mi piacciono sia i R.E.M. che Fabrizio De Andrè, ma preferisco i R.E.M..
='(
(sia per le belle parole che per il risultato)
R.E.M.
Fabrizio De Andrè
De andre
Eh...mi piacciono entrambi...ma voto De Andrè
Fondatrice dei Comitati
J.W.F.D. Jonny Wilkinson Fammi un Drop - M.N.Ü.A. Manuel Neuer Über Alles - M.B.F.C. Michael Ballack Fan Club
Membro del Comitato P.J.L. Comitato Pro Jaime Lannister - Membro del Comitato G.M.S.S. Giù le mani da Sansa Stark, per la difesa della giovane lupa (gemellato con G.M.A.S. Giù le mani da Arya Stark) - Membro del Comitato W.F.D.M. Walder Frey deve morire (possibilmente nel crollo delle sue torri) - Membro del Comitato GATTARYS! Comitato Gatti Uniti per Ser Balzo sul Trono di Spade - Membro del Comitato M.L.C.V.I.R.D. Ma con La Carne ci Vuole Il Rosso di Dorne - Membro del T.B.D.F. Team Baciate dal Fuoco - Membro del Comitato F.F.C. Folletto Fan Club
Never forget what you are. The rest of the world will not. Wear it like armor, and it can never be used to hurt you.
Voto ora perché non so se e quando riuscirò a farlo in seguito.....
I REM sono uno di quei gruppi di cui non posso certo definirmi fan; non ho mai comprato un loro album, ma per varie circostanza hanno sempre incrociato, bene o male, la mia "strada musicale". Li reputo degli artisti con la A maiuscola; di quelli che avevano (dato che ormai si sono sciolti) qualcosa da dire e lo facevano a modo loro.
Posto qui il video di "Shiny Happy People", allegra e coinvolgente canzone, contenuta nell'album "Out of Time" dell'inzio degli anni '90 e che vede la collaborazione della cantante dei B52.
http://www.youtube.com/watch?v=iCQ0vDAbF7s
Quindi, il mio voto va ai REM
Vendo il mio voto!
voto REM dalla spagna
essendo in vacanza noon possiamo fare campagna ma invito tutti quelli che hanno fatto passare i rem a rivotarli
un saluto a tutti
ciaoooooooooooooooooooooooooooo
R.E.M. ad oltranza!
Prova.
Anno Domini 1984, e dopo dieci album in studio il cantautore genovese Fabrizio De André pubblica - in collaborazione con Mauro Pagani - Creuza De Mä, uno degli album musicalmente più importanti e influenti della scena musicale italiana. Uno dei pochi album ad essere in grado, con la propria sola esistenza, a definire un "prima" e un "dopo" nella musica.Creuza De Mä, in realtà, non è altro che la logica prosecuzione delle esperienze artistiche e musicali di De André: ogni scelta compositiva e stilistica è razionalmente e logicamente spiegabile sia attraverso la maturazione personale dell'artista, sia attraverso l'influsso della musica del periodo. Eppure il punto di arrivo di questo percorso spalanca le porte a qualcosa di completamente nuovo, come se il mettere insieme tutti quegli elementi maturati nel corso degli anni non fosse solo la summa di un'esperienza musicale, ma l'inizio di un percorso del tutto nuovo.Le affinità sono soprattutto tematiche: Fabrizio De André non abbandona il suo mondo, gli ultimi, gli sconfitti, anche se qui il concetto prende una valenza più ampia e si estende a tutto il popolino, che vive e affronta le proprie miserie quotidiane di volta in volta con coraggio, viltà, onore o ipocrisia. De André non incensa gli ultimi, non li dipinge necessariamente come figure positive, ma si limita a ricordare ad un mondo spesso troppo sordo della loro semplice esistenza, nel bene e nel male.Molte canzoni di questo album paiono essere prosecuzioni - si badi bene, non copie, ma vere e proprie evoluzioni - di opere passate, e questo filo conduttore è particolarmente vero nel passaggio tra Via del Campo - La canzone di Marinella - Jamin-a, dove il cantautore genovese riprende a distanza di anni il mondo delle prostitute. Ma anche se il tema è il medesimo, i contenuti saranno diversi, in maniera dirompente.Le principali differenze sono invece soprattutto musicali. De André abbandona la forma-canzone propria delle origini, mutuata spesso dalle opere di Brassens e Cohen, e - con un percorso simile a quello affrontato da Dylan - arricchisce le sue opere di complessità compositiva e strumentale.Questo secondo aspetto è radicalmente vero in Creuza De Mä, dove De André utilizza una miriade di strumenti della tradizione musicale italiana, balcanica, medioorientale e nordafricana. Musicalmente e letterariamente, l'album può essere definito world music pan-mediterranea, o per meglio dire world music ante-litteram, perché Graceland di Paul Simon non sarebbe uscito che due anni dopo e Passion di Peter Gabriel addirittura quattro.Non si ha qui la presunzione di affermare che De André abbia inventato un genere musicale, ma è tuttavia evidente che Creuza De Mä sia a tutti gli effetti la pietra miliare della world music italiana.L'album, come è noto, è interamente cantato in dialetto genovese. La scelta, in realtà, è maturata molto tardi nei lavori di preparazione del disco: la prima opzione era addirittura ancora più radicale, che voleva Creuza De Mä cantato in una sorta di linguaggio puramente inventato derivante dall'arabo - e qui si vede un inedito De André in versione sperimentale.Mi sia concesso di affermare che la scelta del genovese - per altro un genovese già desueto e quasi aulico ai tempi in cui Faber scriveva le sue canzoni - sia stata alla fine la decisione migliore, tanto dal punto di vista sonoro quanto da quello simbolico.In primo luogo il genovese si presta moltissimo alla forma-canzone, con la sua ricchezza di parole tronche che aiuta la strutturazione in versi, la legatura tra le parole che aiuta il cantato e soprattutto la caratteristica cadenza della frase, di per sé già molto musicale.A questo si aggiunga il fatto che Genova è un porto di mare, e che i genovesi, con i loro traffici commerciali per tutto il mediterraneo, hanno nei secoli assorbito nel proprio dialetto parole di ogni dove, dalle coste del Mar Nero a quelle del Marocco.Infine, la scelta del dialetto risponde anche alla continua ricerca da parte di De André di strumenti per l'interpretazione del linguaggio degli ultimi. Contrariamente a canzoni passate, in cui Faber funge da voce narrante (si pensi a La città vecchia o La canzone di Marinella), qui il popolino canta in prima persona. Serviva quindi una lingua bassa e popolare, ma l'italiano basso e popolare, per ragioni storiche, viene troppo facilmente associato al genere comico. Il dialetto consentiva di risolvere in maniera brillante questa impasse.Il genovese, da dialetto cittadino, diventa per estensione un linguaggio universale, in cui persino gli aspetti più peculiari del capoluogo ligure diventano metafore: la madre palestinese di Sidun sono tutte le madri del mondo che perdono un figlio, le prostitute di A dumenega sono le prostitute di qualsiasi altra città, i pescatori di Creuza De Mä non sono certo vincolati alla Liguria.Il genovese diventa così il filo conduttore di storie diverse tra loro, narrate con strumenti diversi tra loro, ciascuno riferito ad un'area geografica ben precisa ma - grazie alla tecnica compositiva di De André e Pagani - tutti uniti in un'unico coro di cui il Mediterraneo diventa così indirettamente protagonista.Il canto, quando parte, pare quasi un'estensione della musica, la magia del dialetto genovese fa sembrare quasi la voce di De André uno strumento musicale perfettamente inserito nell'orchestra, dando quindi a ciascuna "voce", umana o strumentale, pari dignità nello sforzo di comprensione dell'album. Questo è particolarmente vero per chi non conosce il dialetto, e quindi è costretto a farsi guidare dalla pura e semplice musicalità della parole piuttosto che dal loro significato. Qui De André supera uno dei suoi maestri, Bob Dylan, che questo esperimento lo aveva solo accennato in canzoni come Sad Eyed Lady Of The Lowlands.D'altro canto, ad un secondo o terzo ascolto, emerge il desiderio di afferrare anche l'aspetto narrativo dell'opera, per scoprire che Fabrizio, come sempre, sa essere un cantore di squisita acutezza e sensibililtà.L'album si apre con i suoni del mercato di Piazza Cavour di Genova che inaugurano la title-track Creuza De Mä, su cui si innesta niente meno che un tema di gaida, strumento in uso tra i pastori della Tracia tra l'altro piuttosto simile alle launeddas che utilizzano i loro omologhi della Sardegna.Il secondo attacco è del basso, che detta il ritmo della canzone, un ritmo direttamente riconducibile alla tradizione partenopea della tammurriata, sia pure in una versione particolarmente lenta.Le peculiarità strumentali vengono completate dall'utilizzo del bouzouki, di forte sapore greco, come intermezzo tra le strofe.La title track è più che altro un affresco descrittivo, una canzone fatta di sensazioni, e narra del ritorno a casa dei marinai, condannati come Ulisse ad un viaggio senza fine nella sua estenuante quotidianità. Marinai diffidenti verso la terra, verso un mondo che cambia così in fretta per loro, costretti a viaggi di mesi e mesi nell'immutabilità delle loro barche e del mare che li circonda.
E 'nt'a cä de pria chi ghe saiàint'à cä du Dria che u nu l'è mainàgente de Lûgan facce da mandilläqui che du luassu preferiscian l'äfigge de famiggia udù de bunche ti peu ammiàle senza u gundun
Diffidenza: gente di Lugano, facce da tagliaborse, che dela spigola preferiscono l'ala, e ragazze di buona famiglia, che sanno di buono e che puoi solo guardarle senza preservativo.Ma i marinai che ritornano sono attesi nelle loro case, da un cibo povero ma evocativo, agognato da chi vive per mesi e mesi lontano da casa:
E a 'ste panse veue cose ghe daiàcose da beive, cose da mangiäfrittûa de pigneu giancu de Purtufinçervelle de bae 'nt'u meximu vinlasagne da fiddià ai quattru tucchipaciûgu in aegruduse de lévre de cuppi
E poi resta il vino, in cui affogare la malinconia in facili battute, ma sempre con la nostralgia di un ennesimo ritorno a casa...La canzone chiude sfumando nuovamente con i suoi del mercato di Genova, mentre iniziano le prime note arabeggianti di Jamin-a.Sono oud (11 corde, manico corto, arabo), bouzouki (8 corde, manico lungo, greco) e lo shanaj (flauto turco) a reggere il tema orientale di questa seconda canzone dell'album, Jamin-a. Non prostituta, ma regina delle prostitute, bella, disponibile e vogliosa oltre immaginazione, sogno di ogni marinaio che sbarca in un porto remoto incarnato in una ragazza forse algerina.E proprio il corpo di questa ragazza è protagonista della canzone, in cui nulla è nascosto, tutto è esplicitato anche in termini forti ma senza una sola traccia di volgarità.
Lengua 'nfeuga Jamin-alua de pelle scûacu'a bucca spalancàmorsciu de carne dûastella neigra ch'a lûxeme veuggiu demuâ'nte l'ûmidu duçede l'amë dû teu arveà
La terza traccia è la pluripremiata Sidun, che racconta del conflitto tra Israele e Palestina.Le note suadenti di Jamin-a vengono spezzate dal rombo di un missile, che riporta violentemente l'ascoltatore alla realtà. Partono le voci di Reagan e Sharon e il suono dei carri armati.La voce di De André parte solo dopo, dopo che la politica e l'esercito sono usciti dalla scena, e narra ciò che viene dopo la violenza, nella voce di una madre che ha perso il proprio bambino sotto i cingoli di un carro armato israeliano; la voce è spezzata, dimessa, quasi avvolta intorno al suono metallico del bouzouki.La canzone colpisce diritta al cuore: una madre che piange il figlio è un dramma che va al di là delle differenze di razza e religione; l'uccisione di un bambino è giustificata solo da coloro che vivono di odio, e considerano il proprio nemico nulla più di una specie differente, da portare all'estinzione.
e i euggi di surdatti chen arraggëcu'a scciûmma a a bucca cacciuéi de bæa scurrï a gente cumme selvaggin-afinch'u sangue sarvaegu nu gh'à smurtau a quée doppu u feru in gua i feri d'ä prixúne 'nte ferie a semensa velenusa d'ä depurtaziúnperché de nostru da a cianûa a u meünu peua ciû cresce aerbu ni spica ni figgeü
La canzone si chiude in un crescendo epico di vocalizzi corali maschili, che con un salto geografico salta dalla Palestina a quella Sardegna così cara a De André.La storia - vera o leggendaria - del nocchiero del XV secolo Çigä è la protagonista della quarta traccia, Sinàn Capudàn Pascià. Çigä, in una battaglia contro i Turchi nei pressi di Messina, si arrese al nemico invece che combattere a fianco dei suoi compagni. Messo ai remi, sarebbe stato condannato ad un'esistenza di schiavitù se per puro colpo di fortuna non avesse salvato la vita al Sultano, ricavandone ricchi onori e il titolo, appunto, di Pascià: Sinàn Capudàn Pascià.De André immagina un Sinàn vecchio, che si racconta e in qualche modo giustifica la propria viltà e racconta la propria fortuna, dalla metafora quasi metafisica del pesce palla ai versi - espliciti - sull'insondabilità della sfortuna:
amü me bell'amüa sfurtûn-a a l'è 'n grifunch'u gia 'ngiu ä testa du belinunamü me bell'amüa sfurtûn-a a l'è 'n belinch'ù xeua 'ngiu au cû ciû vixín
Ma alla fine, disvelando un frammento alla volta dell'anima di Sinàn, che resta? Resta istinto di sopravvivenza e desiderio di ricchezza, più forti di qualsiasi ideologia religiosa: la vita salva, argenti e ori, lusso e donne solo per dover bestemmiare Maometto al posto di Gesù...Torniamo a Genova e alle sue piccole meschinità per A pittima, un'altro dei grandi sconfitti della vita, costretto di professione a fare il forte con i deboli ed il debole con i forti: la pittima, infatti, era il riscossore per conto terzi, generalmente usurai.L'attacco è solo in percussioni e bouzouki, e su questa base parte la voce della pittima, che si lamenta in termini iperbolici del proprio fisico che lo ha reso inadatto a fare altri lavori più accettati dalla società. Mentre nella partitura entra un flauto onomatopeicamente zoppicante ascoltiamo le disavventure grottesche della pittima, spesso intimorito a richiedere i soldi, a volte picchiato per il suo lavoro, e persino - perché sì, in fondo è di buon cuore - capace di mettere del suo quando il debitore altro non è che un poveraccio...Il registro della canzone successiva, A dumenega, è quasi festivo: è domenica, non si va in mare, ci si mette il vestito della festa... ma la domenica che racconta Faber è quella delle prostitute, che durante gli altri giorni della settimana sono relegate nel ghetto del quartiere della Rebecca e solo alla domenica possono girare liberamente per la città.Il ritmo è festaiolo, in tonalità maggiore, ma la canzone narra in realtà degli insulti che le prostitute ricevono in ogni angolo della città proprio da coloro che gli altri giorni della settimana sono loro clienti abituali, persino coloro, notbili del comune, che con i proventi delle case di piacere sono in grado di finanziare il porto, persino una persona che, tutta intenta a insultare il corteo di prostitute che altro torto non hanno se non quello di guadagnarsi il pane con il proprio corpo, è il solo a non accergersi che in mezzo al corteo ssta sfilando anche sua moglie.
e ti che ti ghe sbraggi apreuvumancu ciû u nasu gh'avei de neuvubruttu galûsciu de 'n purtòu de Cristunu t'è l'únicu ch'u se n'è avvistuche in mezzu a quelle creatúeche se guagnan u pan da nûea gh'è a gh'è a gh'è a gh'èa gh'è anche teu muggè
Il finale della canzone è un bellissimo assolo di chitarra andalusa, eseguito da Mussida.L'album si chiude con un ritorno alle atmosfere malinconiche dell'inizio, con D'ä me riva.La ricetta è perfetta: De André alla chitarra ottava, voce sommessa, un coro in lontananza e il ritmico rumore del mare.Dopo un periodo di vita cittadina simboleggiato dalle scene di vita narrate dall'album, il marinaio torna in mare: mentre il leudo si allontana verso sud, spinto dal maestrale, il marinaio saluta un'ultima volta la propria ragazza e la propria terra, ormai solo profili di ombre.Scorci di un orizzonte fatto solo di mare.Il sole è appena un punto in lontananza.Nel cuore paura e malinconia: partire in mare è una certezza, tornare un tiro di dado.Il vento.Silenzio.I R.E.M. erano nella mia lista, li ho sostenuti fin qui e contro molti altri avversari li avrei votati. Ma ubi maior minor cessat, ed il mio voto va a Fabrizio De André.Se De André passerà il turno, sarò lieto di scrivere l'analisi di un altro album di Fabrizio scelto dalla prima persona che me lo chiederà.
il mio voto va ai R.E.M. !
Scontro difficile per un gruppo che mi piace davvero tanto.
Voto i R.E.M.
Nessun sostenitore dei REM compra? Ragazzi, De Andrè vince a mani bassissime se non fate qualcosa!