Io ho avuto di recente una discussione in famiglia con i miei che cercavano di capire che accidenti ci trovassi nel fantasy...Per loro è letteratura trash perchè leggono solo i grandi classici della letteratura, e trovano tutto il resto out. Non mi pare che sia snobismo perchè non è nel loro carattere, forse sono solo superficiali. Gli altri temi toccati sono che non si capisce il messaggio che comunica l'autore fantasy e la loro idea che l'evasione diventi alienazione.
Cosa gli rispondereste?
Risponderei che in primo luogo il fantasy è un classico della letteraratura, perchè a ben vedere Omero e Virgilio hanno scritto fantasy (anche se all'epoca si chiamava in altro modo). In secondo luogo Tolkien è un classico della letteratura (professore di filologia a Oxford, non il gelataio sotto l'angolo - con rispetto per i gelatai ).
In terzo luogo risponderei che il fantasy è solo una scusa per alcuni autori per scrivere di temi universali, li stessi che i tuoi genitori ritrovano nei loro "classici". Amore, amicizia, giustizia, bene e male ecc.
In quarto luogo risponderei che visto che leggono tanto si leggano le statistiche. Un italiano legge in media un libro all'anno. Almeno leggendo fantasy io arrivo 20 o 30. Se invece preferiscono che giochi alla Play Station tutto il giorno
PS ovviamente il quarto luogo lo lascio a te, io con i miei non ho mai discusso di queste cose
Cosa gli rispondereste?
Il fantasy, a mio avviso è in grado di unire la funzione puramente di intrattenimento, propria comunque del romanzo in generale, a quella di denuncia, di critica, di satira, in fondo di qualunque cosa!
Anche prescindendo dal Singore degli Anelli, miniera di simboli, opera tutt'altro che superficiale, come non ritrovare, ad esempio in Weis & Hickmann forti richiami a superare le barriere razziali, all'unione, alla pace?
In generale, credo che il fantasy sia stato un valido mezzo di trasposizione in forma romanzata, e quindi forse più accessibile al grande pubblico, di temi filosofici tutt'altro che banali.
Volete il superuomo di Nietzche? Leggete Conan da un lato e Elric dall'altro! Anche il Vazkor della Lee appartiene a questo filone.
Volete il ribaltamento della figura dell'eroe, cantato da Vecchioni e De André, lirizzato da Montale? Thomas Covenant fa per voi!
Volete forti richiami al sociale, spirito di denuncia? Allora lottate contro i draghi-serpente di Weis & Hickmann!
Vi siete infine stancati di vivere le vicende di un eroe, e volete che la storia sia Storia? Quel neo-realismo storico di cui si fa portavoce Umberto Eco? Eccoci qui in Barriera a parlare di Martin!!!
E i miei esempi potrebbero continuare per ore!!!
Con questo non intendo però dire che il fantasy sia una sorta di letteratura "alternativa", che può intraprendere solo chi non ha voglia e capacità di andare a cogliere questi concetti elevati in altre forme letterarie: il fatasy "è diventato", soprattutto dopo Tolkien, questo stessi topoi di cui si fa portavoce!
Spero di non essere stato troppo prolisso!!!
Ah, dimenticavo! Da piccolo sono sempre stato appassionato di favole, e poi, da quando sono entrato nella libreria del signor Carlo Corrado Coriandoli, beh...
xkè mi inpersono in Bran e leggendo vado in un mondo dove sono intero e dove nn ci sono li cojoni ke sfottono tutto il tempo
Uhmm domanda interessante
L'unica risposta che mi viene in mente è questa
Perche mi piace la fantasy? ... esattamente non lo so mi piace e basta. E come chiedere perche ti piacciono le melanzane alla parmigiana!!
Ora a me le melanzane alla parmigiana non piacciono,ma il ragionamento è lo stesso Non lo so come mai,ma mi piace e basta.Mi sento attratto da questo fondersi con un universo che sfiora l'arcano e si mescola con una dimensione onirica,accarezza il mito e si congiunge all'epopea Non saprei dire meglio di come ha detto Oberon (mica per niente ha i bad religion nell'avatar )
Interessanti e da me condivisi i ragionamenti di Ghost e Lord Beric
condivido anch'io i ragionamenti di Lord beric & ghost e non capisco questa ostinazione di dividere chi legge Fantasy da chi legge i cosidetti classici. Per quanto mi riguarda ho letto di tutto dal decamerone alla figlia di jorio, da Montale a Pasolini e ritengo che ognuno di essi esprima un proprio "fascino" così come Tolkien ha a suo modo lanciato un messaggio, a mio parere, oltremodo attuale proprio attraverso il Fantasy
Per loro è letteratura trash perchè leggono solo i grandi classici della letteratura, e trovano tutto il resto out. Non mi pare che sia snobismo perchè non è nel loro carattere, forse sono solo superficiali. Gli altri temi toccati sono che non si capisce il messaggio che comunica l'autore fantasy e la loro idea che l'evasione diventi alienazione.Cosa gli rispondereste?
Come te la cavi con l'inglese? Guy Gavriel Kay è uno scrittore canadese molto apprezzato in tutto il mondo, non solo come autore di fantasy ma anche come poeta. Puoi trovare la sua risposta "Home and Away" sul sito: www.brightweavings.com/ggkswords/globe.htm
Per loro è letteratura trash perchè leggono solo i grandi classici della letteratura, e trovano tutto il resto out. Non mi pare che sia snobismo perchè non è nel loro carattere, forse sono solo superficiali. Gli altri temi toccati sono che non si capisce il messaggio che comunica l'autore fantasy e la loro idea che l'evasione diventi alienazione.Cosa gli rispondereste?
Come te la cavi con l'inglese? Guy Gavriel Kay è uno scrittore canadese molto apprezzato in tutto il mondo, non solo come autore di fantasy ma anche come poeta. Puoi trovare la sua risposta "Home and Away" sul sito: www.brightweavings.com/ggkswords/globe.htm
Grazie Kindra, questa non la conoscevo...
Se hai altre cose su Kay, sai che qui c'è sempre qualcuno che ne è in cerca...
Secondo me brightweavings.com è un ottimo sito, con interviste, discorsi dello stesso Kay, studi sulle sue opere... c'è anche una divertentissima guida alla sopravvivenza su Fionavar. Quanto ai libri... tu eri presente all'incontro di Milano, ma non ricordo se abiti qui oppure no. Io ho i tre libri di Fionavar, , mi manca Tigana , e ho in inglese A Song for Arbonne, Sailing to Sarantium, Lord of Emperors e Lions of Al-Rassan. Ho letto i primi due e sono alle prese con il terzo. Se ti interessa un prestito...
I tre di Fionavar li hai in italiano?
/me stufo di una lettura stentata e lenta in inglese...
Questo varrebbe bene un viaggio a Milano, ma credo sia più saggio riparlarne a settembre...
/me ringrazia ossequiosamente...
I tre di Fionavar li hai in italiano?
SI!!!!!!!!!!!!!!!!
Qualche mese fa avevo citato nel forum un discorso dello scrittore canadese Guy Gavriel Kay a proposito dello “scrivere fantasy”. A quanto pare, la fantasy non è considerata da molti un “genere minore” solo in Italia, altrimenti Kay non avrebbe sentito la necessità di scrivere queste parole. Qui sotto troverete prima una trascrizione presa dal sito dello stesso Kay ( www.brightweavings.com ), e poi, per chi non conoscesse l’inglese, una mia traduzione (forse un po’ approssimativa, come la mia conoscenza dell’inglese, ma comunque abbastanza comprensibile…). Penso che questo testo possa essere interessante per tutti, indipendentemente dalla conoscenza delle opere di chi lo ha scritto.
Dato che Kay è uno scrittore quasi sconosciuto in Italia, prima del suo discorso scrivo due righe su di lui. Ha collaborato con Christopher Tolkien alla revisione del Silmarillion, e in seguito si è dedicato alla scrittura per conto proprio. Le sue opere sono:
“The Fionavar Tapestry. Book One: The Summer Tree”, 1984. Tradotto in Italiano nel 1993 con il titolo “La trilogia di Fionavar. La strada dei re”;
“The Fionavar Tapestry. Book Two: The Wandering Fire”, 1986. Tradotto in Italiano nel 1993 con il titolo “La trilogia di Fionavar. La via del fuoco”;
“The Fionavar Tapestry. Book Three: The Darkest Road”, 1986. Tradotto in Italiano nel 1994 con il titolo “La trilogia di Fionavar. Il sentiero della notte”;
“Tigana”, 1990. Tradotto in Italiano nel 1992 con il titolo “Il paese delle due lune”;
“A Song for Arbonne”, 1992;
“The Lions of Al-Rassan”, 1995;
“The Sarantine Mosaic. Book One: Sailing to Sarantium”, 1998;
“The Sarantine Mosaic. Book Two: Lord of Emperors”, 2000;
“Beyond This Dark House: Poems”, 2003;
“The Last Light of the Sun”, 2004.
A differenza di altri autori, non scrive un libro ogni anno solo per incassare i diritti d’autore, restando sempre nello stesso mondo “perché vende”. Tre romanzi sul mondo di Fionavar, due sull’Impero Sarantino, quattro volumi totalmente autonomi, e un libro di poesie, che è qualcosa di molto rischioso. Kay è apprezzato non solo per le trame, ma anche per la capacità di scrivere, tanto è vero che è stato giudicato positivamente anche “Beyond This Dark House”.
Come vedete, solo i primi quattro romanzi sono stati pubblicati in Italia molti anni fa, e ormai sono tutti fuori catalogo. La cosa mi lascia un po’ perplessa, perché i suoi libri entrano regolarmente nella classifica dei best sellers sia in Canada, la sua patria, che negli Stati Uniti e in Gran Bretagna. Le sue opere negli ultimi anni sono state pubblicate con successo in Australia, Brasile, Bulgaria, Canada (ovviamente), Corea, Croazia, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Grecia, Israele, Olanda, Polonia, Russia, Spagna, Stati Uniti, Taiwan. Manchiamo noi. Mah?!
Penso sia evidente che Kay è uno dei miei scrittori preferiti. Ho letto i quattro romanzi pubblicati in italiano (sono appena riuscita a comprare l’unico che mi mancava grazie alla gentilezza di Mr. Sandor), due in lingua originale e ora ne sto leggendo un terzo. Ho parlato anche troppo, vi lascio al discorso.
'Home and Away'
'Home and Away' is an amended form of a speech I first delivered as the keynote speech for an academic conference in Toronto, and then (with examples updated and varied) at a convention in Zagreb, Croatia. I cut the speechmaker's jokes. One was about John Clute. A shorter version of the same piece also ran in the Globe and Mail in Canada in the fall of 1999. I was trying to start an argument about the whole idea of using real lives in fiction. I didn't succeed, really. Canadians are extremely polite.
Fantasy fiction occupies an uneasy niche these days. Certain forms of it - the sort the Sunday Times once memorably called 'saga puddings' - sell volume after volume... after volume. These works, hugely successful as they are, have a downside: they shape the perception of a genre.
Fantasy is usually seen as escapist fiction and that is most often meant as a criticism. Fantasy readers escape from the responsibility of reality, the allegation goes, hiding from the real world amid dragons and magic, broadswords and broads with swords.
The criticism ignores an obvious truth: all good storytelling is escapist in a basic way. We are moved and engaged by what happens to invented, imaginary people, whether in Vancouver or Shangri-la. (I am aware that some might claim these are the same place.) If the writer is ambitious, what sometimes happens is that we return from this crafted escape with illumination cast upon our own journeying.
Sometimes, mind you, there's a kind of book that doesn't intend to be important, profound or illuminating. It wants only to entertain in an undemanding way, much as almost all television and most films do. These are the books one reads on a beach or for fifteen minutes before falling asleep at night. It is hard to read challenging fiction in fifteen minute installments.
The bloated, adolescent fantasies one sees everywhere are, for the most part, simply examples of this fiction-as-distraction. But it is a mistake to assume that because many or most works in a given field are unambitious (aside from length) that the genre itself must be seen as trivial.
Fantasy has the capacity to be as important and as thought-provoking as any other form of literature we have. Indeed, in some ways, the journeys and motifs of classic fantasy can come closer to mirroring the inner journey of the human spirit than almost anything else. The patterns of myth, folklore, archetype and fairy tale embedded in such works are time-honoured and immensely powerful, and fantasy can tap more directly into these ancient wells than just about anything else: they are the core elements of the genre.
But there's another strength of the form that's less discussed - and is at the heart of what intrigues me of late. Fantasy is not just about magic and supernatural quests. It can also be a way of dealing with history, with the elements of our own past.
But as soon as this idea is raised, an immediate - and a fair - question arises: why write fantasy about the past? What can fantasy do that straightforward historical fiction (or even non-fiction) cannot? Or, putting it another way, what traps and dilemmas can fantasy avoid that more conventional works cannot? Why write about (as I have) an invented Peninsula of the Palm instead of the early Renaissance Italy it was intended to evoke, or about a medieval country called Al-Rassan instead of the 'real' Al-Andalus - which was Moorish Spain?
All right then: what can fantasy do better, or what can it do that is unique and of value?
First of all the genre allows the universalizing of a story. It takes incidents out of a very specific time and place and opens up possibilities for the writer - and the reader - to consider the themes, the elements of a story, as applying to a wide range of times and places. It detaches the tale from a narrow context, permits a stripping away, or at least an eroding of prejudices and assumptions. And, paradoxically, because the story is done as a fantasy it might actually be seen to apply more to a reader's own life and world, not less. It cannot be read as being only about something that happened, say, seven hundred years ago in Spain.
There's another twist to this and one that has particular relevance today as many countries continue their complex emergence from totalitarian tyrannies. In the autumn of 1990 I had a late night talk with a Polish science fiction magazine editor at an international convention in The Hague. Rendered melancholy by vodka, the editor glumly advised me that he expected his immensely successful magazine to lose about half its writers and many of its readers in the next year. Why? Because with the demise of communist control, many writers who had used science fiction and fantasy to write disguised stories about their world would no longer have to disguise their stories. They wouldn't need a screen to get around the censors. They would set their stories in the 'real' Poland.
Now, one could quarrel with the notion that it is automatically 'better' to do that, but I won't. The very fact that these Eastern European writers had been using the genre in this way underscores something too little realized today - that fantasy need not only be escapist, that it can deliver core truths about the human experience. That the fantasy setting allows and may expand the possibility of such things.
That is one aspect, then, of fantasy as a means of exploring our own past and present. Consider another point. It was Henry James who argued that historical fiction was, in fact, impossible. That it was condemned to be 'cheap' because getting to 'the real thing' with regard to the world views of people in the past simply could not be done. One could only write from within one's own world view, leaving access to the vision or the soul of the past hopelessly barred.
I don't agree, but I see the point, and it strikes me forcibly that by treating the past through the form of a fantasy, one acknowledges the sort of difficulties James was referring to, while still probing and revealing motifs of the past. Fantasy, in this light, becomes a way of being honest about limitations.
And then there are the moral questions. These emerge most strongly when we consider that 'history' isn't just about the distant past. Consider the works that involve real people - living or recently dead - saying and doing things the author has simply made up. There is no way to know if such scenes are true, indeed, put more strongly, there is almost no way that they are true. Does this matter? Should it?
The examples are legion. We look at the real people interwoven with fictional ones in Doctorow's Ragtime, we consider J.D. Salinger as a character in Shoeless Joe (and pass over a more recent tell-all about Salinger which purports to be non-fiction), we pause before the controversy regarding Michael Ondaatje's creative 'invention' of a life and personality and death for a very real person: Count Almasy in The English Patient. We read Don Delillo's Underworld, which opens at a baseball game where Jackie Gleason, helplessly drunk, vomits on Frank Sinatra's shoes in the stands while J. Edgar Hoover sits with them and watches.
The question - or one question - seems to me to be this: are there limits, or ought there to be limits, to what writers of fiction feel at liberty to do with real people and their lives? Does anything go, in fiction as in Cole Porter songs? Ondaatje, in a spirited defence last year against attacks in the Washington Post, pointed out that we'd lose Shakespeare's Richard III if we introduced constraints to the free treatment of real people in art. A grievous, appalling loss. Some might weigh that against the loss of any balanced picture of Richard, following that brilliant piece of propaganda on behalf of Shakespeare's Tudor patrons. I'm a writer and a reader. I'll take the play with deep gratitude - but I can see an argument the other way and if we think of some more recent works of political propaganda designed to bolster regimes and shatter the reputations of opponents, that case is easier to make.
I don't have an answer to this, I confess it freely, but I have a great many variants of the question. Can we make Elizabeth I of England say anything we want her to say to her secret lovers - lovers for the allegedly Virgin Queen - because, well, it is just a novel or a film, everyone knows we are making it up? Can we do it with Elizabeth II right now? Can we hide behind the fact that our work is fiction, even while we seek to gain readers and a thrilled attention by using real, famous people? Is there, in short, a moral issue here? Does privacy or respect for lives lived have anything at all to do with novelists? Should it?
If someone is famous can we do whatever we want with their life? If they are utterly obscure - like Almasy - can we do it? If they are dead, like Jackie Gleason? Long dead, like Richard III? Living, but so famous their lives and names might be considered public property - like Queen Elizabeth or Elizabeth Taylor? These are issues I find worth wrestling with, as more and more works today seems to be incorporating the existence of real people, with too little thoughtful discussion ensuing about the implications.
How does fantasy address any of this? Well, I think the gist of my answer is likely to be obvious by now, but let me illustrate it with another reference to The Lions of Al-Rassan. This is a book based on the broad sweep of events in medieval Spain. One of the major characters is modelled on Rodrigo Diaz, El Cid: the single most mythic and potent figure in Spanish history. No one in English-language culture, not even King Arthur, comes close. El Cid was a real person who became - for good or ill - the symbol of a society and its self-definition.
It seemed to me, over and above the strengths fantasy would offer in telling the story I wanted to tell, that by inventing the setting and inventing a man based on Rodrigo Diaz but clearly not him, I might also be demonstrating a measure of appropriate distance. I would be declaring, without pretense, that I did not know what the real man was like nine hundred years ago, how he related to his wife, his children, his friends, his enemies. When we work with distant history, to a very great degree, we are all guessing. And this, as Henry James knew, is as true of those who claim to be factual historians as it is of novelists.
By placing the story in a fantasy setting - even if it is clearly drawn from history - we are acknowledging that this educated guesswork, invention, fantasy underlies our treatments of the past and its peoples - and for me, that is an honest and a liberating thing for any writer to do.
I am not saying - and I hope it is clear - that this is the only honourable way to approach the matter of the past. What I am offering is the notion that fantasy has the potential to be one such way of addressing the issues that the past so often throws at the present day. It isn't just an evasion, an escape, a hiding from truths of the world: it can be an acknowledgment that those truths are complex, morally difficult, and that many different sorts of techniques and processes may lead to a book's resonating deeply for a reader and a time.
Many years ago, the poet and critic, Douglas Barbour, described a fantasy he admired as, 'The kind of escape that brings you home.' I realized, reading these words, that this was how I'd always seen the potential of the genre. For me, that is what fantasy can do and be if we allow it - as writers and as readers.
A casa e lontano da casa
“A casa e lontano da casa” è la versione corretta di un discorso che inizialmente ho tenuto ad una conferenza universitaria a Toronto, e quindi (con esempi aggiornati e variati) in una convention a Zagabria. Ho tagliato le battute dei presentatori. Una riguardava John Clute. Una versione più breve dello stesso pezzo è comparsa in “Globe and Mail” in Canada nel 1999. Io stavo cercando di iniziare una discussione riguardo l’idea di usare vite reali nella finzione. Non ho avuto successo. I canadesi sono persone estremamente educate.
I romanzi fantasy in questo periodo occupano uno spazio sgradevole. Alcune loro forme – il tipo che una volta il Sunday Times chiamò memorabilmente “saghe budino” – vendono volume dopo volume… dopo volume. Questi lavori, proprio perché hanno un enorme successo, finiscono per avere anche un risvolto negativo: definiscono la percezione del genere.
Solitamente la fantasy è vista come narrativa d’evasione, e questo molto spesso è inteso come una critica. I lettori di fantasy rifuggirebbero dalle responsabilità della realtà, proseguono le imputazioni, nascondendosi dal mondo reale e rifugiandosi in mezzo a draghi e magie, grandi combattimenti ed energumeni armati di una spada.
Queste critiche ignorano un’ovvia verità: ogni buon narratore, alla fin fine, fornisce una via di fuga. Noi siamo emozionati ed appassionati da ciò che accade a persone inventate, immaginarie, a Vancouver come a Shangri-la. (Sono consapevole del fatto che qualcuno potrebbe dire che si tratta dello stesso luogo.) Se lo scrittore è ambizioso, ciò che accade alle volte è che noi ritorniamo da questa fuga con un’illuminazione raggiunta sopra o sotto il viaggio stesso.
A volte, attenzione, c’è un tipo di libro che non intende essere importante, profondo o rivelatore. Esso vuole solo divertire senza altre pretese, come fanno quasi tutta la televisione e la maggior parte dei film. Questi sono i libri che si leggono sulla spiaggia o la sera, per quindici minuti, prima di dormire. È duro leggere romanzi impegnativi dedicandogli solo un quarto d’ora per volta.
Le tronfie, adolescenziali fantasie che si possono trovare dappertutto sono, per la maggior parte, semplicemente esempi di questo tipo di “narrativa intesa come distrazione”. Ma è un errore presumere che poiché molte, se non addirittura la maggior parte, delle opere che si dedicano a questo campo non siano ambiziose (se eccettuiamo la lunghezza), l’intero genere debba essere considerato insignificante.
La fantasy ha la capacità di essere importante e di generare riflessioni tanto quanto ogni altra forma di letteratura. Davvero, in qualche caso i viaggi e i temi della fantasy classica possono essere più veritieri nel rispecchiare il percorso interiore dello spirito umano di quasi tutto il resto. I sentieri del mito, il folclore, gli archetipi e i racconti di fate sono intrecciati all’interno di opere valorizzate nel tempo e dall’immenso potere, e la fantasy nasce e prende lo slancio più direttamente da queste antiche mura che da qualsiasi altra cosa: questi sono gli elementi centrali del genere.
Ma questo genere è dotato anche di un’altra forza, molto meno indagata e sottolineata – e alla fine questo è il cuore di ciò che mi affascina. La fantasy non parla solo di magia e ricerche soprannaturali. Essa può anche essere un modo di confrontarsi con la storia, con gli avvenimenti del nostro stesso passato.
Ma nello stesso istante in cui quest’idea è proposta, un’immediata – e giusta – domanda si pone: perché scrivere fantasy relativi al passato? Cosa può fare la fantasy che i romanzi storici (o anche i saggi) non possono? O, mettendola in un altro modo, quali trappole e dilemmi può evitare la fantasy e le opere più convenzionali no? Perché scrivere su (come ho fatto) [in “Tigana”, tradotto in italiano nel 1992 con il titolo “Il paese delle due lune”, ma ormai fuori catalogo. N.d.T.] un’inventata Penisola del Palmo invece che sul primo Rinascimento italiano che intendevo evocare, o riguardo ad un paese medievale chiamato Al-Rassan [The Lions of Al-Rassan. N.d.T.] invece del “reale” Al-Andalis che fu la Spagna Moresca?
O, più correttamente, cosa può essere fatto meglio dalla fantasy, o cosa può fare di unico e di valore?
Per prima cosa è il genere che più di ogni altro consente l’universalizzazione della storia. La fantasy prende spunto da un tempo e un luogo molto specifici e apre la possibilità per lo scrittore – e per il lettore – di considerare i temi e gli elementi di una storia e di applicarli ad un ampio raggio di temi e luoghi. Essa distacca il racconto da uno stretto contesto permettendo di spogliarlo o almeno di eroderne i pregiudizi e le supposizioni. E, paradossalmente, poiché la storia è trattata come una fantasia può realmente essere vista come maggiormente applicabile alla vita personale del lettore e al suo mondo, e non meno. Non può essere letta come se fosse solamente qualcosa che è accaduta una volta, diciamo, settecento anni fa in Spagna.
C’è un altro risvolto, e questo ha una particolare rilevanza oggi, poiché molti stati continuano a nascere dal disgregarsi delle tirannie totalitarie. Nell’autunno del 1990 ebbi una chiacchierata notturna con un editore di fantascienza polacco alla convention di L’Aia. Reso melanconico dalla vodka, l’editore mi informò cupamente che si aspettava che il suo giornale di grandissimo successo perdesse metà dei suoi scrittori e molti dei suoi lettori nell’anno successivo. Perché? Perché a causa della sparizione del controllo comunista, molti scrittori che avevano adoperato la fantascienza e la fantasy per scrivere storie travestite riguardo al loro mondo non avrebbero più avuto bisogno di travestire le loro storie. Non avrebbero più avuto bisogno di uno schermo per evitare la censura, e avrebbero ambientato le loro storie nella “reale” Polonia.
Adesso, si potrebbe discutere sul fatto che sia automaticamente “meglio” scrivere quest’ultimo genere di storie, ma non lo farò. Il semplice fatto che questi scrittori dell’Europa dell’Est fossero soliti adoperare il genere in questo modo sottolinea qualcosa di troppo sottile per accorgersene oggi – che la fantasy non è solo una fuga, e che può giungere al nucleo vero delle esperienze umane. Che l’ambientazione fantasy raggiunge e può allargare la conoscenza di queste cose.
Questo è un aspetto, quindi, proprio della fantasy, la possibilità di esplorare il nostro stesso passato ed il presente. Consideriamo un altro punto. Fu Henry James che disse che la narrativa storica è, di fatto, impossibile. Che era condannata ad essere “scadente” perché mostrare “la realtà” con gli occhi dei popoli del passato semplicemente non può essere fatto. Ciascuno può scrivere solo con gli occhi del suo tempo, lasciando l’accesso alla visione o all’animo del passato irrimediabilmente sbarrati.
Io non sono d’accordo, ma capisco questo punto, e mi colpisce con forza che, considerando il passato attraverso le forme dell’immaginazione, sono riconoscibili le difficoltà delle quali James ha parlato, anche mentre vengono investigati e rivelati motivi del passato. La fantasy, da questo punto di vista, diventa un modo di essere onesti entro le proprie limitazioni.
E qui si pone ora la questione morale. Essa emerge con forza maggiore quando consideriamo che la “storia” non riguarda solo il lontano passato. Consideriamo le azioni compiute da persone reali – vive o morte da poco – che dicono o fanno cose che l’autore si limita a trascrivere. Non c’è alcun modo per sapere se queste scene siano reali, in effetti, per dirla più chiaramente, non c’è alcun modo per sapere che sono reali. È questa la questione? Dovrebbe esserlo?
Gli esempi potrebbero essere innumerevoli. Noi leggiamo di persone reali intrecciate ad altre di pura invenzione nel Ragtime di Doctorow, vediamo J. D. Salinger come personaggio in Shoeless Joe [famosissimo – negli Stati Uniti – giocatore di baseball del passato. N.d.T.] (e sorvolo su una più recente biografia completa di Salinger che pretende di non essere un romanzo), ci fermiamo davanti al controverso sguardo di Michael Ondaatje e alle sue creative “invenzioni” sulla vita, la personalità e la morte di una persona realmente esistita: il Conte Almasy ne Il paziente inglese. Noi leggiamo Underworld di Don Delillo, nel quale in una partita di baseball Jackie Gleason, completamente ubriaco, vomita sulle scarpe di Frank Sinatra, sul palco, sotto gli occhi di Edgar J. Hoover.
La domanda – o una domanda – mi sembra sia questa: ci sono dei limiti, o dovrebbero esserci dei limiti, riguardo a cosa gli scrittori di narrativa sentono di poter fare liberamente con le persone reali e le loro vite? Qualsiasi cosa può andare, nell’immaginazione come nelle canzoni di Cole Porter? Ondaatje, difendendosi l’anno scorso dagli attacchi del Washington Post, fece notare che perderemmo il Riccardo III di Shakespeare se introducessimo queste limitazioni all’utilizzo libero delle persone reali nell’arte. Un’atroce, impressionante perdita. Qualcuno potrebbe considerarlo in opposizione alla perdita di ogni equilibrato ritratto di Riccardo, seguendo questo brillante pezzo di propaganda scritto per conto dei patroni di Shakespeare, i Tudor. Io sono uno scrittore e un lettore. Io accolgo quest’opera con profonda gratitudine, ma posso capire i motivi dell’altro punto di vista, e se pensiamo a qualche lavoro recente di propaganda politica progettato per sostenere i regimi e distruggere le reputazioni degli avversari, la scelta da compiere è più semplice.
Non ho una risposta per questo, lo confesso liberamente, ma ho una grande varietà di domande. Possiamo far dire a Elisabetta I d’Inghilterra qualsiasi cosa vogliamo che dica sui suoi amanti segreti – amanti per quella che viene chiamata la Regina Vergine – perché, ecco, è solo un romanzo o un film, e tutti sanno che è una finzione? Possiamo farlo ora con Elisabetta II? Possiamo nasconderci dietro al fatto che il nostro lavoro è una finzione, anche mentre cerchiamo di conquistarci lettori ed entusiasmarli usando persone famose realmente esistenti? C’è in questo, brevemente, un dovere morale? La privacy o il rispetto per la vita reale hanno qualcosa a che fare con il romanziere? Dovrebbero?
Se qualcuno è famoso, possiamo fare qualsiasi cosa vogliamo con la sua vita? Se si tratta di persone completamente sconosciute – come Almasy – possiamo farlo? Se sono morte, come Jackie Gleason? Morte da parecchio tempo, come Riccardo III? Vive, ma così famose che le loro vite e i loro nomi possono essere considerati di pubblica proprietà, come la regina Elisabetta o Elisabeth Taylor? Queste sono le domande che ho trovato ragionando su questo problema, e sempre più opere oggi sembrano incorporare l’esistenza di persone reali, con pochissimi ponderate riflessioni riguardo alle conseguenze.
Cosa c’entra la fantasy con questo? Bene, io penso che il nocciolo della mia risposta sia abbastanza ovvio adesso, ma lasciatemi spiegare meglio con un altro riferimento a The Lions of Al-Rassan. Questo libro è basato su una generale indagine degli eventi nella Spagna medievale. Uno dei personaggi principali è basato su Rodrigo Diaz, El Cid: l’unica potente figura mitica nella storia della Spagna. Nessuno nella lingua e nella cultura inglese, nemmeno re Artù, gli si avvicina. El Cid fu una persona reale che divenne – per il bene o per il male – il simbolo di una società e la sua stessa autodefinizione.
Mi sembrava, oltre e al di là della forza che la fantasy avrebbe potuto darmi nel raccontare la storia che io volevo raccontare, che inventando l’ambientazione e un uomo basato su Rodrigo Diaz, ma che chiaramente non fosse stato lui, potevo prenderne un’appropriata distanza. Potevo dire, senza finzioni, che io non sapevo a chi somigliasse l’uomo realmente vissuto novecento anni fa, quali fossero i suoi rapporti con sua moglie, i suoi figli, i suoi amici e i suoi nemici. Quando noi lavoriamo con eventi lontani nel tempo, che hanno notevoli margini d’incertezza, tutto ciò che scriviamo è una supposizione. E questo, come Henry James sapeva, è vero tanto per quelli che pretendono di riferire solo fatti realmente verificatisi quanto per i romanzieri.
Quando collochiamo la storia in un’ambientazione fantasy – anche se questa è chiaramente modellata su un dato periodo storico – noi ammettiamo che si tratta di ipotesi, invenzioni, che la fantasia sta alla base del nostro modo di guardare il passato e le sue genti – e, per me, questa è una scelta onesta e matura per ogni scrittore che la compie.
Io non sto dicendo – spero che questo sia chiaro – che questo sia l’unico sistema corretto per accostarsi al passato. Quello che sto offrendo è il concetto che la fantasy ha tutto il potenziale per essere uno dei modi per avvicinarsi ai problemi che così spesso il passato rimanda al presente. Non si tratta solo di un’evasione, una fuga, un nascondiglio dalle verità del mondo: essa può essere un riconoscimento che queste verità sono complesse, moralmente difficili, e che molte tecniche diverse e molti stili possono dare ad un libro una risonante profondità per un lettore e per il suo tempo.
Molti anni fa, il poeta e critico Douglas Barbour, descrisse la fantasy che apprezzava come “Il tipo di fuga che vi riporta a casa”. Io ho capito, leggendo queste parole, che è in questo modo che ho sempre visto il potenziale di questo genere. Per me, questo è ciò che la fantasy può fare ed essere se noi glie lo permettiamo – tanto gli scrittori quanto i lettori.
La letteratura fantasy è un mondo affascinante.
Non si tratta solo di viaggiare con la fantasia (cosa di per sè già molto bella qualche volta), ma anche di riuscire a cogliere i significati e i messaggi che l'autore riesce (si spera) ad inserire in un contesto diferente dallla realtà in cui viviamo
Il fantasy mi fa sognare, ma allo stesso tempo m iavvicina alla realtà in alcuni passaggi, quindi in definitiva posso dire che mi piace cosi' tanto perchè se l'autore è bravo, riesce ad esaltarmi con una piccola fuga della realtà che stimola la mia fantasia, mi affascina e allo stesso tempo mi fa riflettere.
O almeno io la vedo così
Luca
io non considero il fantasy un genere, ma solo un ambientazione. il brutto è che si fa solo fantasy d'avventura.
io non considero il fantasy un genere, ma solo un ambientazione
Se il fantasy è un'ambientazione, la Terra di Mezzo, Krynn e altre ambientazioni cosa sarebbero?
io leggo il fantasy perchè mi piace leggere di cose che da piccola ho immaginato e desiderato..
avere dei poteri vivere tra le fate incontrare creature magiche è sempre stato il mio sogno ed immergermi in un mondo che ha tutte queste cose per me è il paradiso...
sciao