano mattoni belli grossi (ho la mezza idea di accattarmi Infinite jest), non capisco perchè solo nel fantasy gli editori e gli autori stessi abbiano così la falce facile.
faccio una domanda rivolta a tutti: perchè i fantasy devono per forza di cose essere trilogie, o addirittura cicli smisurati?
Trattandosi di schifezze, finito un libro lo si mette a tener su un tavolo che balla e ci si dimentica dell'autore. Con una trilogia ce n'è invece un altro da comperare, e poi un altro. Ho detto comperare, non leggere. Il Piccolo Principe non arriva a nemmeno la metà del primo volume di quelle saghe, eppure lascia un'impressione fortissima. Se il primo della Troisi fosse stato autoconclusivo, oggi sarebbe sparita nel nulla. Pubblicare un libro è purtroppo un'operazione di marketing, e se la qualità è bassa non "si vende da solo". Per cui va venduto, e lasciare il lettore a chiedersi come va a finire è uno dei modi più efficaci. Riproporre l'autore più volte, con il pretesto del seguito, lo fa ricordare e lo fa sembrare Qualcuno.
Inoltre in caso di tomi troppo grossi si teme di spaventare il lettore, perchè per il fantasy il lettore-tipo è visto come una persona di cultura medio-bassa e con capacità di concentrazione limitata. Gli si propone qualcosa che potrebbe leggere sotto l'ombrellone, con la radio del vicino accesa e i bambini che giocano a pallone intorno. Mentre un lettore di buon livello non si spaventa di fronte a Guera e Pace (semmai si arma di pazienza e tempo libero), un "lettore stereotipato" fantasy rinuncia all'acquisto se il libro "è tanto da leggere". Naturalmente è un circolo vizioso e non aiuta a risollevare l'immagine del genere fantasy.
Infine, gli aspiranti scrittori che scrivono trilogie per partito preso di solito si rifanno a Tolkien e alla propria ignoranza: non sanno che il Signore degli Anelli è stato diviso in tre parti per la penuria di carta del dopoguerra, e pensano che la trilogia in sè, che ricalca vagamente l'idea di "inizio-sviluppo-fine", abbia un significato letterario.
fin qui è una buona giustificazione, ma mi pare che tropo spesso venga meno. Un sacco di fantasy in fondo hanno sempre la stessa ambientazione, o almeno buona parte. Diventa tedioso leggere ogni volta la stessa descrizione di elfi e nani, vita di villaggio, etc.
Ben detto: il fantasy è ormai un genere stabilito, quindi l'ambientazione può spesso essere data grosso modo per scontata.
Sono anche d'accordo con quello che ha detto Iskall. :unsure:
fin qui è una buona giustificazione, ma mi pare che tropo spesso venga meno. Un sacco di fantasy in fondo hanno sempre la stessa ambientazione, o almeno buona parte. Diventa tedioso leggere ogni volta la stessa descrizione di elfi e nani, vita di villaggio, etc.
Ben detto: il fantasy è ormai un genere stabilito, quindi l'ambientazione può spesso essere data grosso modo per scontata.
Sono anche d'accordo con quello che ha detto Iskall. ^_^
concordo con Iskall anch'io (e aggiugno che un po' di sano acido ci vuole ogni tanto, thanks :unsure:).
Comunque parlando di ambientazione scontata, a me dispiace moltissimo che troppi autori impastino le mani nella pappa pronta del mondo pseudotolkeniano. Il fantasy ha dimostrato che volendo si possono produrre davvero otttime cose, e un sacco di gente ancora si autotarpa le ali con la storia dei nanetti e delle razze auliche, con la pazienza del lettore serio che diminuisce sempre più.
Considerando poi che il fantasy rispetto ad altri genere come fantascienza o thriller tende più alla narrazione in sè, un'ambientazione poco curata o banale è una tara pesantissima.
per questo sostengo che il fantasy le poca considerazone in un certo senso se la merita eccome, troppo pochi fanno un buon lavoro, per di più oggi il modo di "promuovere" i nuovi autori è scadutissimo.
Sarebbe bello se ci fosse un qualche "network" che consentisse la segnalazione e la libera lettura di autori esordienti, invece che dover dipendere dalle scelte puramente commerciali delle case editrici o sui rischiosi autoprodotti.
Non si può pretendere che la gente acquisti libri di autori sconosciuti dai 15 euro in su a scatola chiusa di un genere così malridotto.
fin qui è una buona giustificazione, ma mi pare che tropo spesso venga meno. Un sacco di fantasy in fondo hanno sempre la stessa ambientazione, o almeno buona parte. Diventa tedioso leggere ogni volta la stessa descrizione di elfi e nani, vita di villaggio, etc.
Ben detto: il fantasy è ormai un genere stabilito, quindi l'ambientazione può spesso essere data grosso modo per scontata.
Sono anche d'accordo con quello che ha detto Iskall. ^_^
concordo con Iskall anch'io (e aggiugno che un po' di sano acido ci vuole ogni tanto, thanks :unsure:).
Comunque parlando di ambientazione scontata, a me dispiace moltissimo che troppi autori impastino le mani nella pappa pronta del mondo pseudotolkeniano. Il fantasy ha dimostrato che volendo si possono produrre davvero otttime cose, e un sacco di gente ancora si autotarpa le ali con la storia dei nanetti e delle razze auliche, con la pazienza del lettore serio che diminuisce sempre più.
Considerando poi che il fantasy rispetto ad altri genere come fantascienza o thriller tende più alla narrazione in sè, un'ambientazione poco curata o banale è una tara pesantissima.
E' questo a cui volevo arrivare. Che senso ha scrivere 200 pagine in più per spiegare dettagliatamente un'ambientazione fantasy in stile tolkeniano quando potrebbe essere data per scontata?
Diverso è il discorso della creazione di un'ambientazione che si discosta dalle logiche più comuni e che deve essere codificata dai lettori. Perciò in quel caso potrebbe (non dico dovrebbe) essere necessario.
Sulla questione divisione libri, invece, quoto l'intervento di Iskall nella parte dedicata alle politiche editoriali.
Ovviamente ognuno tira acqua al proprio mulino. Gli editori non sono degli idioti, lo sappiamo.
Però, sempre per riprendere un nome già citato, se la troisi presenta un malloppo da 1500 pagine sa già che sarà diviso in due se non in tre parti. Quindi dire "lo aveva presentato come singolo libro, ma glielo hanno diviso" non è significativo, imho. Quindi, secondo voi, è così difficile scrivere un buon fantasy autoconclusivo di 500-600 pagine max, oppure è proprio l'impostazione culturale ormai accettata che un fantasy debba svilupparsi secondo un'idea di serialità?
La seconda che hai detto.
Il fantasy,di per se stesso,ha sempre teso ad essere bello "corposo" come genere. Le trilogie abbondano da sempre nel genere,fin dai tempi di Tolkien.Anche prima però,vediamo che un R.E.Howard scrisse diversi racconti del suo Conan,che poi finirono a comporre quel grande affresco che sono i vari cicli del possente cimmero. Per un genere che suole far risalire le sue radici ad opere come Kalevala,Edda,Odissea, questo non può che essere ovvio.
In se stessa dunque,imho,il fatto di essere divisa in ennemila volumi non è un fatto pregiudizialmente negativo per un'opera fantasy.Il problema è semmai quando la serialità non appare necessaria per dire effettivamente qualcosa in più ma solo per rimescolare la minestra di una storia che potrebbe anche finire prima. Inoltre,oggi vedo in giro poca fantasy "autoconclusiva".Non solo se ne trova poca,ma lo stesso pubblico dei lettori finisce per aspettarsi il ciclo,perchè ormai la trilogia "fa fantasy".
Eppure,il fatto di avere un catalogo di titoli autoconclusivi gioverebbe non poco,imho,ad una casa editrice. Questo perchè le opere in un solo volume non solo comportano una spesa ed un rischio minori per una casa editrice,ma servirebbero ad attirare quella fascia di pubblico potenzialmente interessata al genere ma restia a spendere millemila euro per cicli di minimo 3 libri.Per i lettori esperti invece,un singolo romanzo sarebbe una piacevole lettura (se buono,ovviamente)tra il sesto ed il settimo volume di un ciclo.
Dato che però i soldoni veri si trovano nei cicli (in quei pochi che sfondano,ovviamente),difficilmente si vedranno molte opere autoconclusive.Alcune case editrici sono però impegnate da tempo in questo senso,vedi la Salani o la Delos Books.Vedremo come andranno le cose e se il mercato editoriale sarà pronto per questo.
Il tutto,senza citare il fatto che scrivere un libro di 500 pagine richiede più abilità di quanta non ne serva per scriverne uno di 1500.Del resto,è più facile aggiungere che togliere.
In se stessa dunque,imho,il fatto di essere divisa in ennemila volumi non è un fatto pregiudizialmente negativo per un'opera fantasy.Il problema è semmai quando la serialità non appare necessaria per dire effettivamente qualcosa in più ma solo per rimescolare la minestra di una storia che potrebbe anche finire prima. Inoltre,oggi vedo in giro poca fantasy "autoconclusiva".Non solo se ne trova poca,ma lo stesso pubblico dei lettori finisce per aspettarsi il ciclo,perchè ormai la trilogia "fa fantasy".
La serialità, certo, non è negativa in sè. Però anche autori come lo Zio, che tutti ammiriamo, imho indugiano troppo su questo aspetto, quando gli avvenimenti che narrano gli permetterebbero, imho, di scrivere almeno un terzo in meno di quanto fanno. Però certo il risutato che hanno ottenuto è così notevole che questo peccato glielo perdoniamo. :unsure:
Eppure,il fatto di avere un catalogo di titoli autoconclusivi gioverebbe non poco,imho,ad una casa editrice. Questo perchè le opere in un solo volume non solo comportano una spesa ed un rischio minori per una casa editrice,ma servirebbero ad attirare quella fascia di pubblico potenzialmente interessata al genere ma restia a spendere millemila euro per cicli di minimo 3 libri.Per i lettori esperti invece,un singolo romanzo sarebbe una piacevole lettura (se buono,ovviamente)tra il sesto ed il settimo volume di un ciclo.
Dato che però i soldoni veri si trovano nei cicli (in quei pochi che sfondano,ovviamente),difficilmente si vedranno molte opere autoconclusive.Alcune case editrici sono però impegnate da tempo in questo senso,vedi la Salani o la Delos Books.Vedremo come andranno le cose e se il mercato editoriale sarà pronto per questo.
Il tutto,senza citare il fatto che scrivere un libro di 500 pagine richiede più abilità di quanta non ne serva per scriverne uno di 1500.Del resto,è più facile aggiungere che togliere.
E questo rientra nell'immaturità del genere e dei suoi attori, editori scrittori lettori, che battono ancora i sentieri tracciati dai grandi del secolo scorso. Non sapevo che la Salani e la Delos stessero attuando questa politica editoriale. Speriamo.
E poi si, è più facile aggiungere che togliere, ma anche questa è immaturità artistica o è una trasformazione anche "storica" della letteratura? Se prendiamo i thriller più belli degli ultimi 10-15 anni, anche in quel genere vedo un aumento medio della lunghezza dei libri. Niente a che fare con le 250-300 pagine medie dei libri di Agatha Christie tanto per dirne una. Possibile che la nostra generazione abbia bisogno di un approfondimento psicologico dei personaggi maggiore di quanto succedeva in passato o che sia in moto da qualche anno a questa parte un processo d'imbarbarimeto tale che la letteratura non riesce ad esplicare al massimo la sua funzione in un centinaio di pagine ma deve sempre superare un tot?
E poi si, è più facile aggiungere che togliere, ma anche questa è immaturità artistica o è una trasformazione anche "storica" della letteratura? Se prendiamo i thriller più belli degli ultimi 10-15 anni, anche in quel genere vedo un aumento medio della lunghezza dei libri. Niente a che fare con le 250-300 pagine medie dei libri di Agatha Christie tanto per dirne una. Possibile che la nostra generazione abbia bisogno di un approfondimento psicologico dei personaggi maggiore di quanto succedeva in passato o che sia in moto da qualche anno a questa parte un processo d'imbarbarimeto tale che la letteratura non riesce ad esplicare al massimo la sua funzione in un centinaio di pagine ma deve sempre superare un tot?
la Christie non scriveva thriller ma gialli, e poi si affidava sempre agli stessi detective, che il lettore impara a conoscere per bene con più di un libro. In un thriller spesso è importante anche l'investigatore, o lil contersto in cui si muove, e spesso l'indagine è più lunga di quella di un giallo alla agatha....Comunque non sono necessarie mille mila pagine per presentarti dei personaggi, anche perchè in molti dei "mattoni" odierni non è che ci sia chissà quale introspezione o che,semplicemente troppi allungano il brodo inutilmente. Rimanendo in tema fantasy, capisco che un Martin impieghi mille mila pagine per narrare mille mila inthrighi. Ma in eragon&soci a che serve sprecare righe a descrivere gli elfi, o delle montagne, o un villaggio che ricalcano pari pari gli schemi mentali che chiunque ha in ormai inculcati in mente?
Io i libri autoconclusivi li adoro, e li consiglierei proprio agli esordienti. Molto più comodo peril lettore farsi un idea e molto più comodo perl'autore piazzare il proprio mattoncino. Anche perchè in questo modo la spesa sarebbe anche minore, e il pubblico meno scoraggiato all'acquisto rischioso. E poi se un libro è brutto meglio che duri poco, così il lettore si fa meno sangue amaro e ne parla meno peggio.
cresci, fantasy, cresci per favore :unsure: ...
Io i libri autoconclusivi li adoro, e li consiglierei proprio agli esordienti. Molto più comodo peril lettore farsi un idea e molto più comodo perl'autore piazzare il proprio mattoncino. Anche perchè in questo modo la spesa sarebbe anche minore, e il pubblico meno scoraggiato all'acquisto rischioso. E poi se un libro è brutto meglio che duri poco, così il lettore si fa meno sangue amaro e ne parla meno peggio.
cresci, fantasy, cresci per favore :unsure: ...
Vero.Un libro autoconclusivo è ottimo per presentarsi ai lettori,per farsi conoscere,in vista magari di futuri cicli.Così,come dici tu,il lettore si fa un'idea dello scrittore e magari sarà più propenso all'acquisto del malloppone successivo.
Il tutto senza dimenticare che la distinzione principale non è quella tra cicli e libri singoli,ma tra libri belli e libri brutti.Ci sono libri autoconclusivi che sono dei capolavori (pensiamo a "La storia infinita" di Ende o "American gods" di Neil Gaiman),ma anche veri e propri rifiuti da buttare nella spazzatura (alcuni libri della serie Forgotten Realms dell'Armenia,tanto per fare un esempio a caso...).