Una legge necessita di un Dio, quindi? O la legge è Dio? Un concetto a priori del cosmo deve essere Dio? Ma allora lo è anche il caso, o sbaglio?
Matte sei tu che parli di forma a cui tendere
Semplicemente ho scritto che un universo dove non siano descritte le forme, ma le regole per giungere ad esse, è estremamente più semplice
Un universo che ha scritte le forme o le regole per giungere ad esse fa poca differenza: ha comunque un obiettivo. Il mio commento riguardava questo. Se volevi dire altro o ho interpretato io male le risposte a queste domande che fai adesso sono, imho: no, no, no, sì (nel senso che sbagli e che il caso non è un concetto a priori, ma è, appunto, il caso, ovvero la mancanza di legge e la sovranità della contingenza, che distingue ogni attimo da tutti gli altri, eliminando le dipendenze).
Quindi è la visione olistica che non condividi?
Precisamente, si parla di individui come se l'informazione venisse trasmessa in blocco, mentre così non è.
Se le giraffe mangiano le foglie di acacia, le piante inizieranno a prendere contromisure evolutive mirate, non di certo casuali... Come lo fanno? Cosa permette loro di capire la direzione verso cui muoversi?
Le piante prenderanno misure evolutive mirate?!
E come, chiameranno un biologo esperto di genetica che ricombini i loro geni in maniera di far diventare le loro foglie velenose?!
No Matte, le acacie con più foglie sopravviveranno più di quelle con meno foglie spariranno. I discendenti saranno quindi geneticamente portati a produrre più foglie, in questo modo ne avranno in sovrannumero per sfamare le giraffe e sopravvivere. L'esplosione demografica delle giraffe verrebbe contenuta dai predatori e così il cerchio si chiude.
Qui non si tratta di trovare un ottimo, si tratta di trovare, al contrario, un minimo. Infatti chi vince lo scontro evolutivo non è chi, per mutazioni, raggiunge l'adattamento migliore, ma chi sviluppa per primo (minimo numero di generazioni) una caratteristica utile a fronteggiare il problema, guadagnando così un vantaggio evolutivo su chi ancora la sta cercando e che verrà rapidamente messo all'angolo.
Ciauz
Con risposte mirate non intendevo chiamare un biologo, ovviamente... Ma difficile che si verifichi, che so, un aumento dei cloroplasti.
Ci potranno essere risposte differenti, dettate da quello che tu chiami "caso" (e che io chiamo "dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali"), tipo aumentare l'altezza della pianta, aumentare il numero di foglie, mettersi a produrre sostanze tossiche per le giraffe. Curioso tra l'altro come la soluzione vincente, o come dici tu, quella sviluppata nel numero minimo di generazioni, sia stata la produzione di tannino... Verrebbe da chiedersi: come diavolo sanno le acacie che il tannino è nocivo per le giraffe?
In ogni caso saranno risposte che dovranno permettere alle acacie di adattarsi al nuovo ambiente per sopravvivere. La sopravvivenza è la funzione obiettivo.
Poi, le scelte evolutive più adatte potranno propagarsi...
Inoltre tu mi pare che identifichi causa formale e causa finale. Questo non mi pare necessariamente vero; io mi sono sempre riferito a cause formali, in cui credo, e non a cause finali, in cui non credo.
Quanto al caso, l'assenza di regole non è a sua volta una regola? Se il caso può far parte intrinsecamente dell'universo, non possono farne altrettanto parte alcune "righe di codice" che diano indicazioni sul comportamento degli agenti (atomi, pianeti o esseri viventi che dir si voglia)?
In ogni caso mi sono reso conto di essermi espresso male parlando di "ottimo" in senso generico... In effetti avrei dovuto parlare di "soglia di sopravvivenza". Assolutamente d'accordo con te per ciò che concerne il tempo di raggiungimento di tale soglia... Ma se non sbaglio il fattore tempo rientra nei vincoli delle equazioni cui tu stesso accennavi pochi post fa.
e se ti dicessi che ogni conoscenza è una forma di fede?
Spiegati meglio
nel senso che la scienza non ci dà certezze, probabilità di certezza
ovvero: da dati fossili, ragionamenti, esperimenti, ecc... supponiamo un'evoluzione, ed abbiamo, che ne so, un 90% di possibilità che questo sia Vero, ovvero che sia una certezza... ma il 100% non ho idea di quando lo raggiungeremo... credo e spero mai
è il classico discorso dei corvi: come fai a dire che i corvi sono neri? bisogna averli visti tutti, quelli passati presenti e futuri per dire con Certezza che i corvi siano neri, ma ciò è sperimentalmente impossibile... dobbiamo quindi accontentarci, per induzione, di probabilità di certezza... ed è anche questo il motivo per cui tutti i "dogmi" della scienza non sono dogmi perchè possono sempre essere messi in discussioni da successive scoperte, ragionamenti, esperimenti
Ok, ho capito
Ma almeno la scienza ti dà delle cognizioni che si basano sulla ragione, nn solo sulla mera fede... D'altronde qst è ciò ke viene chiesto ad un credente.
la mera fede come la chiami tu, non impedisce ti credere all'evoluzionismo. Anzi la Chiesa l'ha riconosciuto.
come diavolo sanno le acacie che il tannino è nocivo per le giraffe?
Una avrà prodotto tannino, un'altra gazzosa, e poi si è visto che la seconda non funzionava?
Esempi scherzosi a parte, il processo non potrebbe essere una cosa simile?
Inoltre tu mi pare che identifichi causa formale e causa finale
Ossia?
come diavolo sanno le acacie che il tannino è nocivo per le giraffe?
Una avrà prodotto tannino, un'altra gazzosa, e po si è visto che la seconda non funzionava?
Esempi scherzosi a parte, il processo non potrebbe essere una cosa simile?
Beh più o meno... l'acacia che a causa di una qualche mutazione (e qui sta la casualità, se ci deve essere) ha ottenuto la capacità di produrre tannino, si è trovata avvantaggiata nei confronti delle giraffe, potrà produrre più semi, più acace nasceranno con il gene per il tannino e così via...
Naturalmente la capacità di produrre tannino non si è sviluppata di botto, ma gradualmente. Tra l'altro, mi pare che non sia stato detto che la gran parte delle mutazioni sono neutre, ossia vengono trasmesse senza che siano favorite direttamete dalla selezione. Può capitare che un'ultima mutazione trasformi un gene magari inattivo nel gene del tannino, et voilà...
Il post che segue è un estratto di un lavoro scolastico che sto portando a termine in questi giorni (e tra l'altro se mi segnalate errori tanto meglio), in cui si parla di specie e speciazione.
Scusate se è immenso, ma dovrebbe essere diviso in paragrafi decentemente.
LA SPECIE
Parlando di sistematica è molto importante definire attentamente il concetto di specie, perché la specie è sia l’unità tassonomica che l’unità evolutiva. La specie è l’unico gruppo tassonomico veramente reale e definibile, sebbene darne una definizione sia estremamente difficile. Si tratta anche dell’unità evolutiva dal momento che due popolazioni appartenenti alla stessa specie possono sempre incrociarsi ripristinando il flusso genico, mentre due specie diverse non lo fanno (almeno non normalmente in natura); ciò significa che la nascita di una nuova specie è un avvenimento irreversibile. La filogenesi e l’evoluzione sono essenzialmente una serie di speciazioni: comprendere il meccanismo di speciazione è fondamentale per comprendere la filogenesi.
Una specie ha delle proprietà ontologiche, vale a dire che deve essere considerata come un individuo e non come un insieme di individui: una specie occupa uno spazio e un intervallo di tempo, cioè nasce (speciazione), si modifica (microevoluzione) e muore (estinzione). La stessa cosa vale per un taxon superspecifico.
Definire in maniera assoluta l’idea di specie è un’operazione molto difficile. Alcune definizioni teoricamente valide sono poco applicabili in pratica.
La prima idea di specie, l'idea essenzialista, deriva direttamente da Platone: tutti gli individui che ne fanno parte condividono la stessa essenza. Questo fa sì che le specie siano discontinue tra loro e costanti nel tempo. All’interno di una specie, gli individui possono variare solo entro stretti limiti, e tutte le variazioni individuali sono solo imitazioni imperfette del modello ideale. Per la Chiesa, le specie erano le unità della creazione, fisse e immutabili. Quest’idea era evidentemente un grosso blocco alla nascita di una teoria evolutiva. Un’altra idea di specie nacque nel XVIII-XIX secolo, sulle influenze delle idee di Locke e di Leibniz: il concetto nominalistico, l’esatto contrario dell’essenzialismo, secondo cui le specie né i taxa superiori esistono; esistono solo individui uniti solo dal fatto di avere un nome in comune.
Entrambi questi concetti furono però resi obsoleti da Darwin, che fondando la teoria dell’evoluzione decretò nel contempo la nascita del moderno concetto biologico di specie, che si basa sulla capacità dei membri di una specie di incrociarsi fra di loro, ma non con membri di un’altra specie. Il concetto di isolamento riproduttivo fu espresso per la prima volta da John Ray nel 1686, ma fu Darwin a affermare per la prima volta che l’isolamento è cio che distingue una specie da un’altra e che le popolazioni sono formati da individui singoli e differenti e non da copie di un modello (pensiero popolazionale). Poi però non riconobbe alla categoria di specie un’importanza particolare, in quanto sottoposte a evoluzione le riteneva qualcosa di fondamentalmente indefinibile; ma quest’affermazione estrema era anche tendente a contrapporsi all’essenzialismo. Il concetto biologico richiese l’introduzione di più novità: l’abolizione dell’essenzialismo a favore del pensiero popolazionale; una distinzione basata su qualità non morfologiche ma biologiche; l’uso di una proprietà relazionale (isolamento riproduttivo ha senso solo se esistono popolazioni con cui non è possibile incrociarsi) invece di una proprietà intrinseca.
Una definizione moderna di specie biologica è la seguente: “Una specie è una comunità riproduttiva di popolazioni, isolata riproduttivamente dalle altre, [che occupa una nicchia specifica in natura]” (E. Mayr, 1982; il riferimento alla nicchia è un’integrazione della definizione ecologica). Isolamento riproduttivo significa che i membri della specie hanno normalmente repulsione o difficoltà ad incrociarsi con altre specie affini, e non possono incrociarsi del tutto con specie più lontane. Le proprietà che impediscono la riproduzione per incrocio di due popolazione sono dette meccanismi isolanti.
Il concetto biologico di specie si basa su una proprietà relazionale, cioè non intrinseca. Una popolazione non può es-sere “riproduttivamente isolata” se non in relazione ad altre popolazioni, così come una persona non può essere “fratello” se non in relazione ad un’altra persona. Questo fatto ha delle implicazioni teoriche sulla speciazione.
Il concetto biologico è stato estremamente utile per scoprire una realtà nascosta, quella delle specie sorelle, ossia specie morfologicamente identiche ma geneticamente e riproduttivamente separate, che esistono in tutti i taxa. Ricono-scere le specie sorelle è fondamentale in discipline come l’ecologia e la biogeografia, ma ha anche molti risvolti pratici, ad esempio nella lotta contro la malaria: si è scoperto infatti che alcune specie di zanzara portatrici della malattia sono in realtà complessi di specie sorelle, ed è stato quindi possibile adottare tecniche specifiche di lotta. Non sempre è però possibile distinguere le specie sorelle nei fossili, nei procarioti e tra i vegetali autopoliploidi è quasi impossibile.
Oltre al concetto biologico di specie, esistono oggigiorno altre definizioni che vengono applicate nei casi in cui quel-la è insufficiente. Il più antico è il concetto morfologico, che definisce una specie in base all’aspetto esteriore. È la defini-zione che bisogna utilizzare per distinguere una specie quando si ha a che fare con individui senza conoscerne le rela-zioni con l’ambiente e con altri individui, come ad esempio negli esemplare delle raccolte museali o in paleontologia. Ovviamente questo concetto non permette di riconoscere le specie sorelle.
La tassonomia cladistica definisce una specie come il segmento filetico tra due speciazioni, cioè un gruppo monofile-tico di individui definito da un’apomorfia. Questa definizione non comprende le proprietà ontologiche della specie.
Il concetto ecologico di specie si basa sul fatto che una specie in natura occupa una specifica nicchia, è ristretta a un territorio geografico e a un tempo storico. Le debolezze stanno nel fatto che l’areale di una specie muta col tempo. Inol-tre una nicchia è difficile da definire; perdipiù può variare leggermente in parti diverse dell’areale, e radicalmente in mo-menti diversi dello sviluppo ontogenetico (un avannotto di tonno può venir mangiato da una sardina; un pulcino di passe-ro si nutre di insetti, l’adulto di semi; le larve dei crostacei sono organismi planctonici, gli adulti sono bentonici). Il concet-to ecologico si applica in casi in cui non si può utilizzare il criterio di isolamento riproduttivo e neanche il criterio morfolo-gico.
Per le specie unicellulari, asessuate e prive di una morfologia, si usano spesso criteri molecolari. Ad esempio si con-siderano due batteri appartenenti alla stessa specie se il loro patrimonio genetico è identico per almeno il 70%. Se que-sto criterio fosse applicato anche agli animali, tutti gli artropodi (dai ragni alle farfalle, dalle aragoste alle zanzare, dai mil-lepiedi alle cavallette) dovrebbero essere collocati in una sola specie. Bisogna però considerare anche il fatto che gli or-ganismi pluricellulari possiedono un genoma molto più lungo e molte parti sono uguali in tutti. Se si considera in termini assoluti il numero di basi che possono essere differenti, il 30% in un procariota equivale al 3% in un eucariota che abbia 10 volte più basi.
Ci sono tre grandi problemi a cui può essere confrontato il concetto di specie biologico: le specie asessuate, l’ibridazione e le situazioni dimensionali.
Il concetto di isolamento riproduttivo è chiaramente inutile in caso di specie prive di riproduzione sessuale, tra cui u-nicellulari e animali partenogenetici. In questo caso i discendenti di un individuo sono cloni fra loro (e la varietà tra di loro è data solo dalle mutazioni casuali), e sono tutti isolati sessualmente. In realtà, soprattutto nel caso dei procarioti l’idea stessa di specie è ancora in discussione, la conoscenza su di loro è ancora insufficiente.
Nel caso di specie sessuate, può capitare che singoli individui di due specie diverse ma affinisi ibridino; ma ciò è inin-fluente sul complesso della specie. Tra gli animali l’ibridazione è un fenomeno eccezionale; capita più spesso tra i vege-tali, e spesso gli ibridi sono interfertili; ma le specie restano in ogni caso separate e gli ibridi costituiscono solo una zona di frontiera. A volte, ma raramente, gli ibridi possono formare una nuova specie (speciazione per ibridazione) come nel caso della Rana esculenta, incrocio tra Rana lessonae e Rana ridibunda. A tutti gli effetti anche la questione dell’ibridazione è ancora in discussione; tuttavia nella maggioranza dei casi il concetto di specie biologico è valido.
La maggior parte dei biologi è confrontata solo a popolazioni o specie simpatriche e contemporanee, e in tal caso non ci sono problemi nell’applicare il criterio di isolamento riproduttivo (tranne che nei casi già visti) per distinguere le specie. Alcune branche della biologia però, segnatamente tassonomia, evoluzionismo e paleontologia, è interessato an-che a situazioni dimensionali, vale a dire deve riconoscere e identificare specie lontane fra loro nel tempo o nello spazio. Non è possibile però comprendere queste situazioni senza conoscere il meccanismo della speciazione.
Il modello darwiniano di speciazione è oggi conosciuto anche come modello gradualista. Esso prevede un’evoluzione lenta e continua di tutte le popolazioni; quando due popolazioni di una stessa specie hanno raggiunto una divergenza sufficientemente grande, tale da instaurare i meccanismi d’isolamento, ecco che la speciazione è conclusa. Questo modello è oggi molto poco in voga: la teoria degli equilibri intermittenti, avanzata da Stephen J. Gould e Niles Eldredge nel 1972, risponde molto di più alla realtà. Secondo essa, la gran parte dell’evoluzione non segue il classico modello gradualista, ma avanza a scatti. Una specie si origina quando una popolazione resta in qualche modo isolata dal corpo principale della specie ancestrale e inizia a differenziarsi; più il ceppo è piccolo e più la divergenza è rapida; più le pressioni selettive sono diverse nel nuovo areale, e più velocemente agisce la selezione naturale (lento e veloce in tempi geologici; si parla comunque di decine, centinaia di migliaia o addirittura milioni di anni). In seguito, una volta che la spe-cie figlia si è differenziata sufficientemente dalla specie ancestrale e sono intervenuti dei meccanismi di isolamento ripro-duttivo, l’evoluzione rallenta e si stabilizza; la nuova specie cambia molto poco fino all’estinzione, generando magari altri rami laterali. Questo modello è oggi comunemente accettato per la maggioranza dei fenomeni evolutivi, anche se a volte avviene invece la classica evoluzione graduale.
Accanto al modello spiegato (speciazione allopatrica) in cui una popolazione resta isolata, esistono alcune varianti: anche senza isolamento geografico, se la pressione selettiva in una parte di frontiera dell’areale è particolarmente diffe-rente, può causare una particolare evoluzione nella popolazione locale e dei forti svantaggi per individui di altre popola-zioni o individui misti, portando in effetti a una speciazione (speciazione parapatrica). Se una parte qualsiasi di una spe-cie di colpo si trova ad adottare abitudini particolari (ad esempio frequentare ambienti diversi o preferendo diversi mo-menti del giorno), può avere difficoltà funzionali a riprodursi con gli altri individui e portare a un altro tipo di speciazione (speciazione parapatrica). Infine può avvenire una speciazione per motivi genetici: per ibridazione (rara tra gli animali, meno tra le piante) o per mutazioni cromosomiche (come nel caso della poliploidia tra i vegetali).
Il terzo insieme di casi in cui il concetto biologico di specie è messo in difficoltà consiste nei casi di variazione spaziale o temporale.
Nelle situazioni di variazione spaziale la difficoltà consiste nell’attribuire un rango a popolazioni separate geografi-camente (e non nel riconoscere l’esistenza di queste popolazioni, che sono dei taxa). Un caso tipico sono per esempio le molte popolazioni di uccelli e mammiferi presenti in Europa, Siberia e Nordamerica; poiché in natura queste specie non hanno la possibilità di incrociarsi, anche se esse si incrociano artificialmente è difficile dire se il criterio di isolamento sia valido (esso prevede anche la repulsione naturale all’incrocio; ma in cattività le condizioni cambiano). Per definire questi casi è stato introdotto il concetto di sottospecie e per nominarle si impiegò una denominazione trinomia (aggiungendo un secondo nome dopo il nome specifico; si introdussero le sottospecie nel 1844). Una sottospecie è definita come “una popolazione o un gruppo di popolazioni fenotipicamente simili di una specie, che abitano una parte dell’areale della spe-cie, e che differiscono tassonomicamente da altre popolazioni della specie”. L’avverbio “tassonomicamente” implica diffe-renze genetiche e una certa tendenza a mantenere un’unita popolazionale se messe a confronto. Come si vede però non è una definizione oggettiva; la sottospecie è un’unità tassonomica solo di convenienza. Inoltre, essendo una catego-ria inferiore alla specie, la formazione di una sottospecie è un processo reversibile, il primo passo verso la speciazione. Una specie che è composta da più sottospecie è stata chiamata specie politipica. Quando le sottospecie di una specie politipica diventano specie indipendenti, sono dette allospecie di una superspecie.
L’utilità tassonomica delle sottospecie sta nella classificazione delle popolazioni morfologicamente distinte. La diffi-coltà e l’arbitrarietà nell’attribuire a una popolazione isolata il rango di specie o sottospecie (o semplice popolazione) è in effetti poco importante, perché queste popolazioni sono specie incipienti, cioè popolazioni in procinto di effettuare una speciazione allopatrica; e se non viene ripristinato il flusso genico con altre popolazioni della specie, il processo di spe-ciazione si concluderà senz’altro con la nascita di una specie nuova (o di un‘estinzione). Si tratta solo di una questione di tempo; quindi è relativamente poco interessante definire esattamente una categoria per esse. Quando una popolazione isolata dovesse tornare in contatto con il resto della specie, allora sarà utile e sarà possibile dare un rango esatto alla popolazione.
L’evoluzione è formata da due processi: la nascita di nuove specie (cladogenesi) e la modifica nel tempo delle specie (anagenesi). Quando avviene una speciazione, cioè un avvenimento di cladogenesi, si forma una nuova specie a partire da una parte di una specie ancestrale. La specie ancestrale com’è intuibile resta esattamente la stessa, il corpo principale della specie non influenzato dalla modifica di una parte di essa. Alcuni autori sollevano delle obiezioni: siccome il concetto di specie è un concetto relazionale, la specie ancestrale si trova ad avere delle nuove relazioni filogenetiche con la specie figlia, e dunque si dovrebbe considerare una specie nuova. Secondo la mia opinione, questo è sbagliato: infatti anche tutte le altre specie si trovano ad avere delle nuove relazioni filogenetiche, senza mutare per questo; bisognerebbe dunque considerare una speciazione come la nascita di una nuova specie da una parte di un’altra, e non la divisione di una specie ancestrale in due. Il processo di anagenesi, cioè di modificazione di una specie, non causa invece la modifica di una nuova specie, in quanto non mutano le relazioni filogenetiche con altre specie: sarebbe come considerare un uomo adulto una persona differente dal bambino che era stato, solo perché durante il processo di ontogenesi sono avvenute delle modifiche in lui.
Il problema nelle situazioni che presentano variazioni temporali (a cui spesso si aggiunge anche la variazione spaziale, ma questa nel tempo perde di importanza) sta quindi nel suddividere una sequenza di fossili in più specie; si tratta quindi come visto di distinguere le tappe di speciazione, cioè quando una specie figlia nasce da una specie ancestrale e così via, indietro nel tempo. Quando una specie, senza alcun avvenimento di cladogenesi, subisce una lunga anagenesi, cioè si differenzia molto nel tempo, resta sempre la medesima e non è pertanto necessario suddividere la sequenza temporale in specie, ma bisogna considerare tutta la sequenza come una stessa specie. Naturalmente, se la documen-tazione fossile non è abbondante, non è possibile stabilire con completezza la serie di speciazioni; ma è facile arrivare a una soluzione semplice, perché la discontinuità stessa dei reperti fa sì che essi si presentino suddivisi in poche specie appertenenti ad alcune tappe ben distinte. La ricostruzione del percorso evolutivo risulta, per carenza di informazioni, incompleta ma chiara.
la mera fede come la chiami tu, non impedisce ti credere all'evoluzionismo. Anzi la Chiesa l'ha riconosciuto.
E qst nn ti pare una contraddizione?
E qst nn ti pare una contraddizione?
Per un cattolico,che ritiene la Bibbia (in particolare l'AT)impregnata di simboli e allegorie e soggetta ad interpretazioni,no.Se l'accettazione fosse venuta da alcune confessioni protestanti,che invece propugnano da sempre un'interpretazione ad litteram dei Testi Sacri,allora si.Ma non si è mai verificata sta cosa.
Come credente, dico comunque che il creazionismo in senso classico è al massimo accettabile come una metafora simbolica. Dal punto di vista scientifico è indifendibile ed improponibile.
Non stiamo parlando dell'origine dell'universo, badate bene... ma dell'evoluzione (non c'è altra parola) della vita sulla terra e dell'origine dell'uomo. Ovviamente la teoria di darwin è solo una teoria scientifica e come tale ha i suoi difetti ed è valida solo finchè non nasce una teoria migliore.
Senza voler togliere senso alla discussione, mi permetto di fare una domanda. Si stanno contrapponendo l'evoluzionismo e il creazionismo, o l'evoluzionismo al vecchio testamento, o ancor meglio al libro della genesi?
Ora, se si sta facendo la prima cosa, la discussione ha poco senso d'esistere... sono due teorie che spiegano la comparsa della vita sulla terra più o meno con la stessa quantità di dati tangibili, si riduce tutto a "esiste un Dio o più Dei, o qualsiasi altra cosa dotata di volontà propria e di poteri sufficienti" che ha causato la scintilla della vita o semplicemente il caos, l'accorpamento casuale di molecole e il loro altrettanto casuale "lavoro di squadra", sono stati la causa di quella stessa scintilla? Può dare qualcuno una risposta? Credo proprio di no, per mancanza di dati e di capacità intellettive sufficienti a immaginare una casualità così gigantesca (per quanto io rimanga dell'idea che probabilità di 0,0periodico1 sia comunque probabilità e quindi plausibile) o per impossibilità, altrettanto, di dimostrare l'esistenza di un Dio.
Ogni singolo nostro movimento può essere giustificato con l'esistenza di un Dio creatore e onnipotente (con la parola Dio mi continuo a riferire a un vago Dio/Dei/essere superiore,dotato di volontà e preesistente generico).
Il punto secondo me si pone nei nostri limiti intellettuali, c'è qualcuno per cui sarà più facile immaginare che ciò che ha tangibilmente sotto mano esista, sotto diverse forme, da sempre... ci sarà qualcun'altro per cui sarà più facile immaginare che tutto questo sia nato da qualcosa di superiore, che, proprio perchè intangibile, è dotato della capacità di stare oltre il tempo e di esistere da sempre. Ma tutto è comunque riconducibile alla domanda "Dio esiste o no?" e se esiste "Si occupa costantemente delle nostre vite, manovrandoci e infiltrandosi nei nostri "affari" oppure ha semplicemente buttato giù su un foglio di carta la teoria evoluzionistica e ha dettato al mondo di eseguirla?"... Dio... il caos... c'è poca differenza...
Se poi stavate facendo la seconda cosa, cioè contrapporre la Genesi all'evoluzionismo... beh... oddio... non che qui si scappi troppo dai limiti che di cui ho parlato prima, ma quantomeno la Genesi, essendo un libro, è tangibile, è scritta, ha dei limiti, parla e spiega solo determinate cose, vi si possono trovare miriadi di buchi e mancanze... la teoria evoluzionistica è sicuramente più completa, basata su dati molto più verificati... però insomma, lì mi par di sparare sulla croce rossa... la Genesi, con tutti i simbolismi del mondo, non spiega nulla, è poco più di una favola, messa lì per i polli che un tempo potevano crederci... se anche si può paragonare "Dio disse: <sia fatta la luce>" al Big Bang... mi chiedo da che parte si possa trasformare un Dio che prende il fango e lo fa diventare un uomo, nella scimmia che si evolve verso la forma umana (indipendentemente dalle cause), se fango era un simbolismo per scimmia, hanno usato abbastanza fantasia da rendere il loro stesso simbolo irriconoscibile a chiunque non voglia intenzionalmente trovarvi QUEL significato.
Detto questo, me ne vado a letto.
Buonanotte a tutti.
Paolo.
P.s. Evoluzionismo rulez... mi piace giocherellare con le teorie... anche quando hanno poco senso perchè tutto a un tratto un elemento invisibile le può rovesciare... sul creazionismo c'è troppo poco da discutere fa tutto l'eventuale imb****le onnipotente di turno, è un'idea che non mi piace proprio...
Io vedo questa discussione come l'opinione dei barrieristi riguardo a quella controversia che ogni tanto spunta fuori, e cioè proprio creazionismo contro evoluzionismo.
Il fatto è che
la Genesi, con tutti i simbolismi del mondo, non spiega nulla, è poco più di una favola, messa lì per i polli che un tempo potevano crederci...
di quei polli ( ) ne esistono ancora, c'è gente che prende la Bibbia alla lettera e pretende veramente che Dio abbia creato il mondo sette giorni. E questi fondamentalisti (il termine è nato proprio in America nei '50 per designare chi prende la Bibbia alla lettera, proprio in questa controversia) vorrebbero imporre la loro tesi come verità scientifica, abolendo le teorie evolutive dall'insegnamento scolastico - se sbaglio correggetemi, ma mi risulta che anche in Italia recentemente è stato tentata una cosa simile...
Da parte mia ho tentato e tento di spiegare la mia posizione in questo dibattito, ossia che il creazionismo non è scienza e viceversa l'evoluzione è una teoria che poggia su basi fortissime.
Se posso dire anche io la mia, date uno sguardo al libro "Il libro perduto del dio Enki".
Affascinante, risolutiva, fa sembrare ovvi centinaia di incastri dell'enorme puzzle archeologico che riguarda le origini dell'essere umano
EDIT: dimenticavo che prima dovete assolutamente leggere "Da Atlantide alla sfinge" di Colin Wilson e "Misteri Antichi" di Micheal Baigent, che smontano pezzo per pezzo (con PROVE archeologiche) la storia antica ortodossamente concepita. Altrimenti il "puzzle" nemmeno riuscireste a immaginarlo/sapere che esiste.