La donazione degli organi è uno di quei temi che talvolta spacca l'opinione pubblica perché, se da un lato si tratta di un'opportunità dal punto di vista medico-sanitario, per dare una chance di vita in più, dall'altro ci sono timori di diversa origine e questioni di coscienza che spesso frenano non solo il donatore, ma anche il ricevente.
La questione è meno semplice e scontata di quello che potrebbe sembrare, soprattutto laddove si deve decidere non solo per se stessi ma per terzi di cui sia ha responsabilità.
Qual è il vostro punto di vista? Quali i sono i timori che vi frenano? Quali paure - se ce ne sono - ritenete giustificate?
Potete prendere il tema da qualsiasi angolazione.
Al netto di alcuni timori legati ai casi di malasanità (e che quindi non riguardano la sfera "concettuale" della donazione in sé) sono assolutamente favorevole. O per meglio dire: non vedo alcun motivo per essere contrario.
Io li donerò senza problemi quando sarà il momento. Più che altro mi seccherebbe non poterlo fare per via delle malattie che mi potrebbero portare all' altro mondo. Non sono un medico ma penso che i donatori migliori siano queli che hanno ricevuto un grosso trauma rispetto ad altre malattie. In ogni caso se il corpo e gli organi sono inutilizzabili lo si può sempre donare alla ricerca scientifica. :)
Cerco di alzare un po' il tiro della discussione proponendovi questo articolo comparso sulla stampa un paio di anni fa: http://www.lastampa.it/2016/06/28/cultura/la-donazione-degli-organi-un-dilemma-filosofico-lIEFwhhZAKiPGeh5KAvP8O/pagina.html
Ci tengo a dire che non ve lo sto proponendo per sostenere una mia linea di pensiero, ma semplicemente per ampliare il discorso.
In buona sostanza nell'articolo si fa riferimento al fatto che, per procedere con l'espianto - che deve avvenire (o comunque è preferibile avvenga) con organi irrorati e quindi con ancora "vita" nel corpo - dal 1968 si utilizza quale criterio l'attività cerebrale. E questa è cosa nota.
Continua spiegando come una fetta di studiosi - si parla di "filosofi" e "pensatori", non di medici o ricercatori - stia oggi rimettendo in discussione il concetto stesso di "morte cerebrale":
"basato su un riscontro strettamente neurologico, ossia il cosiddetto coma irreversibile, ha innovato la secolare tradizione medico-giuridica per cui l’accertamento del decesso avveniva in seguito alla definitiva cessazione di manifestazioni vitali quali la respirazione e il battito cardiaco. Oggi (è) accettato come indubitabile".
Il dubbio che quindi ora ci si pone è:
"Ma la mancata registrazione tecnologica di attività cerebrale dimostra inequivocabilmente la morte totale della coscienza? E se un domani strumenti più raffinati ci consentissero di captare onde cerebrali che oggi sfuggono alla rilevazione? Hans Jonas, uno dei grandi pensatori del ’900, in "Morire dopo Harvard" (Morcelliana, 2009) ha ammonito: «In questa situazione di ignoranza e di ragionevole dubbio, l’unica massima corretta per agire consiste nel tendere dalla parte della vita presunta».
E così ci avviciniamo al nucleo filosofico della questione. Ammettiamo pure che la corteccia cerebrale sia defunta: ma io sono o non sono qualcosa oltre la mia corteccia cerebrale? Se siamo convinti che nella nostra identità confluiscano tanto il corpo quanto il cervello, tanto le funzioni psichiche quanto quelle biologiche, come possiamo qualificare come morte la cessazione di una sola di queste? Si può essere contemporaneamente morti, perché il cervello non funziona più, e vivi, perché il corpo respira e il cuore batte, sia pure, magari, con l’aiuto di macchine? Una bella aporia."
L'articolo si chiude sottolineando come questo tipo di riflessioni rendano oggi ancora più complesso e combattuto un dibattito dove ci sono pro - ovviamente le innumerevoli vite che è possibile salvare grazie ad un trapianto riuscito - e contro - tra cui, cito solo alcune resistenze di natura filosofico-religiosa e più banalmente timori legati alla malasanità (come è stato citato).
La conclusione proposta dall'autore dell'articolo è quindi:
"Forse il deus ex machina capace di mettere tutti d’accordo c’è, anche se bisogna liberarlo dalle resistenze, queste sì oscurantiste, che gli si oppongono: è la ricerca sulle cellule staminali, che potrebbe rendere disponibili gli organi di ricambio senza incorrere in dilemmi dilanianti"
Alla luce di questo testo - che ripeto non sto sponsorizzando, ma semplicemente proponendo come spunto di riflessione generale - vi chiedo:
credete nell'ipotesi che la donazione si stia basando su un presupposto scientifico tutt'altro che certo e definitivo?
quali timori ritenete realmente fondati quando si parla di espianto e donazione? Quali invece insensati e/o particolarmente perniciosi?
Ed infine, la risoluzione del dilemma risiede davvero nelle cellule staminali, negli organi artificiali ecc.? La donazione di organi umani è destinata ad essere una pratica anacronostica?
A voi la palla.
Parto dal presupposto che sono favorevole alla donazione, mi sono iscritta all’Aido appena compiuti 18 anni e ho riconfermato la mia volontà quest’anno al rinnovo della carta di identità.
Detto questo ne ho lette diverse di ragioni che spingono la gente a dire di no: dalle motivazioni più estreme ed esoteriche sulla memoria spirituale degli organi a quelle più comprensibili sui timori dell’erorre umano nel constatare la morte.
Leggevo sul sito dell’Aido che la morte cerebrale deve essere dichiarata da 4 medici diversi non facenti parte dell’equipe di espianto dopo 6 ore di encefalogramma piatto. Personalmente non mi pongo dubbi sul fatto di quanto 6 ore di encefalogramma piatto siano da considerarsi o no morte cerebrale: non mi sembra che i dati riportino che dopo questo lasso di tempo ci siano chissà quante probabilità di risvegliarsi come se niente fosse, anzi io non so nemmeno se vorrei risvegliarmi dopo un coma irreversibile con encefalogramma piatto.
Se proprio devo farmi delle remore me le faccio sulla possibilità di avere ancora una coscienza: e se mentre mi espiantano sono cosciente? Non tanto per il dolore che senza attività cerebrale penso non ci sia, ma la consapevolezza di quello che sta avvenendo chissà. Ecco questa penso che possa essere la mia unica remora.
Lady delle Gocciole Extra Dark
We are only human, and the gods have fashioned us for love. That is our great glory, and our great tragedy.
Ben vengano prima o poi gli organi artificiali - meccanici, staminali, magari olografici ... - ma finchè non saranno acquistabili dal merciaio sotto casa a dieci euro ogni persona morta per trauma e seppellita intera è ... beh ... uno spreco.
Io sono parecchio d'accordo con @Lady Lyanna: sicuramente il confine tra la vita e la morte, con la coscienza in mezzo a complicare le cose, è sottilissimo e sicuramente non sappiamo ancora individuarlo esattamente, però non vedo perchè sia un punto importante in questo caso;
voglio dire: dalla definizione di 'morte cerebrale' che viene applicata ora, se non appunto per casi di malasanità o errori - che ci saranno sempre non importa quanto raffineremo la rilevazione - non mi pare si sia mai svegliato nessuno. E viceversa, se vogliamo una speranza in futuro di risvegliare casi così in fondo al tunnel, dovremo necessariamente raffinare la rilevazione, quindi anche il criterio per dire 'vai taglia!' si aggiusterà di conseguenza.
Se è così, che importa se la dichiarazione viene fatta con un 'margine' di un angstrom o di un metro abbondante? Dal punto di vista della tutela del donatore - diciamo pure la parola proibita - forse lo sto uccidendo, tecnicamente. E vabbè.
Ma lo ucciderei lo stesso nel senso non sono in grado di salvarlo. Tanto vale saltare quel capello-centimetro-chilometro di distanza e dare a quella morte un senso.
Per il dolore, o la consapevolezza, sinceramente mi pare difficile che ci sia quando un panorama cerebrale molto più agitato come in anestesia generale già li annulla entrambi.
Per il problema filosofico.esoterico 'io sono più del mio corpo e della mia corteccia cerebrale' ... altro non-problema: se ne sei convinto, tagliuzzare quel non-te che fastidio dà? Se invece quei pezzi di carne devono davvero davvero essere lì a respirare per costituire 'te' ... allora sei ore di morte sono sei ore di te morto.
Questa comunque è sempre stata la mia opinione personale da (ex)donatore, perchè si, la donazione è volontaria ad un livello di cautela che mi pare altissimo; prima di diventare donatore su queste cose puoi informarti; se non ti informi ti informano; se proprio hai vissuto con le orecchie tappate fino allo scontro con il tir ... in italia non c'è il silenzio-assenso. Non si vedono nemmeno poi tante campagne pro-donazione!
Per questo proprio non capisco le reticenze dei riceventi: perchè ti preoccupi di me se non me ne preoccupo io? ^^'