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H di hacktuhana
creato il 29 gennaio 2015

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hacktuhana
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Inviato il 19 luglio 2015 0:15 Autore

Bellissima citazione! :D


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Eddard Greyjoy
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Eddard Greyjoy
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Inviato il 19 luglio 2015 0:49

Che ne pensi del prologo invece mastro hack? :)



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Seija
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Inviato il 19 luglio 2015 19:03

Tutto è rifugio

prima che il soffio sia

appena fuoco

non siamo ancora eppure

la tua premura

come il girasole

fa di cenere il bacio

la corolla.


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hacktuhana
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Inviato il 21 luglio 2015 21:19 Autore

Cadi,

e rimani afferrato alla polvere a terra,

senza alzare pretese le braccia a sostegno

ne la vista a rivolgere il cielo, lontano.

Poni il tuo stare, nuovo partire

tra creature di carte buttate

pezzi di cose finite o lasciate

dove restano impronte percorse,

abbandonate.

Guarda il mondo del chi non ha ali

e rinuncia anche al solo pensiero del sogno a venire

perché stanco di tender catene a spezzare

niente altro che ossa al dolore a sentire.

Questo è il tuo posto e respiro

sono tante le cose da fare

prospettive di nuovo scoprire

che l'inferno, ai ricordi a svanire rimane.

Tra rituali incoscienti di giorni per testimoniare

tra quei posti occupati a nessuna importanza a seguire

dove strade non leggono nomi

e ne ombre ne luci ne cambiano il senso.



Seija
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Inviato il 22 luglio 2015 19:05

Com'è

sfumato

l'orizzonte

ove il suo

animo

sa dirmi

addio,

ed il tempo non risponde

a chi l'aria

tersa

dei giacinti

chiede adesso.

È il suo

vivere

sommesso,

adagiato

come vecchio

animale stanco

ed inerme

a toccar

il cielo.


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hacktuhana
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hacktuhana
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Inviato il 28 luglio 2015 18:33 Autore

Ridete di chi,

alla vita ha già dato lettura di favola senza morale,

ridete di chi,

al silenzio di vuote ragioni, è riuscito a rispondere senza perché

ridete di chi,

ai più alti ideali possibili, ha lasciato il mondo a lottare per se,

ridete di chi,

ai potenti che regnano i popoli, nasconde il dubbio.

 

Ridete di chi,

al peccato ha rinchiuso ogni senso, che sia di essere o di esistere,

ridete di chi,

alla morte ha sorriso chiedendo di vivere dentro,

ridete di chi,

ha creduto all’amore, per sempre ha dato ragione di credere,

ridete di chi,

agli dei che sovrastano i cieli ha finito di chiedere.

E ridete di chi,

nasconde per se, l’ultima lacrima,

ma ridete di chi,

ogni cosa che sente o che prova, rimane con se.

Ridete di chi,

sia che canta o che suoni, ricerca soltanto una chiave per continuare,

ridete di chi,

no, non crede a quel che si vede, perché altro, sicuro, da vedere c’è,

ridete di chi,

ha sognato di avere le ali, per fuggire via da questa verità,

ridete di chi,

per tutti quanti i sogni avuti, sognerà ancora.



Seija
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Inviato il 29 luglio 2015 21:28

Vergine

la sera

al tuo bacio

germoglia di brevi sospiri

arpa

superba viandante

tintinna

la sciarpa del sole

dissolve

in piccole scintille nella notte.


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Eddard Greyjoy
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Inviato il 31 luglio 2015 11:54
Il metro è mezzo libero. Spero apprezziate. :)



Li occhi lor voltaro mezzi chïusi

ver' la culla del filio d'Iperione

un'om e un bimbo ancor per son confusi.


In suso mirò e l'anda sua tese

sì che parea che l'astro più caro

tanger volesse, mä infin s'arrese


Quel tristo omo, piagnendo, e in sé cruccïossi:

"Malo Fato, più non lùcon i soli

miei, che or celati sono e freddi ossi.


Perso e disprato, naviante sen' faro

mi sento già io e 'torno ogne cosa

è un sido muto, oh Destino amaro!"


Finì el il sermon sì doloroso.

Come il bronzo lucente e il bïanco marmo

da mano ingeniosa, stette pensoso.


Muto spirava Zefro e geldo

assai, comë il palmo sì amato

'venne, pria in vita liscio e caldo.


Le verdi torri alate e i bassi tetti

mirò e i muti occhi ancor innocenti,

dell'afflitto padre già ultimi affetti.


Lo stesso fecer e un ingenuo riso

nacque, solo in quel tristo buio mondo

del patre suo sì scuro nel viso.


Il figlio del Sole guardò, sola sua

speme di trovar fior di gioia,

l'uomo buio e ritornò in casa sua.

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hacktuhana
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Inviato il 13 agosto 2015 20:47 Autore

Ti diranno cose che ti faranno male.

E ti arriveranno addosso, seppure non le sentirai appartenerti,

penetreranno il sangue, a farsi strada fino al cuore,

strisciando come insinuazioni senza fondo.

Ti faranno male, nonostante continuerai a ripeterti il contrario.

Avranno il marchio del giudizio di chi guarda il mondo,

con niente altro che i propri occhi, chiusi dalle proprie certezze.

E apparterrai, a questa o quell'altra categoria di caduti, di perduti,

di sbagliati.

Quando poi sarà anche solo uno pronunciato da chi nel cuore hai lasciato far entrare, allora avrai persino perso.

E no, non basterà rassegnarsi.

Nemmeno urlare le tue ragioni.

Aprirai gli occhi al pianto, e forse,

continuerai a camminare con le stesse gambe che avevi.

Con una certezza perduta, ed un nuovo nero pensiero conquistato.


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Inviato il 14 agosto 2015 16:41 Autore

Se non ti avessi incontrata, adesso sarei

lacrime per chi mi avrebbe ancora ricordato,

polvere d'eco nei suoni del vivere giorno per giorno,

forse un pensiero o un rimpianto lontano

a chi ogni tanto un sorriso ho strappato.

Che di mani a cui affidi il cuore, tra tante,

difficile è trovare quelle che,

stringendolo anche fino a far male,

faranno ogni cosa per non farlo cadere,

sorridendo gioia allo stesso ritmo del battito in petto.

Io ti ho trovata, tra occhi a giudizio marchiati

e catene al pensiero che osserva soltanto il peccato.

Dovunque vorremo finire di andare,

io sarò lì,

con tutto e ogni cosa che sono.



Seija
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Inviato il 31 agosto 2015 15:26

Non tacero'il silenzio,

non scriverò, questa notte.

Da troppo tempo manca questo posto,

ciglio scolorito del mio giardino,

non ho più l'unico

scalino del mattino.

Ho vagato per quei tuoi occhi quieti

ma ogni volta, ancora, domani,

il sipario toglieva l'estremo ricordo

per l'addio più effimero.

Vesti lievemente distese

dell'oscura inquietitudine notturna

legan di stella in stella

il sentiero che abbiam perduto.

Partiremo.

Ci lasceremo accanto

stracci di fiori appassiti

che si gettano dalle nostre parole

nel mare più salato,

dolce abbraccio,

lieve appiglio a quella fiera nave.

Ma tu lasciala andare,

la mia unica notte,

le sue vele baciate dal vento

raccontan lente il mio sapore.


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Inviato il 28 ottobre 2015 20:44

Salve a tutti! Scopro solo ora che siete in molti a scrivere poesie e racconti; in fremente attesa dell'apertura di un nuovo Contest di Scrittura Creativa ho deciso quindi di pubblicare per la prima volta un mio racconto e sarei curioso di sapere che ne pensate di questo mio breve scritto. Saluti dal Lupo di Angband!! :D


1. La Bussola di Chauchat


Aprì gli occhi e il vento pungente sferzò il suo viso con violenza. Appena sopra la linea dell'orizzonte una pennellata di ocra aveva tinto il cielo e la luce stanca andava a tuffarsi negli abissi di quel mare nero.

"Il Sole sta tramontando o è l'alba di un nuovo giorno?" Spostando lo sguardo dalla parte opposta vide le creste delle montagne cariche di neve confondersi con una tonalità intensa di indaco che verso l'alto veniva inghiottita dal nero più cupo. L'uomo si trovava sulla punta più estrema di una lingua di roccia dove la neve era presente a tratti, lunga occhio e croce mezzo miglio; la piccola penisola poi curvava dolcemente verso le montagne formando una baia, e su un costone di roccia perfettamente liscio poteva scorgere da lontano quello che poteva essere uno sparuto gruppetto di foche.
Dopo questi primi attimi di spaesamento, subito si affacciarono con prepotenza delle domande nella mente dell'uomo: "Dove sono? Come sono finito su questo deserto di basalto, neve e acqua?" E soprattutto "Chi sono!?"
Una paura terribile si impadronì dell'uomo, ma non riuscì a sopraffarlo del tutto e dopo qualche istante la ragione tornò a prendere il controllo di quel corpo intirizzito in balia del vento. Innanzitutto si accorse che ciò che non riusciva a ricordare riguardava solamente se stesso; d'altro canto era riuscito però a classificare quei pinnipedi come foche e aveva subito scorto nel firmamento quel disegno composto di cinque stelle che la sua memoria riconobbe come Croce del Sud.
I suoi occhi nel frattempo si posarono su un consumato sacco di juta chiuso da due giri di spago adagiato ai suoi piedi. Decise che dentro quella borsa avrebbe trovato risposta ad alcune almeno delle sue domande e in meno di dieci secondi le sue mani, seppure coperte da ingombranti guanti di pelo d'orso, liberarono il sacco e si tuffarono nel suo contenuto: emersero prima tre scatolette di carne salata e un pacchetto di fiammiferi ormai quasi completamente scolorito. Ne erano rimasti una trentina. Mano a mano tirò fuori altri oggetti: una lampada a olio che una volta scossa si rivelò piena quasi per metà; un cucchiaio di legno, un coltellaccio alloggiato in un fodero di cuoio, un maglione rosso di lana con un grosso strappo sul davanti all'altezza del pettorale destro, un sacco a pelo sgualcito imbottito di lana anch'esso, una matita. Tutta roba che lo avrebbe aiutato a sopravvivere in quella landa desolata per due giorni o tre al massimo.
Contava di trovare in quella borsa almeno una mappa geografica e aveva desiderato con tutto il cuore di imbattersi nella copertina consunta di un diario che gli rivelasse almeno parte del suo passato. La realtà gli aveva crudelmente ricordato, se anche di questo si fosse dimenticato, che le speranze degli uomini il più delle volte erano fatte per essere fatte a brandelli dal corso degli eventi.
Alzò di nuovo gli occhi al cielo e un paio di strattoni di vento gelido gli imposero di abbassare la testa e di coprirsi con un braccio il viso che la sua cuffia non riusciva a tenere al riparo. La corrente d'aria, placatasi per qualche istante, gli permise di notare che la luce, dapprima fioca, stava per scomparire del tutto e ormai sull'orizzonte marino si poteva intuire solo qualche sfumatura rosso-violacea.
"Così è il tramonto. Sarà meglio trovare un posto meno esposto dove passare questa lunga notte. Forse la mia ultima notte...".
Si caricò sulle spalle il sacco di juta e cominciò a camminare sulla lingua di terra in direzione delle sagome ancora visibili delle montagne; lì avrebbe forse trovato un riparo di fortuna in qualche anfratto naturale.
Un passo dopo l'altro, spinto all'indietro dal vento pungente che lo rendeva incapace persino di rimuginare sull'incredibile situazione in cui l'uomo si era trovato suo malgrado, era giunto a fatica vicino al costone di roccia, ora deserto, dove dapprima aveva visto le foche. Lì il pendio iniziava a salire meno bruscamente verso l'alto e nella penombra intravide una concavità fra due rocce che sembrava essere in grado di ospitare un giaciglio improvvisato. Iniziò la scalata tra sassi e neve e prima che tutt'intorno a sé diventasse tenebra era sdraiato nel suo rifugio.
Era una notte senza luna ma il cielo stellato pulsava e mandava barbagli. Intorno a lui solo l'assordante tuonare del mare.
Aveva scansato e ammonticchiato da una parte, con gli scarponi che aveva i piedi, la neve trovata ai piedi degli speroni di pietra e se ne stava supino in mezzo a quel rifugio naturale dove il vento riusciva a penetrare con minor forza. Accanto alla propria testa la lampada a olio emanava una luce debolissima, ma all'uomo quella fiammella riscaldava il cuore e rinvigoriva le sue speranze di salvezza.
Non riusciva però a capacitarsi del fatto che non riuscisse a ricordare niente del suo passato. All'inizio pensò a una perdita di memoria momentanea dovuta magari agli stenti del viaggio che probabilmente aveva dovuto affrontare per arrivare in quel luogo dimenticato da Dei e uomini e all'inclemenza degli elementi naturali tutt'attorno.
Così si rifocillò: aprì una scatola di carne salata, la prese con le mani, succhiò, morse e deglutì. La carne era dura da staccare e molto salata, tanto che dopo quattro o cinque bocconi prese con i guanti un mucchietto di neve dal monticello che aveva formato prima di stendersi e alleviò l'aridità della bocca e delle labbra. Continuò il pasto e terminò il tutto con un altro pugno di neve.
I suoi ricordi non riaffiorarono neanche dopo la cena e l'amarezza andava sostituendosi alle iniziali speranze di salvezza.
"Mi rimangono due scatolette di carne, una ventina di fiammiferi e questa lampada. Altri due giorni in questo posto infame e diventerò la cena di foche e gabbiani".
Stava per spegnere la fiammella della lampada per cercare di riposare e per conservare un po' di quell'olio prezioso, quando sentì il contatto di un oggetto all'interno dei suoi pantaloni. Sbucò fuori dal suo sacco a pelo incurante del gelo e si accorse per la prima volta, alla luce della lampada, che i suoi pantaloni avevano due tasche. La sinistra era vuota e pure bucata; nella destra sentì il profilo di un oggetto tondo largo il palmo di una mano. Si sfilò con riluttanza un guanto per poter estrarre più facilmente l'oggetto e al tatto capì che doveva essere qualcosa di speciale.
L'oggetto era metallico ma al tocco sentì un calore intenso e anormale, soprattutto a quelle temperature. Lo tirò fuori: era una bussola! La avvicinò alla lampada a olio per osservarla meglio: la cassa era di un metallo scuro che non sapeva identificare con precisione ma che assomigliava al piombo. Anche il peso poteva avvicinarsi a quello del piombo. All'interno del quadrante però la bussola appariva strana. Non era divisa nei classici punti cardinali. Più precisamente, non era divisa affatto! Sul piatto del quadrante, dello stesso metallo della cassa, vi erano delle incisioni che al primo impatto l'uomo giudicò scarabocchi, ma che a ben vedere rappresentavano indeterminate figure sovrapposte. L'uomo girò più volte l'aggeggio per capire quale fosse la posizione normale della bussola; ci riuscì solo dopo qualche tentativo quando finalmente riconobbe un piede, una corona e un fiore, uniche figure comprensibili perché poste sulla parte più esterna del quadrante (dove si intersecavano meno linee), poste rispettivamente in basso a sinistra (dove si sarebbe dovuto trovare il SudSudOvest), in alto e sulla destra. Alla luce della lampada non potevano passare inosservati i riflessi di piccolissimi rubini e smeraldi sparpagliati per il quadrante.
Sotto al vetro l'ago argenteo puntava sicuro e fermo al di là delle montagne ma certamente non puntava il Nord: triangolando la posizione della Croce del Sud con il punto in cui il Sole era tramontato, la bussola indicava pressapoco l'Est.
L'uomo girò la bussola ed ecco un'ulteriore sorpresa: altre incisioni, stavolta nitide e scritte in un francese un po' oscuro:
Per Sapere occorre Dimenticare.
Per Dimenticare è necessario Sacrificare.
Per Sacrificare bisogna Credere.
Segui l'Ago e perditi.
L. Chauchat
Ecco qualche informazione che poteva risultare utile per capire chi era. Si prese del tempo per decifrare quella sciarada ma alla fine si soffermò più che altro su quello che con tutta probabilità doveva essere un nome: quindi era lui L. Chauchat? "O forse potrei aver rubato questa bussola al legittimo proprietario. Per quel che ne so le incisioni potrebbero essere versi di una poesia e quello sotto il nome dell'autore". Le possibilità erano infinite. Per il momento comunque decise che si sarebbe appropriato di quel nome, "L", giusto per sapere come rapportarsi con se stesso!
Segui l'Ago e perditi. Aveva scelta? L'unica opzione sensata, nella sua insensatezza, era credere nel funzionamento di quella bussola apparentemente smagnetizzata e sperare che lo avrebbe portato in qualche modo in salvo. L'altra opzione era comunque quella di vagare casualmente tra quell'ammasso indistinto di roccia e neve in attesa della propria morte per ipotermia, per fame, o a causa di qualche belva che non era del tutto escluso si potesse aggirare da quelle parti. Inoltre tra i tanti oggetti di cui si era scoperto possessore, quello era l'unico che aveva trovato in tasca. Forse perché il più importante; o forse solo perché una bussola era più comodo averla sempre a portata di mano per consultarla.
Posticipò la scelta definitiva sul da farsi alla mattina seguente.
Gli occhi erano pesanti e L faticava a tenerli aperti. Spense il lumicino, si rinchiuse dentro il sacco a pelo e scivolò quasi istantaneamente in un sonno senza sogni.
Modificato il 05 July 2024 17:07

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hacktuhana
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Inviato il 31 ottobre 2015 16:23 Autore

L come Lupo? :)

 

Bello!

Ottimo scritto.

 

Per caso (L)ontano parente di quello "F" di un certo pendolo? :D

 

Attendiamo il seguito :)


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Inviato il 02 novembre 2015 16:34

L come Lupo? :)

 

Bello!

Ottimo scritto.

 

Per caso (L)ontano parente di quello "F" di un certo pendolo? :D

 

Attendiamo il seguito :)

Grazie Hack!

 

Eco è sicuramente un punto di riferimento ma più a livello di affinità di concetti che per trama e personaggi; il Pendolo di Foucault non c'entra troppo con questo scritto.

Al massimo potrebbe essere un brutto lontano parente della Torre Nera di King! :stralol:

Appena ho un po' di tempo finisco il 2° capitolo e lo pubblico! :scrib:


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Inviato il 02 novembre 2015 22:40
2. La traversata
Uno, due.
Il piede sinistro affondava nella neve fresca al centro della stretta valle che si snodava tra le creste delle montagne torreggianti contro il cielo terso. Uno.
Lo scarpone destro con un lento movimento ormai meccanico superava di una spanna l'altro scomparendo anche lui all'interno di quella coperta bianca. Due.
Uno; Due.
L. aveva iniziato la sua marcia che ancora quel Sole pallido non si era ancora alzato; durante quella gelida notte era riuscito a dormire a tratti, svegliato dai morsi del freddo e da sussulti di paura. La prima volta che si era svegliato si era tolto gli scarponi e aveva avvolto i piedi nel maglione rosso strappato, strofinando i piedi l'uno contro l'altro e muovendo le dita per non farle congelare. Si era addormentato e ridestato un altro paio di volte quella notte, ma pareva che le tenebre non si sarebbero dileguate mai più. Con i primi chiarori dell'alba, ancora tremante, aveva deciso di incamminarsi verso nord seguendo il disegno della costa. Sperava di trovare un villaggio con camini fumanti, ma avrebbe apprezzato anche la vista di un eremo di un qualche missionario strampalato. Dopo un'ora di cammino gli era parso di rimanere fermo al punto di partenza: a sinistra il mare immutabile col suo andirivieni di onde, a destra picchi montuosi grandi e piccoli, ma tutti invariabilmente bianchi con chiazze nere là dove la roccia scoscesa impediva alla neve di posarsi; sotto ai suoi piedi solo rocce e scogli, intervallati di tanto in tanto da piccole spiaggette di sassi scuri che rendevano il suo passo ancora più pesante e faticoso.
Ogni tanto si portava la bussola sotto gli occhi: l'ago puntava ancora con tenacia verso est ma L. continuava il suo percorso a nord con il mare a fianco.
Il Sole completò un quinto del suo arco e alla vista di un valico meno impegnativo sul pendio a destra finalmente quel mucchietto d'ossa infreddolite decise di virare istintivamente verso le montagne, per giocarsi la sua ultima carta di salvezza.
Uno. Due.
Ormai il mare si era nascosto dietro i rilievi che L. aveva superato con fatica e da qualche tempo non sentiva il tuono delle onde neanche quando il vento soffiava da ovest; il tiepido Sole intanto aveva percorso metà del suo cammino quotidiano.
Segui l'Ago e perditi. "Perso mi son perso. Se non altro non proverò rimorsi per non aver seguito questo sciagurato consiglio!".
Aveva deciso di procedere seguendo le curve sinuose delle valli anche quando andavano in direzione opposta all'ago di quella sottospecie di bussola per poi svoltare verso est appena vedeva un passaggio o un valico che gli avrebbe consentito di non sprecare quel po' di energie che gli erano rimaste.
Durante la marcia, oltre a gambe e braccia, era riuscito a scaldare anche un po' la materia grigia del suo cervello e da alcune congetture era riuscito a comprendere un po' meglio la geografia di quella landa desolata.
Sicuramente si trovava nell'emisfero australe (aveva visto la Croce del Sud) e a una latitudine piuttosto bassa visto che il Sole era piuttosto schiacciato sull'orizzonte e data l'assenza pressoché totale di alberi e cespugli. Almeno per quanto riguardava belve feroci doveva quindi essere al sicuro!
Il fatto che la terraferma non fosse coperta totalmente di neve a quelle latitudini, specie sulla costa, lo aveva poi assicurato sul fatto che non fosse inverno, il che aumentava le probabilità di incontrare gente in un villaggio di pescatori stagionali o di imbattersi in una spedizione scientifica; per questo L. aveva inizialmente deciso di non marciare verso l'interno.
Più per istinto che per una qualche motivazione logica era giunto però poi anche alla conclusione che doveva trovarsi su un'isola dei Mari del Sud e quindi forse, seguendo l'ago e sperando in un'isola di modeste dimensioni, avrebbe dovuto raggiungere la costa est e quella che sperava essere la sua salvezza.
L. superò l'ennesimo passo, vicino alla vetta più alta che aveva visto su quella terra inospitale; in cima si guardò tutt'intorno: il tramonto era prossimo e tutt'intorno non c'era che neve e roccia, grigio e bianco.
Si preparò mentalmente per la seconda notte di bivacco all'addiaccio.
La seconda notte fu anche peggio della prima: per prima cosa non era riuscito a trovare un riparo adeguato come quello della sera avanti e aveva dovuto dormire praticamente alla mercé del vento che sferzava, se possibile, con ancora maggior forza le valli tra le montagne e che spruzzava sul viso e il sacco a pelo di L. neve e ghiaccio, tanto che dovette alzarsi un paio di volte per scrollarsi di dosso quella che stava diventando ormai più che una bianca coperta aggiuntiva.
Le dita dei piedi si muovevano sempre più a fatica e anche quelle delle mani iniziavano a risentire del gelo polare. Solo il calore della bussola, che L. si era passato a intervalli su piedi e mani, aveva evitato la cancrena delle dita degli arti.
Inoltre rimaneva solo una scatola di carne e L. aveva dovuto combattere contro i suoi istinti per rinunciare a mangiare d'un fiato anche l'ultima razione rimasta.
Anche il suo vigore mentale nel frattempo si infiacchiva e aveva smesso di farsi domande sul perché era finito su quel maledetto scoglio in mezzo al mare.
Il mattino non poté fare a meno di mangiare la metà dell'ultimo pezzetto di carne rimasta e poi partì di nuovo verso la direzione segnata dalla bussola senza neanche più la forza di pensare che avrebbe potuto non essere la direzione della salvezza, ma solo la tragica burla di un ago impazzito.
Uno.
Due.
Se ne stava per andare anche il secondo giorno in mezzo alle cime grigio-bianche e sotto un cielo che aveva iniziato a coprirsi di nuvoloni bianchi.
Fu solo verso la fine della giornata che un avvenimento ruppe la monotonia della marcia che sembrava ormai destinata a finire con la morte di L.. Stava effettuando l'ennesimo valico su un pendio scosceso quando istintivamente il suo sguardo venne richiamato alle sue spalle: neve, roccia e vento. Poi le vide: due sagome dello stesso colore del paesaggio si muovevano quasi impercettibilmente qualche miglio più a nord, su una valle che aveva percorso giusto qualche ora prima.
"Uomini! Hanno seguito le mie tracce e stanno venendo a prendermi!"
Agitò le braccia contro il cielo e gridò con tutta la forza che aveva in corpo. Di colpo vide i due puntini in lontananza fermarsi e sentì su di sé i loro sguardi. Non udì nessuna voce in risposta; dopo qualche attimo vide quei corpi muoversi di nuovo. "Qualunque cosa siano, mi stanno seguendo" pensò mentre con ritrovato vigore ricominciava a muovere i suoi passi verso est, poco convinto di avere a che fare con esseri umani.
"Animali non dovrebbero essere. Volpi artiche e orsi polari non ci sono a sud!", ma ormai non era sicuro più neanche di essere nell'emisfero australe e un sottile strato di paura cominciò a entrargli nelle ossa ancora più del freddo.
Per la terza volta vide il Sole calare e lasciare il posto all'oscurità. Quella terza notte si affacciò sulla volta del cielo anche una piccolissima falce di luna. "La falce della morte" pensò L. "che mi avrà entro domani per fame o freddo. Poi diventerò il pasto di quelle maledette bestiacce che mi stanno alle calcagna! Se non mi avranno raggiunto prima...".
Quella sera decise che avrebbe lasciato accesa la lampada fino a consumare tutto l'olio. Finì quel mezzo pezzo di carne che era rimasto e cercò di riposare. Ci riuscì, ma solo per qualche minuto, dopodiché fame e paura ebbero il sopravvento e impedirono ai suoi occhi di abbracciare l'oblio del sonno. Tirò fuori dai pantaloni la bussola che emanava ancora un discreto tepore, e ne rilesse i versi in francese sul retro. La rigirò e fissò l'ago testardo che indicava l'est.
"A costo di morire in un crepaccio o cadendo da una roccia, non rimarrò qui a soccombere senza lottare".
Raccolse le sue cose e si mise il sacco in spalla e con la lampada a olio in una mano e la bussola nell'altra iniziò la sua marcia verso tenebre.
Quando la luce riapparve tra le montagne aveva percorso a malapena qualche centinaio di metri, però grazie al movimento era riuscito a non congelare. La fiammella della lampada a olio si era spenta proprio mentre il cielo stava cambiando colore, dal nero al viola; ripose la lampada nel sacco e continuò quel disperato cammino.
Appena il Sole fu abbastanza alto da riuscire a illuminare anche la valle dietro a lui si voltò per cercare con lo sguardo i suoi compagni di marcia: li vide dopo qualche momento su un pendio verso nord-ovest ma stavolta erano molto più vicini.
"Hanno coperto la metà della distanza che li separava da me. Fame, freddo e quelle belve stanno facendo a gara e il premio in palio è la mia vita!".
Ogni passo era diventata una fatica colossale e L. era ormai allo stremo.
Salì l'ennesimo pendio di roccia e neve e intanto continuava a girarsi verso i due predatori dietro di lui offrendo il suo volto al vento tagliente. Riuscì comunque a vedere gli animali dietro di lui, oramai a una vallata di distanza. Capì che erano felini di taglia medio grande, dal pelo biancastro con macchie scure.
"Felini qui! Impossibile!" pensò L., anche se ormai più niente doveva sembrare più impossibile ai suoi occhi, dopo essersi trovato catapultato in un deserto di ghiaccio senza nessun ricordo di se stesso. "Ma dovranno sudare per avere la...".
D'un tratto un sorriso esausto si allargò sugli angoli della sua bocca. Sulla cima dell'ennesimo valico gettò uno sguardo verso il basso: alle pendici della cresta appena conquistata le rocce andavano diradandosi per lasciare il posto a una piccola distesa di spiaggia ghiaiosa. Qualche metro più avanti un gruppo di baite di legno accoccolate attorno a un molo anch'esso in legno. E di fronte, tonante e minaccioso, il mare.
Uno. Due.
Modificato il 05 July 2024 17:07

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H
hacktuhana
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Eddard Greyjoy
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S
Stella di Valyria
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