Concordo e infatti parlando dei diversi Joker questo di Phoenix non è affatto fumettistico e va oltre il terribile Joker di Ledger
Comunque già i Batman di Nolan sono più profondi
Ringrazio il mio caro amico JonSnow; per aver ideato e creato le immagini dei miei bellissimi ed elegantissimi avatar e firma
;
« I am a wolf and I fear nobody. »
''They were insulting Jon and you sat there and listened.''
''Offend them and Jon loses his army.''
''Not if they lose their heads first.''
« Leave just ONE wolf alive and sheeps will NEVER be safe. »
« When the snows fall and the white winds blow, the lone wolf dies, but the pack survives. »
''I lupi sani e le donne sane hanno in comune talune caratteristiche psichiche: sensibilità acuta, spirito giocoso, e grande devozione. Lupi e donne sono affini per natura, sono curiosi di sapere e possiedono grande forza e resistenza. Sono profondamente intuitivi e si occupano intensamente dei loro piccoli, del compagno, del gruppo. Sono esperti nell'arte di adattarsi a circostanze sempre mutevoli; sono fieramente gagliardi e molto coraggiosi. Eppure le due specie sono state entrambe perseguitate''.
Il Joker che preferisco rimane quello di Nicholson perché era veramente irritante e istrionico nel suo essere pazzo e squilibrato. E poi tutto il film che lo riguarda è un manifesto perfetto della cultura pop anni '80.
Però anche i Joker successivi sono riusciti (tranne quello di Leto), compreso quello di Phoenix. Ognuno ha la sua chiave interpretativa, ovviamente.
Infatti a parte che Nicholson non mi
piace
Terribile joker di Ledger
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Io non amando molto Nolan in generale, non ho visto Il Cavaliere Oscuro e nemmeno il successivo.
Specifico però che non intendevo dare una connotazione negativa a "fumettistico" (da disegnatrice non potrei mai.. non a caso amo molto i due Batman di Burton), semplicemente sottolineavo la diversità di approccio al personaggio
Sono personaggi completamente diversi
A me il Batman di Nolan piace molto (lo danno in tv in questi giorni ) perché è un salto di qualità del personaggio Batman che non è il classico supereroe ma un essere macerato.Joker di Ledger è un personaggio che mi ha fortemente colpito per la cattiveria totale e gratuita ,un grande Joker anche lui .
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Il Joker di Ledge è l'incarnazione del caos. Ovviamente c'è del sadismo nel suo comportamento, ma se dovessi definirlo in una paura, è puro caos.
Quello di Phoenix è un personaggio disturbato che vive in una società malata, quindi è un personaggio più "sociologico" e meno filosofico.
Si vuole il caos ma distrugge ed ammazza nel peggior modo possibile per il gusto di farlo
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Se non fosse crudele non sarebbe Joker.
4 hours fa, ryer dice:Io non amando molto Nolan in generale, non ho visto Il Cavaliere Oscuro e nemmeno il successivo.
Specifico però che non intendevo dare una connotazione negativa a "fumettistico" (da disegnatrice non potrei mai.. non a caso amo molto i due Batman di Burton), semplicemente sottolineavo la diversità di approccio al personaggio
Recuperali perché Nolan non piace tanto neanche a me, però la trilogia del Cavaliere oscuro merita veramente moltissimo.
E' sempre un dispiacere che quando tutti i lupi dovrebbero sollevarsi, un posto possa rimanere vuoto.
A man might befriend a wolf, even break a wolf, but no man could truly tame a wolf.
When the snows fall and the white winds blow,
the lone wolf dies, but the pack survives
Stark è grigio e Greyjoy è nero
Ma sembra che il vento sia in entrambi
lo so, ogni volta mi riprometto di recuperare almeno Il Cavaliere Oscuro ma per un motivo o per l 'altro, non succede mai... prima o poi ce la farò!
Il 27/11/2019 at 17:20, Euron Gioiagrigia dice:Una volta però si parlava di banalità del male.
Come ho detto, però, il film non intende giustificare alcunché.
Ha ragione @Oathkeeper quando scrive che il male fa parte di noi. Il fascino esercitato da esso è anche, se vogliamo, il riflesso del fascino esercitato da un più ampio scandagliare l'animo umano e i percorsi che conducono un uomo a scegliere quello che viene considerato il male in luogo del bene. L'impossibilità di ricondurre tutto ciò che concerne l'umano nell'alveo della razionalità amplifica questo interesse.
La banalità di cui parla Hannah Arendt va oltre il tema dell'efficacia che ha, in narrativa, raccontare personaggi legati al male. Ruota attorno al come sia stato possibile arrivare all'orrore dell'olocausto attraverso l'agire di individui come Eichmann: piccoli, mediocri, terribilmente normali. Ma la citazione rimane centrata se proiettata sul piano dell'analisi del personaggio:
"È anzi mia opinione che il male non possa mai essere radicale, ma solo estremo; e che non possegga né una profondità, né una dimensione demoniaca. Può ricoprire il mondo intero e devastarlo, precisamente perché si diffonde come un fungo sulla sua superficie. È una sfida al pensiero, come ho scritto, perché il pensiero vuole andare in fondo, tenta di andare alle radici delle cose, e nel momento che s'interessa al male viene frustrato, perché non c'è nulla. Questa è la banalità. Solo il Bene ha profondità, e può essere radicale."
Le parole di Hannah Arendt sono particolarmente calzanti se guardiamo al tipo di personaggio che è Joker. Mettono il male a nudo, evidenziandone il limite essenziale nella mancanza di profondità. È stato fatto un paragone tra il modus operandi di Joker e quello di Bruce Wayne. Proprio in questa comparazione si coglie una differenza fondamentale tra i due personaggi che va molto al di là del loro essere accomunati da un agire che trascende il perimetro legale tout court.
Possiamo infatti arrivare a comprendere il sentire di Arthur e il perché delle sue azioni. Possiamo persino provare in parte empatia e, almeno all'inizio, una forte compassione. Tuttavia, rimane una questione di fondo ineludibile: nonostante il Joker nasca da ragioni ben precise, umanamente comprensibili nel loro dramma profondo, dinanzi a qualsivoglia forma di scandaglio la sua rimane una re-azione sì estrema, ma al contempo drammaticamente superficiale, limitata e limitante. Centrato, in tal senso, l'aggettivo usato da @JonSnow;per descrivere il personaggio: monco.
Beh parlate per voi, a me il male ripugna e non ha mai affascinato non a caso mi attirano i personaggi retti che cercano di fare la cosa giusta che molti non sopportano perché sono per loro troppo "perfettini" tipo Ned Stark o Capitan America. Sarà perché empatizzo comprendendo bene quanto in realtà soffrano e debbano mandare giù bocconi amari.
E' sempre un dispiacere che quando tutti i lupi dovrebbero sollevarsi, un posto possa rimanere vuoto.
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Ma sembra che il vento sia in entrambi
Ascrivere il male a concetto disarmante nella sua capacità di fascino potrebbe essere spesso, da un certo punto di vista, inquietante. Per quanto nel male vi siano letture complesse che portano all'esercizio del medesimo, permangono invece algoritmi semplicistici ed estremamente frivoli: la facilità nell'approcciarsi al male, esternarlo e compierlo è inversamente proporzionale alla complessità del bene e al peso che esso costituisce per l'essere umano.
Profondere l'idea che il bene sia di fondo un'astrazione della banalità e dell'infruttuosità equivale a dirimere un assetto fallace e a svilirne la costituzione. Il bene, per quanto totalizzante ed inscindibile da un senso di morale, richiede un'abnegazione e uno sforzo maggiore, oltre che una lettura più articolata di quanto non possa sembrare.
Al male può essere accostata la sublimazione della propria coscienza ad una distanza da ogni rinuncia personale. Di fondo esso permane un'area in cui non è possibile prosperare. Spesso il suo presunto fascino è solo la denominazione alternativa con cui si chiama quel meccanismo che porta alla scelta più facile e meno tortuosa, ossia il non seguire una strada fatta di ideali sani e di morali, che richiederebbe appunto un'applicazione maggiore. Perciò fa spesso più comodo pensare che il bene sia infruttuoso e banale, ma in realtà il concetto spesso nasconde una sorta di auto-assoluzione inconsapevole.
Esistono poi forme di male e bene consapevoli e inconsapevoli. Alle volte esiste anche una forma più pericolosa di male, ossia quella che pretende di essere dalla parte del bene, e di avere anche ragione. Quel tipo di male che si investe di aura retta, sino a sfiorare la melliflua santità, esente da ogni negatività e proteso ad una rettitudine che è solo presunta, come una mera patina inconsistente. Ci si ritrova quindi solo ad emularlo, il bene, e lo si fa anche male.
Altri motivi per cui continuo a ritenere Joker, nella fattispecie Arthur Fleck, un soggetto profondamente responsabile di quanto accade a sé stesso e agli altri.
« I did what I thought was right. » Jon Snow
« There are no men like me. Only me. » - Jaime Lannister
« No one can protect me. No one can protect anyone. It's true, I am a slow learner, but I learn. Winterfell is Our Home, we have to fight for it. » - Sansa Stark
« Leave one wolf alive and the sheep will never be safe. » - Arya Stark
« A good act does not wash out the bad, nor a bad act the good. » - Stannis Baratheon
Take my Heart when You go _ Take Mine in It's Place.
Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via, dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai. Ti salverò da ogni malinconia, perché sei un essere speciale. Ed io avrò cura di te.
Credo che uno dei grandi meriti di questo film, alla luce di una recente affermazione di Scorsese, sia che non si colloca tra i cosiddetti e vituperati “parchi a tema”, ma che ci troviamo di fronte a un film su un personaggio tratto da un fumetto che ha anche la dignità di film in sé e per sé. Merito che lo mette nella scia già tracciata, ad esempio, dalla trilogia di Batman di Christopher Nolan, per citarne uno.
Molto bella la fotografia e la scenografia. Questa ti mette nella condizione di empatizzare col disagio che ci troviamo davanti per tutta la durata del film, tra quartieri abbandonati a se stessi, palazzi, appartamenti e treni fatiscenti, un regno incontrastato del cemento, soffocante, quasi quanto le risate di Arthur, che a tratti sembrano volgere al pianto, a tratti sembrano manifestarsi quasi come un attacco di panico. È una Gotham/New York degli anni 80. Ma potrebbe essere qualsiasi altra metropoli, anche ben più vicina a noi.
Un altro grande merito del film è regalare il palco totale a Joaquin Phoenix. Il regista e co-sceneggiatore ha saputo farsi da parte e lasciare carta bianca interpretativa a Phoenix, che in questo modo è riuscito a dare anche maggior valore a quella che, arrivando alle noti dolenti, è una storia un po’ superficiale e un po’ banale infarcita di molti cliché, nonché di citazioni che tendono a ridimensionarla molto.
Passando alle note dolenti, sembra che la partecipazione di Robert De Niro al film, sia lì a renderci ancor più evidente che il riferimento di costruzione della storia sia Scorsese, più che il canon. Detto tra noi, a me del canon non interessa granché quindi l’operazione la trovo anche interessante, se solo non si limitasse a portare nostalgia verso ciò che Scorsese è riuscito a mettere su schermo e Todd Phillips invece no. Non sto dicendo che avrei preferito impiegare questo tempo riguardando, che ne so, taxi driver, ma insomma è chiaro che la levatura dei due film sia evidentemente diversa.
E l’assenza di un regista e una storia di una certa caratura là si nota anche dalla resa che Phoenix ha fatto del suo personaggio. Phoenix per il materiale che aveva è stato magistrale, badate bene, anzi è riuscito a dare una parvenza di buona sceneggiatura a una sceneggiatura che si è ispirata un po’ di qua e un po’ di là, e che avrebbe la pretesa di dire qualcosa ma che in realtà dice poco. Alcuni qua hanno avanzato dei paragoni tra il suo Joker e dei Joker passati, ma non credo che sia il metro corretto. Il Joker di Phoenix non è Joker, è il modo con cui questa storia vuole distaccarsi dal canon del fumetto, rendersi verosimile e realistica, dando a Joker delle origini che parlano di disagio: disagio psichico, disagio sociale, disagio culturale, disagio educativo, come avete già evidenziato nelle vostre analisi. Quindi il metro di paragone per desumere che questo film non è il capolavoro che voleva essere è vedere Phoenix che interpreta un ruolo simile in un film più solido e robusto, dal punto di vista della regia, della storia: The Master. Anche qui, si vede che ci troviamo di fronte a un signor regista Paul Thomas Anderson e, nuovamente, questo Todd Phillips. Tanto che alla fine mi sono chiesta: ma chi sarebbe questo Todd Phillips? E che altro ha fatto?
Poi ho letto la sua filmografia e tutto è diventato chiaro.
Il film è un’occasione mancata. Arthur Fleck è un personaggio affetto da un disturbo neurologico, che però viene tratteggiato come un banale cliché: è malato, la società cattiva taglia i fondi al suo programma di sostegno, quindi non ha più la prescrizione per le medicine e non prendendole più scende in una spirale di violenza che è l’unica ad assicurargli una visibilità e un delirante trionfo, prima di tornare al luogo che gli appartiene, l’essere rinchiuso in un ospedale psichiatrico lontano dalla società.
Ora un racconto del genere, oltre a essere falso - basta informarsi e leggere degli studi scientifici sul tema per rendersi conto che chi è affetto da disturbi mentali è più facile che la violenza la subisca anziché la arrechi - contribuisce a rafforzare lo stigma su questo genere di malattie. Ma non fa neanche un racconto veritiero sulla condizione del protagonista che, a tratti, sembra presentare una sequela di sintomi afferenti a disparate malattie, tanto da avere l’impressione che siano disseminati apposta per strizzare l’occhio a chi guarda, in quanto possibilmente più familiari di quelli derivanti dal disturbo specifico. Di fronte a questo, assume poca importanza il fatto che invece la resa della condizione della madre abbia tutto sommato una certa coerenza.
Anche il lato sociale è trattato in maniera piuttosto sommaria: la città di Gotham è decadente come ci si aspetterebbe, forse anche troppo. Sembra di trovarsi in una sorta di luogo in cui vince la legge della giungla e la prevaricazione, idea che non si può definire originale, ma che resta sempre in superficie. Un motivo simile lo si trova in The dark knight rises, ma lì è contestualizzato alla contemporaneità, alla crisi economico-finanziaria della fine degli anni zero. Qua non si contestualizza, c’è e basta. Eppure avrebbe potuto essere un tema d’indagine molto più rilevante del disagio mentale di Arthur, oppure avrebbe potuto prendere la strada della spiegazione di un disagio mentale dovuto alla contestualizzazione sociale, anziché del disagio mentale derivante da trauma infantile con implicazioni e conseguenze neurologiche.
Sempre parlando di contemporaneità poi, i riferimenti al contesto sociale sembrano molto più ammiccare all’oggi che non alla prima metà degli anni 80, periodo in cui si vorrebbe fossero le vicende ambientate. In particolare, il dettaglio più evidente è la trasmissione allo show della performance comica imbarazzante di Arthur.
In un film, dove non esistono personaggi positivi, ma solo personaggi negativi, perché tutti sono visti attraverso lo sguardo di Arthur (forse si salvano il piccolo Bruce, la figlia della vicina e la ragazza molestata sul treno), colpisce molto anche il cammeo concesso ad Alfred, in cui ci viene mostrato come uno dei tanti indifferenti al reietto ma interessato soltanto alla protezione totale del piccolo Bruce. Declinazione del personaggio totalmente OOC. Forse ancora più grave del presentare Thomas Wayne come una sorta di oligarca, le cui vicende familiari si sottende - immagino non volutamente - rimandino a quelle di un noto dittatore del tempo che fu.
E forse è nella citazione che fate della visione di male data da Hannah Arendt anche, uno dei motivi per cui infine non ho apprezzato il film: la mancanza di profondità delle ragioni che spingono Arthur al male, una reazione estrema e superficiale, quasi automatica, all’ennesima aggressione da cui nasce la visibilità per il clown, quella visibilità che da comico gli viene data ma per ridicolizzarlo, quella visibilità e riconoscimento che, pur nel male, fanno decidere ad Arthur di rinunciare ad Arthur, annullarsi e identificarsi totalmente con Joker. Eppure, con una tale interpretazione, ammettiamo l’inconsapevolezza della negatività del gesto da parte del soggetto, cosa che, se ben aderisce al contesto per cui tale teoria è stata postulata, forse, non aderisce al carattere in questione.
"And now at last it comes. You will give me the Ring freely! In place of the Dark Lord you will set up a Queen. And I shall not be dark, but beautiful and terrible as the Morning and the Night! Fair as the Sea and the Sun and the Snow upon the Mountain! Dreadful as the Storm and the Lightning! Stronger than the foundations of the earth. All shall love me and despair!”
She lifted up her hand and from the ring that she wore there issued a great light that illuminated her alone and left all else dark. She stood before Frodo seeming now tall beyond measurement, and beautiful beyond enduring, terrible and worshipful. Then she let her hand fall, and the light faded, and suddenly she laughed again, and lo! she was shrunken: a slender elf-woman, clad in simple white, whose gentle voice was soft and sad.
“I pass the test”, she said. “I will diminish, and go into the West and remain Galadriel.”
***
"A ruler needs a good head and a true heart," she famously told the king. "A cock is not essential. If your Grace truly believes that women lack the wit to rule, plainly you have no further need of me." And thus Queen Alysanne departed King's Landing and flew to Dragonstone on her dragon Silverwing. [...] The queen died of a wasting illness in 100 AC, at the age of four-and-sixty, still insisting that her granddaughter Rhaenys and her children had been unfairly cheated of their rights. "The boy in the belly," the unborn child who had been the subject of so much debate, proved to be a girl when born in 93 AC. Her mother named her Laena. The next year, Rhaenys gave her a brother Laenor.
Secondo me non ha molto senso fare paragoni con i fumetti. E una storia troppo realistica e cruda...