Il metodo comunque non l'ho inventato io. Me l'ha insegnato... adesso non ricordo di preciso chi " />
Il metodo comunque non l'ho inventato io. Me l'ha insegnato... adesso non ricordo di preciso chi " />
Io, come ho già spiegato a Ilyn via pm " />
Riguardo a questo dubbio:
Se riesco a trovare un po' di tempo per scrivere qualcosa, parteciperò volentieri. Nel caso, è possibile riadattare per l'occasione propri vecchi racconti (pur rispettando naturalmente il tema del concorso), oppure bisogna necessariamente scrivere qualcosa di ex novo? Inoltre, dev'essere qualcosa di assolutamente originale, oppure è permesso ispirarsi più o meno marcatamente ad altre storie (magari a qualche film)?
Puoi tranquillamente riadattare tuoi vecchi racconti, se preferisci fare così. Tanto si tratta sempre di opere tue.
Riguardo al materiale originale o meno, il problema era stato posto perchè molti scrittori non desiderano che vengano scritte fanfict delle loro opere (Martin è uno di questi e LaBarriera vuole rispettare questa sua decisione), quindi per evitare problemi di qualsiasi tipo si è preferito prendere questa decisione. Per quanto riguarda eventuali film, invece, a meno di non copiare spudoratamente o massicciamente, non ci sono problemi. " />
Ho scritto un breve racconto per partecipare al concorso di questo mese (è il quattordicesimo, giusto?), tema "LA VENDETTA".
Credo sia questa la discussione in cui pubblicare i racconti, quindi lo metto qui di seguito, se mi sono sbagliato spostatelo pure nel luogo più adatto!
Una brutta giornata
Con un colpo secco James Cooper chiuse la portiera dell'auto, fece un paio di passi in avanti e si fermò giusto sul bordo dello strapiombo che lo divideva dall'oceano. Si mise a osservare distrattamente il tramonto dinnanzi a sé, che nel frattempo aveva tinto il cielo di un rosso scarlatto particolarmente cupo. “Davvero una brutta giornata” pensò. Tornò indietro, fece il giro dell'auto, aprì la portiera dalla parte del passeggero e dopo essersi seduto la richiuse con un altro colpo secco. Riprese la sigaretta che aveva lasciato nel posacenere e tirò un paio di boccate.“Deve proprio finire così?”.
Quella mattina James era stato svegliato dal suono martellante del campanello di casa. Ovviamente Helen non c'era, uscita chissà dove come faceva tutti i giorni. In pigiama aveva aperto la porta, ritrovandosi di fronte il viso sorridente del postino, tale Tom, o forse si chiamava Tim, un uomo tanto basso quanto obeso, con i denti storti e il sorriso da ebete, che aveva da consegnare per lui una raccomandata. Una volta in cucina aveva riscaldato il caffè avanzato che sua moglie si era preparata qualche ora prima, se l'era versato nella sua solita tazza e finalmente aveva aperto la lettera: a quanto pareva l'agenzia “Chester & Mill” non aveva accettato la proroga del pagamento che lui aveva richiesto, e lo informavano che di lì a due settimane sarebbero arrivati gli ufficiali giudiziari. In breve lettera, caffè e tazza erano volati a schiantarsi contro il muro.
Un paio d'ore più tardi, a meno di dieci minuti da quando si era presentato in ufficio, il capo lo aveva fatto chiamare. Altri venti minuti persi in inutili giri di parole, giusto per sapere che era stato licenziato e tanti saluti. Ma James incassò il colpo dignitosamente... sempre se si possa definire dignitoso l'aver ribaltato a terra l'intera scrivania del direttore generale e l'essere stato accompagnato fuori dagli addetti alla sicurezza.
Mentre stava tornando a casa, aveva deciso di fermarsi un momento in una rosticceria, per prendere al volo qualcosa da mangiare. Quand'era piccolo sua madre gli ripeteva sempre che, per quanto una situazione potesse essere negativa, esisteva sempre un lato positivo, bastava semplicemente saperlo cogliere e, almeno una volta tanto, oggi lui ed Helen avrebbero potuto pranzare assieme. Ma evidentemente sua madre si sbagliava. Una volta aperta la porta di casa, la scena che gli si presentò fu a dir poco grottesca: sua moglie era distesa sul divano del soggiorno, completamente nuda, con sopra di sé Tim, quella massa di lardo nauseante e sudaticcia che si stava agitando goffamente. Il primo pensiero che aveva attraversato la mente di James era stato chiedersi se la sua vita assomigliasse di più a una tragedia, oppure a una commedia. Subito dopo aveva vomitato sul tappeto d'ingresso.
La sigaretta oramai giunta alla fine, che stava cominciando a bruciargli le dita, lo distolse di colpo dai suoi pensieri. La spense e la rigettò nel posacenere, tornando a osservare il tramonto in lontananza, attraverso il parabrezza dell'auto. “Sì, non c'è altra via d'uscita, deve finire così” trasse un profondo respiro. “La mia vita non è mai stata una vita. Solo sofferenza e delusioni. È giunto il momento di scrivere la parola fine a questo schifo.” L'accenno di una lacrima comparve per un istante, ma in breve svanì. James Cooper si girò alla sua sinistra. <<Sai, in fondo un po' mi dispiace.>>
Sua moglie Helen era seduta sul sedile del guidatore, legata e imbavagliata. I suoi occhi castani erano sgranati e fissi su quelli di lui, con un espressione quantomai terrorizzata.
<<Sì, più che altro mi dispiace per l'auto, era nuova di zecca>> posò una mano sulla coscia della moglie, accarezzandogliela. Con l'altra mise l'auto in folle e tolse il freno a mano. <<Per un momento mi era balenata in mente l'idea di un bell'omicidio-suicidio. Sarebbe stato molto romantico, non credi?>>
Helen tentò di divincolarsi, mugugnando qualcosa di incomprensibile.
<<Poi però mi sono ricordato delle parole che mi ripeteva sempre mia madre>> con le dita della mano premette con forza sulla coscia della moglie, fino a farla gemere dal dolore. <<Sosteneva che c'è sempre un lato positivo in ogni cosa, ed effettivamente ho pensato che se ci andassimo a schiantare entrambi giù per questa scogliera, per quanto romantico, nessuno avrebbe pensato a intascare i soldi dell'assicurazione sulla tua vita.>> Lasciò andare la coscia della moglie e aprì invece la portiera dell'auto, dalla quale scese, richiudendola poi dietro di sé. Non dando il minimo peso ai lamenti strozzati di Helen, si diresse verso il retro della macchina e dopo un paio di spinte la osservò precipitare giù, lungo lo strapiombo, esplodendo al contatto con gli scogli. Finalmente era libero. Si sentiva rinato. Per quanto adesso avrebbe avuto ancora un problema da affrontare: bisognava pensare a come sbarazzarsi del cadavere, ancora disteso sul divano, di Tom, o Tim, o come diavolo si chiamasse quel maledetto postino.
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In totale sono 4991 battute, titolo escluso. La parte più difficile è stata proprio quella di rispettare il limite massimo di lunghezza, perché inizialmente era uscito lungo circa 7800 battute ed è stato davvero uno stress riuscire a selezionare i paragrafi e le varie frasi da eliminare o accorciare...
Ho scritto un breve racconto per partecipare al concorso di questo mese (è il quattordicesimo, giusto?), tema "LA VENDETTA".
Credo sia questa la discussione in cui pubblicare i racconti, quindi lo metto qui di seguito, se mi sono sbagliato spostatelo pure nel luogo più adatto!
In effetti non era il topic adatto in cui postare, ma ho già risolto " />
Ad ogni nuovo contest viene aperta una discussione dedicata, che una volta finito viene accorpata a quella generale.
Benvenuto nel contest!
La scrittura potrebbe essere resa più scorrevole. Ci sono tante parole inutili che per varie ragioni mi sembra meglio togliere (e cose che possono essere espresse in forma meno pesante). Anche il tempo verbale del trapassato prossimo usato per raccontare le vicende passate non mi convince, perché appesantisce. Forse era meglio trovare un altro sistema. Nel racconto c’è anche dell’umorismo (a volte abbastanza riuscito, altre un po’ banale), e anche questo si sarebbe potuto gustare meglio con una scrittura più scorrevole.
Ah poi alla fine, tra una battuta e l’altra, io non lascerei quegli spazi.
La storia è un po’ banalotta…
Certo che la moglie ha scelto proprio uno attraente con cui tradirlo " />
Oggettivista: Scritto bene, si riesce a empatizzare col protagonista (sin da subito, grazie anche all'ottimo incipit). Un lieve difetto potrebbe essere che, essendo il titolo "La Vendetta", il lettore capisce subito che non si puo' trattare di un suicidio, anche se all'inizio della storia l'autore sembra volerlo lasciare intendere. Gia' prima di arrivare a meta' racconto mi chiedevo se la moglie e Tom (o Tim) fossero belli e impacchettati nel bagagliaio dell'auto.
Poi ci sono (secondo me) un paio di piccole cadute di verosimiglianza. La vomitata sul tappeto mi sembra eccessiva (e si accorda male con la freddezza dimostrata successivamente dal protagonista). Inoltre la moglie si da' da fare col postino "tanto grasso quanto basso" e "con i denti storti e il sorriso da ebete"... va bene che alcune donne hanno davvero il gusto dell'orrido, ma credo che qui tu ti sia spinto un po' troppo in la', cadendo nel grottesco, sacrificando cosi' la verosimiglianza e la credibilita'.
Ma a parte queste due lievi note stonate, direi che il pezzo merita. " />
Oggettivista: intanto mi associo al benvenuto " /> Il brano mi è piaciuto, nonostante non mi abbia suscitato particolari emozioni. Concordo sui commenti riguardanti l'avvenenza del postino...la moglie poteva scegliere meglio " />
Per quanto mi riguarda avrei anche scritto il brano, ma non mi convince ancora...e non so se avrò il tempo di sistemarlo^^'
Se ci saranno meno di 5 brani, mi sa che il tempo per scrivere si prolunga di 4 giorni...
Forza, ce ne sono di cose da scrivere!
Non ti preoccupare, Arya, stiamo solo imparando che e' meglio pensare, rileggere, ripensare, e rileggere, e sfruttare tutto il tempo a disposizione piuttosto che postare subito. I racconti arriveranno alla fine! " />
ecco qui il mio racconto, sono 4993 battute se non sbaglio, cmq entro le 5000. ammazza che fatica, così mi tarpate le ali! sigh...
anyway, ecco a voi
LA MIGLIOR VENDETTA
Era una notte buia e tempestosa. La pioggia cadeva incessante e gelida, disperdendosi in rivoli dall'aria malsana, annacquando abbondantemente Roma addormentata. Una notte da lupi, avrebbero potuto dire alcuni, sogghignando all'ovvio gioco di parole. Per l'uomo che camminava a passo spedito, una notte da cani. Una notte degna di cani come Marco Tullio Cicerone, consolare di Roma, il vincitore di tante battaglie nel Foro. Cane! peggiore di tutti, alla guida del peggior branco che si potesse pensare, il Senato di Roma.
E l'uomo che camminava svelto, cercando riparo dalla, aveva ieri ricevuto le insegne che testimoniavano la sua appartenenza a tale branco. Appena tornato nell'Urbe, il giovane Lucio Catulo aveva preso il seggio che suo padre aveva lasciato scoperto, morendo. Suo padre, non il suo patrigno, al quale era tuttavia legato da sentimenti di affetto. Quinto Catulo era vivo e vegeto, ed affiancato in Senato da suo figlio. Lui, Lucio, anche se ufficialmente non poteva esser detto, prendeva il posto del suo vero padre, Lucio Sergio Catilina, quel Catilina ucciso venti anni prima dal cane capobranco.
Gli avevano raccontato come il vecchio bastardo di Arpino avesse strillato come un maiale, quando aveva ricevuto la notizia! E si immaginava come sarebbe stato dolce, gustoso, prendersi la sua vendetta a piccole dosi, senza eccedere, dando al vecchio maledetto un po' di paura ogni giorno, ogni singolo giorno un po' di più. Ah!, dolce come il miele!
E così, spinto dalla sete di vendetta, il giovane Lucio Catulo era entrato in Senato con la dovuta aria modesta, solo lanciando, di quando in quando, eloquenti occhiate al suo nemico, il quale prontamente le colse e, altrettanto prontamente, ne fu terrorizzato, da quel sorcio pauroso che era.
Mesi, passarono, mesi in cui la sottile rivincita del figlio maggiore dell'unico, vero rivoluzionario di Roma prendeva forma e consistenza, sotto lo sguardo del cielo, dietro gli sghignazzi della gente comune di Roma pettegola. Una vendetta strisciante: incidenti umilianti, allusioni, agenti prezzolati che sobillavano la folla al Foro, ledevano l'immagine e la dignitas ciceroniana, ingiustamente nata con l'atto immondo di uccidere un uomo mille volte migliore di un qualunque mezzo italico con la lingua lunga e una paura troppo grossa.
Nulla era troppo, nulla era vietato, in attesa della rivincita più grande. Lucio meditava non tanto di ammazzare Cicerone, vendetta sin troppo scontata e insignificante, no. L'onore esigeva vendetta, e cosa di meglio che far morire un uomo dopo avergli tolto, dignità, potere, rispetto, farlo morire da solo, suicidato, sporco dei suoi stessi escrementi? Perchè questo, soltanto questo, meritava.
E giunse un giorno, un giorno in cui incontrò Tulliola. Come potesse una donna tanto attraente essere stata generata da un orrore come Cicerone, lui non sapeva. Ma lo era, attraente, moltissimo, pur essendo bella senza possedere l'acuto cervello di suo padre. Perfetta, per i suoi scopi! Sedurla non fu difficile, essendo lei enormemente attratta da nobile azzimato che Lucio era, e ingenuamente legata a illusioni infantili, che lui coltivò e vide crescere. Incontri segreti, in un appartamentino appena fuori dalla Suburra, nascosto quel tanto che basta ad essere visti solo da pochi, che poi ripeteranno la voce a tutti, senza che la stessa vada oltre il pettegolezzo oltraggioso. Aggiungere l'insulto all'ingiuria, ecco cosa voleva. Ed in capo a due mesi Tulliola era incinta, con disperazione del padre e gran divertimento di Roma sghignazzante. Ah!, la faccia del bastardo, quando si presentava al Foro, ed al Senato! Tulliola venne in fretta e furia sposata ad una nullità di Arpino, e Lucio metteva un altro mattone al disegno. Un piccolo passo, uno solo ancora...
E poi, tutto accadde all'improvviso. Il bambino che Tulliola portava nacque morto, la donna stessa era stata sul punto di morire di parto. Non si aspettava, Lucio, di essere così sopraffatto dalla notizia, non gli importava del bambino, non era forse così? Eppure, lo pianse, come se fosse stato il suo erede. Cicerone tornò al Foro, tornò al Senato, rinvigorito dalla buona sorte che gli era capitata, tronfio come solo chi ha vinto sa essere. Di nuovo forte, di nuovo in sella! Lucio Catilina di nuovo sconfitto, nella persona del figlio, almeno per il momento, il Senato di nuovo sotto l'incanto della sua lingua tirata a lucido, Cicerone era il re del mondo.
Lucio, mesi dopo, si ritirò dal Senato, visibilmente invecchiato, sofferente, ritirandosi in Etruria, dove possedeva buona terra e moltissimi clienti. Non si fece più vivo a Roma, e sposò una giovane, semplice donna del luogo, generando a sua volta altri figli. Roma pensò che Cicerone avesse vinto, di nuovo. La realtà era che Lucio era cambiato, maturando. Aveva pesato sulla bilancia le sue azioni, come gli egizi, e aveva scoperto di essere in debito. A nulla valeva ricambiare il male col male.
La miglior vendetta possibile è semplicemente vivere bene.
P.S.
vediamo se qualcuno mi coglie la citazione.... hihihih
Intendi quella iniziale di Snoopy?
Interessante il brano di Oggettivista (la Dama ha una teoria sull'aspetto fisico del postino, ma forse è solo perchè alcuni discorsi precedenti le han fatto venire in mente un certo film...)...
Potenzialmente anche quello di Skie Lannister, ma poteva esser scritto molto meglio...
Difficilmente la Dama parteciperà questa volta: continua ad avere un paio di idee, ma poca voglia di scriverle " /> e probabilmente in 5000 caratteri non riuscirebbe a raccontar tutto quello che vorrebbe...
E visto che continua a litigar col suo macinino (rattoppato, ma non pienamente funzionante, tanto che sta faticando a scrivere anche questo post), si riserva commenti più consistenti per quando riuscirà ad ottenere quanto meno una tregua dalla macchina pestifera...
brava, proprio quella!
sul mio racconto, lo considero un po' un rodaggio, non sono abituato a frenare la logorrea... " />
Nel mio caso non è un problema di idee, ma di forma attraverso cui esprimerle: se la forma non è efficace, si rischia di sminuire l'idea. Ma posterò lo stesso, perché mi scoccia cestinare due racconti di fila :-PForza, ce ne sono di cose da scrivere!
Quattordicesimo contest di scrittura creativa
La vendetta
Marta se ne stava seduta sulla panchina del parco, sola. I suoi 48 anni se li sentiva tutti addosso, assieme alla ciccia che i suoi vestiti scelti male non riuscivano minimamente a nascondere. Sul braccio sinistro indossava, stretta, una fascia elastica nera. L'aria assente era l'immagine della sua rassegnata rinuncia a ogni cosa.
Era occupata a pensare, come sempre, che la sua era stata una vita di mèrda, quando un uomo venne a sedersi proprio lì. Lo spiò girandosi appena: anziano, capelli bianchi tagliati corti, ma con un corpo atletico, giovanile. E le sorrideva! Sorrise anche lei, poi distolse in fretta lo sguardo.
"Perché quella fascia elastica?"
La voce dell'uomo la fece sussultare. Tornò a guardarlo: "Il braccio mi fa male."
"Come mai?"
"Sono cassiera in un supermercato. Devo sempre spostare i prodotti, da destra a sinistra. Devo prenderli uno per uno, appoggiarli sul vetro, il laser fa bip!, e li passo oltre. Sempre lo stesso movimento, tutto il giorno. Così il braccio mi fa male. Non ci dormivo più la notte. Però la fascia elastica mi fa bene."
"Dovresti fare altri movimenti," spiegò l'uomo. "Muovi la schiena, metti la sedia in una posizione diversa, usa l'altro braccio..."
"Ma lei è un medico, per caso?"
"No, sono un pugilatore."
"Oh..." Marta sbattè gli occhi. "E... combatte ancora?"
L'uomo rise: "No, no! Non se non è necessario, almeno... Gli anni passano. Come hai detto che ti chiami?"
"Non l'ho detto... Mi chiamo Marta," rispose con imbarazzo. "E lei?"
"Angelo." L'uomo tese la mano con naturalezza, e lei la strinse senza forza. Sospirò. "E' vero, gli anni passano." Quell'uomo la metteva a suo agio, in effetti.
"C'è un rimedio, però," disse lui.
"A cosa? Agli anni che passano? Non esiste rimedio... mi guardi."
"C'è un rimedio per ogni cosa," insistette l'uomo, mettendosi a ridere.
"E sarebbe?"
L'uomo lasciò morire la risata, continuando a guardarla: "La vendetta," disse infine.
"La vendetta?"
"Sì. La vendetta ringiovanisce. Elimina gli anni, uno per uno, e ridà forza."
"Davvero?" Marta lo guardava con occhi incerti, la bocca semiaperta in un'espressione poco sveglia.
"Pensa a tutte le cose che il mondo ti ha fatto subire. Pensale tutte, una per una. E poi vèndicati. Sei stata troppo buona."
Marta lo ascoltava, seria. Parlarono per più di un'ora. Infine l'uomo si alzò, salutò gentilmente, e se ne andò.
Marta prese a sua volta la strada di casa, ma poi cambiò idea e si diresse al condominio dove abitava sua madre.
"Sono Marta," disse al citofono. Salì le scale.
La vecchia l'aspettava dietro la porta semiaperta: "Che vuoi?"
Marta spinse la porta con tutto il suo peso, spalancandola e facendo quasi cadere la donna a terra. "Non ti è mai importato un càzzo di me, vero?" urlò.
La madre la fissava stupefatta: "Ma che cosa..."
Marta le mollò un ceffone: questa volta la donna cadde. "Non sono mai stata buona abbastanza per te, vero? Ti ho sempre delusa, vero? Ora guarda quanto so essere cattiva!" Si avviò in soggiorno, afferrò il televisore e lo lasciò cadere sul pavimento. Poi spazzò tutti i soprammobili, frantumandoli con i piedi. La madre si era rialzata, e la fissava sgomenta dalla porta. Marta rovesciò la credenza buona, scagliò una sedia contro la finestra sul terrazzino. Poi passò alla cucina. Infine se ne andò.
Giunta a casa si tolse i vestiti e si guardò allo specchio. In effetti le sembrava che le pieghe di grasso sui fianchi fossero diminuite. Anche la cellulite, sulle cosce, non sembrava più così orrenda. Forse era solo un'impressione?
Si rivestì, prese un grosso coltello dalla cucina, e uscì di nuovo, dirigendosi verso il supermercato. Trovò subito il caporeparto, occupato a girare le mele per nasconderne le ammaccature: "Te l'avevo detto che il braccio mi faceva male!" Mostrò la fascia elastica. Nella mano stringeva il coltello.
Il caporeparto s'immobilizzò, spalancando gli occhi: "Marta, ma che..."
Lei lo sgozzò: "Ma tu niente. Non te ne importava nulla. Dicevi che la cosa non ti riguardava." Lui gorgogliava, a terra, sussultando in modo ridicolo. C'era sangue dappertutto. Era inutile continuare a parlare. Uscì tranquillamente, assieme ai clienti che fuggivano.
Giunta a casa si spogliò di nuovo. Mentre si ripuliva, sentiva lontane delle sirene. Tornò a guardarsi nello specchio: funzionava. Si tolse la fascia elastica. Indubbiamente funzionava! La cellulite era sparita, le pieghe di grasso... andate. Il suo addome era quasi invitante, e si sentiva piena di energia. Guardò stupita quegli occhi così vivi che la fissavano dallo specchio. "Grazie, Angelo," mormorò soddisfatta.
Sentì bussare forte alla porta. Afferrò il coltello, e nuda com'era andò ad aprire. Il poliziotto esitò un istante: lei lo colpì in faccia, con la punta. Quello crollò a terra, urlando. Lei rise, vedendo altri poliziotti che alzavano le pistole. Tenendo il coltello davanti a sé gridò: "Guardatemi! Guardate che gnocca che sono! Forza, arrestatemi! Sarò la più bella gnocca della vostra prigione!"
Credo che siano 4997 caratteri, ma avvertitemi se non sono dentro: sono pronto a cancellare una virgola! " />Skie Lannister: Mi piacciono ebbastanza l'idea di fondo e la storia.
La scrittura in alcuni punti secondo me poteva essere resa meno prolissa, e purtroppo ci sono anche tanti errori di distrazione. Una cosa che non mi ha convinta è che il brano inizia attraverso una scena precisa, con descrizione dettagliata, e poi invece c'è un lungo riassunto senza che si torni più alla scena, nè si mostrino altre scene particolari.
Benvenuto " />
Tyrion Hill: come scrittura questa volta non è male. Ci sono delle cosine che aggiusterei, come qualche cambiamento di punteggiatura, quel "minimamente" iniziale che è bruttino e inutile... L'uccisione del negoziante penso che sarebbe stato meglio descriverla di più (parlo dell'uccisione in sè, non il prima e il dopo). Inoltre quando dici: "rovesciò la credenza buona"... perchè "buona"? Nella stanza c'è forse un'altra credenza "cattiva"?
Ma nel complesso ripeto che comunque non è male e i dialoghi sono validi.
La trama è carina e gestita abbastanza bene.