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J. R. R. TOLKIEN
G di GIL GALAD
creato il 17 maggio 2003

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GIL GALAD
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GIL GALAD
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Inviato il 22 aprile 2004 20:21 Autore

EREGION E CELEBRIMBOR

 

Subito dopo la fine della Prima Era, la Terra di Mezzo era ancora sconvolta dai tremendi disastri causati dalla fine della Guerra d’Ira. Le roccaforti di Morgoth, ad ovest (Angband) e ad est (Utumno), erano state violate, scoperchiate e fatte collassare dalla furia dei Valar. Thangorodrim era crollata e l’Anfauglith non era più percorsa in lungo e in largo da schiere di demoni. Da questi luoghi, le creature malvagie sciamavano ovunque in cerca di un rifugio, mentre le armate dei biondi Vanyar, dei Noldor e dei Teleri facevano piazza pulita del nemico. Dagli inferni in terra creati dal nemico scappavano non solo lupi, orchi, ma anche Balrog e demoni di potere, orrori innominabili che sparirono dalla vista dei più, infilandosi in profondi cunicoli e caverne, spesso rimanendovi intrappolati per millenni. Dai pozzi del male uscirono però anche molti prigionieri. Erano costoro sia della schiatta degli uomini, con ben poche speranze di resistere alle sevizie dei servi di Morgoth, che della schiatta degli Eldar, poiché Morgoth considerava schiavi tutti loro sin dalla nascita, e li considerava come una proprietà personale, da sfruttare in mille modi, non ultima la creazione degli orchi.

 

Potrà apparire fuori tema rispetto alla storia della fortezza degli Eldar in Eregion, ma è necessario ricordare in quale clima di ricostruzione si trovassero gli elfi che vennero ad abitarvi. Da una parte la fine del più lungo, disastroso e doloroso periodo della loro storia. La fine delle vecchie faide per il possesso dei Silmaril o dei tesori di Nargothrond e Menegroth, la fine di mille privazioni, di continue fughe, del terrore di essere scoperti nei propri rifugi, stanati ed uccisi se non peggio. Le armate di Sauron nella Terza Era, seppur temibili, erano ridicole in confronto alle truppe di Angband. Schiere di orchi e demoni talmente numerosi e potenti da costringere il fior fiore delle casate dei Noldor a darsi alla macchia. Brulicanti di Draghi e Balrog, lupi mannari e licantropi al posto della cavalleria, oltre a tutti gli altri Maiar corrotti da Melkor, spiriti, spettri, fantasmi e demoni. Tra questi, vi era un certo Aulendil, meglio noto allora come Gorthaur.

 

Eppure, al rifiorire della speranza e dell’ottimismo si accompagnavano le dure lezioni del passato. Le più belle fortezze dei Noldor erano state rase al suolo, abbandonate, o sommerse dai flutti che avevano cancellato il Beleriand, lasciando a nord dei monti azzurri il Golfo di Luhun e le Nordiche Desolazioni. Gondolin la Splendente, Menegroth, Eithel Sirion, Nargothrond e Vinyamar, il Doriath, il fiordo di Drengist, le colline del Dorthonion, l’Ossirian. In tutti questi luoghi gli Eldar avevano ammassato le ricchezze più splendenti, e tutte le avevano perse, saccheggiate dai draghi o dagli orchi. Ma più di tutto bruciava loro la perdita dei tre Silmaril. Quanto era costato caro il giuramento di Feanor, e fu un giuramento fatto invano, perse che furono le tre Pietre. A questo, si deve aggiungere la mai sopita brama di Valinor dei Noldor banditi dal reame beato, il loro orgoglio, la loro alterigia, e il loro incrollabile desiderio di ricreare in una terra mortale come Endor ciò che dovrebbe esistere solo in una terra imperitura come Valinor. Tutti loro non avevano mai smesso di ricordare Tirion splendere sul verde colle di Tuna , e ancora sapevano bene di essere i più benvoluti tra gli eletti, i preferiti dai Valar, i prescelti dal destino per portare a compimento il canto della creazione.

 

Ecco allora che molti secoli dopo l’inizio della Seconda Era, i Noldor elessero come loro patria la fiorente contrada dell’Agrifogliere, Hollin in Ovestron, Eregion in Sindarin. Fu per la precisione nel 700 S.E. che Galadriel e Celeborn, scampati alla rovina del Doriath, iniziarono ad insediarsi con le loro genti in Eregion.

 

Come era usanza degli elfi, fu costruita anche un’imponente e bellissima roccaforte che fungesse da capitale, la cui fondazione di tale città viene fatta risalire al 750 S.E., con la speranza che avesse sorte migliore e più duratura delle precedenti città Elfiche. La nuova città non avrebbe dovuto solo eguagliare lo splendore di Gondolin e Tirion, ma anzi superarlo di molto, e durare, come gli elfi, per sempre. Il male era stato sconfitto, e nella loro cecità i Noldor pensavano che non sarebbe più ritornato. Eppure un sospetto latente nei loro cuori doveva pur esserci se decisero di chiamare la loro splendente città “Fortezza degli Eldar”, Ost-In-Edhil, appunto.

 

 

Il primo regno di Galadriel e Celeborn.

 

Ost In Edhil si trattava di una città vera e propria, ispirata ad un grande tema unificante, con un progetto architettonico completo e coerente fin dall'inizio. Era grande, anche se non più di altre città dell’epoca, e debordante di arte e tecnologia sofisticatissima. Cose che nemmeno nel Beleriand si sognavano, frutto dell’altissimo livello tecnico ed estetico raggiunto dai Noldor. Per questo motivo, anche se indichiamo il 750 SE come data di fondazione, bisogna calcolare che molte vite umane prima, Celebrimbor e gli altri Noldor già la stavano pensando e disegnando, ne intessevano le magie con il territorio e, infine, la costruivano fisicamente. Per tempi incredibili (per un uomo) la confluenza dei fiumi Sirannon e Glanduin è stata teatro di un enorme cantiere, con centinaia di operai silvani al lavoro, carpentieri sindar e i progettisti Noldor, tutti intenti a capire la terra, a divenire amici degli alberi e fratelli delle rocce e dei corsi d’acqua. Migliaia di tonnellate di pietre e metalli sono furono spostate in continuazione da argani potentissimi; vi erano tende e padiglioni colorati a perdita d’occhio, carri, cavalli e cavalieri che difendevano il proto insediamento da ogni possibile minaccia.

 

Parlando di minacce, al tempo Sauron era stato in un certo senso “dimenticato”, o così almeno sospettava Galadriel. Così come Melkor nei tempi della sua cattività, il mondo conosceva secoli di pace mentre il Nemico si riorganizzava altrove. Come si legge nei Racconti Incompiuti (pag. 320):

 

[…], siccome Sauron non aveva ancora un nome preciso e le sue attività non erano intese come frutto di un unico spirito maligno, principale servo di Melkor, Galadriel si rese conto dell’esistenza, nel mondo, di una perfida intenzione che sembrava promanare da una fonte più lontana ad est, al di là dell’Eriador e dei monti brumosi.

 

 

Dei Nani e della loro amicizia coi Noldor.

 

Galadriel fu molto lungimirante a scegliere l’Eregion per edificare la città elfica. Era riparato dall'Est e dalla sua Ombra dall'intera catena dei Monti Brumosi, e, soprattutto, vi erano i Nani. Il popolo di Khazad Dum non era mai stato simpatico agli elfi, e in particolare a Celeborn. Questi li odiava quasi tutti, o al più provava per loro una radicata antipatia. I nani avevano avuto un ruolo importante nella caduta del Doriath, e avevano ucciso Elwë Thingol (parente dello stesso Celeborn) per riprendersi la collana Nauglamir e il Silmaril in essa incastonato. Eppure vi erano delle distinzioni da fare, come Galadriel ben sapeva, riguardanti i nani del Beleriand: essi abitavano i Monti Azzurri, in due roccaforti principali: Nogrod e Belegost.

 

L’assalto era stato portato solo dai nani di Nogrod, dispersi poi a Sarn Athrad (Silm. pp 293-296). Al contrario, i nani di Belegost si recarono a Khazad Dum ed ebbero ben poche responsabilità nella caduta del reame elfico. Galadriel tenne bene a mente soprattutto il valore dimostrato dai nani in battaglia più e più volte, l’odio feroce che nutrivano per gli orchi e i lupi, e le gesta di cui erano capaci se le cose si mettevano male, non ultimo il ferimento di Glaurung stesso ad opera di re Azaghâl.

 

Fu lungimirante Galadriel, perché seppe guardare ai nani di Khazad Dum con occhio da Generale. Erano i migliori guerrieri che potesse frapporre fra il suo regno e le ombre dell’Est. Sapeva anche che tale ombra altro non era che il residuo del male lasciato nella Terra di Mezzo da Morgoth, e che non vi sarebbe stata pace fino a quando tutti i popoli non si fossero uniti contro il Nemico “nei modi e nella misura loro propri “ (R.I. p 321).

 

Vi era infine una sorta di “affinità elettiva” tra Galadriel e i nani. Lei infatti era una Noldor, e la mentalità creativa, curiosa e perspicace dei nani le risultava simpatica. I nani erano poi creature di Aule, e Galadriel era stata discepola sua e di Yavanna a Valinor, così come altri Noldor. Iniziò così una antica amicizia tra Eldar e Naugrim, destinata purtroppo a non durare in eterno. Già subito dopo la fondazione dell’Eregion, una schiera di sindar, guidati da re Thranduil, venne a stabilirsi nell’Agrifogliere. Questi sindar recavano con se i vecchi canti: il Lamento della Nauglamir, il sacco di Menegroth, il guado di Sarn. Questo raffreddò molto il calore dei nani verso Ost-in-Edhil, e gli scambi commerciali rallentarono progressivamente. I Noldor, che pure erano felici di avere con se i fratelli sindar e silvani, furono costretti ad ammettere che la vecchia armonia era stata infranta. Galadriel e Celeborn a consulto con Thranduil, fecero il punto della situazione, e chiesero, a malincuore, di lasciare quella contrada. Gli elfi di Thranduil, che avevano sempre mal sofferto il peso dell’autorità dei Noldor e che avrebbero davvero voluto un regno proprio, accettarono di buon grado il saggio consiglio. La schiera dei sindar lasciò l’Eregion, e valicò il Cancello Cornorosso, per stabilirsi nel futuro regno di Boscoverde il Grande. Questo fu preso come un grande segno di lealtà dalle genti naniche, ma la loro amicizia coi Noldor non tornò più quella di prima. Se per tanti secoli Ost In Edhil e Khazad Dum si scambiarono materie prime e metalli, giunti al momento della verità, con le armate di Sauron ormai alle porte nel 1697 S.E., la Rocca dei Nani, il Nanosterro, chiuse le porte agli elfi lasciandoli al loro destino.

 

 

Le opere di Celebrimbor

 

Ost In Edhil è stata resa celebre dagli scritti di Tolkien fondamentalmente per la costruzione degli Anelli di Potere. Tale evento ha a sua volta le basi nella fondazione della Gwaith-i-Mirdain, ovvero il “popolo degli orafi”, ad opera di Celebrimbor (S. “Fabbro Mano d’Argento”). Questi era un Noldo di Nargothrond, un fabbro e un artigiano, nipote del grande Feanor, del quale aveva ereditato la straordinaria abilità nel creare oggetti di potenza e bellezza senza pari. Fu tra i fondatori dello stesso reame di Eregion e aveva, a detta di Galadriel stessa, un amore morboso per l’arte del “creare”, un amore quasi “nanico”, nonché un affetto inusitato per le sue, pur notevoli, creazioni. Ne aveva ben motivo, avendo creato tutti e tre gli anelli elfici, oltre, a quanto pare, ad una seconda Elessar (Pietra degli Elfi) da donare a Galadriel. Proprio sull’Elessar esiste un mistero riguardo l’effettiva identità del suo creatore e il numero esatto di queste magiche pietre. Lo si trova esposto con perizia nelle note di Christopher Tolkien ai Racconti Incompiuti. Vi si accenna ad una pietra elfica fatta dall’orafo Enerdhil di Gondolin. Particolarmente affezionato a tutto ciò che cresceva ed era verde, Enerdhil tentò di creare qualcosa che avesse sia la lucentezza del sole sia il colore delle foglie. Tanto magnifica fu la sua opera che persino tra i noldor di allora (ed erano tutti o quasi esuli di Valinor) vi fu meraviglia. I poteri della pietra erano magnifici, come leggiamo nei R.I.

 

Si dice infatti che coloro i quali guardavano attraverso quella pietra vedessero cose inaridite o bruciate tornate sane o come se fossero nel fiore della giovinezza, e che le mani di chi l’avesse tenuta guarissero le ferite di quanti ne erano toccati.

 

Questa prima pietra si salvo dall’incendio di Gondolin poiché Idril, figlia di re Turgon, la portò con se e la usò per guarire molti degli sfuggiti all’ira d Morgoth. La passò poi al figlio Earendil, ma la pietra non restò molto a lungo nella Terra di Mezzo. Allorché Earendil salpò per cercare Valinor la portò con se, e non la si vide più. L’Elessar di Galadriel, che è quella che riguarda più direttamente la città di Ost in Edhil, potrebbe essere sia la stessa pietra, ritornata per vie misteriose, che una seconda pietra, forgiata da Celebrimbor per l’appunto, sebbene quale delle due sia vera potrebbero stabilirlo solo quei saggi che ora sono scomparsi.

 

Potrebbe essere stato Gandalf in persona, al suo arrivo nella Terra di Mezzo, a portare con se l’Elessar di Idril. Ne avrebbe fatto dono a Galadriel da parte di Yavanna, poiché aveva percepito in lei l’ardente desiderio di fermare il decadimento delle cose belle della Terra di Mezzo, premettendo che la pietra elfica non sarebbe stata sua per sempre, e che un giorno avrebbe dovuto donarlo ad altri (ovverosia Arwen e poi Aragorn).

 

Un’altra versione coinvolge più direttamente i fabbri dell’Eregion, e parla di una visita fatta da Galadriel a Celebrimbor molto prima della venuta di Annatar (Sauron). Anche qui, una Galadriel triste e malinconica per il fato di Endor si rivolgeva a Celebrimbor con tono triste e sconsolato, chiedendo alberi immortali e ed erbe imperiture, ma non a Valinor, dove Galadriel non sarebbe stata che una delle molte noldor, bensì qui nella Terra di Mezzo, nella SUA Terra di Mezzo, dove sarebbe stata ancora per un po’ la più potente. Il richiamo dello stesso Celebrimbor, in questo brano, a Enerdhil di Gondolin, è suggestivo e fa pensare che il fabbro noldo fosse anche lui tra quelli di Gondolin, anziché di Nargothrond. A questo punto, oltre alla dichiarazione d’amore di Celebrimbor (prendete nota e imparate!), troviamo anche la prova che l’Elessar di Aragorn può essere stata fatta nell’Eregion, anziché a Gondolin.

 

(Galadriel)“Deve dunque la Terra di Mezzo decadere e perire per sempre?”.

 

“Tale è il suo destino, penso” replicò Celebrimbor. “Ma tu sai che io ti amo (sebbene tu ti sia volta a Celeborn degli alberi) e per quest’amore farò quanto posso, se per grazia della mia arte il tuo dolore può essere alleviato”.

 

Le differenze tra le due pietre stavano nella maggior ingegnosità e luminosità della pietra di Celebrimbor, che però aveva meno potere di quella di Enerdhil, essendosi questa accesa nei giorni della giovinezza del sole. In tanti millenni lo splendore dell’astro dorato si era evidentemente affievolito per via dell’ombra gettata da Morgoth prima del suo esilio nel vuoto. L’Elessar rimase con Galadriel fino a che non pervenne in possesso di Nenya, l’anello d’acqua. Allora Galadriel, ritenendo di non avere più bisogno della gemma, ne fece dono a sua figlia Celebrian, tramite la quale pervenne ad Arwen e poi ad Aragorn. Un’ultima versione, infine, viene esposta da Christopher Tolkien, e vede Celebrimbor come artefice di entrambe le pietre, in ere diverse, prima a Gondolin e poi ad Ost in Edhil, e non fa menzione alcuna di Enerdhil il fabbro. Di certo sappiamo che l’Elessar era libera dall’influenza dell’Unico Anello, essendo stata fatta in tempi in cui Sauron non si era ancora manifestato. Questo ci da di che pensare, se non altro perché insinua il sospetto che non fossero solo gli anelli ad essere potenzialmente pericolosi e soggetti alla volontà di Sauron. Tra le altre sue altre opere, specchi magici che permettevano di vedere luoghi e tempi lontani (simili, per principio, al magico specchio di Galadriel), smeraldi e opere in argento e mithril, cotte, elmi, scudi e spade, oltre ad una serie di anelli elfici “minori”, quasi delle prove di studio se confrontati con i Tre o con l’Unico, eppure assai potenti e pericolosi per un mortale, e nient’affatto immuni alla dominazione dell’Anello di Sauron. Celebrimbor aveva anche un altro amore, grande quanto la sua passione per le pietre preziose, ed era Galadriel stessa. Sapendo bene che il suo amore non sarebbe mai stato corrisposto, si gettò con inesauribile fervore creativo sul suo lavoro, rinchiudendosi anche per giorni interi nei suoi laboratori, riversando la sua arte in opere perfette o quasi. Se è in effetti vero che le opere dei Noldor sfidavano la bellezza di Valinor, ad esse mancava pur sempre qualcosa per raggiungere l’apice assoluto, e questo qualcosa poteva venire solo da Valinor stessa, nelle spoglie di un Maiar di Aule decaduto ormai da secoli e del quale si era persa traccia ai tempi della caduta di Morgoth. Questo Maiar era stato appunto il primo luogotenente dell’Oscuro Nemico, il capitano della sua armata di Lupi: Sauron, o Thauron, noto anche come GorThauron e GorSauron, che in elfico vuol dire “Oscuro Terrore”.

 

E' facile pensare ai punti di contatto tra i personaggi di Feanor e Celebrimbor. Nella Prima Era, fu il peccato di orgoglio di Feanor, creatore delle Palantìr ma soprattutto dei Silmaril, a portare gli eldar sull’orlo della distruzione, scatenando un conflitto di proporzioni ciclopiche, costato secoli di guerre e stragi, nonché il bando per quanti avevano levato la spada sui loro fratelli ad Alqualondë e la rovina dei più bei reami elfici della Terra di Mezzo. Distrutti gli alberi dei Valar, tutto ciò che restava della loro luce stava nei Silmaril, e ciò scatenò la cupidigia di Melkor. Feanor, concependo un amore morboso per le sue creazioni, le reputò la prova materiale che gli elfi potevano raggiungere il livello dei Valar nelle loro opere, e reputava solo se sesso ed i suoi discendenti degni di possederle.

 

Se Melkor non fosse mai caduto in disgrazia, forse non avrebbe irretito uno dei maiar di Aulë, Annatar, e la Terra di Mezzo non avrebbe avuto nessuno oscuro sire da affrontare. Ma anche in caso contrario, se il nipote dello stesso Feanor non avesse lo stesso peccato del nonno, creando gli anelli del potere, Sauron non avrebbe mai ottenuto la conoscenza e la tecnica per forgiare quel talismano che gli avrebbe permesso di estendere la sua ombra sull’intera Terra di Mezzo: l’Unico Anello.

 

 

La Gwaith-i-Mirdain.

 

 

Molto prima dell’arrivo di Sauron, verso il 1200 S.E., la corporazione degli orafi era stata edificata in vista delle mura di Ost In Edhil. Il suo nome era “Mirdaithrond”, ovvero “Le aule degli orafi”, ed era un luogo bello ed aggraziato, pieno di giardini e fontane, dalle bianche mura, situato all’esterno della città stessa dal lato di Khazad Dum. Esternamente, ripeteva il motivo a pianta triangolare comune alla città, con cortili sfalsati, a tre lati, scomposti su vari livelli e compenetrati uno nell’altro, collegati da scale, scalette e rampe inclinate. Eppure l’aspetto elegante non doveva trarre in inganno. La corporazione degli orafi era costruita per resistere ad un assedio, e al suo interno erano custodite le armature più solide e le lame più acuminate mai brandite dagli elfi. I Noldor fabbri erano sempre pronti ad impugnarle per difendere il loro regno ed i loro tesori, e molti di loro erano, oltre che artigiani eccelsi, anche guerrieri temibili e coraggiosi.

 

Al di sotto della parte visibile della corporazione, si estendeva un sistema di sotterranei a vari livelli, collegati tra loro da un tunnel verticale dotato di tre ascensori. L’ultimo di questi livelli, detti Aule dei Fabbri, giungeva sino all’altezza del suolo, ed era in contatto con un braccio sotterraneo del Sirannon, il Rivo del Cancello. Da una banchina protetta, gli elfi caricavano e scaricavano pesanti casse di materiale. Anche la pianta di questi livelli riprendeva le infinite ripetizioni di triangoli ed esagoni, e pur essendo un luogo sotterraneo, era stato reso più splendente e luminoso di un palazzo imperiale. Non vi erano se non pochissime fucine nel senso classico del termine, come possiamo immaginarle noi o come le immaginerebbe un nano. Gli elfi erano difatti rinomati per saper combinare un’estrema funzionalità e praticità ad un senso estetico ed artistico sviluppatissimo. I loro martelli da forgia avevano le impugnature filigranate, i pavimenti delle aree non di servizio erano rivestiti di marmi e adorni di fregi dorati ed argentati. Quanto alla magia, sappiamo bene come funzionava presso gli elfi, e come sapessero trasporla persino negli oggetti di uso quotidiano. In essi gli Eldar mettevano l’amore per tutte le cose che adoravano: la terra, il cielo, le acque dei fiumi e dei mari, la pioggia, gli alberi, le rocce, il vento, le foglie e i fiori. Ecco quindi che anche nella Gwaith-i-Mirdain potenti “magie” venivano infuse nei pavimenti, che riflettevano il cielo di maggio, nei soffitti, che riproducevano il volgere eterno delle costellazioni, nelle porte, forgiate in cristalli invincibili e colorate come i tramonti di mille terre lontane, negli oggetti di arredamento così come nelle divise dei fabbri o nelle maniglie delle porte o ancora nelle incudini e nei crogioli: tutto era trapuntato di stelle sfavillanti. E si che queste creazioni avevano dei “poteri”, ma per gli Eldar erano semplice frutto di arte e maestria, non di artificio, formula magica o malizia, ed erano volte a rendere il loro lavoro meno duro, se non addirittura piacevole, così che per gli instancabili fabbri dell’Eregion battere il ferro sull’incudine non fosse dissimile dal cantare o dalla danza o dal coltivare le viti.

 

Vi erano però delle caratteristiche prettamente “magiche” persino per gli elfi, nella Gwaith-i-Mirdain: si trattava delle sentinelle silenti. Furono queste una innovazione successiva all’arrivo di Annatar, e da lui stesso furono ispirate. Erano delle coppie di statue di elfi, alte ed imponenti, poste a guardia di certe porte particolarmente importanti, quali gli ingressi alle armerie e i depositi del mithril e del galvorn. Per chi non apparteneva alla corporazione, ovvero non ne indossava i sacri paramenti, varcare quelle soglie voleva dire destare l’attenzione delle sentinelle. La loro reazione era di allarme e una mente debole avrebbe rischiato grosso subendone l’attacco mentale, da un senso di banale spaesamento, all’amnesia, fino al lavaggio del cervello, in grado di lasciarlo come un idiota balbuziente per sempre, se non addirittura di ucciderlo. Va da se che un simile attacco, decisamente aggressivo, era in parte estraneo alla natura gentile degli elfi Un simile progetto, nei secoli futuri, avrebbe visto la luce in scala enormemente maggiorata, al passo di Cirith Ungol: le Sentinelle Silenti destate da Frodo e Sam al loro ingresso in Mordor. Sembra quasi scontato supporre che anche Carn Dum, Dol Guldur, Durthang e il Morannon, così come Barad Dur, brulicassero di simili guardiani magici.

 

Tanta era la loro scienza che gli elfi avevano ripreso e perfezionato tecniche antichissime. Sapevano lavorare cristalli magici, per foggiarli in armi e corazze invincibili, raffreddandoli con fuochi stregati e fucine fatate, e modellandoli in punte e lame. Allo stesso modo conoscevano il segreto dei fuochi dell’Essenza, capaci di fondere ogni metallo. Giù, in profondità, nei livelli sotterranei della Mirdaithrond, si celavano macchinari in grado di ricreare con scienza e magia le enormi pressioni esercitate dalla terra, e di creare così in breve tempo gemme sfavillanti, da tagliare ed incastonare. Inventarono anche nuove e mirabili leghe, come l’Ithildin (S. <<stella-luna><img alt=" />, che riflette solo i raggi di luna e di stelle, e dorme si quando non sente il tocco di chi pronunzia parole ormai da tempo obliate nella Terra di Mezzo. (Gandalf, in S.d.A. cap. IV, pag. 382). Perfino l’Eog ed il Galvorn, metalli e leghe che non erano tratti dal suolo ma avevano origine celeste, venivano impiegati dai fabbri elfici, i primi dai tempi di Eol, l’elfo scuro costruttore di Anglachel/Gurthang ed Anguiriel, le due lame in assoluto più potenti della storia, più di Narsil fatta da Telchar o dell’Aranruth brandita da Thingol.

 

A proposito dello Ithildin, varrà la pena di ricordare come questo metallo sia stato usato da Celebrimbor per incidere i “caratteri feanoriani secondo la maniera del Beleriand” sul cancello occidentale di Khazad Dum. La Compagnia dell’Anello, difatti, non vide le scritte se non nel momento in cui la luce della luna le sfiorò. Diceva la scritta:

 

Ennyn Durin aran Moria

 

Pedo mellon, a minno

 

Im, Narvi, hain echant,

 

Celebrimbor o Eregion teithant i thiw hin

 

Ovvero:

 

Le porte di Durin, signore di Moria.

 

Dite, amici, ed entrate.

 

Io, Narvi, le feci,

 

Celebrimbor dell’Agrifogliere tracciò questi segni.

 

 

 

Dopo questo excursus sui tempi felici della Gwaith-i-Mirdain, è ora di rompere gli indugi e di giungere al momento fatidico, quel momento che emoziona i lettori delle opere del Maestro e li riempie di un senso di amarezza per una minaccia incombente. Dopo aver gustato della bellezza e della purezza per tanto tempo, ed essersi affezionati ai gioielli, alle fontane e ai canti nei giardini, è tempo di parlare di come la corruzione bussò alle porte dei Mirdain, e di come questi, accecati dalla loro brama di sapere, gliele spalancassero.

 

Abbiamo già visto come la brama di creare opere perfette come i Silmaril non avesse mai abbandonato i Noldor, nemmeno dopo tanti secoli. Come detto però, i Silmaril erano frutto di Valinor, creati da Feanor, elfo che aveva avuto modo di contemplare l’immagine vivente della bellezza negli alberi sacri: Telperion e Laurelin. Suo nipote Celebrimbor non aveva tanti esempi a cui rifarsi, salvo la bellezza radiosa di Galadriel. La sua chioma dorata si dice infatti ricordasse lo splendore di Laurelin, e nei suoi occhi si leggeva la storia del mondo.

Tolkien ci insegna, con la storia di Ost-in-Edhil, che la caduta è annunciata sempre da un peccato di orgoglio. Chi primeggia per doni elettivi, ma non si accontenta mai, è impaziente e forza la mano alla natura e al canto della creazione, presto o tardi, subisce il castigo di Eru e dei Valar. La storia di Arda ne è costellata. Da Melkor, primo tra i Valar, che decise che poteva ben migliorare il Canto della Creazione (Ainulindalë) senza l’aiuto di Eru, ai Gondolinrim, sino ai Fabbri di Eregion.

 

Le loro intenzioni, ovviamente, erano buone in linea di principio. Le loro creazioni erano volte a proteggere, curare, rinfrancare gli spiriti e a rendere la terra un luogo migliore. Il loro errore fu accettare l’aiuto dell’unico essere in grado di far loro raggiungere la perfezione assoluta: un Maiar di Aule, Aulendil, ovverosia Sauron.

 

Il Signore dei Doni.

 

 

Difficile dire quale fosse esattamente la natura di Sauron al tempo in cui si presentò alle porte dei fabbri di Eregion. Sappiamo che si era già visto opporre un secco rifiuto da Gil-Galad, e che quindi qualcosa di oscuro sotto il suo sembiante angelico ci doveva pur essere. Ulteriore prova ce la da la reticenza mostrata da Galadriel stessa a dare confidenza a questo strano personaggio. Entrambi avevano dimorato a Valinor, ed è quindi molto probabile che la luce di Aman nei loro cuori li stesse mettendo in guardia, in qualche modo. Di certo non potevano sapere di aver davanti l’ex luogotenente più fidato di Morgoth, eppure dopo la Guerra d’Ira e dopo aver parlato con Eonwë, Sauron poteva davvero essersi pentito, e le sue intenzioni non essere del tutto malvagie. Infatti non si presentò col suo vero nome, bensì con i nomi che doveva aver portato, un tempo, a Valinor: Aulendil, il Servo di Aulë, ma anche Artano, l’Alto Fabbro, e Annatar, il Signore dei Doni, badando bene di nascondere la sua natura di Maiar agli Eldar, che però sospettarono qualcosa da subito. L’aspetto terreno di Annatar infatti, era quello di un elfo Vanyar, alto come e più di un Noldor, ma dai capelli lunghi e dorati, e gli occhi grigio-azzurri. Un Vanyar nella Terra di Mezzo era un elemento quantomeno inquietante per un elfo, eppure ad Annatar le porte di Ost-in-Edhil In Edhil non furono chiuse, anzi. Galadriel e Celeborn, difatti, non avevano certo un potere assoluto sulla città. In quanto elfi di altissimo lignaggio e di grande coraggio e saggezza, potevano dirigere il corso degli eventi, ma l’influenza dei fabbri della Gwaith-i-Mirdain era almeno altrettanto forte.

Annatar si costruì una casa nella città, e gli furono assegnati dei servitori silvani. Per anni ed anni si costruì una posizione di influenza e prestigio, entro la congrega degli orafi e dei fabbri, e Celebrimbor stesso, anno dopo anno, pendeva sempre più dalle sue labbra. Lentamente, ma inesorabilmente, il seme della zizzania piantato da Annatar cominciò a germogliare, e le tensioni tra le varie fazioni si acuirono. In particolare, Annatar vedeva in Galadriel la minaccia più grande al suo potere. La Noldor sembrava del tutto immune ai suoi poteri di malizia, e Annatar non riusciva a sondarne l’animo e il cuore in alcun modo. Era anzi restio anche solo a tentare poiché temeva che la Dama se ne avvedesse e prendesse della contromisure. Seppe però far leva in altri punti, il Signore dei Doni, in particolare sulla sete di conoscenza e sull’orgoglio di Celebrimbor, che non solo era un Noldor, ma anche un discendente di Fëanor. I discendenti di Fëanor avevano sempre provato una certa antipatia per i discendenti di Indis, la Vanyar che aveva sposato Finwë dopo che la sua prima moglie (Miriel) era morta dando alla luce Fëanor. Il dubbio rose l’animo di Celebrimbor per lunghissimi anni, dato che in fondo era follemente innamorato di Galadriel e ne aveva comunque una stima che sfiorava la venerazione. Eppure molti altri fabbri ascoltarono le parole di Annatar. Questi prometteva loro abilità incredibili, che avrebbero loro permesso di raggiungere livelli di maestria impensabili. Prometteva di fornire da subito questi poteri e per i Noldor, notoriamente impazienti, questo era più che abbastanza per prestargli ascolto. Fu così che, meno di 200 anni dopo il suo arrivo, Annatar fece insorgere i Noldor contro il governo di Galadriel e Celeborn. La ribellione fu fortunatamente incruenta, e la fazione di Galadriel, piuttosto numerosa invero, abbandonò incolume la fortezza degli eldar. Galadriel attraversò Khazad Dum seguita da molti Noldor, percorrendo la mitica Strada dei Nani, ed accettò di proteggere e guidare la contrada di Lorinand, che da allora divenne nota come Lorien. Celeborn, al contrario, si rifiutò di entrare nel regno dei nani, e rimase nell’Eregion, ancora per molti anni, ma senza più prendere parte alla vita politica della città.

 

Occorsero altri 100-150 anni perché gli elfi e Annatar si scambiassero tutte le conoscenze che era possibile condividere. Fu così che, nel 1500 della S.E., la costruzione più importante della Gwaith-i-Mirdain ebbe inizio. Convinti di operare per il solo bene del mondo, i Noldor, sotto la supervisione di Annatar, si diedero a forgiare gli Anelli del Potere. Le più alte e potenti delle loro creazioni, ineguagliate nei secoli a venire. Questi anelli erano tutti costruiti con le più nobili intenzioni, ed erano volti ad aiutare chi li indossava così come i suoi alleati. La loro natura divenne (almeno in parte) malvagia, solo dopo che Sauron esercitò su di loro il suo nefasto influsso. Tutti erano bellissimi, con una pietra preziosa incastonata ed una forma perfetta. Queste opere potevano essere il frutto solo della combinazione dei poteri dei più alti fabbri Noldor con le conoscenze trascendenti di un Ainur. Eppure, mentre Annatar rivelava parte del suo sapere agli elfi, molti di più erano i segreti che carpiva, grazie ai suoi poteri, dalle menti dei fabbri, sempre a loro insaputa. Giorno dopo giorno, Annatar ci metteva del suo nella costruzione degli Anelli, e li vincolava sempre di più alla volontà.

Se è infatti vero che Annatar non era del tutto malvagio, è altrettanto vero che intendeva dominare tutti gli elfi e gli uomini, e dettar loro legge. Mise così in cantiere la sua opera più grande, l’Anello Dominante. Molti segreti erano stati strappati da Sauron a Celebrimbor, ma non quello dei magici “fuochi dell’essenza”. Di questo segreto erano a parte solo Aegnor e Celebrimbor stesso, e non lo rivelarono mai. Di conseguenza, nel 1580 S.E., Sauron fu costretto a ricorrere a mezzi più drastici e violenti. Si recò a Mordor e nel fuoco dell’Orodruin iniziò la costruzione dell’Unico Anello. Negli anni successivi Celebrimbor terminò per conto suo la costruzione dei Tre (i Sette ed i Nove, così come molti altri anelli minori erano già stati completati). Questi ultimi risultarono dunque liberi dalla presa di Annatar, eppur legati al destino dell’Unico Anello come tutti gli altri, e di tutti gli anelli furono anche i più potenti, perché creati in base alla natura degli elfi. Nenya, l’anello di adamante, aveva una bellezza pura come il cristallo, ed era l’anello delle acque, che aveva poteri di occultamento e mascheramento. La sua barriera non poteva essere penetrata nemmeno dall'occhio più potente, persino se aiutato da un Palantir. Vilya, la cui pietra era uno zaffiro puro come il colore del cielo, era l’anello dell’aria. Narya, l’anello del fuoco, era un anello di oro purissimo con un grande rubino incastonato. Era l’anello più incline all’azione diretta, che sorregge i cuori e li incita alla vittoria, l’anello che sostiene chi lo porta nel momento del bisogno e dà la forza di affrontare le avversità. Fu proprio Narya a finire nelle mani di Gandalf, molti secoli dopo, e gli fu di grande aiuto nelle perigliose imprese che riuscì a portare a termine. Anche se un confronto tra i tre non è possibile, tanto erano diversi i loro poteri, possiamo dire che Vilya probabilmente era il più potente. Era l’anello della cura, che ripara e ricostruisce, ma poteva compiere anche altri prodigi nelle mani giuste. Il nome più illustre ad esso collegato è quello di Elrond il mezz’elfo, che lo usò per il bene della Valle di Gran Burrone. Ognuno di questi anelli, infatti, esaltava le virtù e la forza della terra dove si trovava. Se già nei luoghi elfici il tempo ha un corso differente, più lento, la presenza degli anelli al dito di grandi signori degli Eldar rendeva questi luoghi dei casi a parte, dove gli anni non pesavano nemmeno sulle spalle degli uomini, dove la natura era fedele ed obbediente ai loro portatori, come le nebbie intorno a Lorien, o le acque del fiume Rombirivio (Bruinen), pronte a destarsi e a sbarrare la via al semplice comando di Elrond.

Varrà la pena ricordare qualcosa sull’episodio di Narya, intimamente collegato con la venuta degli Istari nella Terra di Mezzo, verso l’anno 1000 della Terza Era. Si pensa che fossero cinque, e i Valar li mandarono nella Terra di Mezzo con spoglie umane. Non solo umane, ma di persone anziane, o deboli e dimesse, di modo che non potessero levarsi in potenza come splendenti signori dell’Ovest e regnare sugli uomini e gli elfi che avrebbero dovuto aiutare, ma affinché li consigliassero e persuadessero ad agire con saggezza. Potevano persino invecchiare, sebbene non per il passare degli anni ma per l’accumularsi delle preoccupazioni, degli affanni e all’aumentare della saggezza e del potere acquisiti con l’esperienza ed i viaggi. Il primo (e per un pezzo l’unico) ad essere a conoscenza del loro arrivo e della loro vera identità fu proprio Cirdan, Guardiano del Terzo Anello (Narya) e signore di Mithlond (“porti grigi”).

 

L’ultimo dei cinque a giungere era anche il più umile a vedersi. Più basso, dai capelli grigi così come il suo vestito, camminava appoggiandosi ad un nodoso bastone.

 

Ma Cirdan fin dai loro primi incontri ai Porti Grigi indovinò in lui il massimo spirito e il più sapiente; e lo accolse con reverenza e gli affidò il Terzo Anello, Narya il Rosso[…] per accendere tutti i cuori al coraggio.

 

Cirdan si sentiva evidentemente solo un custode temporaneo dell’anello e non un portatore vero e proprio. Reputando che tutto il potere di Narya fosse sprecato sulle coste occidentali, ove era rimasto a lungo “ozioso”, si decise a darlo al Messaggero Grigio. La cosa, purtroppo, non restò ignota al Messaggero Bianco, il primo a giungere su Endor, e nella forma più maestosa. Fu allora che nacque la malevolenza nascosta che questi, poi noto come Saruman, concepì verso il Messaggero Grigio, poi noto come Gandalf.

 

Tornando alla storia della città di Ost in Edhil, le voci della costruzione degli anelli del potere erano nel frattempo giunte sino a Khazad Dum, e la cosa insospettì molto Durin III, il quale mandò delle delegazioni ad Ost-in-Edhil. Celebrimbor, che desiderava comunque avere in Durin III un alleato, gli fece dono del primo e più potente dei 7 Anelli. La cosa non poteva che dar gioia ad Annatar, che così contava di estendere la sua influenza anche a Khazad Dum, un giorno.

 

Nel 1600 Annatar completò la costruzione dell’Unico. Già pregustava il momento in cui lo avrebbe infilato al dito, soggiogando le menti di colore che indossavano gli altri Anelli. Ma s’ingannava, poiché in quello stesso momento Celebrimbor comprese il suo errore e ordinò che gli Anelli non venissero usati. Inoltre, Durin III, pur rifiutandosi di togliersi l’anello dal dito, non era sotto il controllo di Sauron, poiché la volontà dei nani è indomita e sono difficili da controllare. Se nessuno teneva indosso gli Anelli, Annatar non li poteva controllare, e questo fece montare in lui una collera furiosa, che fece cadere anche gli ultimi brandelli dell’angelica maschera che aveva indossato (non per niente Aragorn, nel film a Brea, lo chiama “Sauron l’Ingannatore”), ed assunse la sua vecchia identità: Sauron, l’Oscuro Sire di Mordor.

 

 

La distruzione.

 

 

Fu così che Celebrimbor, colto dal rimorso, fuggì a Lorien a chiedere consiglio a Galadriel. La Dama, pur non ricambiando l’amore di Celebrimbor, gli era sinceramente affezionata e provava una gran pena per lui, oltre ad un senso di pericolo crescente per la potenza acquisita da Sauron. Nella sua saggezza Galadriel prevedeva che sarebbe presto giunta una lunga oscurità, e che un degno erede di Morgoth era sorto in Mordor. Nuove e cruente battaglie si prospettavano all’orizzonte, ed ancora una volta, come nella Prima Era, gli elfi si barricarono nelle loro dimore celate, in attesa della Nera Marea.

 

Seguendo il consiglio di Galadriel, Celeborn tornò a Ost-in-Edhil, lasciandole Nenya, l’anello dell’acqua, che cela e protegge, anche noto come “Anello Bianco”. Grazie all’anello il potere di Lorien divenne grande nella Terza Era, sebbene tale potere avesse degli imprevisti effetti collaterali persino su Galadriel,. Rinnovando in lei “l’attutito desiderio per il mare e per il ritorno all’ovest, con conseguente diminuzione del piacere che ricavava dalla Terra di Mezzo”. Gli altri anelli furono prudentemente nascosti e non furono usati. Alla richiesta di Sauron di restituirli, fu opposto un secco rifiuto.

 

A Sauron occorreva tempo per ammassare armi e orchi, e attese fino al 1693. La guerra era dunque iniziata, e finché l’Eriador era percorribile, Celebrimbor si affrettò ad inviare gli altri due anelli elfici (Narya, del fuoco, e Vilya, dell’aria) a nord, da Gil Galad a Lindon. Solo quattro anni dopo, Ost-in-Edhil viene cinta d’assedio. E’ molto difficile immaginare quanto dovesse essere vasta la schiera di Mordor. Dalla descrizione della città, verrebbe da pensare che la città fosse assolutamente inespugnabile, a meno di non avere intere schiere di draghi e balrog come a Gondolin. E non vi furono traditori come Maeglin, figlio di Eol, né l’armata Nera colse gli elfi alla sprovvista, o durante qualche festa. Furono annunciati, nel lungo percorso da Mordor, da indicibili devastazioni della terra, e infine dilagarono intorno alla Fortezza elfica. Prima che la città fosse cinta d’assedio, gli elfi combatterono contro Sauron in ogni valle, burrone, crepaccio e pianura dell’Eregion, arrivando a respingere con le loro sortite le forze di Sauron. Ma fu una vittoria di brevissima durata, e i seguito furono tagliati fuori dalla città vera e propria dalla disparità numerica con il nemico. Se di giorno la lotta era contro gli uomini spietati che Sauron aveva soggiogato nel Khand e nel Rhovanion, di notte proseguiva contro orchi, troll e altre creature immonde e assetate di sangue. A nulla valse l’invio da parte di Gil Galad di un forte esercito comandato da Elrond il Mezz’Elfo, al quale Celebrimbor riuscì a unire le sue forze solo diverso tempo dopo. Celebrimbor, ormai disperato, inviò un’ambasceria ai nani di Khazad Dum, ma questi si rifiutarono di accogliere entro le loro fortificazioni i Noldor in fuga. E’ possibile che quando Durin III oppose il suo rifiuto agli elfi, fosse sotto la parziale influenza dell’Anello, ma è anche vero che la situazione gli appariva disperata, e che la sua scelta fosse dettata da ragioni di prudenza.

 

La città elfica, comunque, resistette eroicamente ed in effetti non subì nemmeno dei danni eccessivi; difatti la furia di Sauron si abbatté principalmente contro la Mirdaithrond. Sulle scale della Casa degli orafi Celebrimbor ed i Fabbri Noldor, con le armi in pugno, affrontarono i nemici. Resistettero finché Sauron in persona non giunse a sfidarli con, l’Unico Anello al dito. Per Celebrimbor non vi fu speranza. Fu battuto e condotto in ceppi. Sauron e il suo esercito misero a sacco le aule dei Fabbri, rubandone ogni tesoro. Sauron recuperò così i Nove, e torturò Celebrimbor finché non rivelò dove fossero i Sette. Non seppe nulla riguardo ai Tre, ma intuì che dovevano essere stati affidati a potenti custodi, i Signori degli elfi. Vedendo che ormai i Tre erano al di là della sua portata, Sauron fece mettere a morte Celebrimbor, e lasciò che il suo cadavere, pieno di frecce degli orchi, spenzolasse dai cancelli in rovina della Mirdaithrond per giorni e giorni. In seguito, si diede a devastare l’Eriador con la sua armata, ed il corpo di Celebrimbor issato su un alto palo e trafitto da frecce orchesche gli faceva da macabro stendardo ovunque andasse. L’armata di Sauron si avventò su ciò che rimaneva dell’esercito di Elrond, cui si erano aggiunti i pochi elfi fuggiti dall’Eregion. Sarebbero stati di certo sopraffatti se non fossero giunti, alle spalle delle forze di Sauron, i contingenti dei nani di Khazad Dum e degli elfi di Lorien capitanati da Amroth. Elrond la scampò per un soffio, ritirandosi a nord; fu in quell’occasione che fondò il rifugio-fortilizio di Imladris/Rivendell. La vendetta di Sauron allora si abbatté sui nani, che vennero respinti fin dentro Khazad Dum. Qui però Sauron non riuscì ad entrare, e giurò odio eterno ai nani, dando ordine ai suoi orchi di combatterli ovunque li trovassero. Restava Lindon, da attaccare. Qui Sauron stimava di avere una grande probabilità di mettere le mani sugli anelli elfici. Fu costretto tuttavia a frazionare le proprie forze per contenere l’eventuale assalto che Elrond avrebbe potuto portare sulla sua retroguardia. In seguito, gli Elfi di Lindon, aiutati da un’armata di Dunedain giunta dall'ovest, ricacciarono indietro Sauron, sebbene a costo d gravissime devastazioni. La flotta inviata in aiuto da Numenorë giunse infatti con grave ritardo, e la battaglia finale si svolse nella zona di Tharbad, dove erano stati inviati ulteriori rinforzi per l’Oscuro Sire. Questi fu comunque costretto a ritirarsi, ma venne preso alle spalle dalle forze dell’ammiraglio Ciryatur, che aveva inviato una seconda flotta più a sud, presumibilmente sbarcata a Vinyalondë/Lond Daer, ed annientato nella battaglia del fiume Gwathlo (“Inondagrigio”). Tanto fu il danno e la sconfitta della sua armata nera, che ben pochi riuscirono a tornare a Mordor. Sauron stesso, attaccato di nuovo ad est della terra di Calenardhon, si salvò a stento “con appena una guardia del corpo”, fuggendo verso la Dagorlad (“Pian della Battaglia”) e giungendo infine umiliato a Mordor. Fu così che ebbe fine un altro meraviglioso regno degli elfi. Il luogo dove tutto ebbe inizio. Ancora una volta, l’orgoglio e l’illusione di poter copiare e migliorare la natura avevano portato i Noldor (e con loro il mondo intero) sulla soglia della distruzione.

 

Dopo la distruzione di Ost-in-Edhil molte storie vennero narrate: quella dell’Anello dei nani, e di come la loro avidità crebbe grazie ad esso, spingendoli a scavare troppo a fondo sotto il Caradhras, destando un orrore dimenticato. Oppure di come Lond Ernil divenne Dol Amroth, sempre per colpa del flagello di Durin, che fece fuggire Nimrodel da Lorien. O come dopo la grande battaglia, fosse adunato il Bianco Consiglio, e due dei Tre Anelli elfici venissero dati a Elrond. Potremmo parlare della nascita del Regno di Rivendell/Gran Burrone, fondato dagli esuli di Ost-in-Edhil, o di come, sempre per colpa degli Anelli (stavolta i Nove), cinque secoli dopo la sconfitta di Sauron fecero la loro comparsa nove sinistri spettri a cavallo, o, ancora, di come per l’ennesima volta le malizie di Sauron trovarono orecchie disponibili, convincendo i Dunedain che Valinor in fondo non era certo imprendibile, e causando così l’affondamento di Numenorë.


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Lewyn Martell
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Lewyn Martell
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Inviato il 24 aprile 2004 10:38

una bella domanda x un esperto di Tolkien:

come ha avuto origine il potere di Sauron? ovvero so che era un servitore di Morgoth, ma non so dove è nato, come è entrato al suo servizio, di che razza era, e se era uno dei servitori + scarsi o uno dei + imporanti.


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GIL GALAD
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GIL GALAD
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Inviato il 24 aprile 2004 21:11 Autore

Be' dalla domanda mi pare di capire che non hai ancora letto il Silmarillion ed altri libri ad esso collegati.

Dunque vediamo di darti una rapida e breve spiegazione senza essere troppo lungo come mi capita di essere spesso:

 

Sauron

 

« L'Aborrito » (Gorthaur in Sindarin); il maggiore dei servi di Melkor, originariamente un Maiar di Aulë.

 

Sauron prima della Prima Età

 

Sauron era uno dei più possenti (forse il più possente) Maiar, ed all'inizio dei giorni serviva uno dei piu' importanti Valar Aulë il Fabbro. Da Aulë imparò molto di fucinatura e creazione, conoscenze che avrebbe usato molti anni più tardi quando costruì l'Unico Anello. Sauron come tutti gli altri Maiar sono Ainur di grado meno elevato dei Valar (singolare Maia). Gli Ainur « I Santi » (singolare Ainu); I primi esseri creati da Ilúvatar, l' «ordine» dei Valar e dei Maiar, fatti prima di Eä.

Ad ongi uno di loro Eru ha mostrato solo parte della sua mente e li ha fatti suonare per lui, e la loro musica prese forma: così nacque Arda.

L'ordine pià potente degli Ainur è quello dei Valar , che in Consiglio decidono cosa fare su Arda. Di questi i più grandi sono chiamati Aratar che erano nove fino alla caduta di Melkor.

Il Maiar sono gli spiriti meno potenti e di solito seguono i Valar che hanno interesse comuni con i loro: il Maia aiuta il Vala a curare quello che lo ha colpito di più durante la Musica.Son detti anche Popolo dei Valar, perchè loro servi ed ausiliari, ogniuno di loro segue ed aiuto il Valar con i suoi stessi interessi. Essi in pratica nascono nel vuoto dalla Fiamma Imperitura di Eru il Padre di Tutto (Ilùvatar) prima della formazione di Eà e durante la Creazione Ainulindalë « La Musica degli Ainur» vengono messi a conoscenza di una parte della sua mente. Desideroso di farsi comprendere di più rivelò agi Ainur i tre grandi temi dell'Ainulindalë, e rese vere le visioni che gli Ainur avevano avuto suonando per lui dando vita ad Eä.

Nei giorni più antichi Melkor ha sedotto Sauron e lo ha preso al proprio servizio, e Sauron è divenuto il più grande e fidato dei suoi seguaci.

 

Sauron e la Prima Età

 

Quando Melkor era prigioniero in Aman la terra benedetta dei Valar, Angband la seconda roccaforte del Primo Oscuro Signore (Morgoth) fu preparata per il suo ritorno, e si presume che Sauron ebbe una parte grande in questo lavoro.

 

Sebbene Sauron indubbiamente ha continuato a seguire Morgoth non sappiamo nulla di lui per molti secoli dal ritorno di Morgoth, fino ai giorni dopo la Dagor Bragollach, uno delle principali battaglie della Prima Era avvenute nel Beleriand.

Due anni dopo la Dagor Bragollach, la torre di Finrod (figlio di Fingolfin ed uno dei principali principi degli elfi) di Minas Tirith fu presa d'assalto da Sauron e gli Elfi che vi vivevano furono uccisi.

 

Sauron prese Minas Tirith e Tol-Sirion, l'isola su quale era la torre, fu chiamata

Tol-in-Gaurhoth, l'Isola dei lupi mannari.

Quando Beren (l'eroe più grande degli uomini della Prima Era) andò in cerca del Silmaril, fu catturato da Sauron e rinchiuso in Tol-in-Gaurhoth con Finrod.

Sauron non sapeva nulla della cerca di Beren dei Silamrilli; ma dopo averlo catturato spedì dei lupi contro gli Elfi.

Intanto Beren, Finrod ed i loro compagni furono costretti a scavare una profonda buca, ove furono divorati uno dopo l'altro. Ma Beren si salvò grazie all'arrivo di Lúthien figlia di Thingol Re Elfo del Doriath uno dei principali regni del Beleriand ed Huan il cane suo protettore che uccise Draugluin il lupo più possente mai esistito.

 

Sauron, trasformatosi in lupo a sua volta attaccò Luthien, ma egli cadde sotto il suo incatesimo e fu assalito da Huan. Fuggì così ad est del Dorthorion. Sauron nella Prima Era in generale appariva come un grande Negromante dalle fattezze di un vecchio dai poteri oscuri. Alla fine della Prima Era con la sconfitta di Morgoth Sauron in un primo tempo fa atto di penitenza davanti ad Eonwe l'araldo dei Valar e viene perdonato, ma egli poi fuggira e scomparirà.

 

 

Sauron e la Seconda Età

 

Dopo la Guerra d'Ira e la sconfitta del suo padrone Morgoth, Sauron dopo essere scomparso per molto tempo cercò di avere il predominio nella Terra-di-Mezzo e costruì la Torre di Barad-dûr.

 

Approfittando della sua capacità di trasformazione, assunse le fattezze di un uomo dal bell'aspetto e si fece chiamare Atannar, il Signore dei Doni.

Si stanziò in Eregion (l'Agrifogliere) e riuscì a raggirare i membri della Gwaith-i-Mírdain, grande confraternita di gioiellieri e fabbri elfici.

Insegnò alla Gwaith-i-Mírdain a fabbricare Anelli di Potere ed intanto apprese molti dei loro segreti.

Di nascosto fabbricò egli stesso un Anello, l'Unico Anello, nel quale infuse gran parte del suo potere malvagio. Tale Anello era il più potente tra gli Anelli di Potere, conferiva, infatti, al proprio portatore la capacità di scorgere i pensieri di chi portava gli altri Anelli e di controllarne la volontà ovunque essi si trovassero.

 

Quando Ar-Pharazôn l'ultimo sovrano dell'isola di Numenor ne usurpò il trono nel 3255 S.E., egli vide il crescente regno orientale di Sauron come una minaccia.

Quindi con una flotta veleggiò verso Umbar ed entrò in Mordor sconfiggendo Sauron. Sauron fu fatto prigioniero, ma ben presto con astute parole si conquisto la fiducia di Pharazôn e lo convinse ad abbandonare il culto dei Valar e a veleggiare contro Aman, e causò così la fine di Númenór.

La collera dei Valar fu più grande di quello che Sauron pensasse: Númenor e

con essa Sauron vennero sprofondati in mare. Nel disastro Sauron perse

la sua bella sembianza e, ripreso l'Anello di Dominio, il suo spirito tornò nella

Terra-di-Mezzo.

 

Molti anni dopo, i regni degli esuli di Númenor alla guida di Elendil scampati alla fine di Numenor avevano preso nuovo splendore, ma la minaccia covava in agguato: Sauron, che aveva preso un nuovo e terribile aspetto, preparava la guerra contro gli Eldar e gli Uomini dell'Ovesturia.

Quando Sauron vide che era giunto il suo tempo, mosse con grandi forze

contro il regno di Gondor, si impadronì di Minas Ithil e distrusse l'Albero Bianco

di Isildur. Isildur tuttavia riuscì a fuggire e portò con se un pollone dell'Albero.

 

Fu così che Gil-Galad ed Elendil si riunirono a consiglio e nacque l'Ultima Alleanza, la più grande unione di Elfi ed Uomini mai formatosi.

Partirono così da Gran Burrone, e sconfissero l'esercito di Sauron nella

Dagorlad ed assediarono Barad-dûr.

Dopo sette anni d'assedio, Sauron in persona scese in campo ed uccise Elendil e Gil-Galad, ma ne fu del pari stremato. Ma Isildur prese la parte restante di Narsil, che si era spezzata nello scontro e taglio il dito di Sauron con esso l'Anello. Così Sauron fuggi via e non assunse forma visibile per lunghi anni.

 

Il seguito credo tu lo conosca.....


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Lewyn Martell
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Lewyn Martell
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2461 messaggi
Inviato il 24 aprile 2004 22:31

Grazie GIL GALAD, sei un grande!!!


A
ALBIONE
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2154 messaggi
ALBIONE
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A

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2154 messaggi
Inviato il 26 aprile 2004 13:24

Ciao Gil!

 

Una domanda molto semplice:

 

Uomini Neri = Vagabondi = Troll ????????????? <img alt=" /><img alt=" />


G
GIL GALAD
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3945 messaggi
GIL GALAD
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3945 messaggi
Inviato il 26 aprile 2004 22:11 Autore

Vediamo un po' albione...anch'io a volte continuo a fare confusione tra queste tre definizioni che però in pratica vogliono dire la stessa cosa.

 

 

Vagabondi

 

I Vagabondi (traduzione del Sindarin Torog) o Uomini Neri o Trolls sono delle creature del crepuscolo. Sauron li aveva sfruttati e loro avevano imparato il linguaggio degli Orchetti; come le altre creature del crepuscolo alla luce del sole morivano diventando pietra.

Durante la Nirnaeth Arnoediad, Gothmog aveva Vagabondi come guardia del

corpo.

Sono molto grandi e forti ma stupidi.

Ci sono almeno tre razze di Vagabondi:

I Vagabondi delle Pietre, I Vagabondi delle Cave di Moria (o Trolls di caverna come vengono definiti nel film) e I Vagabondi delle Colline di Gorgoroth e dell'Eriador. I Vagabondi delle Pietre hanno un aspetto quasi umano; Berto, Maso e Guglielmo Huggins che Bilbo incontrò nel suo viaggio con i Nani erano Vagabondi delle Pietre. Essi parlano un linguaggio molto simile all'Ovestron. Gli altri Vagabondi invece parlano una lingua simile a quella degli Orchetti.

Alla fine della Terza Tera apparve a sud del Bosco Atro una razza di Vagabondi fino ad allora sconosciuta, gli Olog-hai. Alcuni rietevano che fossero Orchetti giganti, con la caratteristica che non temevano la luce del sole.

Stando a quello che dice Barbalbero i Vagabondi sono creature fatte dal Nemico come brutta copia degli Ent; Anche se Barbalbero è l'essere più antico della Terra-di-Mezzo, e quindi molto saggio, probabilmente si sbaglia: il Nemico non può creare ma solo cambiare e corrompere.

Modificato il 05 July 2024 17:07

Gil Galad - Stella di radianza





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Lord Beric
Custode dei Corvi Messaggeri
Guardiani della Notte
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Guardiani della Notte

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Inviato il 27 aprile 2004 13:32

Grandissimo Gil!!!!

 

 

Provo ad allegare un saggio scritto da me qualche tempo fa...

 

L’Umana Commedia

 

Nel corso degli ultimi cinquant’anni uno dei passatempi preferiti dei critici letterari è stato quello di divertirsi ad inquadrare un’opera immensa, e non solo per volume di pagine, come Il Signore degli Anelli negli schemi di un’ottica di lettura che permettesse di definirlo per intero. Questo approccio è stato sperimentato soprattutto da esponenti di correnti politiche di qualsiasi parte, che hanno cercato di appropriarsi del Tolkien-pensiero e farlo proprio. Sembra che solo in questi ultimi anni si sia finalmente compresa una verità tanto semplice quanto ineluttabile: come le vere opere d’arte, Il Signore degli Anelli è sfuggente, si ribella e svicola da ogni possibile riduzione, da ogni definizione, da ogni inquadramento all’interno di un genere letterario ben preciso. Epica o fantasy? Romanzo avventuroso o di formazione? Ovviamente un po’ di tutto, ma non abbastanza da rendere predominante un determinato aspetto. Troviamo però perdonabili quei critici che hanno speso oceani d’inchiostro per mettere in risalto determinati aspetti dell’opera, forse svilendone l’inafferrabile significato complessivo; ed il perdono arriva proprio dalla grandezza senza confini del libro: come giustamente afferma Umberto Eco, un libro è un mezzo di comunicazione pigro, e senza un lettore non può trasmettere nulla; chi difende a spada tratta la propria visione dell’opera tolkeniana non fa che raccontare la propria esperienza, il proprio rapporto con il romanzo. Ma allora, verrebbe da chiedersi, l’arte è nel destinatario? Sì, ma non solo: Il Signore degli Anelli riesce a trasmettere sensazioni fortissime a pressoché qualsiasi tipo di lettore, ecco la sua vera forza. La comunicatività.

Alla luce di questo ragionamento potrebbe sembrare assurdo e privo di significato intraprendere un’analisi monotematica come quella a cui ci stiamo per accingere, ma lo scopo di questo saggio, chiaramente, non è offrire la chiave interpretativa del libro, ma semplicemente fornire al lettore un nuovo livello di analisi, che, andando a sommarsi ad una molteplicità di altri, non potrà che impreziosire il messaggio trasmesso dalle pagine di questo capolavoro.

Altrove si parla in abbondanza della formazione profondamente religiosa del Professore di Oxford, e degli influssi che tale background culturale ebbe sulla sua scrittura, in particolar modo nel Quenta Silmarillion; noi ci limiteremo a trattare gli aspetti salienti presenti ne Il Signore degli Anelli. Il paragone che vorremmo instaurare è tanto ambizioso quanto controverso: Il Signore degli Anelli come la Bibbia. Tale similitudine, ovviamente, da ricercarsi nel valore puramente narrativo delle due opere, indipendentemente dalle origini, umane e divine, dei testi. La nostra tesi è che il Professor Tolkien, abbia voluto lanciare, tra innumerevoli altri, un messaggio di fortissima valenza cristiana, e si sia servito, per farlo, di potenti analogie con la Bibbia. Ben lungi dall’essere però una mera riproposizione del messaggio biblico, osserviamo ne Il Signore degli Anelli anche quella che riteniamo essere la posizione di Tolkien, sostenitore di una redenzione “umana” oltre che “divina”, seguendo correnti di pensiero relativamente comuni nel XX secolo, e rese note in Italia dalla poesia di Montale e dalla musica di De André.

A questo proposito occorre spendere due parole sul Quenta Silmarillion, opera primigenia e cosmogonia di Tolkien, dove la sua posizione sembra essere differente: le guerre degli Elfi contro Morgoth, il Signore del Male, hanno esito amaro, e gli Elfi sarebbero stati annientati se l’intervento degli Dei non avesse salvato il mondo dal dominio del male. Questa visione, che potremmo definire provvidenzialista, si attenuerà con il trascorrere delle Ere della Terra di Mezzo, fino alla caduta di Nùmenor ed alla curvatura del mondo, simbolo della scissione definitiva tra umano e divino: le nozze di Cadmo e Armonia, l’addio degli Dei al mondo.

Il ruolo di Salvatore e Redentore spetta dunque alla più umana e terrena delle creature, Frodo Baggins, l’hobbit chiamato a distruggere l’Anello del Potere, un potere sempre ed intrinsecamente malvagio, mentre la matrice divina della missione salvifica viene qui lasciata in sordina al solo mago Gandalf, sui cui ritorneremo. Frodo si ritrova in possesso dell’Anello per puro caso, e sarà solo dopo la prima parte del suo viaggio, una fuga dai Cavalieri Neri del male verso il rifugio sicuro di Rivendell, che accetterà il suo destino, proponendosi volontariamente come Portatore dell’Anello. Proprio in questa scena assistiamo ad un esempio commovente di umanità da parte di Frodo: egli accetta l’incarico perché sa che è giusto farlo, ma non lo ha compreso appieno, né avrebbe i mezzi per farlo; come non ricordare le accorate preghiere di Gesù Cristo al Monte degli Ulivi, e le altrettanto umane parole “Padre, allontana da me questo calice”? Solo in quel preciso istante, pare, Gesù comprende il significato completo della sua missione di redenzione; una consapevolezza che invece in Frodo acquisisce passo dopo passo nella sua missione, osservando il male insinuarsi nella Compagnia, e soprattutto lottando contro il crescente potere dell’Anello nel corso del suo avvicinamento a Mordor.

La parte di Salvatore sembra dunque calzare a Frodo; perché anche Redentore? Entra allora in gioco un altro dei protagonisti, Aragorn; di questo Re degli Uomini è sempre elogiata la condotta, l’accettazione del suo destino, la sua stessa figura prossima, potremmo dire, alla santità. Molto meno evidenziati sono i suoi dubbi esistenziali, dovuti al fatto che il suo sangue è lo stesso di Isildur, che, irretito dal potere dell’Anello, cedette alla tentazione e rifiutò di distruggerlo; ma sono proprio i dubbi di Aragorn a renderlo specchio dell’Uomo, dell’umanità desiderosa di compiere il bene ma timorosa dei propri errori: redimendo Aragorn, Frodo redime l’umanità.

Come già affermato in precedenza, il ruolo della Provvidenza, inteso come “bene” nel senso religioso del termine, viene svolto da Gandalf: nella sua persona troviamo un segnale evidentissimo della posizione religiosa di Tolkien. Il mago possiede potere, saggezza e conoscenza, ma non può usarli: il suo compito è unire i popoli liberi del mondo, convincerli ad accantonare le loro diatribe per unirsi contro l’unico nemico; proprio questo dovrebbe essere, secondo il Professore di Oxford, il ruolo della religione per l’uomo: una spinta, un impulso a trovare dentro sé stessi la volontà di compiere il bene.

Un discorso altrettanto approfondito meritano senza dubbio anche i compagni di Frodo nel viaggio verso la Terra Nera: Gollum e Sam. Le loro figure sono estremamente vicine a quelle di due Apostoli: Giuda Iscariota e San Pietro. Ma procediamo con ordine: Giuda vende Gesù ai Romani, tradendolo, ma proprio attraverso il suo tradimento permette il compiersi della missione divina di Cristo; Gollum tradisce Frodo, lo guida a Cirith Ungol per fare in modo che venga ucciso e potersi riappropriare dell’Anello, ma alla fine sarà proprio grazie al suo tradimento che l’Anello sarà distrutto. Gollum è sicuramente uno dei personaggi più significativi e controversi de Il Signore degli Anelli: è totalmente dominato dall’Anello, ma non è ancora servo del male assoluto; piuttosto, potremmo interpretare il suo comportamento come moralmente cieco. Egli non agisce per il bene o per il male, ma solo ed unicamente per sé stesso; questo lo porta a compiere azioni dalla portata devastante, giacché ragiona secondo un metro puramente personale, così diverso da quello degli eroi del libro, che sacrificano la loro individualità per un ideale. Così come Aragorn è l’uomo inteso come spiritualità, Gollum è l’uomo materiale, dannato non all’Inferno ma alla Terra.

Eppure sarà proprio merito di Gollum se il male sarà sconfitto: il Redentore, infatti, fallirà nella sua missione. Frodo, nel momento supremo, tradirà la fiducia che il mondo aveva riposto in lui, e non lo farà sottomettendosi a Sauron, l’Oscuro Signore, ma cedendo alla tentazione del Potere: cercherà infatti di reclamare l’Anello per sé, di appropriarsi del suo potere. Solo il desiderio per l’Anello di Gollum permetterà a quest’ultimo di trovare la forza per un ultimo, disperato, tentativo, che lo porterà sì a sottrarre l’Anello a Frodo, ma anche a precipitare nell’abisso. Ecco il messaggio di redenzione umana proposto da Tolkien: è l’uomo corpo, l’uomo peccatore, che concorre alla redenzione; il comportamento fuori dalla luce non è necessariamente malvagio. Se ci permettete un piccolo excursus, possiamo trovare in questo messaggio un riferimento al sentiero per il paese delle fate in Albero e Foglia, come alternativa alle vie per Paradiso e Inferno. Per ritornare a Il Signore degli Anelli, lo stesso autore esprime chiaramente questo concetto durante la battaglia del campo di Cormallen: dopo la distruzione dell’Anello, il potere che sorreggeva gli eserciti di Sauron scompare, ma “vi erano Uomini forti e coraggiosi, che tuttavia odiavano l’Ovest: costoro dunque si radunarono e si prepararono all’ultima battaglia”. Dunque, Gollum come Giuda tradisce, entrambi sono fautori della riuscita delle missioni che volevano ostacolare, ed entrambi pagano con la vita la salvezza dell’umanità.

La discordanza più grande nella proposizione del ruolo di Cristo per Frodo Baggins sta nella sua sopravvivenza alla missione; ma la contraddizione è solo apparente. Quella che sembra una banale licenza al lieto fine assume ben altro significato alla luce della redenzione terrena, che abbiamo visto essere alla base del pensiero dell’autore inglese. Frodo sì sopravvive, ma a che prezzo? Non riesce più ad appartenere al suo mondo, quel mondo per il quale ha sacrificato non la sua vita, ma la sua anima: le ferite inferte dal male, le tentazioni subite sono un veleno troppo personale ed insidioso per essere cancellate, e sortiscono il loro effetto. Per Frodo non resta che la scomparsa dal mondo, assieme agli Elfi e alla magia. Ed è su queste basi che si innesta il discorso di Sam. Fedele scudiero di Frodo, ha avuto il privilegio di percorrere i passi del suo padrone, conoscere le meraviglie supreme e gli orrori più indicibili del mondo senza essere però toccato dal potere dell’Anello. Il suo compito sarà allora ricordare, non lasciare che la memoria di ciò che era stato svanisca, che la luce elfica scompaia dal mondo. Nella sua opera possiamo ricordare San Pietro: anch’egli fonda la Chiesa per evitare che vada perduto il messaggio di Cristo. San Pietro prende su di sé le responsabilità che appartennero a Gesù, e diffonde il Vangelo.

A questo proposito è importantissimo ricordare un finale provvisorio de Il Signore degli Anelli, non inserito nell’opera definitiva, ma pubblicato nel IX volume della History Of Middle Earth. In esso si legge di un dialogo tra Sam e la figlia Elanor, concepita nell’anno della caduta di Sauron e in cui permane una traccia di bellezza elfica. Elanor si lamenta di non aver mai potuto vedere la bellezza degli Elfi, e le loro terre incantate, e piange la perdita del mondo, che dovrà fare a meno di tanta perfezione e leggiadria. Sam non può fare a meno di essere d’accordo con lei, ma la sprona ad ascoltare le vecchie storie, ad accettare per fede ciò che non può aver vissuto. Secondo il principio che vivere le storie è meglio che ascoltarle, ma anche ascoltarle è meglio del silenzio. Nell’opera di Sam non troviamo forse un’interessante analogia con il lavoro incessante, operoso e silenzioso dei primi Padri della Chiesa, che ancora ricordavano le meraviglie della vita del Redentore, e dovevano farle accettare a chi non poteva averle viste?

Alla fine di questo piccolo viaggio interpretativo, non pretendiamo di aver spiegato il fine ultimo di Tolkien nella scrittura del suo capolavoro; non ci sogniamo nemmeno di aver offerto una chiave completa di interpretazione del tema religioso ne Il Signore degli Anelli. Ci siamo limitati a tracciare poche pennellate di un quadro del quale non intravediamo nemmeno i confini della tela. Abbiamo però una speranza: che da queste idee, da queste pennellate, altri possano proseguire il quadro, con il proprio stile, le proprie interpretazioni, in un eterno lavoro di precisione che non avrai mai fine… E forse è questo lo scopo delle vere opere d’arte: permettere agli uomini di comunicare, di condividere idee, impressioni, emozioni, ricacciando indietro l’Abissale Vuoto del silenzio senza risposta.


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Lord dei Pan di Stelle - Lord Comandante dei Peluche

The best fantasy is written in the language of dreams. It is alive as dreams are alive, more real than real... for a moment at least... that long magic moment before we wake.
Fantasy is silver and scarlet, indigo and azure, obsidian veined with gold and lapis lazuli. Reality is plywood and plastic, done up in mud brown and olive drab.
Fantasy tastes of habaneros and honey, cinnamon and cloves, rare red meat and wines as sweet as summer. Reality is beans and tofu, and ashes at the end.
Reality is the strip malls of Burbank, the smokestacks of Cleveland, a parking garage in Newark. Fantasy is the towers of Minas Tirith, the ancient stones of Gormenghast, the halls of Camelot.
Fantasy flies on the wings of Icarus, reality on Southwest Airlines.
Why do our dreams become so much smaller when they finally come true?
We read fantasy to find the colors again, I think. To taste strong spices and hear the songs the sirens sang. There is something old and true in fantasy that speaks to something deep within us, to the child who dreamt that one day he would hunt the forests of the night, and feast beneath the hollow hills, and find a love to last forever somewhere south of Oz and north of Shangri-La.
They can keep their heaven. When I die, I'd sooner go to Middle-earth.

 

[George R. R. Martin]

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Inviato il 27 aprile 2004 13:44

Grazie Gil e complimenti LordBeric! <img alt=" />



Lord Beric
Custode dei Corvi Messaggeri
Guardiani della Notte
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Lord Beric
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Guardiani della Notte

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Inviato il 28 aprile 2004 11:46

Rileggendo la fantastica risposta di Gil alla mia domanda su Celebrimbor, ho notato come Tolkien abbia voluto mettere in risalto le similitudini tra quest'ultimo e suo nonno Feanor, sia nel bene che nel male.

 

Ho pensato allora che il fatto che i Tre Anelli degli Elfi siano legati ad Acqua, Aria e Fuoco possa essere in relazione con i luoghi dove sono finiti i Silmaril, ovvero i cieli, il mare e un vulcano...

Pensare questo è solo una mia supposizione o si tratta di una similitudine volontaria da parte di Tolkien?


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Fantasy tastes of habaneros and honey, cinnamon and cloves, rare red meat and wines as sweet as summer. Reality is beans and tofu, and ashes at the end.
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Why do our dreams become so much smaller when they finally come true?
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Inviato il 29 aprile 2004 19:47 Autore

Ora non ricordo se nelle sue lettere Tolkien parlasse di questa similitudine, mi pare di si ma non ne sono sicuro cmq è una cosa molto probabile pensando che Feanor era il nonno di Celebrimbor. Beric complimenti per il tuo saggio!!!


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Inviato il 29 aprile 2004 20:58 Autore

Link originale: http://www.eldalie.com/Saggi/IntervistaBBC.htm

 

Intervista a Tolkien

 

Trasmessa per la prima volta nel gennaio 1971 nel programma della BBC Radio 4 "Now Read On...". L'intervistatore era Dennis Gerrolt.

 

T: ...molto prima di aver scritto Lo Hobbit e molto prima di aver scritto questo qui [1] io avevo elaborato la mitologia di questo mondo [2].

G: Così aveva una sorta di schema sul quale era possibile lavorare?

T: Saghe immense, sì... è stato assorbito come fu lo stesso Lo Hobbit, lo Hobbit originariamente non ne faceva affatto parte ma non appena si mise a ad andare in giro per il mondo entrò a far parte delle sue attività. [effetto realistico di accensione di un fiammifero inserito dalla BBC]

G: Così i suoi personaggi e la sua storia presero effettivamente il controllo.

T: [accende la pipa]

G: Ho detto prendere il controllo, non intendevo dire che lei fosse completamente sotto il loro incantesimo o qualcosa del genere...

T: Oh no no. Io non gironzolo assolutamente mentre sogno, non si tratta in alcun modo di una ossessione. Tu hai questa sensazione che a questo punto A, B, C, D solo A o uno di loro è giusto e tu devi aspettare finchè non lo capisci. Io avevo delle mappe naturalmente. Se vuoi fare una storia complicata devi lavorare con una mappa altrimenti non potrai mai farne una mappa dopo. Le lune a cui penso alla fine erano esattamente le lune e i tramonti ottenuti così come erano in questa parte del mondo nel 1942. [la pipa si spegne] [3]

G: Ha cominciato a scriverlo nel '42?

T: Oh, no. Ho iniziato non appena uscì Lo Hobbit - negli anni '30.

G: E' stato finito appena prima di essere pubblicato...

T: Scrissi l'ultima... attorno al 1949 - Mi ricordo di aver davvero pianto al finale. Ma poi ovviamente c'è stato un tremendo lavoro di revisione. Battei a macchina l'intero lavoro due volte e parti di esso molte volte, su un letto in una soffitta [4]. Non potevo naturalmente permettermi il costo della battitura. Ci sono pure alcuni errori e [riaccende la pipa] mi diverte anche dirlo, perchè suppongo di essere nella posizione in cui non ha importanza cosa pensa la gente adesso di me - ci sono alcuni spaventosi errori di grammatica, che sono proprio scandalosi per un Professore di Lingua e Lettatura Inglese.

G: Non ne ho trovato nessuno.

T: Ce ne è uno dove ho usato bestrode come participio passato di bestride [5]! [ride]

G: Non si sente in qualche modo colpevole del fatto che lei come filologo, come Professore di Lingua Inglese delle cui reali fonti si occupa, abbia dedicato una grande parte della sua vita ad un oggetto di finzione?

T: No. Sono sicuro che abbia fatto molto bene alla lingua! C'è un bel pò di saggezza linguistica all'interno. Non soffro di alcun complesso di colpevolezza per quanto riguarda Il Signore degli Anelli.

G: Ha una particolare predilezione per quelle comodità della vita casalinga che la Contea rappresenta: la casa e la pipa e il fuoco e il letto - le virtù casalinghe?

T: Lei non ce l'ha?

G: Lei non ce l'ha Professor Tolkien?

T: Ma certo.

G: Ha una particolare predilezione per gli Hobbit?

T: E' per questo che mi sento a casa... La Contea è molto simile al tipo di mondo in cui sono divenuto per la prima volta consapevole delle cose, il che forse era più commovente per quanto mi riguardi non essendo nato lì, sono nato a Bloomsdale in Sud Africa. Ero molto giovane quando tornai ma allo stesso tempo colpisce la tua memoria e la tua immaginazione anche se pensi che non l'abbia fatto. Se il tuo primo albero di natale è un eucaliptus che si sta appassendo e se di solito sei infastidito dal caldo e dalla sabbia - allora, trovarti giusto nell'età in cui l'immaginazione si schiude, in un tranquillo villaggio del Warwickshire, penso che ciò produca un amore particolare per quella che si può chiamare la campagna delle English Midlands, basata su acqua buona, pietre e olmi e piccoli fiumi tranquilli e così via, e ovviamente gente campagnola tutt'intorno.

G: A che età è arrivato in Inghilterra?

T: Suppongo a tre anni e mezzo. Molto commovente naturalmente perchè una delle cose per cui la gente dice di non ricordare è - è come fotografare costantemente la stessa cosa sulla stessa lastra. Minimi cambiamenti danno semplicemente una figura sfocata. Ma se un bambino ha un cambiamento improvviso come quello, è conscio. Quello che cerca di fare è far entrare i nuovi ricordi nei vecchi. Io ho un ricordo perfettamente chiaro e limpido di una casa che ora so essere in realtà un pastiche ben costruito della mia casa a Bloomfontein e la casa di mia nonna a Birmingham. Posso ancora ricordarmi di scendere in strada a Birmingham e pensare che cosa era successo al grande portico, che cosa era successo al balcone. Di conseguenza ricordo le cose estremamente bene, riesco a ricordare di fare il bagno nell'Oceano Indiano quando non avevo ancora quasi due anni e lo ricordo molto chiaramente.

G: [6] Frodo accetta il fardello dell'Anello e impersona come personaggio le virtù della sopportazione prolungata e della perseveranza e con le sue azioni uno può quasi dire che nel senso buddista lui "acquisti merito". Lui diventa infatti quasi una figura di Cristo. Perchè ha scelto un mezzuomo [7], un hobbit per questo ruolo?

T: Non l'ho fatto. Non ho fatto molte scelte, vede avevo scritto Lo Hobbit... tutto quel che stavo cercando di fare era continuare dal punto in cui lo Hobbit si era fermato. Avevo gli hobbit per le mani.

G: Certamente, ma Bilbo non ha nulla di particolarmente simile a Cristo.

T: No...

G: Ma di fronte al pericolo più spaventoso lotta e va avanti, e vince.

T: Ma quello suppongo sembri più un'allegoria della razza umana. Sono sempre stato colpito dal fatto che noi stiamo sopravvivendo grazie all'indomito coraggio di persone abbastanza piccole di fronte a compiti impossibili: giungle, vulcani, bestie selvagge... loro lottano praticamente alla cieca in un certo senso.

G: Ho pensato che probabilmente Midgard possa essere la Terra di Mezzo o che abbiano qualche connessione?

T: Oh sì, sono lo stesso mondo. Moltissime persone hanno fatto quest'errore di pensare che la Terra di Mezzo sia un particolare tipo di Terra o che sia un altro pianeta di tipo fantascientifico ma è semplicemente una parola fuori moda per il mondo in cui viviamo, circondato dall'Oceano così come si immaginava.

G: Mi sembrava che la Terra di Mezzo fosse in un certo senso come lei dice questo mondo in cui viviamo ma in un'epoca differente.

T: No... ad un differente stadio d'immaginazione, sì.

G: Intendeva che ne Il Signore degli Anelli certe razze rappresentassero certi principi: gli elfi la saggezza, i nani l'abilità manuale, gli uomini frugalità e battaglia [9] e così via?

T: Non lo intendevo ma quando hai tra le mani queste persone devi renderle diverse. Ovviamente come tutti sappiamo alla fine abbiamo solo la razza umana con cui lavorare, è solo argilla che abbiamo. Noi tutti - o almeno gran parte della razza umana - preferiremmo avere maggior potere mentale, maggior potere artistico col che intendo che il salto tra il concepimento e il potere dell'esecuzione sarebbe accorciato, e a noi piacerebbe un tempo più lungo se non indefinito nel quale continuare a conoscere di più e fare di più. Quindi gli Elfi sono in un certo senso immortali. Ho dovuto usare immortali, non intendevo dire che erano eternamente immortali, semplicemente che loro erano molto longevi e che la loro longevità dura quanto l'abitabilità della Terra. I Nani naturalmente sono abbastanza chiaramente - non direbbe che ricordino in vari modi gli Ebrei? Le loro parole sono chiaramente semitiche, create per essere semitiche [9]. Gli Hobbit sono semplicemente campagnoli Inglesi, rimpiccioliti perchè questo riflette (in generale) la scarsa portata della loro immaginazione - non la scarsa portata del loro coraggio o del loro potere latente.

G: Questa sembra una delle grandi forze del libro, questo enorme conglomerato di nomi - uno non si perde, almeno dopo la seconda lettura [10].

T: Sono molto contento che me lo dica perchè ho avuto molti problemi. Un bel nome mi dà anche grande piacere. Io comincio sempre a scrivere partendo da un nome. Datemi un nome ed esso produrrà una storia, non al contrario di solito.

G: Tra le lingue che conosce quale furono per lei di maggior aiuto nello scrivere Il Signore degli Anelli?

T: Oh Di... tra le lingue moderne avrei detto il Gallese che più di ogni altro mi ha sempre attratto per il suo stile e per il suo suono, anche se all'inizio lo vedevo semplicemente sui vagoni di carbone, avevo sempre desiderato sapere di cosa si trattasse.

G: Mi sembra che la musicalità del Gallese venga fuori nei nomi che lei ha scelto per le montagne e per i luoghi in generale.

T: Molto. Ma il Finlandese ha avuto su di me un'influenza più incomparabile, molto potente.

G: Il libro deve essere considerato un'allegoria?

T: No. Non mi piace l'allegoria ogniqualvolta ne sento l'odore.

G: Considera il mondo in declino così come declina la Terza Era nel suo libro e vede una Quarta Era per il mondo attuale, il nostro mondo?

T: Alla mia età sono esattamente il tipo di persona che ha vissuto attraverso uno dei periodi di cambiamento più veloci noti alla storia. Sicuramente non potrebbe esserci in settanta anni un cambiamento così grande.

G: C'è un'atmosfera autunnale lungo tutto Il Signore degli Anelli, in un caso un personaggio dice che la storia continua ma mi sembra di esserne estromesso... comunque tutto è in declino, svanente, almeno verso la fine della Terza Era ogni scelta tende al soppiantare qualche tradizione. Ora questo mi sembra qualcosa come il "cambiò il vecchio ordine, cedendo il posto al nuovo, e Dio realizza se stesso in molte vie" di Tennyson [11]. Dov'è Dio nel Signore degli Anelli?

T: E' menzionato una o due volte.

G: E' l'Uno?

T: L'Uno, sì.

G: Lei è un credente?

T: Oh, sono un Cattolico Romano. Un devoto Cattolico Romano.

G: Desidera essere principalmente ricordato per i suoi studi sulla filologia ed altre materie o per Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit?

T: Non avrei dovuto pensare che ci fosse molta scelta in questa faccenda - accetto il fatto che se sono affatto ricordato sarà per Il Signore degli Anelli. Non sarà piuttosto come il caso di Longfellow, la gente ricorda che Longfellow ha scritto Hiawatha, praticamente dimentica che lui era Professore di Lingue Moderne!

 

 

Note

 

[1] Il Signore degli Anelli.

[2] Si riferisce al "mondo" in cui erano ambientate le leggende del "Silmarillion".

[3] In questa e molte altre risposte si nota la famosa tendenza di Tolkien a divagare tra argomenti che l'ascoltatore non poteva non trovare sconnessi. Non so quanto ciò dipenda dalla trascrizione di E. Voss e quanto dallo stesso Tolkien.

[3] Nel Marzo del 1947 la famiglia Tolkien si trasferì al n° 3 di Manor Road in Oxford. La casa era troppo piccola per le esigenze dei Tolkien e lui dormiva in soffitta (Cfr. JRR Tolkien a Biography; Humphrey Carpenter).

[5] to bestride, pass. bestrode, p.p. bestridden: cavalcare.

[6] Come si vede l'intervistatore cerca di riportare Tolkien nel seminato.

[7] halfling, nel testo.

[8] husbandry and battle, nel testo.

[9] I linguaggi umani, specialmente l'Adunaico dei Numenoreani, sono anch'essi basati su elementi semitici, essendo influenzati dalla lingua nanica (Cfr. The Lost Road, The Lammas. Sauron Defeated, Part Three: The Drowning of Anadune).

[10] Pare a me o si coglie più di una vena ironica?

[11] "the old order changeth, yielding place to new, and God fulfills himself in many ways", nel testo.

Modificato da John Petrucci Blu il 05 July 2024 17:07 per

Gil Galad - Stella di radianza





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Inviato il 06 maggio 2004 13:32

Grande! L'ho finito di leggere ieri e mi è piaciuto molto! Grazie. <img alt=" />


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Inviato il 10 maggio 2004 23:14

Ammazza, ma chi sei? La reincarnazione di Tolkien? Devo dire che leggendo le risposte che hai dato mi sono tolto parecchi dubbi e sassolini dalle scarpe (anke se in casa giro scalzo)...Complimentoni veri da uno che di Tolkien credeva di saperne molto...Ciao <img alt=" />


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Inviato il 11 maggio 2004 21:48

Ciao Gil-Galad! ho dato una sbirciatina a questo lunghissimo thread <img alt=" /> e ho ammirato moltissimo la tua competenza e le tue risposte! <img alt=" />

io ho un problemino, anzi una serie di problemi...

1) un marito

2) un marito curioso

3) un marito curioso che non ama leggere

3) un marito curioso che non ama leggere ma che ha adorato il signore degli anelli in versione filmica

...insomma la storia in se gli piacerebbe ma al solo vedere il tomo sbianca! <img alt=" />

però ogni volta che rivediamo gli extended dvd mi tempesta di domande a cui non so rispondere! <img alt=" />

preciso che ho letto ISDA, il silmarillion, racconti perduti e ritrovati... ma il signorino vuole risposte concise e quando io comincio con "beh allora ti narrerò di come i valar..." cade in catalessi <img alt=" /><img alt=" />

allora mi servirebbe una risposta sintetica (perchè è pure impaziente uff! <img alt=" /> ):

 

Gandalf appartiene a una specie di "ordine" a cui appartiene anche Saruman? e se si ci sono diversi "livelli" rappresentati dai colori, nel senso che il capo dell'ordine è il Bianco? Che ha dei poteri maggiori del Grigio? e che poteri ha in piu? <img alt=" /><img alt=" />

quando G. diventa il bianco è il nuovo capo? <img alt=" /><img alt=" />

puoi anche decidere di accoparlo, ti autorizzo! <img alt=" />

grazie e scusa per la domanda idiota!


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Inviato il 12 maggio 2004 11:05

Sì, è l'Ordine degli Istari, ovvero dei "maghi", che sono Maiar, e sono stati inviati dai Valar nella TdM per aiutare uomini ed elfi.

 

Gli Istari conosciuti finora sono Saruman il Bianco (poi Multicolore), Gandalf il Grigio (poi il Bianco), Radagast il Bruno, e due Istari Blu di cui non si sa niente, che andarono nell'Est o al Sud e qui probabilmente trovarono la morte.

 

I poteri degli Istari non sono assolutamente quelli che vedete nei film. Ognuno ha capacità diverse dagli altri, e non c'è una reale differenza di potenza.

Da quel che sappiamo, Saruman sa sedurre gli animi delle persone con la voce, Gandalf ha studiato incantesimi con la luce e il fuoco, mentre Radagast comprende e parla il linguaggio di tutti gli animali.

Come vedi, una cosa simile alla telecinesi con cui Gandalf e Saruman combattono nel primo film, non esiste assolutamente... infatti nel libro è Sauron a far tempestare neve sul Caradhras, e se pur si sente una voce, assai più probabilmente è la sua pura volontà maligna a provocarlo.

 

Il colore bianco effettivamente aumenta il potere dell'Istaro che lo porta: ma non per una sua intrinseca qualità, bensì perché identifica il capo del Bianco Consiglio, cerchia di saggi e sapienti della Terra di Mezzo, che si riunisce in casi eccezionali per affrontare l'avvicinarsi di grandi pericoli.

Membri del Grande consiglio sono i tre re degli Elfi (Cirdan, Elrond, Galadriel) e i tre Istari a noi conosciuti (Saruman, Gandalf, Radagast). Non sappiamo se vi siano anche altri membri, ma appare improbabile.

Come dicevo, il capo di questo Consiglio si veste di bianco, e ciò gli conferisce un autorità e un rispetto molto notevole sulle genti: da qui, l'accrescimento dei suoi poteri.

Infatti, nel momento in cui Gandalf spezza il bastone di Saruman, e lo degrada, egli perde molto del suo carisma, e le sue parole perdono grandemente effetto.


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