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AryaSnow
di AryaSnow
creato il 21 dicembre 2007


AryaSnow
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Inviato il 24 maggio 2010 10:17 Autore

Racconto: "L'ultimo incompleto Incidente"

 

Ogni volta che si coricava, arrotolando il maglione a mo' di guanciale, il prigioniero sperava di fare un bel sogno. Quella notte venne accontentato. Il cuscino fu la chioma di una donna con cui fece l'amore, e poi le rimase abbracciato. Tendine di pizzo ondeggiavano appena, ad accompagnare i respiri regolari dei due, filtrando il chiarore lunare. Una stanza dolce. Una vita vera che mai aveva vissuto, ma era così che appariva nei film.

Tutto esplose in un incendio dorato. Il prigioniero tornò nella sala del cinema, con la luce elettrica che sembrava cavargli gli occhi dalle orbite. Si alzò a sedere, emergendo dal prato di poltrone foderate di rosso. Quattro di esse formavano il divano. Avevano i braccioli sollevati e casse piazzate dietro agli schienali della fila antistante, per evitare cadute nel sonno. Gli altri posti erano vuoti.

Per un attimo vide sua madre in fondo alla sala, il dito puntato sull'interruttore. Ora di alzarsi, Tommy. Ma subito ricordò che era spirata per un ignoto malanno. Aveva lasciato lui stesso la luce accesa. Si passò le mani sul viso, sentì la barba arruffata. A che serviva badarci, chiuso lì da solo?

 

Succo in polvere e biscotti secchi della dispensa. Alimenti speciali a lunghissima conservazione.

Il prigioniero mangiava senza gusto, per mero nutrimento, nel piccolo bar del cinema.

Dietro al banco, una fila di identici bicchieri, bottiglie dalle etichette rosse, bianche, argentate. Oggetti muti, eppure lustrati con diligenza, con superfici curve che riflettevano la luce tutte dalla stessa parte. Un posto per mangiare si teneva pulito, gli aveva insegnato sua madre. Era stata lei a portarlo lì, prima dell'Incidente, e grazie a lei il prigioniero era l'ultima forma vivente sul pianeta. Fin da quando ricordava, il cinema era stato la sua gabbia e la sua protezione.

A quel pensiero la chiave che portava al collo parve ustionargli la pelle. Un richiamo di morte, di libertà. La tastò. Scottava davvero o era fredda la mano? Un tempo l'impugnatura aveva avuto un rivestimento di gomma, strappato a forza di giocherellarci, però il pettine si adattava tuttora al portone d'uscita.

Briciole di biscotti erano cadute sul tavolo. Gli punsero il gomito, nel momento in cui ve lo poggiò. Le spazzò via irritato. "Che schifo di vita".”La chiave era più rovente che mai. "Fuori, le radiazioni sono letali per ogni creatura. Tutto finirebbe all'istante". Anche quello gliel'aveva spiegato sua madre. Non aprire mai, Tommy. Promettimi che resterai al sicuro. Le bottiglie lo scrutavano dalla mensola, come a sorvegliarlo ora che lei non c'era più. Del cognac era avanzato dall'ultima sbronza. Alcol e film: accoppiata perfetta per cercare conforto.

Migliaia erano le pellicole tenute nel cinema. Alcune ancora non le conosceva, mentre altre le aveva viste allo sfinimento. Certi personaggi gli erano entrati dentro. Fantasticava di essere loro, di incontrarli, di vivere storie simili. Esistenze parallele alla desolante realtà. Ci si calava profondamente, si commoveva fino a sfiorare la follia. Gioiva, scoppiava in singhiozzi, saltava tra i sedili per imitare scene d'azione. Si ritrovava sudato, col cuore martellante.

 

"Proprio un bel film", pensava il prigioniero, trascinandosi tra le poltrone, barcollante per l'alcol in corpo. Dopo i titoli di coda, la sua mente era stata scaraventata nella sala, ma in parte restava altrove, a mandargli ultime scariche di entusiasmo.

Avvicinandosi al muro, tese una mano nella semioscurità verso l'interruttore. Un dolore lo colse alla pianta del piede. La puntura di un coccio di vetro. Nell'euforia, aveva mandato la bottiglia in frantumi. Anche le scarpe erano volate chissà dove. Le emozioni forti finiscono per ferirti, Tommy. Saltellò su una gamba, appoggiandosi alla parete, tastando. In fondo sarai più felice così, protetto da queste mura. Racconti di sua mamma gli vorticarono in testa, sventure e ingiustizie prima dell'Incidente. Finalmente riuscì ad accendere la luce, ridando alla sala tinte aggressive. La monotonia di sempre. Tolse il calzino e si assicurò di avere solo un taglietto.

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 18 novembre 2010 11:15 Autore

Racconto: "Il mio tramonto"

 

“A stasera, amore. Vedremo insieme il tramonto.”

Nil fu sollevato di leggere il saluto che metteva fine allo scambio di SMS con la fidanzata. Spense lo schermo. Avrebbe dovuto fare uno squillo di risposta, ma sul treno della metropolitana non c’era campo, così aveva una scusa. Infilando il cellulare in tasca, incrociò lo sguardo di una vecchia signora. “Che vuoi, gallina?” ebbe l’impulso di dire, ma si limitò a rivolgere l’attenzione altrove. Un ragazzo aveva la bocca celata dalla sciarpa e il gomito appoggiato sulla sbarra a lato del sedile; una quarantenne dagli occhi stanchi stringeva la borsa di marca taroccata. Quanta gente noiosa, irritante, infestava il mondo. Dietro scorreva uno sfondo scuro che rendeva più bianchi e più evidenti i graffi sul vetro. Sembravano formare una scritta, ma era difficile da decifrare. Nil abbandonò la nuca contro la parete e si immerse nelle fantasie.

 

“Porto di Burn”. Il lato appuntito del cartello è rivolto nella direzione di corsa del trenino a vapore. Salirci è stata un’azione istintiva, ma Nil sente che, proprio oggi, non può perdersi il tramonto sul mare.

Una bambina siede di fronte. Sgambetta entusiasta, mentre il padre le parla del suo palloncino. «Non gli serve un padrone,» dice. «Se lo liberi si metterà a cacciare, crescerà, e poi caccerà prede più grosse.» La bambina vuole bene al palloncino, vuole che diventi forte. Lo spinge fuori dall’angusto finestrino e trattiene il filo un altro po’, dicendo addio. Poi molla la presa.

 

Nil scese dal treno alla fermata di Piazza Centrale. Imboccò un corridoio spoglio, udendo alle spalle passi di altri passeggeri mischiarsi ai suoi. Alcuni lo superarono, pressati da chissà quali insulse faccende. Tra loro c’era una rossa con gambe lunghe e minigonna. “Gnocca”. Si fermò in fila sulla scala mobile, proprio davanti a lui, facendogli trovare sotto il naso lo zainetto che indossava. Un’idea gli sorse dentro. Due gradini più giù un uomo nascondeva il viso dietro il News. “Quasi quasi…” La mano si mosse verso la cerniera dello zainetto, lo aprì con cautela e afferrò il primo oggetto tastato. La donna non reagì, pareva non essersene accorta. Nil sorrise. Vide che la scala era giunta quasi in cima, dunque si spostò sulla sinistra e prese a salire, allontanandosi dal luogo del reato.

Mentre usciva in superficie, la frescura autunnale accentuò il brivido di esaltazione. Il sole dietro le nuvole conferiva loro una piacevole sfumatura metallizzata. Nil attraversò la piazza e si infilò nella Via dei Pioppi, per sedersi sulla panchina più appartata. Esaminò il trofeo in pelle marrone: era proprio un portafogli, come gli era parso. Ma l’emozione si stava già dissolvendo. Non era stato granché, non valeva il prezzo del rischio. Gettò il portafogli nella pattumiera.

 

Il verde del prato che costeggia la via è talmente acceso da pungere gli occhi. Nil ne è circondato. Impaziente di giungere al porto, deve prima percorrere una tratta a piedi.

La strada passa tra due rocce. Un palloncino enorme, quattro metri d’altezza e colore familiare, è rimasto incastrato nel mezzo bloccando il cammino. Nil si avvicina; posa le mani sulla superficie gommosa e poi spinge. Corpi morti sono imprigionati in quel rosa trasparente: lucertole, topi e un essere umano. L’ostacolo non si smuove; serve un oggetto appuntito.

Una prostituta batte nei pressi. Vedendosi gli occhi addosso, incrocia le braccia sotto al seno, scuote la chioma rossa. «Dammi le scarpe,» dice Nil, «voglio i tuoi tacchi a spillo.» La donna tace, lo guarda perplessa. Se l’è cercata. Lui gliele prenderà lo stesso, con le cattive e con gli interessi.

 

«Vorrei sentirlo di nuovo.» Mary lo attirò a sé, facendo oscillare gli orecchini a spirale di dimensioni esagerate. «Adoro quando lo dici». Chiuse gli occhi per gustarsi appieno il momento.

Nil trattenne un sospiro. Che senso aveva fargli ripetere le stesse cose? «Ti amo tanto, piccola». Le baciò la fronte nel solito modo.

Mary sorrise estasiata, tanto sciocca da bersi le sue cazzate.

Si sedettero su una panchina del lungomare a godersi il panorama.

«Non è bellissimo?» Lei gli poggiò la testa sulla spalla, contemplando il bagliore arancione. «Il nostro tramonto».

 

Una trentina di persone è radunata sul raggruppamento di scogli che si innalza sulla spiaggia del porto. C’è della tensione sospesa nell’aria. La luce rossastra, apocalittica, tinteggia l’intera costa. «E’ in ritardo,» dice un bambino a fianco a Nil, con voce tremolante. Fissa insieme agli altri il mare di petrolio appena mosso, le onde nere e lucide.

Mezz’ora dopo l’ultima nave fa capolino all’orizzonte. Più si avvicina, più si sentono le grida di disperazione. Nil rivolge la mano verso quel punto, come per impedirle di avanzare.

Quando il sole entra in contatto col mare, la nave è a metà strada. Fiamme si alzano in lontananza e dilagano sulla superficie liquida. Il vascello si vede a fatica, avvolto nel fuoco che si fonde col cielo, e urla riempiono il tramonto. “Il mio tramonto,” pensa Nil, mentre la soddisfazione gli inonda il petto.

Modificato il 05 July 2024 17:07

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