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AryaSnow
di AryaSnow
creato il 21 dicembre 2007

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whitevale
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whitevale
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Inviato il 26 dicembre 2007 14:20

Benvenuta!

Una coraggiosa Lady Snow......... Ci ri incontreremo sulla barriera....

 

Per ora buona lettura! Brindo alla tua!

 

>_> :D ^_^


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Exall
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Inviato il 29 dicembre 2007 19:18

Benvenuta, figlia della neve, alla tua :) :) :wub:


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Areo Hotah
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Areo Hotah
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Inviato il 01 gennaio 2008 19:13

Benvenuta sulla Barriera !!

 

Alla tua :huh:



AryaSnow
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Inviato il 09 aprile 2009 10:57 Autore

Modificato il titolo :unsure:

 

Bene, posso usare questo topic per raccogliere insieme cose dementi fatte da me e postate in giro per questo forum...

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 26 giugno 2009 14:22 Autore

Indovinello: "Le case"

Una di queste case ha qualcosa di strano. Quale e che cosa?

 

CASA 1
http://www.blogscuoleasso.it/dituttounpo/wp-content/uploads/2010/09/20078819044_pomarance6.jpg

 

CASA2

http://immobiliaretosti.com/dev/wp-content/uploads/2014/03/casas-2201.jpg

 

CASA 3
http://www.chitblog.net/foto/gravere.jpg

 

CASA 4

 

http://www.ecn.org/molino/cli/in_pericolo/casa.jpg

 

CASA 5

http://www.viagginrete-it.it/inse/tadinumromana1.jpg


Crediti: le foto non sono state scattate da me e non mi appartengono, sono state trovate sui siti linkati.

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 26 giugno 2009 14:41 Autore

Indovinello: "Le avventure di Sansa - episodio 1"

Questo è un indovinello ispirato ad ASOIAF. Si rischia di ricevere spoiler fino alla fine di AGOT (ovvero “Il Grande Inverno” nella versione italiana).

SPOILER IL GRANDE INVERNO/AGOT1286cea22b6a3703c1548aa837adaea5'1286cea22b6a3703c1548aa837adaea5

Siamo alla Fortezza Rossa e Sansa è ostaggio dei Lannister.
- Sansa è preoccupata: fra poco ci sarà una festa organizzata da Joffrey e lui le ha detto che dovrà apparire bellissima. Se non sarà proprio al massimo del suo splendore, lui la punirà strappandole la lingua. Ha bisogno farsi una bella acconciatura, ma da sola ovviamente non è capace. Nella Fortezza Rossa ci sono due servi in tutto addetti ai capelli: uno è bellissimo, ha i capelli tagliati e sistemati benissimo e un aspetto invitante. L’altro è brutto, ha i capelli tagliati male e un’aria trasandata. Sansa si domanda quale dei due sia migliore. Joffrey e Cersei per dispetto hanno vietato a chiunque di darle consigli. Chi dei due le converrebbe scegliere? Perché?
- Una volta che riesce nell’impresa, Sansa si accorge che le serve anche un vestito nuovo. Però questa volta Joffrey e Cersei vietano proprio a qualsiasi servo di assisterla. Allora Sansa esce per le strade di Approdo del Re e ha con sé un sacco di soldi che era riuscita a tener nascosti fino ad ora. Grazie a questi ultimi ora si può procurare un vestito nuovo all’ultima moda, alla faccia di Joffrey e Cersei =P. Trova però solo due botteghe, gestite da due sarti: uno è un bel ragazzo e dichiara di vendere solo vestiti verdi, l’altro è brutto come la fame e dichiara di vendere solo vestiti azzurri. Sansa si domanda a chi destinare i soldi. Cosa dovrebbe fare? Perché?



Crediti: la prima domanda di questa indovinello è semplicemente una versione ASOIAF di un altro noto indovinello.

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 26 giugno 2009 14:55 Autore

Indovinello: "Le avventure di Arya - episodio 1"

Questo è un indovinello ispirato ad ASOIAF. Si rischiamo spoiler fino a META’ ACOK (ovvero “Il Regno dei Lupi” nella versione italiana).

SPOILER ACOK/REGNO DEI LUPIfa2ef67b66b1f204fbc83e0dc3951e30'fa2ef67b66b1f204fbc83e0dc3951e30

Yoren sta portando a nord Arya, Rorge e Mordente.
- Ha con sé catene per tenere incatenata una sola persona. Però, tra Rorge e Mordente, gli basta tenerne incatenato solo uno: ha abbastanza forza per difendersi da uno, visto che lui è armato e il criminale no.
- Tenerli slegati entrambi insieme invece sarebbe fatale: insieme ucciderebbero sia Yoren che Arya.
- Inoltre, se slegati contemporaneamente, scapperebbero (mentre uno non scappa se l’altro è legato e se non possono farlo insieme I due infatti sono inseparabili).
- Come ultima cosa, Yoren deve anche stare attento a non lasciare nemmeno uno dei due slegato e vicino ad Arya senza sorveglianza, poiché sicuramente la ucciderebbe.

Tutto procede con facilità, fino a quando non giungono in riva al Tridente e devono ovviamente attraversarlo. Il fiume è infestato da feroci piranha, quindi per nessuno è consigliabile immergersi nell’acqua. Yoren ha a disposizione una barca, capace di portare solo lui + una sola cosa a scelta tra le catane (esse infatti pesano tanto), Arya, Rorge o Mordente.
Occorre organizzare i trasporti, evitando che qualcuno tra di loro muoia o scappi.
Come si fa?

NB1: il ponte è stato distrutto blink.gif Devono usare la barca.
NB2: Arya la barca non la sa manovare, non ha mai imparato a farlo. E ovviamente non è il caso nemmeno di contare su Rorge e Mordente per questo.

 

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 26 giugno 2009 15:24 Autore

Indovinello: "La avventure di Sansa - episodio 2"

Questo è un indovinello ispirato ad ASOIAF. C'è il rischio di spoiler su TUTTO ACOK (ovvero “La Regina dei Draghi” nella versione italiana).

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Sansa scopre che i Lannister hanno appena mandato ai Tyrell un corvo messaggero, in cui chiedono a Maergary di sposare Joffrey e stabilire così un’alleanza per sconfiggere sia Stannis che Robb. Sa che i Tyrell sono molto ricchi e potenti e che questa alleanza è molto pericolosa. Deve infiltrarsi nella stanza dei corvi messaggeri e mandare un’altra lettera ai Tyrell da parte dei Lannister, con un cambiamento di idea e in aggiunta pesanti insulti stralol.gif. Tutto il materiale che le serve per farlo è in quella stanza. Questa però è protetta dall’ultima invenzione dei Maestri della Cittadella: si apre tramite un codice segreto.
Ovviamente non lo conosce. Però vicino alla porta trova un foglietto con la seguente filastrocca:

Senza sole
giù nel fosso
dove dorme
il sangue rosso


Sansa allora inizia a intuire qualcosa, va in un certo posto e lì trova scritti il seguente indizio

- AL A2LOPR E’ EOQSTU O2PST

Qual è il codice che Sansa dovrebbe mettere?

 

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 26 giugno 2009 16:22 Autore

Indovinello: "Le avventure di Arya - episodio 2"

Questo è un indovinello ispirato ad ASOIAF. E’ solo per chi ha finito TUTTO ACOK (ovvero “La Regina dei Draghi” nella versione italiana).

SPOILER ACOK908bc23ca11f2b8b259956bd715847cd'908bc23ca11f2b8b259956bd715847cd

Arya è stata catturata da Gregor Clegane e portata a Harrenhal, dove ora fa la servetta. Deve trovare un modo per fuggire dal castello.

- Le mura del castello hanno pianta ottagonale, ciascuno degli otto lati è sorvegliato e dotato di una sola porta. Ogni porta ha davanti una sola guardia che la sorveglia. Ciascuna delle guardie può controllare tutto ciò che accade nella zona del suo lato, ma non vede niente di quello che accade presso gli altri lati.

- Le guardie sono di tre tipi:
Ingenua: è una guardia a cui Arya si può avvicinare e che può ingannare, riuscendo a distrarla e ucciderla.
Cattiva: non permette a nessuno nemmeno di avvicinarsi alla sua parte di muro. Ammazza subito chiunque vada da quella parte senza essere autorizzato a farlo.
Prudente: si lascia avvicinare da Arya. Però starà sempre attentissima e non cascherà mai in nessun suo inganno. Anzi, si insospettirà subito e le dirà di allontanarsi. Per questa volta non le farà alcun male, ma la prossima volta che si avvicina al suo lato la ammazzerà subito. Inoltre ammonirà le guardie che si trovano sui lati adiacenti al suo di fare altrettanto, rendendole tutte delle guardie cattive anche se prima non lo erano.
Arya, facendo la servetta, ha imparato a conoscere i caratteri delle varie guardie. Il problema è che di notte, da lontano e tutte con la stessa divisa, appaiono tutte uguali. Arya non può sapere da che guardia sta andando prima di come minimo essersi ben avvicinata a lei e averle parlato.

- Le guardie ingenue in tutto sono solo due. Il numero di guardie cattive è uguale a quello delle guardie prudenti. Per ogni guardia, sul lato opposto, c’è una guardia dello stesso stesso tipo. Il numero totale delle guardie è il minimo necessario per soddisfare tutte le condizioni elencate.
INOLTRE: data una porta sorvegliata da una guardia, ciascuna della porte delle mura adiacenti ad essa devono essere sorvegliate da una guardia di un altro tipo. Non ci sono insomma due porte consecutive sorvegliate da due guardia dello stesso tipo.

- Insomma, Arya non sa dove si trova quale tipo di guardia. Tra l’altro ogni notte la posizione di ciascuna cambia. Però ha queste informazioni su cui poter ragionare e la disposizione delle guardie, qualunque essa sia, è sempre coerente con tutti i dati sopra elencati. Inoltre ovviamente ciascuna quardia deve stare rigorosamente al posto assegnato, non può scegliere quello che le piace di più, pena la morte.

- Arya sa che Jack è una guardia prudente e Max una guardia cattiva, i due sono migliori amici. Un giorno per caso li sente parlare a bassa voce tra loro. Jack confida a Max che ha una gran paura di andare nel particolare posto che gli tocca sorvegliare questa notte. Max ci ride sopra perchè gli sembra ridicolo, ma Jack è lo stesso terrorizzato al pensiero di passare tutta la notte lì! Allora Max propone di scambiarsi di posto in segreto durante la notte, perché tanto questa volta avranno posti vicini e potranno farlo senza che nessuno dei colleghi se ne accorga.

Arya capisce che le è capitata un’occasione d’oro: questa notte è il momento ideale e irripetibile per tentare la fuga!
Come farà a scappare?

NB1: Il metodo più sicuro non è certo quello di chiedere alle guardie di farla passare, minacciando di denunciare il loro imbroglio. Loro probabilmente reagiranno andando subito a dire a Roose Bolton che lei voleva scappare (e Roose crederebbe prima ai suoi soldati che a lei) o facendola fuori. Il modo ideale che dovete trovare non prevede di minacciare quelle guardie, né di dire qualcosa di particolare a Roose Bolton. Deve proprio trovare il modo giusto di scappare durante la notte, con le guardie disposte come saranno disposte, stop.

NB2: non è una buona soluzione nemmeno quella di andare ad impertunare una guardia Prudente e cercare di scappare mentre quella va ad avvisare gli altri. Ad Arya non basta scappare, ma deve anche far passare più tempo possibile tra quando scappa e quando qualcuno si accorge della sua fuga (infatti, appena la fuga verrà scoperta, saranno mandati dei Guitti Sanguinari ad inseguirla). In questo caso, la guardia tornerebbe subito e vedrebbe che il portone è stato aperto.

 

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 26 giugno 2009 20:15 Autore

Indovinello: "Le avventure di Arya - episodio 3"

Questo è un indovinello ispirato ad ASOIAF, contiene spoiler fino ad ASOS.

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Arya e Sandor entrano in una locanda. In essa, due grossi tavoli sono separati tra loro da un muro, in modo tale che chi è seduto da un tavolo non veda ciò che accade all’altro. Uno è vicino all’entrata, l’altro più in fondo, l’oste (l’unico in quel momento ad essere presente nella locanda) li accoglie e li fa sedere al tavolo più in fondo.

Seduti al loro tavolo, bevono del vino. Sandor ovviamente ne beve molto di più e si sbronza un po’. Ad un certo punto sentono che sono entrati altri clienti e si sono seduti all’altro tavolo. Quando passa l’oste chiedono chi sono e lui risponde che si tratta di Messer Sottile, Polliver e Raff Dolcecuore. Arya e Sandor preferiscono cercare di non farsi notare, rimanendo al loro posto finchè non usciranno i poco graditi nuovi arrivati. Se uscissero prima loro, i tre tizi dalla loro posizione li noterebbero subito e scatenerebbero una rissa mortale (dove sarebbero decisamente in svantaggio, anche perché Sandor è un po’ sbronzo…). Intanto l’oste porta altro vino ad entrambi i tavoli. Sandor diventa ancora più sbronzo, allo stato attuale potrebbero sconfiggere al massimo uno di quei tre nemici, non tre o due insieme.

Ad un certo punto l’oste arriva al loro tavolo, tenendo 5 bicchieri di vino sul vassoio. A bassa voce e visibilmente a disagio, spiega a loro:
<<Ehm… mi sento molto imbarazzato nel dirvi questa cosa, ma devo confessarvela. So benissimo chi sono quei tre e so che dopo aver bevuto e mangiato a sufficienza mi tortureranno facendomi delle domande a cui non saprò rispondere e poi uccidendomi. In questa zona ormai la gente li conosce e mi hanno riferito tante cose sul loro conto. Per salvarmi, ho deciso di dare a loro del vino avvelenato. Però… per sbaglio mi sono confuso e la caraffa del vino avvelenata è capitata a voi, ormai l’avete bevuto unsure.gif Il veleno agirà fra 10 minuti, uccidendovi. Ma… aspettate aspettate! Non è ancora tutto perduto. Ho un potentissimo antidoto, capace di annullare all’istante l’azione di uno dei qualsiasi tipi di veleno assunti. Quindi se lo prendete entro 10 minuti non vi succederà niente. A loro invece voglio dare un altro veleno: uno che ci mette 3 minuti per fare effetto, dopo di che uccide subito. In tre di questi bicchieri di vino (destinati a loro) c’è questo veleno, in due (destinati a voi) l’antidoto di cui ho parlato. Entrambe le sostanze sono potentissime, ne basta anche una minima goccia per fare effetto, anche solo un sorso da questi bicchieri. Solo che… ehm… scusatemi ancora… ora non mi ricordo più quale di questi bicchieri volevo destinare a chi. E purtroppo ho esaurito tutto il veleno e tutto l’antidoto, ciò che avevo è tutto in questi bicchieri>>

Come fanno Arya e Sandor a salvarsi, evitando di essere uccisi sia dal veleno che dai tre uomini di Gregor?

NB1: devono salvarsi entrambi!
NB2: l’antidoto annulla qualsiasi tipo di veleno, ma solo un tipo alla volta. Insomma, e bevete prima il vino avvelenato e poi quello con l’antidoto, quest’ultimo annullerà l’azione di solo uno dei due veleni assunti (uno da 3 minuti adesso dal bicchiere; l’altro da 10 minuti prima dalla caraffa).
NB3: ricordatevi che se appena vi fate vedere da quelli dell’altro tavolo, si scatenerà la rissa. Inoltre, se qualcuno di loro cadrà morto avvelenato, quelli che eventualmente rimarranno in vita ovviamente si insospettiranno subito, controlleranno in giro e vi troveranno subito al vostro tavolo.
NB4: quando uno dei tre muore, c'è il rischio che cadendo rovesci tutto quello che c'è sul tavolo. Quindi non vanno bene soluzioni come "poi bevo quello che rimane dal bicchiere di quello che non è morto". E poi voi dal vostro tavolo non potete vedere chi di preciso beve da quale bicchiere.

 

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 26 giugno 2009 22:21 Autore

Racconto: "La nave e il gigante”

 

La nave aveva trascorso una notte di agonia, a imprecare contro i venti che ancora infierivano. Erano gli ultimi sospiri della tempesta. Fischiavano tra le assi di legno doloranti e le strappavano tristi scricchiolii. Si erano divertiti con i loro giochi crudeli, mentre alla nave non restava che giacere impotente. Le botti tenute nella stiva erano rotte; il vino aveva formato una pozza di sangue sotto il corpo fiacco. Ormai inutili, le vele si sollevavano alle folate più violente, per poi tornare ad afflosciarsi come seni di una vecchia.

L’acqua marina era accesa dall’alba a poche decine di metri, ma le appariva come un’immagine remota. La nave rivoleva quella libertà che per anni aveva inalato. Implorava che le onde la raggiungessero e, in un dissetante abbraccio, la portassero di nuovo in mare.

 

Poi, quando il sole si fece alto nel cielo, lui arrivò.

 

«Per tutte le bufere, eccone un’altra!» La parlata le ricordò un marinaio sbronzo, anche se era più grave. «Ehi tu, dì in po’: hai sparso degli uomini sulla mia riva?»

La nave rimase incredula: il gigante su cui tante storie aveva udito dimorava lì. Per qualche attimo non riuscì a pronunciare frasi sensate: i venti spingevano i chiodi a penetrarle ancora di più nel legno, fino a pungerle l’anima e mandarle la mente in confusione.

Il gigante scosse la testa, sul punto di allontanarsi. «Sei proprio conciata male...»

Quelle parole ridestarono la sua lucidità «Non è niente!» Nell’alzare la voce le sfuggì un suono stridente, per il quale provò vergogna. Mitigò il tono. «Ho passato di peggio. Vedi le mie cicatrici? Sul fianco destro c’è l’impronta di una palla da cannone. Mi ha sfiorato le costole, ma ho continuato comunque a combattere. E guarda la mia chiglia: è così storta da quando ha urtato un fondale di corallo. Quanto alle tempeste, anche di quelle ne avevo già viste parecchie».

«L’ultima però ti ha battuto. Ora come pensi di cavartela?».

«I miei piani non ti riguardano. Perché li dovrei svelare a te? Le mie compagne mi hanno detto chi sei: una creatura malvagia che si nutre di carne umana». Ma mentre parlava, si rese conto che ciò non aveva più importanza. Quelle navi si erano forse rivelate migliori? Dalla costa ne aveva viste passare alcune. Aveva chiamato aiuto: in fondo erano navi come lei, aveva pensato con la speranza palpitante nello scafo, dunque erano amiche. In risposta non c’era stato che un pigro saluto, un movimento di vele biancheggianti, come se l’acqua del mare fosse insufficiente ad accogliere qualcun altro. Si era arenata, era debole e nessuno la voleva più.

«Accuse da sciocchi, nel mondo ognuno fa la sua parte,» replicò il gigante dopo una pausa di imbarazzo. «Posso dimostrarti che in me c’è del buono. Ti posso riparare e dopo resteremo insieme. Forse diventeremo persino inseparabili».

La nave non era convinta. «Sei troppo grosso per salire a bordo».

Il gigante sogghignò. «Navigare io? Di certo non parlavo di questo. Rimarrai qui con me; l’isola è sicura e tranquilla. Mi aiuterai a cacciare: ti avvicinerai alle navi passanti nei dintorni e le attirerai nelle mie grinfie». Il volto grigio esibiva un’aria soddisfatta, nella consapevolezza che la proposta era invitante. Aveva colto in pieno i suoi desideri.

 

La nave sapeva che non avrebbe finito i suoi giorni legata a quel posto. Si sarebbe rimessa e avrebbe seminato stragi tra le false compagne; le loro carcasse sarebbero rimaste sulle coste come tanti idoli. Una caraffa traboccava di sangue, le si imponeva davanti, la chiamava con urgenza a bere. Ma un giorno, lei sarebbe partita per riprendere i viaggi. Nuove tempeste le avrebbero sussurrato canti minacciosi, ma già pregustava l’inebriante sapore del sale e dell’avventura.

 

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Fonti di ispirazione e omaggi: Alcune canzoni del cantautore Vladimir Vysotskij, L'Odissea.

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 10 luglio 2009 0:57 Autore

Racconto: “Il Villaggio dei Puffi”

 

«A me sembri un ragazzo simpatico, il villaggio ti accoglie a braccia aperte,» gli stava spiegando Grande Puffo. «Ma sei pur sempre un esterno. Ti serve aiuto, o non riuscirai ad adattarti ai nostri costumi, e ti ho già puffato che ogni inosservanza va a pesare sulla collettività».

Le dita del folletto tamburellavano sulla lucida scrivania. Nell’aria che sapeva di carta e pulito calò qualche secondo di riflessione. Quella stanza ordinata lo metteva a disagio: era così diversa dal familiare ambiente boschivo.

«Vi sono riconoscente. Se non fosse per la vostra ospitalità… io… io sarei spacciato…» Il ricordo della fuga tra la vegetazione data alle fiamme lo faceva ancora rabbrividire, ma mai quanto l’idea di essere l’unico sopravissuto. Non c’erano altre strade. «Farò del mio meglio».

«Ne sono contento.» La mano blu gli spinse davanti un foglietto piegato. «Qui è scritto il luogo in cui ti devi recare, e anche come arrivarci esattamente».

«Grazie infinite,» lo raccolse e lo aprì.

«Sei capace di leggere? Altrimenti ti faccio accompagnare da qualcuno…»

«La ringrazio di nuovo,» ma quella domanda lo offese un po’. «Non c’è problema. La calligrafia è molto chiara».

 

Al termine della via, il folletto sbucò nella piazza centrale del villaggio. La Scuola Rieducativa doveva trovarsi da quelle parti. Come altrove, gli edifici a forma di fungo erano tenuti in maniera impeccabile; sembravano sorridere con i loro colori pastello. L’erba era stata tagliata anche là, adeguata alla statura degli abitanti. I puffi che incrociava si mostravano lieti di dargli il benvenuto: la voce sul suo arrivo si era sparsa in fretta. Camminavano su un terreno perfettamente curato, privo di rifiuti o inciampi. Soltanto in mezzo alla piazza, pietre di uguali dimensioni erano incastrate a contornare una forma circolare. Il folletto vi si accostò: era un finto campicello di margherite. In realtà consisteva in una specie di pozzo, l’acqua tinta di verde acceso, chiuso sopra da una lastra di vetro. I fiori adornavano la superficie trasparente. Ogni cosa nel villaggio pareva stare al proprio posto, ma quella era una trovata di cui lui non capiva lo scopo. C’era però da ammettere che non stonava con l’amena atmosfera generale.

Scrollò le spalle e proseguì. Il sole picchiava forte a quell’ora, lui non ci era abituato. Sentiva il bisogno di rifugiarsi in un luogo d’ombra.

 

Uscì sul lungo terrazzo in comune con tutte le altre stanze del fungo a due piani. Così faceva ogni sera dal suo arrivo nella nuova residenza, dopo l’ottima cena di Puffo Golosone. In bocca aveva ancora il sapore della torta al limone. Sistemato su una sdraio, si accese una sigaretta profumata concessa dai Puffi Assistenti. Quelle normali erano tassativamente proibite persino all’aperto, per il fastidio che l’odore poteva causare: i Puffi vivevano nel più rigoroso rispetto reciproco. Per uscire dalla Scuola Rieducativa, gli avevano detto, sarebbe stato costretto a smettere di fumare del tutto.

Ormai erano discese le tenebre. Fiaccole ardevano a illuminare la via, ma al folletto non piacevano per nulla. Gli richiamavano alla mente brutti ricordi, e in ogni caso a lui non erano utili. Nel villaggio sugli alberi accendere torce era pericoloso. Molto pericoloso, e giustamente nessuno lo faceva. Gli occhi della sua razza erano in grado di vedere nell’oscurità. Anche questo lo aveva salvato la notte in cui, ansimante per la corsa disperata e con l’incendio ormai alle spalle, si era accorto di trovarsi in un punto del bosco a lui sconosciuto.

La sigaretta era finita. Gettò il mozzicone nel contenitore dei rifiuti, dopo averla spenta sul bordo. Una mano sulla spalla interruppe i suoi pensieri. Puffetta, camice e cappellino bianco, si era avvicinata a lui.

«Buongiorno amico folletto, come puffa questa sera? » Dal taschino tirò fuori un fazzoletto, ripulì il bidone dalla scia di cenere. «Attento, non vorrai deluderci dopo i tuoi progressi. Anche se ti serve più tempo, stai migliorando. Un giorno sarai un abitante perbene, così potrai puffare con noi. »

Il folletto le rivolse un sorriso educato, come lo avevano istruito, e si scusò per la disattenzione.

«Oh, sei perdonato…» Gli allungò un vassoio, nella tazza c’era una curiosa bevanda. «Ti va della salsapariglia? Assaggiala, è l’ideale con questo clima estivo».

Prese la tazza tra le mani e se la portò alla bocca. Il sapore era quello di una comune tisana, ma sentì il fresco scendergli giù per la gola. «Ti ringrazio, è molto buona». Svuotò la tazza in lunghe sorsate e la restituì a Puffetta. «Sei stata fin troppo gentile».

«Andiamo, lo sai che è un piacere! Immaginavo che avresti gradito. Non credere però che sia una bevanda comune,» si appoggiò al bracciolo della sdraio, con fare ammiccante, «perché gli ingredienti puffati sono speciali.» Ridacchiò e si allontanò canticchiando.

Il folletto riprese a guardare la strada.

 

Dormiva nella sua camera e sognava di essere nella vecchia casetta tra i rami, a rilassarsi con la sua pipa preferita, quando sentì qualcosa avvolgersi intorno alla parte superiore della testa. D’istinto tentò di urlare, ma la voce come per incanto gli era scomparsa. Un colpo alla pancia lo fece piegare in due e rotolare giù dal letto.

«Questo è ciò che puffa ai traditori!» In quell’ambiente addormentato, il ghigno di Puffo Forzuto giunse al folletto privato della vista come un boato.

Fece per risollevarsi, ma arrivò un altro colpo, questa volta sulla schiena, che lo spinse con il ventre a terra. Nemmeno allora un suono gli uscì dalla bocca, solo aria espulsa con forza.

La suola irregolare di uno scarpone gli rimase posata in mezzo alle scapole. «Puffa giù, lurida spia di Gargamella. Speravi di farla franca?» Le mani gli venivano legate, sentiva i polsi bruciare per la stretta. «Grande Puffo non è un idiota. Alla fine fa sempre la cosa giusta, purtroppo per i furbastri come te».

Non riusciva a comprendere il senso di quelle parole, tutto era un guazzabuglio tra sogno e realtà. Intanto braccia forti lo sollevavano di peso.

Fu trasportato su una spalla, per un tempo che gli sembrò non finire.

«E ora… sarai puffato!» Il folletto non sapeva cosa volesse esattamente dire, ma ebbe un presentimento inquietante. Un nuovo rumore gli giunse nella notte: qualcosa di pesante veniva spostato sotto di lui.

Poi venne lasciato andare.

L’urto gli strappò la benda dagli occhi e dell’acqua gli premette nelle orecchie. Il folletto iniziò ad andare a fondo, sempre più giù, evitando per riflesso di inspirare. Si ritrovò comunque in bocca un sapore amaro, che gli ridiede un moto di volontà. Si spinse su con le gambe. La testa riemerse un attimo in superficie, ma urtò dolorosamente contro qualcosa. Prima di essere di nuovo inghiottito, il folletto riuscì a sollevare lo sguardo: delle margherite macchiate dal sangue lo sovrastavano, su un campo malignamente nero.

 

 

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Fonti di ispirazione e omaggi: i Puffi, 1984 di Orwell, Edward Mani di Forice di Tim Burton.

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 15 luglio 2009 9:28 Autore

Racconto: “I gatti di Atah”

 

Stagliandosi dietro la sagoma del campanile, la luna piena rendeva la notte meno buia, e la faccenda più problematica. Flis però non si sarebbe tirato indietro. Guardò intorno e non scorse anima viva: nessuna ragione di esitare oltre. Uno scatto, e fu fuori dalla cloaca, con l’aria fresca tra i peli e il selciato sotto le zampe. Raggiunse di corsa una nicchia nel muro. Abbandonata la sicurezza del rifugio sotterraneo, la missione era cominciata anche per lui. Emerse di nuovo e proseguì, tenendosi a ridosso degli edifici e cercando punti in cui l’oscurità si insinuava più profondamente.

 

Nella città di Atah, durante una Cerimonia Solenne, il re ebbe una visione: il suo potere sarebbe finito il giorno in cui un gatto nero gli avesse attraversato la strada.

 

Un cigolio sopra la testa, come il morso di una lama arrugginita, lo fece schizzare tra le casse annidate nelle vicinanze. Restò accucciato lì, le orecchie tese, ma da quella finestra non giunsero più suoni. Doveva essere stato un colpo di vento.

Bisognava affrettarsi: la notte era avanzata da un pezzo e lui non aveva ancora fatto nulla. Si infilò in un vicolo laterale.

 

Riferì un’altra versione ai sudditi: i gatti neri avrebbero gettato una maledizione sulla città.

La voce si sparse, il panico fu contagioso.

 

Nei pressi del ponte giaceva un gatto nero, un dardo lo aveva passato da parte a parte. Flis non lo conosceva, ma vedere un compagno in quello stato trafisse di dolore anche lui. Gli si avvicinò, sempre circospetto. Strinse l’asta del dardo tra i denti e cominciò a tirare. L’altro gatto si sollevò barcollando e si spinse in direzione opposta. Il fiume coprì il lamento, la freccia uscì dalle carni e volò sull’acciottolato. La ferita iniziò a chiudersi.

 

Molti gatti neri furono torturati e uccisi, altri si rifugiarono nella fognatura.

Lì trovarono un passaggio segreto, una fessura solo per le loro dimensioni.

 

Flis spiccò un balzo e sentì l’altro venirgli dietro. Si arrampicò sulla parete solcata da crepe, appigliandosi con gli artigli all’edera, finché non poté posare le zampe su un davanzale. Proseguì usando vari appoggi, presto fu alla finestra più alta. Nel saltare per raggiungerlo, il compagno commise l’errore di aggrapparsi agli stracci appesi, che si staccarono e lo fecero precipitare. Atterrò senza problemi sul balcone sottostante: non era certo così che sarebbe morto di nuovo. Da sopra, Flis si tenne pronto a gettarsi su chiunque fosse uscito, ma nessuno comparve.

 

Dopo un tunnel intricato, giunsero in una caverna con un’ampia pozza al centro.

Il luogo era magico: l’acqua fornì ai gatti nove vite, ne potenziò le abilità e intrise gli artigli di un veleno mortale.

 

In alto si sentiva più a suo agio, gli sembrava di dominare la città. Avanzarono con cautela, passando di tetto in tetto, scrutando le strade. Avvertirono la presenza di un ubriaco, il canto stonato e l’odore del vino, ma decisero che non ne valeva la pena e si diressero altrove.

L’altro si fermò: conosceva quella casa; l’abitante dormiva e c’erano conti in sospeso con lui. Si infilò nella ciminiera, con uno strofinio appena percettibile. Neri com’erano, avrebbero potuto far invidia ai demoni, c’era ben poco da sporcarsi ancora.

Flis rimase sotto il cielo notturno.

 

Questo diede loro la forza di combattere e vendicarsi.

In un certo senso, la maledizione si sarebbe avverata?

 

Il cuore accelererò mentre Flis si sporgeva dal bordo del tetto: ce n’era uno proprio sotto di lui, uno dei nemici più temuti e odiati. Immagini gli corsero davanti: la gatta tagliata in due, i cuccioli spinti nel sacco e gettati sul fuoco, le fiamme voraci riflesse nel metallo delle spade. Sentì la testa pesante trascinarlo giù, vide la strada sdoppiarsi per le vertigini. Ma raffreddò l’animo e riprese il controllo, preparandosi in posizione d’attacco.

Si staccò dal tetto e l’istante dopo gli fu addosso, proprio sulle spalle. L’uomo sussultò, ma gli artigli penetrarono subito nel collo scoperto, finalmente appagati. Non un urlo, appena un rantolo sfuggì alla vittima che si accasciava a terra. Il veleno non perdonava, stroncava la vita sul colpo.

Solo per qualche secondo Flis contemplò il morto. Poi si allontanò in fretta, sempre in guardia e pensando a come ancora rendersi utile.

 

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Fonti di ispirazione e omaggi: La Rivolta di John Avnet, Musetta alla Conquista di Parigi di Abe Levitow, la classica supersitizione dei gatti neri che portano sfiga.

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 31 luglio 2009 12:25 Autore

Racconto: “Paura del mostro”

 

 

Baffi di fumo si levavano dalle finestre annerite dell'edificio. Sotto, barelle con morti e feriti venivano trasportate e poi caricate sui mezzi. Il suono delle sirene perforava l’aria cittadina.

 

***

 

Jill era sola in casa. Il lampadario incombeva minaccioso sopra di lei.

Erano di nuovo a tu per tu.

Si era ripromessa di diventare coraggiosa come il suo eroe preferito. Provava a fissare quelle zampe da ragno gigante, quelle lucide sfere che sembravano volerla sfiorare con il loro tocco viscido. E ogni volta, sentendosi addosso la bramosia del mostro, abbassava gli occhi e se li copriva con le mani. Poi restava un po' con lo sguardo sul pavimento, attraverso le dita sottili che erano come sbarre di prigione. Lei non era Peter Pan, ne stava avendo un'altra conferma, mentre il vuoto le cresceva attorno.

 

«Non ti rifugi più sotto le coperte, piccola fifona?»

Jill ebbe un sussulto e arretrò, finendo per inciampare. Incapace di altri movimenti, rimase per qualche istante seduta. Poi si sforzò di raccogliere un po' di buon senso.

«Tu... sei solo un oggetto! Non puoi parlare, e io sono stupida ad aver paura,» lo sfidò indicandolo.

Silenzio. Il dito alzato le tremava davanti.

«Non ci giurerei».

Il cuore le si impennò. Jill si mise a strisciare all'indietro con i muscoli irrigiditi.

«Ti ghermirò, e ti scuoterò finché i tuoi pezzi non voleranno per la stanza».

Il tremore le diede l'impressione che la minaccia fosse già in atto. Si precipitò a cercare un riparo, le mani sudate strinsero la fodera blu. Era la poltrona di papà, lui si sarebbe arrabbiato se gli avesse rovinato la poltrona preferita. Mollò la presa e si rannicchiò a terra. Lo sapeva che il lampadario era un mostro, lo aveva capito da subito! Ma ormai non c'era modo di sfuggirgli: la porta si trovava sul lato opposto.

«Scherzavo,» risuonò la voce nella penombra, ora tranquilla.

 

«Prigionia?»

«Adesso sei meno codarda, ma sicura di vederci bene?» Il lampadario oscillò un po', benché non ci fosse vento. «Da anni sono incatenato a questo soffitto».

«Oh...» Jill capì che non avrebbe potuto farle del male neanche volendo. Si era comportata da sciocca.

«Hanno detto che sarei rimasto così per sempre».

Lei era avvezza a sentirsi dire lo stesso nel buio del ripostiglio, attraverso la porta chiusa, anche se alla fine papà le permetteva di uscire. Poi le dimostrava che in fondo le voleva bene, ma quelle carezze le lasciavano una strana sensazione addosso. Scosse la testa per non pensarci.

 

«Bene, le mie capacità sono intatte».

Jill lo guardava dall'alto della scala pieghevole con gli occhi sbarrati. Appena lo aveva sganciato, il lampadario era precipitato... fermandosi sospeso a pochi centimetri da terra. «E' incredibile!»

«Allora che fai? Sali?».

Ci pensò, giocherellando con la manica del vestito. «Un'ultima cosa! Aspettami qui».

Corse in cucina e trovò la scatola che le serviva. Nel posarci la mano sentì un brivido di entusiasmo e timore. Tornò indietro, il lampadario era ancora lì. Estrasse un fiammifero e lo sfregò contro una delle pareti ruvide. Lo sentì spezzarsi tra le dita: troppa emozione le si dibatteva dentro. Si scostò i capelli dal viso e prese un secondo fiammifero, che questa volta si accese. Lo lanciò. Il giornale del mattino si infiammò all'istante; poco dopo tutta la poltrona fu un enorme falò.

«Sali su!» Sentì protestare alle sue spalle.

Arretrò, ma non riuscì a distogliere lo sguardo dal meraviglioso spettacolo.

«Sbrigati stupida, o ti lascio qui!»

Si riscosse e si arrampicò sul lampadario, reggendosi meglio che poteva. Volarono fuori dalla finestra.

L'Isola che non c'è li aspettava.

 

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Fonti di ispirazione e omaggi: Peter Pan, Tideland di Terry Gillam, Il Maestro e Margherita di Bulgakov.

Modificato il 05 July 2024 17:07


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Inviato il 08 agosto 2009 13:15 Autore

Racconto: “Quattro”

 

Diario di un insegnante.

 

Mi è arrivata quella cassa di pregiata uva alcolica; mentre scrivo sto mangiando il secondo grappolo. E’ proprio forte, già mi ha ubriacato, e non posso negare che sia squisita. Stacco i tondi chicchi viola, ma prima di portarli alla bocca li contemplo: sembrano pianeti in lontananza, tenerli tra le dita e poterli distruggere è una sensazione quanto mai appagante. Mi sono sbronzato per affogare la seccatura odierna, ora però un sorriso compiaciuto – nella finestra ne vedo il riflesso – fluttua sul mio volto. Sì, il potere mi darà la vendetta sugli scolaretti che hanno voluto sfidarmi. Evidentemente hanno bisogno di una lezione su chi sta in alto.

La baldracca avrebbe dovuto esultare nel concedersi a me invece di atteggiarsi a principessina e tenermi sulle spine. Riconosco però che così ha accresciuto la soddisfazione di poterla finalmente possedere, non mi rimangio ciò che avevo scritto. Ma in seguito… per due mesi l’ho portata fuori a cena, le ho fatto regali che prima non vedeva nemmeno all’orizzonte; lunedì le ho pure assegnato un dieci nonostante avesse già iniziato a stufarmi, quindi l’anno lo passerà agevolmente. E con quale gratitudine mi ricambia, questa pezzente?

Apro la porta della sua camera, essendomi inaspettatamente trovato con un’ora libera. Sorprendo la puttana a letto con un brufoloso del suo stesso anno. Dormono nudi, coperti dal lenzuolo, avvinghiati come due uccelletti in amore. Fanno un bel sobbalzo quando mi sentono entrare! Io fisso per un attimo gli occhi di lei, devo avergliela fatta fare sotto; poi annuisco e li lascio soli.

Chissà da quanto se la facevano alle mie spalle, lerciando la mia dignità e magari vantandosi coi compagni della loro furbizia. Adesso il loro gioco è giunto al termine. Pagheranno uno scotto salato, che io finisca in monastero se ciò non accadrà. Proprio domani dovrò decidere il voto del marmocchio: già pregusto il momento.

 

 

Diario di un boia.

 

Fatico a scrivere da quanto sono a pezzi.

Oggi ho lavorato sotto la pioggia, costruendo i soliti numeri di legno e trasportandoli in cima alla collina. Già solo per il terreno fangoso dovevo sgobbare più del normale. Poi un lampo ha colpito e incendiato il quattro, e questo proprio poco prima del rituale! Che altro potevo fare? Mi è toccato mettermi sotto di nuovo, ad una velocità di cui non mi immaginavo capace, per montarne un altro e portalo su in tempo, visto che non ci tenevo a farmi massacrare di frustate.

Riparati sotto grossi ombrelli, i sacerdoti del Creatore sono giunti con i condannati del giorno e alcuni insegnanti. I sacrifici hanno avuto inizio. Ammetto di aver provato soprattutto sollievo mentre piantavo chiodi nelle carni, ripensando soddisfatto a com’ero stato bravo a fronteggiare l’incidente. L’agonia di quei giovani non mi turba più come all’inizio.

Anche il quattro ebbe una vittima. Il ragazzo chiedeva misericordia, ormai crocifisso al numero, e c’era un insegnante che gli ripeteva delle cose: inutile sperare, aveva concluso l’anno guadagnandosi un quattro, per questo veniva giustamente immolato al Creatore; la scuola non manteneva gli orfani per beneficenza, mirava a farne dei maestri, oppure carne per placare l’ira divina. Insomma, era uno che amava infierire. Quella è stata l’ultima esecuzione, al tramonto mi sono incamminato verso casa.

Sulla stradina, all’improvviso una figura al galoppo è sbucata da dietro la curva. Io ero assorto, a malapena l’ho scorta prima di sentirmi travolto e sbattuto nella pozza. La mia caviglia ha urlato di dolore sotto lo zoccolo. Dopo aver sollevato la testa e sputato la melma, ho visto lo sconosciuto tornare da me. Si trattava di una ragazza, con la pioggia grigia che le colava dai capelli. Mi aspettavo delle scuse, un aiuto… ma lei sembrò notarmi appena: si è limitata a chiedere se oggi sulla collina si erano svolti sacrifici, per giunta strillandomi addosso. Al che io l’ho invitata a farsi fo***re da quel suo cavallo e prendersi un’infezione.

Insomma, è stata una giornata estenuante, ora vado a infilarmi sotto le coperte.

 

 

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Fonti di ispirazione e omaggi: Una puntata dei Simpson (non ricordo il titolo, ma c'erano gli insegnanti che mandavano i bambini disobbedienti in presidenza per poi mangiarseli), Cuore d'acciaio di Swanwick, i libri di metametica delle elementari con i disegni degli omini che trasportano i numerini.

Modificato il 05 July 2024 17:07

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