dunque se ho capito bene: dovremmo narrare la storia di uno scrittore, del modo in cui scrive una storia oppure del modo in cui è stata scritta/inventata una storia " />?
non so se riuscirò a partecipare dato che ho entrambi i pc fusi e solo fino a martedì sera starò qui dai miei, quindi spero di farcela entro quella data...
dunque se ho capito bene: dovremmo narrare la storia di uno scrittore, del modo in cui scrive una storia oppure del modo in cui è stata scritta/inventata una storia " />?
Precisamente... L'idea è proprio quella di occuparsi di come nasce una storia, o di come viene scritta, o narrata...
In giornata la Dama posterà il suo brano fuori concorso...
Come promesso, ecco qui il pezzo della Dama...
Non essendo in concorso, si permette di ripescare un suo vecchio racconto (risale a quasi sette anni fa, ormai), volutamente non revisionato per mantenere intatto quello che era il suo stile dell'epoca, pur con tutti i suoi difetti e vizi di forma...
Il Mille Lire
Era una banconota come un’altra, un semplice mille lire che di mano in mano aveva già girato per parecchi anni.
Una banconota anonima, comune, a cui non era mai capitato nulla di particolare.
Finchè non entrò in suo possesso.
Era uno scrittore, ma odiava i libri.
Era molto stravagante e credeva nella libertà delle storie, libertà che, a suo parere, sarebbe stata loro negata, chiudendole in un libro.
Aveva un gran genio, qualsiasi cosa, anche la più quotidiana, sapeva dargli spunto per un nuovo racconto.
E lui scriveva, scrivere era la sua vita, viveva per scrivere.
Ma odiava i libri, e il solo suggerimento di esser pubblicato gli sciupava la giornata e lo faceva piombare in tristi riflessioni sulla prigionia delle storie chiuse tra le pagine di un libro.
Non scriveva per vivere, anche se la sua arte avrebbe potuto fruttargli molto
Si arrabattava nell’esistenza, cercando qua e là qualche lavoretto che gli consentisse di pagar l’affitto della catapecchia in cui abitava e di mettere ogni tanto qualcosa sotto i denti.
Non si curava molto del suo abbigliamento: due vestiti gli erano più che sufficienti.
Il suo unico lusso era ciò che gli permetteva di scrivere: vernice, gessetti, pastelli, penne…
Non comprava carta, ma solo mezzi per scrivere, avrebbe trovato il supporto adatto quando gli fosse stato necessario.
Si incontrarono per caso in un piccolo bar sgangherato dove si era rifugiato per sfuggire ad un improvviso temporale.
Prese un caffè, e l’occhio gli cadde su quella banconota un po’ malandata che aveva ricevuto come resto.
La prese in mano, la guardò e le sorrise.
“Ne hai viste tante, tu…”, le disse sorridendo. “Chissà quante storie avresti da raccontare…”.
Con la testa piena di queste riflessioni si incamminò verso casa, incurante del fatto che pioveva ancora con la stessa violenza che l’aveva spinto in quel bar pieno di fumo di sigarette scadenti.
Arrivato nella sua “tana” (una piccola stanzetta non bene illuminata e maleodorante di umido e muffa che esalava dallo scarso mobilio presente) si sedette sulla branda e tirò fuori dalla tasca del cappotto rovinato la sua nuova amica, quella banconota da mille lire.
Le sorrise nuovamente.
“Hai tante storie da narrare, ma questo lo capiscono in pochi… Ed io stesso, che so legger storie anche dove gli altri non riescono a vedere nulla, faccio fatica a ricostruirne almeno un paio… Conosci tante storie, ma le serbi nascoste, sono solo per te… Chissà quante volte, chiusa in un portafoglio, imprigionata come una storia in una bella rilegatura, te le sei raccontate per ingannar la noia…”.
Non riusciva a smettere di parlare a quel mille lire, continuando a stropicciarlo tra le mani, quasi come se carezzasse i capelli di un bimbo (non aveva figli, ma quanto gli sarebbe piaciuto avere un frugoletto a cui narrare tutte quelle storie che leggeva nel mondo e che scriveva per il mondo, sui marciapiedi, sui muri per le strade, sulle porte dei bagni dei bar, sugli specchi, sui lenzuoli stesi ad asciugare, sui giornali lasciati sulle panchine…).
“Voglio farti un dono: ti regalerò un’altra storia, una storia che tutti possano leggere… Potrai passar più tempo fuori dalla prigione di un portafoglio, e insieme libererai una nuova storia…”
Prese una penna arancione brillante ed iniziò a scrivere sulla banconota la storia di un Mille Lire malandato che aveva incontrato in un bar uno scrittore stravagante che, dopo avergli dato un bacio d’addio andò a posarlo vicino a un vaso di fiori sul davanzale di una finestra di una casa.
Lysmaya, ma è bellissimo... " />
Devo riconoscere che la storia ha il suo perchè!!!Complimenti Lysmaya!Ottima idea! " />
ho una mezza ideuzza.......spero prenda forma " />
Ho scritto il racconto...ma non so se ci rientro coi caratteri...come si fa a vedere se li supero? " />
Su Microsoft Word, sul menù "strumenti", c'è la possibilità di fare il conteggio dei caratteri.
Ho scritto il racconto...ma non so se ci rientro coi caratteri...come si fa a vedere se li supero? " />
Ok,trovata la funzione...sono 4999 " />
Ecco il testo...spero di non essere andata fuori tema...
LINGUAGGI
Entrai in convento perché ero sordo e muto. E, nella mia impossibilità a discutere di Dio, imparai a contemplarlo e a capire la bellezza delle sue cose.
Pronunciai i voti un giorno d'inverno, nel freddo della grande abbazia dopo anni di noviziato. Per la mia bella grafia e per l'impossibilità di distogliere con chiacchiere inutili i miei confratelli, divenni assistente del monaco responsabile dello scriptorium.
Imparai presto a tracciare ottime maiuscole e a trascrivere i testi con sorprendente velocità, coltivando uno stile preciso e severo.
Alla morte del mio maestro divenni a mia volta responsabile della biblioteca e dello scriptorium.
Passavo molte più ore dei miei fratelli, là dentro, copiando pergamene antiche e opere dei letterati del mio tempo. In fondo, scrivere e impegnarmi erano l'unica cosa che potevo fare in un convento benedettino, dove i pilastri della vita sono il lavoro e la preghiera.
Ma la mia vita, lo confesso, non era scandita dalla preghiera vociferante nella cappella, quanto dal tempo necessario per miniare i libri. 'Infondo' pensavo 'non c'è bisogno della voce per comunicare con Gesù': gli dedicavo la mia abilità e lo adoravo ogni giorno; non dall'altare di marmo, ma dal mio scrittoio di legno.
Un giorno, quando già la mia pelle si era macchiata e le mie mani deformate dall'artrite, accadde di dover andare a porgere un'estrema unzione in città. Non succedeva spesso, anzi: era una cosa rarissima, vista la mia incapacità di recitare le formule di rito. Ma quel giorno i miei confratelli erano riuniti per eleggere il nuovo abate; era il mio assistente a dare voce alle mie preferenze in merito. Insomma, la mia presenza fisica non era indispensabile.
Partii per tempo, attraversando con calma le campagne e fermandomi spesso, o per ammirare una lepre sfuggita o per riposare sotto il sole tiepido dell'autunno. Un concerto di profumi e d'immagini mi riempiva la mente, e l'anima godeva delle creature di Dio.
Quando arrivai alla baracca indicatami, trovai la porta socchiusa. Bussai per annunciare la mia presenza, poiché era l'unico modo per introdurmi ai padroni di casa. Mi venne incontro una donna magra e macilenta, con dei grandi occhi azzurri e la pelle nerastra di sporco. Mi parlò, ma non potei rispondere. Con i gesti indicai la mia incapacità di capirla e dar suono alle corde vocali. Lei annuì e, senza più dire nulla, mi portò dal morente.
In un pagliericcio, al centro dell'unica umida stanza scura, c'era un infante minuscolo. Le manine scarne erano abbandonate sulla coperta grezza, gli occhi ancora screziati di grigio puntati verso il soffitto marcio; appena percepì la presenza della madre, li girò di scatto. Potevo sentire il suo respiro accelerare, il cuoricino indebolito dalle febbri tamburellare contro il petto minuto. Un colpo di tosse lo scosse.
Intinsi le dita nell'olio consacrato e tracciai la croce sulla fronte del bimbo, con la stessa cura con cui tracciavo croci ornate sulle mie miniature.
L'esserino mi trafisse le pupille con le sue, dilatate e vitree; non sapeva parlare neanche lui.
Mi inginocchiai accanto alla madre e mi unii alla sua silenziosa preghiera.
Il bambino morì dopo qualche ora.
Tornai al convento che il Vespro era già iniziato.
Attraversai i corridoi dell'abbazia e raggiunsi la mia cella.
Chiusi la porta a chiave, e mi stesi sul pagliericcio; ero turbato. Tanti anni di letture, di cultura, di vite vissute attraverso gli inchiostri si erano annullati in uno sguardo: quel dolore, quegli occhi muti del neonato mi avevano parlato nella mia stessa lingua. Mi sentivo pieno, come se le costole avessero potuto spezzarsi da un momento all'altro.
Presi il calamaio e la pergamena.
Iniziai a scrivere, senza badare alla grafia, alle maiuscole, ai frontespizi.
Iniziai a scrivere parole senza senso per un monaco, blasfeme ed eretiche...
Era così che si sentivano tutti gli autori che la Chiesa metteva all'Indice?! Avevano essi tutti quei dubbi perché capivano la sofferenza di chi parlava nel loro stesso linguaggio?!
Pensando al mondo ero posseduto da uno stato febbrile, una condizione totalmente diversa da quella di beatitudine che sentivo riflettendo sulle cose di Dio: prima Lui mi parlava col mio stesso verbo; ora non capiva più quello che dicevo, né io Lui.
La pergamena si riempiva di frasi sconnesse, di domande ed esclamazioni accostate con stizza e rabbia e dolore.
Il minio nella boccetta finì. I fogli stavano sparsi sullo scrittoio, solcati da slanciate lettere nere.
Mi affacciai alla piccola grata della finestra nella mia cella; guardai la luna e respirai l'odore delle foglie autunnali.
Mi sentivo più calmo, ma l'angoscia continuava ad appesantirmi lo stomaco. Scrivendo avevo lasciato sfogare la mia coscienza, certo, ma nulla più.
Se qualcuno avesse letto quei fogli, non avrebbe compreso le parole che c'erano incise sopra.
Rizzai la schiena e sospirai.
La mia lingua non era quella del suono, né dell'immagine. Era quella dell'anima.
Dunque, rispetto agli altri tuoi brani, alla Dama sembra che lo stile sia migliore (per quanto ci siano delle frasi che proprio non rendono bene), però si notano due cose: la prima è che ancora una volta non hai riletto, visto che ci sono ancora errori di battitura; la seconda è che, sebbene ogni tanto tu te ne sia accorta, insisti nel non mettere gli spazi dopo i segni di punteggiatura, cosa che, come già fatto notare, in un contest in cui c'è un numero di caratteri limite SPAZI INCLUSI, non va bene (oltre al fatto che è un errore)... In questo caso specifico, se avessi aggiunto ogni spazio al suo posto, avresti sforato il limite, non di molto, è chiaro (per pochi caratteri come è già capitato, di solito si fa rivedere e correggere, di modo da rientrare nei 5000)...
Tolte queste osservazioni, comunque, va decisamente meglio, brava!
ma lo spazio non va solo dopo il punto e il punto e virgola e le virgolette??? " />
Beh, Metal Duchess, il tuo racconto è davvero molto bello, secondo me, ed è scritto anche molto meglio dei tuoi precedenti. Il momento in cui il monaco prende in mano la penna e inizia a scrivere... l'hai saputo rendere così bene: non ho mai visto descrivere e motivare così bene quel motore che spinge allo scrivere. Anche il pensiero: Era così che si sentivano tutti gli autori che la Chiesa metteva all'Indice? Davvero vivo, reale, questo personaggio.
Alcuni appunti però:
1) Si deve mettere uno spazio dopo tutti i segni di punteggiatura, tranne l'apostrofo, la parentesi aperta, e le virgolette aperte. Solo quando ci sono segni di punteggiatura consecutivi (ad esempio, una parentesi chiusa seguita da un punto) li si mette senza spazi intermedi. In realtà, correggendo questo tuo errore, violi il limite di 5000 caratteri.
2) La frase: "Un concerto di profumi e di suoni" male si accorda a un personaggio che dovrebbe essere sordo. Non importa che i suoni sono "nella sua mente": semplicemente non va bene.
3) Non hai riletto il testo, che è pieno di refusi.
4) "Accelerare" si scrive con una sola L. È un errore comune, per questo te lo indico (non credo sia un refuso accidentale).
In ogni caso: complimenti, hai scritto qualcosa di davvero bello a mio parere.
Ok,ok...rileggo....cercherò anche di mettere gli spazi dove ci vogliono....accidenti...però sforo....aspettate che lo riguardo.... " />