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H di hacktuhana
creato il 29 gennaio 2015

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hacktuhana
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Inviato il 04 novembre 2015 19:40 Autore

Uno due.

 

Seguiamo il nostro L. nel suo viaggio verso chissà dove :)

 

Magari a buona distanza dalle belve :D


H
hacktuhana
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hacktuhana
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Inviato il 04 febbraio 2016 1:00 Autore

Il dolore rimane

quantunque ogni tempo poi possa passare.

 

Nascosto dentro a ricordo

e a modello d'affronto di vita.

 

Come quel vuoto sentito al momento di perdere quanto più ami,

così manca,

sia che ti perdi ai pensieri al passato,

sia ad improvviso nostalgico accorgersi.

 

Lui, resta in tutta la sua,

incolmabile,

assenza.

 

E dovranno bastarti quei sogni di poterne vivere in vita diversa,

illusione e speranza,

seppure,

abbia smesso di creder la gioia, per ogni altro segno e motivo.

E di certo lo sai,

puoi trovarla in attimi spinti solo dal vento che presto allontana.

 

E poi

il dolore è quel che rimane.

 

Nonostante il tempo continui a passare.


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Eddard Greyjoy
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Eddard Greyjoy
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Inviato il 22 maggio 2016 17:59

Nessuno ha qualcosa da scrivere?


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AemonTargaryen
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AemonTargaryen
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Inviato il 29 maggio 2016 10:56

***

cut

***

Modificato da Lord Beric il 05 July 2024 17:07 per Contenuto rimosso come da richiesta utente (03/05/2018)

E
Eddard Greyjoy
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Eddard Greyjoy
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Inviato il 04 giugno 2016 15:42

“Torneranno.”

Adwar Hwisir era rimasto in cima alle sue mura, intento a scrutare ogni cosa visibile davanti a lui.

Ma non riuscì nemmeno per pochi istanti a guardare verso l’alto, verso lo spicchio di luna, le nuvole grigie e le brillanti stelle.

La sua attenzione non poteva non essere attirata da tutto quello che si notava in basso: accampamenti in lungo e in largo. Fuochi ardenti, piccole luci nel buio della notte.

Ricordava vagamente il giorno in cui Iard Jorqawd era giunto davanti a Hwistar: nella sua testa rimbombava spesso il suono di quel corno di guerra. Era fastidioso per le orecchie e molto forte. In tutti i suoi anni non si era mai abituato a quel rumore. Salito in cima alle mura, guardando in basso, si era pentito di non essere rimasto di sotto: l’esercito avversario era molto grande, determinato e disponeva di varie catapulte e di arieti per sfondare le porte.

“Non ci sono riusciti, per ora.” disse tra sé e sé, prima di immergersi di nuovo nel suo oceano di ricordi.

Un araldo di Iard era giunto insieme al suo Lord e ad altri soldati a cavallo davanti alla porta della città e aveva esclamato a voce molto alta: <<Per diritto di conquista, qui Iard di Casa Jorqawd dichiara sua la città nota come Hwistar. A chiunque decida di gettare le armi e di arrendersi non verrà fatto alcun male. Invece, tutti gli oppositori non riceveranno alcuna pietà. Uscite ora e non vi sarà fatto…>>.

Aveva smesso di parlare all’improvviso: una freccia era partita e lo aveva colpito alla gola. L’aveva scagliata Narsib, il Primo Capitano di Hwistar.

<<No! Che si fotta Iard col suo diritto di conquista! Nessuno ha mai sfondato queste mura o abbattuto queste porte. Non saranno certo gli Jorqawd!>>

Iard, vedendo l’araldo morto e capendo ormai la risposta, aveva tirato un leggero sospiro e mostrato un leggero sorriso, che sembrava più una specie di smorfia. Sembrava che con quel gesto avesse voluto dire “così sia, io vi ho concesso una possibilità e voi l’avete rifiutata”.

Il re, Adwar Hwisir, si era messo a camminare per le mura, guardando ogni soldato, finchè non aveva cominciato a parlare: <<Uomini, ascoltate! Non so cosa accadrà. Non so se vinceremo o se perderemo, non so se vivremo o se moriremo. Ma sono sicuro, uomini, che le vostre azioni e il vostro coraggio saranno ricordati in eterno. Si udranno canzoni e si scriveranno storie su questa battaglia finchè ogni uomo, donna o bambino saprà del vostro coraggio e del vostro onore! Cosa volete voi? Volete essere ricordati come conigli arrendevoli? Volete forse, uomini, lasciare le vostre famiglie e il vostro oro a Iard?>>

<<No!>> avevano gridato i soldati.

<<O volete, forse, essere ricordati come lupi feroci che combattono fino alla morte?>>

<<Sì!>> <

<Allora, mostrate coraggio! COMBATTETE!>>

Un grande grido si era levato, i guerrieri sembravano più lupi feroci che uomini. Erano al massimo della determinazione: il suo discorso, di cui in fondo si sentiva soddisfatto, era riuscito a spronarli oltre il necessario.

L’esercito sotto le mura aveva cominciato ad attaccare, quando Iard aveva abbassato il braccio: centinaia, anzi migliaia di soldati si erano lanciati contro le mura, diretti in modo particolare verso le porte per tentare di abbatterle con l’ariete. Tuttavia, la resistenza era davvero strenua, dalle mura piombava di tutto: pietre, frecce, pece, frecce infuocate, olio bollente.

Riemerse per un attimo, ma poi ritornò a nuotare nelle sue memorie, questa volta, però, pensando a ciò che era accaduto in tutta quella giornata, prima di ritrovarsi solo a guardare il panorama di fiamme e stelle.

Le cose non erano andate così bene per gli assediati: una tentata sortita dei difensori non aveva ottenuto gli effetti sperati ed era stata respinta.

Diversi guerrieri erano morti e Adwar si era accorto, con grande dispiacere, che il morale delle truppe stava lentamente e inesorabilmente calando. I superstiti si erano ritirati all’interno delle mura di Hwistar possenti e resistenti.

Nonostante gli sforzi Iard, fin dall’inizio dell’assedio, non era riuscito ancora ad aprire una breccia, ma non si poteva non pensare che ci sarebbe riuscito prima o poi. Il re di Hwistar aveva spronato e incitato i suoi uomini a combattere più determinati e feroci. Stessa cosa fecero tutti i comandanti.

Quando tutto era cominciato, la vista delle forze nemiche aveva riempito il suo cuore di timore e dubbi e così aveva ritenuto saggio chiedere aiuto. Aveva pregato il messaggero di fare in fretta e di stare attento durante il viaggio.

Erano ormai passate due settimane dall’inizio degli scontri, precisamente il 20 del mese di Thamaen dell’anno 1501, e dalla partenza del suo uomo, per chiedere aiuto a Sud, a Têb Doth.

Non aveva ritenuto opportuno chiedere soccorso a Nord: Nortar ormai era solo un ricordo; Tarsib, invece, non aveva mai avuto buoni rapporti con Hwistar.

Le scorte di cibo erano sufficientemente abbondanti sia tra gli assedianti che tra gli assediati. Entrambi, inoltre, disponevano di vari trabucchi, presenti anche nelle torri di Hwistar. Dardi e pietre venivano scagliati dai difensori,ma gli assedianti non retrocedevano. L’assedio durava dalla mattina fino alla sera ogni giorno per tutta la giornata, senza veri attimi di riposo.

Quella sera ci si accordò per una piccola tregua per recuperare gli uomini morti e per curare le ferite dei sopravvissuti. Poi tutto sarebbe ricominciato.

La situazione era di completo stallo, di questo il re era certo.

Voltò lo sguardo verso la sua città, verso le sue case, pensando alle famiglie, agli uomini che morivano per lui e per la loro patria.

“Non è questo il destino a cui hanno pensato.”

Non voleva vedere altro sangue macchiare la terra davanti a Hwistar, non poteva sopportare il pensiero di altre vite spezzate. Ogni giorno che passava voleva dire mettere in pericolo sempre più gente. Non era solo il cuore di chi cadeva ad arrestarsi. Lentamente, anche quelli della gente cara marcivano e non battevano più come un tempo, non era più un battito gioioso, vitale, ma un suono qualsiasi, un rumore di cui non si sentiva davvero il bisogno.

Per questo, mentre tutti erano intenti a prendere e a trasportare i caduti, aveva preso la sua decisione: cercando il Lord di Tardos, gli aveva fatto una proposta.

Iard aveva accettato senza indugiare: un duello tra di loro.

Alcuni avevano cercato di far desistere il re dal combattere, perché non si poteva sapere come avrebbe agito veramente il suo avversario.

Decise di non dormire quella notte, non solo perché non riusciva a prendere sonno, ma perché voleva ardentemente che tornasse la luce del sole.

Non desiderava in cuor suo che l’ultimo bagliore fosse quello di tutti quei fuochi.

Sospirò più volte, poi deglutì, aggrottando le sue folte sopracciglia.

“Conoscerò il mio destino.”



Seija
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Inviato il 08 giugno 2016 19:13

Seguirai il mio volo

quando gli ultimi istanti

tra le braccia

nelle onde si confonderanno

e mille mille mille vite

adesso vorremmo raccontare

a chi non sarà con noi

a lungo,mai.

Se questa notte

sapesse ai tuoi occhi

parlare dell'immensita'

che ha visto allorquando

brillano le stelle tra le nuvole

delle autunnali piogge,

forse l'amore sboccerebbe a maggio

e tornerei a casa

trovando la tua pelle

accoccolata dolcemente

agli scogli sinuosi.

Ma l'oscurità ti ha donato il tempo,

abbastanza per sentirlo

morire lentamente

sotto il peso delle austere prigioni

ove l'animo forse ci chiede ascolto,

abbastanza è una sensazione

che dipinge nella Luna

le ore di domani,

strappate alla struggente nostalgia

di un nome che non ha luce

ne'polvere di anni.


C
Clitennestra
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Inviato il 11 giugno 2016 13:46

La metto qui. Spero di non disturbare il vostro Topic e di non essere OT.

Poesia di Thomas Stearn Eliot
La figlia che piange

Férmati sul piano più alto delle scale...
Appoggiati a un'anfora da giardino...
Tessi, tessi la luce del sole nei capelli...
Stringi i fiori contro di te con una sorpresa dolente...
Gettali per terra e voltati
con un risentimento fuggitivo negli occhi:
ma tessi, tessi la luce del sole nei capelli...

Così avrei voluto che lui partisse,
così avrei voluto che lei si fermasse e soffrisse,
così lui sarebbe partito
come l'anima lascia il corpo strappato e contuso,
come la mente abbandona il corpo di cui ha fatto uso.
Troverei
un modo incomparabilmente lieve e agile,
un modo che entrambi intenderemmo,
semplice e infedele come un sorriso e una stretta di mano.

Essa si voltò, ma con la stagione autunnale
provocò la mia immaginazione molti giorni,
molti giorni e molte ore:
i capelli sulle braccia e le braccia piene di fiori.
E mi domando come sarebbero stati insieme!
Avrei perduto un gesto e una posa.
A volte queste riflessioni stupiscono ancora
la mezzanotte inquieta e il mezzogiorno che riposa.

Modificato il 05 July 2024 17:07

La donna uscì dalla costola dell’uomo, non dai piedi per essere calpestata, non dalla testa per essere superiore ma dal lato, per essere uguale, sotto il braccio per essere protetta, accanto al cuore per essere amata.   (William Shakespeare).

 

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hacktuhana
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Inviato il 11 giugno 2016 18:38 Autore

Buffone di corte che neanche ti presta attenzione.

Scrivi e canta canzoni.

Danza inventando battute rivolte a spazi e momenti di vuoto.

Fantastica storie che ai piatti del giusto bilanciano almeno il finale.

E mascherati,

colorati il volto pagliaccio.

 

Usa colori che almeno ricordino quanto di dentro fa parte, ancora,

del tuo trascinato sentire.

 

Un rosso sapore di ferro dolciastro,

testimone del sangue che vedi,

sugli occhi.

Un giallo sacrale d'effimero dorato,

che risalti il sudore,

e lo sputo sul volto.

Ed un nero contorno per ogni fattezza,

perché al buio nascondi

ogni volta

 

quell'essenza che grida perenne,

arrivando a creare il silenzio.


E
Eddard Greyjoy
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Eddard Greyjoy
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Inviato il 12 giugno 2016 13:37

 

La metto qui. Spero di non disturbare il vostro Topic e di non essere OT.

 

Poesia di Thomas Stearn Eliot

La figlia che piange

Férmati sul piano più alto delle scale...

Appoggiati a un'anfora da giardino...

Tessi, tessi la luce del sole nei capelli...

Stringi i fiori contro di te con una sorpresa dolente...

Gettali per terra e voltati

con un risentimento fuggitivo negli occhi:

ma tessi, tessi la luce del sole nei capelli...

Così avrei voluto che lui partisse,

così avrei voluto che lei si fermasse e soffrisse,

così lui sarebbe partito

come l'anima lascia il corpo strappato e contuso,

come la mente abbandona il corpo di cui ha fatto uso.

Troverei

un modo incomparabilmente lieve e agile,

un modo che entrambi intenderemmo,

semplice e infedele come un sorriso e una stretta di mano.

Essa si voltò, ma con la stagione autunnale

provocò la mia immaginazione molti giorni,

molti giorni e molte ore:

i capelli sulle braccia e le braccia piene di fiori.

E mi domando come sarebbero stati insieme!

Avrei perduto un gesto e una posa.

A volte queste riflessioni stupiscono ancora

la mezzanotte inquieta e il mezzogiorno che riposa.

Se te la senti e pensi di essere in grado, puoi anche scrivere qualcosa di tuo, magari una poesia o un piccolo racconto, scritti e ideati proprio da te. :)


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Eddard Greyjoy
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Inviato il 12 giugno 2016 14:28

Altro capitolo. Questo è uno dei primi.

 

"Ospiti"

 

“Che silenzio.”

Thethor Deraem camminava lentamente per tutta la sala del trono, guardando di tanto in tanto verso la porta.

Più attimi se ne andavano e più desiderava che si spalancasse.

Fuori l’aria in quel giorno era un po’ fresca, tirava un leggero venticello e il sole era nascosto da un paio di nuvole.

Lì dentro, al contrario, tutto era fermo, senza nemmeno una brezza appena accennata e l’aria si faceva, almeno per Ser Thethor, sempre più consumata. I raggi solari che passavano era per lui troppo pochi per illuminare tutto quello spazio.

Erano di gran lunga maggiori le zone buie.

C’erano pur sempre varie candele da accendere per dare un tocco di luce in più, ma il cavaliere aveva chiesto di lasciarle così com’erano, spente.

Decise di affacciarsi da una delle finestre, per poter vedere cosa accadeva nei pressi del fiume.

Un evento spiacevole era accaduto quattro giorni prima: la vecchia Midin, nonna della nuova regina Siphin, ormai malata da molto tempo, aveva chiuso i suoi occhi per sempre, era morta. Era stata la sua malattia ad ucciderla. In quell’ultimo periodo tosse, febbre e altri sintomi la tormentavano e la costringevano a letto.

Thethor osservò un folto gruppo di gente che portava la vecchia salma al Thardem, il fiume vicino a Têb Doth.

La posero su una barca lignea di piccole dimensioni, grande abbastanza da ospitare il suo corpo sdraiato insieme al fieno da ardere e ad alcuni oggetti.

L’ultima volta che il cavaliere l’aveva vista ella aveva i capelli ormai tutti bianchi e qualche borsa sotto gli occhi. Nonostante la malattia e i rischi che ne derivavano, il suo viso sembrava quasi sorridente, come se fosse consapevole della sua sorte, ma il viaggio senza ritorno non le incutesse timore.

Era avvolta da una coperta con al centro lo stemma degli Hamur ben visibile: una nave dalle vele verdi al centro di una stella color blu. Il resto era un’alternanza di verde e di blu.

Tra tutti, notò il ser, la più triste era Siphin, che voleva molto bene a sua nonna.

La barca fu spinta dal marito, il vecchio Tânweure, e da Hancwor.

Un dardo infuocato, scoccato dallo zio di Siphin, Hwaethad, raggiunse il fieno nella barca, che prese fuoco velocemente.

Gli astanti stavano osservando in silenzio lo scocco della freccia e l’allontanamento della barca in fiamme. Alcuni piangevano, altri nascondevano il dolore, altri erano seri e silenziosi, altri preferirono non guardare.

Poi, tutti andarono a fare le condoglianze a Siphin e a Nenin, che ringraziarono tristi e afflitte. La seconda era arrivata proprio il pomeriggio stesso. Una lettera gli era arrivata nella sua casa, nell’Aedhat Hennose.

“Possa il mare accogliere con acque calme ciò che resta. Possa il cielo accogliere il fumo che si alza con brezze silenziose e non con bufere.”

Infine, si allontanò dalla finestra e decise di andarsi a sedere, convinto che ormai fosse solo questioni di pochi istanti.

“Sono arrivati. Dovrebbero.”

Siphin gli aveva chiesto di rimanere ad aspettare gli ospiti: «Mi addolora non poter parlare con loro, ma proverei maggiore tristezza, se non andassi a salutarla. Dì loro che mi scuso per la mia assenza.»

“Beh, si saranno fermati in qualche locanda.”

Incominciò a grattarsi il mento, non perché sentisse un minimo di prurito, ma perché doveva assolutamente trovare qualcosa per far passare meno lentamente il tempo.

La porta, finalmente, si aprì. Tuttavia, Ser Deraem, che si stava alzando, decise di rimettersi seduto.

«Ah, siete voi.»

«Non hai tutti i torti.» rispose Hwaethad Hanthum. Insieme a lui c’erano i fratelli Doemad e Dothad. Thethor a volte aveva difficoltà a distinguerli.

«Mi sarei aspettato che loro due tornassero, ma la tua presenza mi lascia un po’ sorpreso. Credevo che saresti rimasto con tua nipote.»

«Dovevo e volevo. Però, Siphin ha preferito restare sola. Quasi sola.»

«Ho ritenuto saggio lasciarlo stare. Non ha avuto grande esperienza con affari di questo genere. Guerre, alleanze, politica, accordi e roba varia.»

«Sembra che non ci sia nessuno tranne te.» notò Dothad.

«Non dovresti escluderlo.» lo corresse Thethor, guardando verso il cane, fermo, vicino al muro, che se ne stava sdraiato, guardando ogni tanto quei cavalieri.

«Credo che si stia annoiando molto più di noi.» disse Doemad.

La porta si riaprì. Questa volta, però, con le guardie c’era un’altra persona, un ospite inatteso. Aveva il fiatone e sudava. Evidentemente era importante per lui arrivare a Têb Doth il prima possibile.

«La regina? Il re?» chiese ansimante.

«Riprendi fiato, siediti e parla con noi, uomo del Nord.» lo invitò Thethor.

“Dev’essere importante, se ha percorso tutta quella strada di corsa per arrivare qui dentro.” pensò Thethor.

Curiosamente, pochi istanti dopo fecero il loro arrivo anche gli ospiti attesi.

Il cavaliere di Himnab guardò con attenzione la mappa sul tavolo, esaminandone ogni punto, ogni luogo.

Poi rivolse la sua attenzione agli altri tre: «Davvero strano, non credete?»

Nessuno capì, perciò egli proseguì:

«Una volta chi guardava queste mappe, nonostante il gran numero di città e altri luoghi, era abituato a prestare attenzione a due sole zone. Una qui al Nord» disse, indicando un punto sulla mappa, «e un’altra a Sud. Nortar e Sirunwib. Poi c’era anche chi si ricordava di Hwistar. Questa città non era altro che un semplice punto su delle mappe. Sembra passato davvero troppo, visto che oggi sembra che ognuno abbia bisogno di noi.»

«Il cambiamento, il mutamento sono ciò che caratterizza questo mondo.» intervenne uno degli ospiti, un uomo alto, robusto, dai capelli lunghi e neri e con una benda nell’occhio sinistro. Era attorniato da altri guerrieri.

«Siete i benvenuti tutti voi. Sia tu, uomo del Nord, sia tu, uomo delle Isole.» disse Hwaethad.

«Vi ascolto.» aggiunse Thethor.

“Cattive notizie.”

 


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Clitennestra
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Inviato il 12 giugno 2016 20:53

 

La metto qui. Spero di non disturbare il vostro Topic e di non essere OT.

 

Poesia di Thomas Stearn Eliot

La figlia che piange

Férmati sul piano più alto delle scale...

Appoggiati a un'anfora da giardino...

Tessi, tessi la luce del sole nei capelli...

Stringi i fiori contro di te con una sorpresa dolente...

Gettali per terra e voltati

con un risentimento fuggitivo negli occhi:

ma tessi, tessi la luce del sole nei capelli...

Così avrei voluto che lui partisse,

così avrei voluto che lei si fermasse e soffrisse,

così lui sarebbe partito

come l'anima lascia il corpo strappato e contuso,

come la mente abbandona il corpo di cui ha fatto uso.

Troverei

un modo incomparabilmente lieve e agile,

un modo che entrambi intenderemmo,

semplice e infedele come un sorriso e una stretta di mano.

Essa si voltò, ma con la stagione autunnale

provocò la mia immaginazione molti giorni,

molti giorni e molte ore:

i capelli sulle braccia e le braccia piene di fiori.

E mi domando come sarebbero stati insieme!

Avrei perduto un gesto e una posa.

A volte queste riflessioni stupiscono ancora

la mezzanotte inquieta e il mezzogiorno che riposa.

Se te la senti e pensi di essere in grado, puoi anche scrivere qualcosa di tuo, magari una poesia o un piccolo racconto, scritti e ideati proprio da te. :)

 

Grazie sei molto gentile ad invitarmi a questo topic. ;)

Onestamente penso di non essere in grado di scrivere qualcosa di decente, e per quanto riguarda le poesie non ne ho mai scritta una in vita mia. Da ragazzina preferivo arrampicarmi sugli alberi piuttosto che imparare una poesia a memoria. :)

Comunque ne terrò conto, se mi viene in mente qualcosa ci provo.


La donna uscì dalla costola dell’uomo, non dai piedi per essere calpestata, non dalla testa per essere superiore ma dal lato, per essere uguale, sotto il braccio per essere protetta, accanto al cuore per essere amata.   (William Shakespeare).

 

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hacktuhana
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Inviato il 14 giugno 2016 18:42 Autore

Solo un angolo di spazio fuori.

Il vento che non nasce apre una porta.

Gli occhi verdi guardano il salto.

Ed è gioia infinita un attimo.

 

Se a correre puoi sentirti addosso la pelle libera,

comprendi che ogni respiro ha il sapore dell'ultimo.

 

Resta il riflesso smeraldo.

Dietro specchi fissi nel punto preciso.

 

Un marchio,

per sempre.


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Eddard Greyjoy
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Eddard Greyjoy
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Inviato il 18 giugno 2016 12:02

Doenab

 

 

“Troppa calma. Troppa qui dentro. Eppure pian piano si scatena una tempesta intorno a noi.”

Dybwor Raemim quel giorno si sentiva stranamente più perplesso e pieno di dubbi di quanto non lo fosse ogni giorno.

Continuava a restarsene in piedi vicino ad altri cavalieri, dame e popolani in cerca di aiuto.

In fondo, ormai era diventato quello il suo vero mestiere: stare in piedi nella Sala del Trono, guardando il re e tutta l’altra gente e aspettando che il tempo passasse il più rapidamente possibile.

Temeva che prima o poi si sarebbe dimenticato tutto: in che maniera si impugna una spada, come usarla, come tirare con un arco. Era ormai da tempo che non si combatteva. I giorni scappavano troppo in fretta e a Doenab, la fortezza tra i due fiumi, la casa dei Dêmim, non si era ancora scelta una parte, non si era presa una vera e propria posizione.

Molte volte il re era stato esortato a combattere, a scegliere almeno da che parte stare.

Ci stava provando proprio quella mattina uno dei cavalieri sempre presenti lì dentro, Ser Harthad Phithaert, ma quello che Dybwor notava era che il re ascoltava senza prendere veramente in considerazione i consigli che gli si davano:

«Maestà, ho sempre scelto di stare al vostro fianco, ad aiutare la vostra casata nel momento del bisogno.»

«Non lo dimenticherò.» rispose il re, mentre un uomo al suo fianco gli sussurrava parole impossibili da capire, sia per il tono di voce sia per la lontananza rispetto a dove si trovava Dybwor.

«Non possiamo continuare ad aspettare. La guerra imperversa e siamo troppo vicini al pericolo. Potrei nominare gli Jorqawd o, più semplicemente, gli Axtar, che sono anche più vicini a noi. Questa non è una semplice città e non posso non pensare che nessuno abbia delle ambizioni. Se non volete combattere, allora preparatevi. Dobbiamo cercare di essere pronti a difenderci almeno. Non possiamo essere così indifferenti a quello che ci capita intorno.»

«Mai si era visto qui dentro qualcuno che desiderasse guardare la morte in faccia come voi, cavaliere.»

Non era il re a parlare, ma colui che gli stava vicino: era diventato ormai il suo consigliere, l’uomo di cui Wodhe si fidava più di tutti i presenti nella sua sala.

Madrat era un uomo basso ma robusto, dai capelli e dagli occhi neri come la pece e dal naso aquilino. Indossava sempre una tunica nera, nella quale era infilzato, all’altezza del petto, quasi sulla spalla, il simbolo argenteo del Consigliere.

Proprio lui si rivolse al re, dopo aver provocato il ser: «Non è saggio tenere all’erta la gente, preoccuparla inutilmente, quando la si può far stare più tranquilla. Iard Jorqawd ha occhi solo per Hwistar. Rimanete qui nella vostra città, sire, ad osservare cosa accade. Lasciate che siano gli altri a distruggersi a vicenda. Quando sarà il momento, potrete attaccare voi e così verrete riconosciuto come il vero salvatore del Nord e delle Terre Centrali. Non raduniamo le truppe, non ancora, aspettiamo. Inoltre, abbiamo anche alleati per resistere, per non lasciare che Iard ci impensierisca.»

«Chi, Madrat? I Daras? Se dovessi scegliere qualcuno con cui combattere, quello non sarebbe di sicuro uno di Monterosso. O forse gli Axtar? Gente che fino a poco tempo fa è stata vicina agli Jorqawd, gente governata da un re pericoloso, con una figlia, a quanto ho sentito, “instabile”. La mia casata non lotterà mai con loro, se questi sono gli alleati di cui parli. Anzi, ne sono sicuro. Sono loro ormai gli unici rimasti. Casate forti, questo non lo posso negare.»

«Davvero contraddittorio, non trovi, Ser Torthad Tardem. Sempre pronto a difendere il tuo re, sempre desideroso di combattere, eppure eccoti qua, a parlare qui dentro, capace di lasciare il tuo re, solo per questioni di simpatia con eventuali amici, e di restartene codardamente in disparte.»

Il lord di Tart Dêm mise la mano sul pomo della sua spada. Lo stesso fecero le guardie presenti vicino al re.

«Basta così!» esclamo re Wodhe Dêmim, alzandosi in piedi dal suo scranno. «Io sono qui dentro per ascoltare i vostri consigli. Sta a me scegliere a chi dare ascolto. Sono ancora io il re, non tu, Phithaert, e nemmeno tu, Tardem. La tua casata ha giurato di restare al nostro fianco. Tu stesso, Ser Torthad, lo hai promesso. Tutti quanti i presenti in questa sala, da mio nipote Phaert a Ser Thenad, hanno detto di essere pronti a servirmi e proteggermi, ad essere pronti ad ascoltarmi e a fare quello che chiedo. Ma, più i giorni passano e più vedo volti sconsolati, visi che sembrano pronti a farsi calpestare da qualche nemico in una battaglia. Pronti a rischiare la propria vita e a mettere in pericolo altri più che a badare alle proprie famiglie. Nessuno farà nulla, se non sarò io a dare l’ordine. Nessuno abbandonerà, o avrò un motivo valido per radunare le mie forze, cioè quello di punire eventuali disertori. Invieremo aiuti ai Daras. Gli Axtar si stanno preparando e siamo noi il loro obbiettivo. Così mi ha detto Madrat. I lord di Monterosso, se convinti, ci daranno rinforzi necessari per resistere ad eventuali attacchi ed essere pronti a delle efficaci controffensive. Sarai tu, Dybwor a consegnare il mio messaggio. Con te verranno altri cavalieri e mio nipote, Phaert. Queste sono le mie parole. Chi non è d’accordo, esca pure, consapevole delle conseguenze del suo gesto.»

Nessuno si mosse, nessuno parlò.

“Non siamo coraggiosi come vogliamo far credere.” pensò Dybwor.

«Fate portare i tavoli. Queste discussioni fanno venir fame.» ordinò il re.

Raemim non aveva mai molta fame. O meglio, ce l’aveva, ma nei momenti sbagliati, soprattutto di notte. Tendeva a mangiare poco nelle ore di sole e a compensare il vuoto lasciato, mangiando molto la sera e anche la notte.

Nonostante i cibi che i servi portavano a lui e alle persone a lui vicine, seduti su un tavolo vicino al portone di ingresso, il cavaliere di Tempio della Pioggia si accontentò di mangiare giusto due pezzi di carne e di sorseggiare lentamente la sua birra, stando molto attento a non finirsela prima che il banchetto terminasse.

Il cibo era molto buono e cotto alla perfezione, ma Dybwor ormai era abituato a non farsi attrarre dall’odore e dal sapore del cibo. Cosa che non accadeva la sera.

Era il suo essere sempre pensieroso durante quasi tutta la giornata a frenargli inesorabilmente l’appetito.

Vedendo gli altri mangiare molto più di lui, si sentì una pecora nera.

«Dovresti mangiare. Ti serviranno più energie, prima o poi.» lo esortò Boimad, il figlio del re, un uomo diverso e non poco dal suo genitore, perché dal temperamento più focoso e irrequieto, pronto a gettarsi nella mischia, sempre deluso dalle scelte di Wodhe. Se c’era uno che poteva andarsene, quello era proprio lui. Non avrebbe temuto le ripercussioni.

«Apprezzo la tua offerta. Il mio rimane, comunque, un no.» rifiutò Raemim.

«A gwer naerar cwoure, ad gwinam gwirthuir ne naeruir redhe. Hur redhe. Res gwoirarma, Dybwor Raemim.»

«Sì, hai ragione.»

“Lo so. Spero solo di essere pronto.”


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Eddard Greyjoy
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Inviato il 20 giugno 2016 16:27

Due ospiti, un nemico.

 

 

«Ihta, gôthras, ma heathesh coa vrashta uphosta. Allora, cosa ti porta fin qui? Cornonero Hârum, dico bene?» chiese Thethor Deraem.

«Questo.» rispose, tirando fuori da una sacca in mano a un suo compagno una testa e mostrandola ai presenti.

La teneva per i capelli, in modo che tutti potessero vedere bene il volto un tempo vivo.

«Vendetta. Cercarla finchè sono in vita, non avere pace finchè non arriverà il giorno in cui tra le mie mani ci saranno i capelli degli omicidi e non di mio fratello.»

«Non ci sono navi qui a Têb Doth, solo qualche barca per pescare nel fiume. Strano che siate venuti qua, perché per quel che ne so, ci sono imbarcazioni molto più in abbondanza a Gwinamaer.» affermò Thethor.

«Il vostro caro amico, il signore di quel posto, è una persona con cui è particolarmente difficile trattare. Quel cocciuto e testardo lord ci ha mandati via, non ci ha pensato molto a farlo, sapete? Gente così vivrebbe in eterno, se solo non ci fosse un tempo stabilito per ognuno di noi. In fondo un codardo evita ogni tipo di rischio. Vigliacco e anche…»

«Attento a ciò che dici. Stai parlando del Lord di Portotempesta.» lo rimproverò Hwaethad.

“Se avesse una spada, non esiterebbe a impugnarla.” disse tra sé e sé Thethor, che, nonostante il clima sempre più teso lì dentro, riusciva a gestire bene le sue emozioni, a restare calmo, quasi indifferente al nervosismo di Hwaethad, alle provocazioni di Cornonero contro Lord Maror e persino al capo mozzato, ancora tenuto dal marinaio, come se fosse un pendolo.

«Non sei entrato qui per questo, Ser Hwaethad, per aizzare alla violenza noi che ti ascoltiamo.» disse Deraem, con un tono di voce che nascondeva dietro l’apparente calma un non so che di minaccioso.

«Quanto a te, ospite, non posso darti torto. In effetti, non è noto per la sua simpatia o per il suo coraggio.»

“Non so per cosa è noto, a parte essere lord.”

«Tuttavia, non posso essere totalmente indifferente a ciò che dici. Sei spinto dalla rabbia, dall’ira che piano piano prende il posto del sangue e ti scorre sempre più veloce nelle vene.»

«Dunque? Cosa farete? Ci aiuterete?» chiese Cornonero, che si faceva sempre più impaziente, secondo Thethor.

«Mi risulta difficile risponderti, visto che non mi hai praticamente detto nulla.»

«Che vuoi sapere?»

«Tutto. O almeno ciò che non ti addolora raccontare.»

“Costringersi a ricordare il buio non è la scelta migliore, se si vuole mantenere accesa la luce.”

«Io e miei uomini eravamo sulla rotta per Nhavaxem, la nostra città nelle vostre Grandi Terre. Ci trovavamo non troppo distanti dalla costa vicino Cwerteb, quando quello che sembrava un innocuo mercantile ha alzato la sua bandiera. Io non dimentico. Ho ancora qui nella mia mente ogni singolo dettaglio: una veliero, con le vele trafitte da una grande freccia. A giudicare dalla vostre facce, voi sapete bene di chi sto parlando.»

Ser Thethor fece sì con la testa. “Nîrtoim.”

«Ormai è risaputo che Lord Nwemidh abbia vari corsari dalla sua parte. Eppure, uomo di Armaethath, non possiamo rischiare una guerra con lui e, magari, anche contro i Vraed. I tuoi compagni sono stati assaltati, tuo fratello, un Hârum, non un Hanthum e nemmeno un Hamur, è stato ucciso. La rabbia di un singolo non può essere la causa della morte di persone che non hanno niente a che fare con la sua vendetta. Non è giusto che ci vada di mezzo tanta gente per questioni che non le riguardano.»

«Dunque, siete così tutti voi da queste parti? Nessuno che mostri coraggio.» lo provocò Cornonero.

«Combattere contro chi non ti ha fatto nulla non è motivo di orgoglio, non è coraggio, ma viltà. Mi sentirei molto più vigliacco, se scegliessi di darti ascolto e di prepararmi per affrontare il Lord di Nwâryab. Questa è la tua vendetta, non la mia.»

«Le nostre navi, inoltre, non sono sufficienti contro quelle di Lord Nwemidh.» aggiunse Ser Hwaethad Hanthum.

«Ah! Ci siamo svegliati, quindi? Cominciavo a sentire la tua mancanza.» lo irrise il marinaio delle Isole.

Questa volta, il cavaliere cercò di ignorare le provocazioni e decise di andare verso il cane, per distrarsi.

«Tornando a noi» riprese Cornonero «sono riuscito, insieme agli uomini che mi accompagnano, a fuggire e a nuotare fino ad un’isola vicino Cwerteb. I nostri avversari hanno scelto di non inseguirci, anzi una volta ottenuto il loro bottino, ci hanno lasciato andare. Ho chiesto un passaggio fino a Cwerteb. Sono stato ospitato dal suo lord, che è sempre stato grande amico di Nhavaxem. Parlando con lui, mi ha detto che ultimamente l’attività piratesca legata a Lord Nwemidh stava diventando sempre più frequente. Corsari, ma anche navi di capitani provenienti da Nwâryab, marinai non assoldati, ma al servizio diretto del loro signore. Si stanno preparando, così la pensa Lord Cwenwothe. Anche contro le vostre coste.»

«Sono solo supposizioni queste. Si tratta ancora di episodi singoli, di pirateria. Lord Nwemidh non ha ancora scatenato le sue navi contro di noi. Non ha attaccato la nostra flotta.»

«Perché non siete voi che interessate a lui.» si intromise l’altro ospite, l’uomo del Nord.

“Ci sarà da molto da fare, temo. Ahimè, non posso far finta di niente.”

«Ti ascolto.» disse Thethor.

«Mi manda il mio re, Adwar Hwisir. Hwistar ha bisogno dell’aiuto di voi, di Têb Doth, per riuscire a spezzare l’assedio che la opprime giorno dopo giorno.»

«Non avete chiesto aiuto a Doenab? Anche loro sono un’importante casata, non troppo distanti, peraltro, da Tardos.»

«Ci hanno risposto con il silenzio.»

«Anche se decidessi di prendere le armi, cosa a cui sto pensando non molto, passerei troppo vicino a Tardos o a Torregrigia e nulla mi fa pensare che avremo vita facile prima di giungere a Hwistar.»

«Non dovrete, infatti. Anche mentre stiamo parlando, sono sicuro che ci sono Nîrtoim pronti a Nwâryab prima o poi per fare vela verso le coste vicino alla mia città. Porto Squalo e altre zone vicino sono diventate di proprietà di Lord Nwemidh.

Si è alleato con gli Jorqawd. Sta già inviando rinforzi: uomini e rifornimenti. Presto manderà molte più navi e quando i suoi guerrieri arriveranno, non resisteremo. Dovete aiutare noi, gente del Nord, e distruggere la flotta Nîrtoim. Non permettete che arrivino ancora rinforzi a Iard o non ce la faremo. Siamo gente coraggiosa, respingeremo Iard. Voi occupatevi del suo alleato.»

“Lord Nwemidh non si allea mai. Se lo ha fatto, è perché sa che il profitto potrebbe essere considerevole.”

«Iard Jorqawd ha tenuto in ostaggio la nostra attuale regina, Siphin, e il mio nuovo scudiero, Hancwor. Credo di avere un conto in sospeso con lui.»

Cornonero, intanto, sorrideva.

“Sì, Hârum, mi avete convinto.”


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hacktuhana
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Inviato il 21 giugno 2016 11:18 Autore

Un sorriso negli occhi

rimasto per sempre

per chi li ha potuti guardare,

 

felici un istante

che stampa l'intera esistenza

all'altezza più forte del sogno,

di come dovrebbe poi esser la vita

 

e la consapevolezza,

che quell'attimo muore

con te.


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