Ops....
- Il Trono del Drago
è il titolo corretto del libro primo.
Segnalo solo l'uscita del SIGNORE DELLA MAGIA in data odierna! Buona lettura
Gil Galad - Stella di radianza
Dopo aver finito di leggere "Il Drago Rinato" andrò a comprarlo!!!
Grazie!
FINALMENTEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEEE
Ieri ho comprato "IL SIGNORE DELLA MAGIA ", avendolo già letto anni fà in biblioteca, mi mancava fisicamente nella mia libreria!!
Devo dire una cosa.
Adoro i miei genitori *______*
(ho sia il ciclo del Signore della Magia che quello del Trono del Drago ^_^ comprato anni e anni fa.. *goduria*)
Comprato e prossimo libro in lettura...non vedo l'ora di iniziarlo, spero di non essere deluso
Non ero a conoscienza di questa dichiarazione.
Però dire che chi ha letto un libro di Williams nota questa influenza visto la presenza di re, famiglie, popoli che ne danno un taglio medievaleggiante mi sembra un po' troppo.
Allora tutti quelli fanno qualcosa che richiami il medievo si sarebbero ispirati a Williams.
A qst punto direi allora ke é una questione di xcezione: secondo me l'ispirazione é lampante, secondo te no. D'altronde libri uguali poxono dare sensaz. diverse... xò se qlcn altro ha letto Williams mi farebbe piacere sapere la sua opinione... anke se credo ke ormai siamo un po' troppo off-topic...
Scusate se riapro l'OT.
Sai Raven quanto io apprezzi Tad Williams, nonostante le dichiarazioni di Martin, però io non vedo tali analogie da collegare strettamente le loro opere.
La natura mediavale in Williams e di gran lunga meno sviluppata che in Martins.
Williams ripercorre la trama narrativa di tolkiniana origine. Ci sono razze fantastiche che hanno molta attinenza con quelle di T.
Martin (o almeno quello che ci è stato presentao fino ad ora, ma in futuro mi aspetto una decisa svolta narrativa) ha invece abbracciato il romanzo storico, da cui è partito per creare una grande saga fantasy.
I due presupposti mi sembrano diversi. Che poi siano stati presi degli spunti dalle opere di williams ci sta. I norn, le volpi bianche, sono pericolosamente simili a ciò che si cela oltre la barriera.
In Martin, inoltre, non c'è un vero "epicentro" della storia, da cui si dirama la narrazione. Ci sono diversi "fuochi" che tessono le trame di una complessa storia.
In Williams c'è un protagonista attorno al quale gira tutta la storia. In effetti poi ci sono altri personaggi che si muovono parallelamente. Ciò che ccade per esempio nel Nabbam o tra i Wranniti è importante per la narrazione, come lo sono le avventure del principe monco, però alla fine è attorno al protagonista che ruota la storia.
Io credo che da un punto di vista narrativo Williams è senza ombra di dubbio paragonabile ai più grandi. Il suo limite, se vogliamo, è stata la relativa brevità della saga delle spade del potere.
E' molto facile vedere in scrittori come Martin e Jordan la grandezza (per non parlare poi di tolkien), hanno scritto saghe infinite con moltissimi libri. Non vorrei però che la lunghezza della saga fosse l'unica discriminante.
Williams come originalità e stile narrativo va inserito nel gotha dei maggiori scrittori fantasy.
E' molto facile vedere in scrittori come Martin e Jordan la grandezza (per non parlare poi di tolkien), hanno scritto saghe infinite con moltissimi libri. Non vorrei però che la lunghezza della saga fosse l'unica discriminante.
A parte il fatto che purtroppo non sono ancora riuscito a trovare i libri di Williams, questa tua affermazione è secondo me fondamentale.
E' chiaro che la lunghezza dei testi non può essere l'unica discriminante, ma è altrettanto ovvio che, per caratterizzare a dovere tanti personaggi quanti ne utilizzano Martin e Jordan, avere a disposizione libri molto lunghi e potersi permettere una fine dopo migliaia e migliaia di pagine è indispensabile.
Un personaggio deve emergere sin dalle prima battute in cui si vede, ma la sua evoluzione e il suo reagire a molti eventi gli donano uno spessore che un libro singolo o perfino una sola trilogia non gli doneranno mai.
Per questo mi sentirei di escludere da questo discorso Tolkien, che contrariamente a Martin e Jordan ha avuto "soltanto" 1200 pagine per i suoi personaggi. La grandezza di Tolkien è ben altra cosa, è mitopoietica ed è linguistica, a mio avviso.
Il succo è questo: potersi permettere di scrivere 3000, 4000 e così via pagine, dà all'autore un'altra prospettiva, ossia la possibilità di far evolvere parecchi personaggi con molta più gradualità e credibilità.
Non mi fraintendere.
Ti accorgerai che Williams, quando riuscirai a leggerlo, sviluppa i suoi personaggi in maniera estremamente approfondita. Si è concesso infatti 3/4 copiosi volumi per narrare la sua saga.
Ti voglio portare un esempio. Mi è capitato di leggere il qurto volume di Jordan, dopo che per anni avevo letto e riletto solo i primi tre. In trecento pagine "Shadow Rising" accade e si vela sui persnoaggi della "Ruota del Tempo", molto più che in 3000 dei primi tre volumi.
Questo mi ha fatto capire che, indipendentemente dalla necessità di presentare l'ambientazione, c'è molto di superfluo e meramente descrittivo nelle prime 3000 pagine di jordan.
Temo di far molta fatica ad esprimere questo concetto. Sono scelte sostanzialmente differenti. Martin e Jordan sono partiti con un'idea, Williams con un'altra. Solo questo li separa, tutti e tre secondo me fanno parte degli imprescindibili
Aspetta, facciamo ordine.
Ho capito perfettamente quello che vuoi dire. Ma io non stavo parlando di questo. Una cosa è svelare ciò che non si sa dei personaggi, con retroscena e/o colpi di scena, una cosa è caratterizzarli in modo graduale e sempre più profondo.
Mentre per la prima cosa bastano anche 50 pagine per far "sbroccare" il lettore, spiattellandogli in faccia tante belle cose ideate prima (ma, certo, perché facciano effetto il lettore deve agognare di scoprirle da un po'... e allora torniamo al numero di pagine), per la seconda non c'è dubbio che un maggior numero di pagine giochi a totale favore dell'autore.
Sia chiaro, non si parla di caratterizzare due personaggi, ma decine.
Per tornare all'argomento di questa discussione, ho iniziato a leggere "Il signore della magia", spinto dai vostri commenti entusiastici. E per ora, nonostante il protagonista sia un ragazzino (almeno all'inizio... e io detesto, non so perché, i romanzi fantasy con ragazzini che crescono), mi piace molto. Raymond Feist mi sembra molto abile, si percepisce l'enorme lavoro che ha svolto relativamente alla coerenza interna dell'opera, a mio avviso.
Ma sono appena a un decimo di romanzo...
Io credo che da un punto di vista narrativo Williams è senza ombra di dubbio paragonabile ai più grandi. Il suo limite, se vogliamo, è stata la relativa brevità della saga delle spade del potere.
Io invece trovo che la relativa brevità sia proprio uno dei suoi maggiori pregi.
Un' idea sviluppata e terminata : che meraviglia in un mondo dove le idee "nuove" sono relativamente poche e dove chi riesce a trovarne una la "allunga" oltre a ogni sopportabile confine.
Mi sta bene l' approfondimento, ma oltre un certo limite non si scrivono libri di narrativa (fantasy o altro) ma trattati psicologici di diminesioni che neppure il sovrastimato signor. Froud avrebbe approvato.
E senza scordarci che la trasmissione di sentimenti e caratteri i più bravi riescono a renderla con una sola, fortissima frase e non con mille pagine : basta pensare alle frasi utilizzate come citazioni. Per citare Jordan si dovrà riscrivere una decina di pagine, mentre per citare Shakespare basta una frase composta da una decina di parole. Dove sta la grandezza ?
Io credo che da un punto di vista narrativo Williams è senza ombra di dubbio paragonabile ai più grandi. Il suo limite, se vogliamo, è stata la relativa brevità della saga delle spade del potere.
Io invece trovo che la relativa brevità sia proprio uno dei suoi maggiori pregi.
Un' idea sviluppata e terminata : che meraviglia in un mondo dove le idee "nuove" sono relativamente poche e dove chi riesce a trovarne una la "allunga" oltre a ogni sopportabile confine.
Mi sta bene l' approfondimento, ma oltre un certo limite non si scrivono libri di narrativa (fantasy o altro) ma trattati psicologici di diminesioni che neppure il sovrastimato signor. Froud avrebbe approvato.
E senza scordarci che la trasmissione di sentimenti e caratteri i più bravi riescono a renderla con una sola, fortissima frase e non con mille pagine : basta pensare alle frasi utilizzate come citazioni. Per citare Jordan si dovrà riscrivere una decina di pagine, mentre per citare Shakespare basta una frase composta da una decina di parole. Dove sta la grandezza ?
Grazie mille a Dama Eowyn, che con poche ed ispirate parole ha reso perfettamente ciò che volevo espimere. La brevità, come la intendevo io, non è un male... Il "limite" di cui parlavo, era la differenza per la maggior parte dei lettori tra grande saga e semplice trilogia. Per me un capolavoro può essere anche un solo romanzo.
Aspetta, facciamo ordine.
Ho capito perfettamente quello che vuoi dire. Ma io non stavo parlando di questo. Una cosa è svelare ciò che non si sa dei personaggi, con retroscena e/o colpi di scena, una cosa è caratterizzarli in modo graduale e sempre più profondo.
Mentre per la prima cosa bastano anche 50 pagine per far "sbroccare" il lettore, spiattellandogli in faccia tante belle cose ideate prima (ma, certo, perché facciano effetto il lettore deve agognare di scoprirle da un po'... e allora torniamo al numero di pagine), per la seconda non c'è dubbio che un maggior numero di pagine giochi a totale favore dell'autore.
Sia chiaro, non si parla di caratterizzare due personaggi, ma decine.
Per tornare all'argomento di questa discussione, ho iniziato a leggere "Il signore della magia", spinto dai vostri commenti entusiastici. E per ora, nonostante il protagonista sia un ragazzino (almeno all'inizio... e io detesto, non so perché, i romanzi fantasy con ragazzini che crescono), mi piace molto. Raymond Feist mi sembra molto abile, si percepisce l'enorme lavoro che ha svolto relativamente alla coerenza interna dell'opera, a mio avviso.
Ma sono appena a un decimo di romanzo...
Infatti la sostanziale differenza sta nel numero di personaggi e delle trame. In Williams sono numericamente di meno. Ciò non toglie che siano espresse con altrettanta maestria. Con 5 personaggi basteranno tot pagine, con 30 ce ne vorranno in proporzione.
Capisco la tua antipatia per i romanzi di "formazione". In Feist però essa ha un fine, come vedrai in seguito, oltre a creare il solito superpersonaggio. Forse è anche questo che hai inconsciamente avvertito
Rispondo a Eowyn, perché non vorrei essere frainteso.
Sono profondamente contrario alla brodaglia che troppo spesso viene spacciata per narrativa, ultimamente, soprattutto nel fantastico. Se qualcuno ne dubita, si legga la mia recensione di "Perdido Street Station" su Fantasy Magazine.
Sono per i testi densi e farò di questo una delle mie bandiere (il mio prossimo romanzo, di cui ho ultimato la prima stesura, va in questa direzione - spero -). Sono per l'intensità del testo, non per il suo dilungarsi al limite della sega mentale. Preferisco cento pagine in meno, ma tutte godibili.
E non conta il totale delle pagine in sé. Se mi si danno 1200 pagine dense, sono il lettore più felice del mondo. Se me ne date la metà che in realtà potevano essere contenute in 400, allora m'infastidisco e annoio.
E c'è sempre spazio per condensare, senza perdere spessore e, anzi, guadagnando in qualità.
L'ultima revisione che ho fatto sul mio primo romanzo (feroce e infastidita), l'ha portato da 620 pagine a 450 e vi assicuro che se lo rivedessi oggi, forse lo porterei alla dimensione del secondo e del terzo (che sono certo più maturi). Ma quel mio primo romanzo è testimone dei miei peccati di gioventù (ahimè). Invece in circolazione ci sono autori affermati che allungano il brodo da far paura... e questo a me non va giù. E questo combatterò, sono franco.
Comunque, dama Eowyn, quello di cui parlavo io è l'evoluzione del personaggio. Cosa ben diversa dalla sua caratterizzazione. IL tuo discorso non fa una grinza e sono d'accordo con te.
Il discorso è complesso, comunque, e non si può risolvere in breve.
[Per ISHAMAEL]
Ti ripeto, non so spiegarmi perché i romanzi di formazione, come tu li chiami (mi piace la definizione), mi indispongano. Potrei trovare cosa mi infastidisce del personaggio bambino, della sua crescita, ma sarebbe troppo lungo.
In Feist, diciamo, molte delle cose che dice di Pug (e anche di Tomas) non sono noiose, non sono una sorta di introduzione a ciò che il personaggio diverrà. Anzi, sono realmente godibili. E, sospetto, perché c'è molto altro di contorno e un pensiero in sottofondo che lega tutto e lo rende realmente sensato.
E questo mi costringe a chiedermi perché in altri romanzi mi sono annoiato... non so se arriverò a una risposta. E' come se troppe volte si narri della fanciullezza del protagonista senza giustificare la scelta tramite un testo significativo, perché si sarebbe potuti partire direttamente dal personaggio adulto spiegando quelle tre quattro cose in croce del suo passato che l'hanno portato al presente.
Non so se riesco a spiegarmi...