Riprendo una parte del discorso di @Ombra Lunare per aprire un nuovo topic dedicato al lavoro e al suo sempre più complicato Mondo.
23 hours fa, Ombra Lunare dice:
Tutto questo mi ha portato a chiedermi.. Chi si prende carico della formazione dell'etica professionale in Italia?
Il nostro tessuto economico è composto da aziende medei e piccole con risorse sempre scarseggianti. Per non parlare delle capacità e conoscenze necessarie per formare il personale. Il management è un lavoro titanico che richiede dedizione, tempo pazienza.
Il bussiness attuale in Italia è schiacciato dalla crisi, con inevitabili tagli del personale in imprese già piccole.
C'è anche il fatto curioso che secondo studi statistici sul analfabetismo funzionale, una buona fetta degli imprenditori italiani sono analfabeti funzionali. Non oso immaginare cosa e come possono trasmettere alle future generazioni.
Secondo i miei calcoli uno potrebbe lavorare in Italia tutta la vita è non trovare mai un approccio costruttivo.
Forse sarebbe l'ora che lo Stato si impegnasse a trasmettere un po' di etica e di disciplina ai futuri lavoratori?
Io penso che c'è un po' troppa carne al fuoco qui.
Chiedi chi deve insegnare l'etica del lavoro: Sono d'accordo nel dire che non è il proprietario d'azienda a doverlo fare, ma relegare la cosa allo Stato e quindi alla sola scuola è riduttivo. L'etica, in tutta la sfera dell'esistenza, dovrebbe essere a carico di tutta la società, soprattutto a carico della famiglia. E' quello il primo luogo in cui il bambino deve imparare cosa è giusto e cosa no. Poi la scuola ed infine comunque anche le aziende.
Faccio un esempio basato sulla mia esperienza.
Anni fa sono andata a lavorare in una pasticceria: Non ho avuto bisogno di sentirmi dire dal titolare di dover arrivare in orario, pulita, con i vestiti da lavoro in ordine etc etc. Sono cose che si imparano da sempre: si deve arrivare in orario anche a scuola eh...
Però ho avuto bisogno del capo pasticcere per sapere come fare certe cose. Dette una volta, e poi rifatte senza che nessuno mi dicesse altro. Non è che uno che arriva in una azienda, quale essa sia, sa subito cosa deve fare: si deve pensare a formare i lavoratori.
Più che altro a questo punto c'è da chiedersi: dopo che mi sono fatto il mazzo a formare il mio lavoratore, è normale non fargli firmare un contratto pieno, perchè se prendo un apprendista mi viene meno? Perchè c'è anche questo da mettere in ballo. Vieni formato e poi lasciato a casa perchè la tua formazione ti rende prezioso e costoso.
È Frittella il nostro Re
Fa i pasticci, fa i bignè
Io ne mangio pure tre
È Frittella il nostro Re!!!
You're mine. Mine, as I'm yours. And if we die, we die. All men must die, Jon Snow. But first we'll live.
La cosa bella di essere guardiani? l'affetto con cui veniamo ripagati, ma anche il rispetto, la riconoscenza. E' un impegno che dà molto onore e tanta gloria (Cit @Maya )
Il mondo lavorativo in Italia è a dir poco imbarazzante... Sto andando avanti a lavoretti occasionali vari (è più il tempo che impiego a cercare che a trascorrere lavorando), ma non ho ancora avuto nulla di definitivo, di sicuro. Se penso che ho studiato tanto a fondo e a lungo per essere trattata in questa maniera mi viene un nervoso...
Per chi deve insegnarti il mestiere: eh, insomma. Dipende da quello che ti trovi davanti. C'è chi ti fa sentire una cretina (come se non ti sentissi cretina già di tuo che non sai fare bene il lavoro e capirai, magari una ha bisogno di un paio di giorni per orientarsi agli inizi), chi è geloso del proprio sapere e non ti insegna, poi c'è anche chi lavora bene, ma non è capace a insegnarti il mestiere...
- Most have been forgotten. Most deserve to be forgotten. The heroes will always be remembered. The best. The best and the worst. And a few who were a bit of both. -
- If I look back I am lost. -
- There are ghosts everywhere. We carry them with us wherever we go. -
Molto vero! Entrambe avete indicato fattori importantissimi.
Premetto che concordo in pieno con la visione di @Lady Monica per quanto riguarda l'etica del lavoro.
Da parte mia credo sia molto importante la formazione. È indubbio che non può essere insegnato tutto a scuola, ma anche il datore di lavoro deve fare la sua parte. Il problema è che spesso ciò non accade. Mi è capitato di sentirmi dire che è una perdita di tempo considerevole, tanto poi dopo 6 mesi chi ti vede più. Quindi si perde tempo a formare una persona che poi porterà il sapere acquisito altrove. Col risultato che mi sono dovuta arrangiare.
Secondo me è una visione sbagliatissima. Se uno impara poi svolgerà bene e più velocemente lo stesso lavoro che i soliti nuovi assunti di passaggio ogni 6 mesi impiegano molto più tempo a imparare, ogni volta daccapo, e quindi a svolgere. Credo che di base ci sia una impostazione mentale da parte di chi assume (aziende ma anche uffici statali) sbagliata legata sia a questioni di comodo (perché farmi il mazzo a spiegare?) che di opportunismo (non dimentichiamo che ogni nuovo assunto è in potenziale concorrente agli occhi dei colleghi).
Di base c'è poca solidarietà e volontà di condivisione, uno dei gravi problemi della nostra società.
E' sempre un dispiacere che quando tutti i lupi dovrebbero sollevarsi, un posto possa rimanere vuoto.
A man might befriend a wolf, even break a wolf, but no man could truly tame a wolf.
When the snows fall and the white winds blow,
the lone wolf dies, but the pack survives
Stark è grigio e Greyjoy è nero
Ma sembra che il vento sia in entrambi
In tre commenti penso abbiate ampiamente riassunto lo stato delle cose, e ho poco altro da aggiungere a quanto avete già detto; le aziende non fanno più formazione, senza una formazione non ti assumono, perchè "ti manca l'esperienza", peccato che l'esperienza lavorativa si accumuli... lavorando, guarda un pò.
Il panorama è desolante, come @*Khaleesi* e migliaia di altri, negli ultimi anni ho passato quasi più tempo a cercare lavoro che a lavorare, e dopo pochi mesi, massimo un'anno, sei di nuovo al punto di partenza. Una vita del genere chiaramente non ti porta da nessuna parte, e senza il supporto economico della famiglia sfuma qualsiasi tipo di vera autonomia.
Ecco. Non serve aggiungere altro, direi che hai tracciato il quadro completo
E' sempre un dispiacere che quando tutti i lupi dovrebbero sollevarsi, un posto possa rimanere vuoto.
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23 hours fa, Lady Monica dice:Chiedi chi deve insegnare l'etica del lavoro: Sono d'accordo nel dire che non è il proprietario d'azienda a doverlo fare, ma relegare la cosa allo Stato e quindi alla sola scuola è riduttivo. L'etica, in tutta la sfera dell'esistenza, dovrebbe essere a carico di tutta la società, soprattutto a carico della famiglia. E' quello il primo luogo in cui il bambino deve imparare cosa è giusto e cosa no. Poi la scuola ed infine comunque anche le aziende.
Sono d'accordo con te @Lady Monica. L'etica del lavoro può essere facilmente ricondotta alla "buona educazione". Spetta alla società questo insegnamento: famiglia, scuola e per ultima l'azienda.
E comunque questa cosiddetta Etica del Lavoro andrebbe insegnata a tutti: dal lavoratore al datore di lavoro. La disonestà e l'incompetenza sono trasversali. Come pure il loro viceversa, fortunatamente: di lavoratori, di impresari e di dirigenti onesti e competenti ce ne sono.
Per quanto riguarda la formazione dei lavoratori.. beh vado controcorrente. E' diventato un mercato anche quello della formazione. C'è la formazione obbligatoria per la sicurezza, che tutti i lavoratori devono frequentare. C'è l'obbligo dei crediti formativi negli ordini professionali. Ma quanto servono davvero questi corsi e quanto sono invece dei meri adempimenti?
Infine il tasto dolente del mercato del lavoro italiano. Due considerazioni, molto generiche: la prima è che ci sono pochi soldi che girano (e questo frena tutta l'economia) e quelli che girano sono distribuiti con poca equità: ci sono professioni stra-pagate e altre bistrattate. La seconda, il nero. Quando il tuo commercialista ti invita ad eludere le tasse, beh mi sembra che il problema sia piuttosto evidente. Qui si che ci vorrebbe un intervento dello Stato. Ma tanto nessuna fazione politica avrà le palle per intervenire con decisione, mai. (Una provocazione: il professionista che non frequenta i corsi di formazione viene radiato dall'albo. E quello che evade le tasse?)
Per conto mio, ho risolto buona parte dei miei problemi rifugiandomi nel pubblico impiego...
Eh allora siamo colleghi. Ma anche in questo campo ci sarebbe molto da dire a cominciare dai tanti furbetti inlicenziabili.
E' sempre un dispiacere che quando tutti i lupi dovrebbero sollevarsi, un posto possa rimanere vuoto.
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Hai voglia @Lyra Stark! Anche se devo dire che sono meno di quello che sembra, solo che oramai è passata sta cosa del dipendente pubblico fannullone e furbetto che danneggia tutta la categoria...
Il 19/3/2018 at 11:50, Lady Monica dice:
Riprendo una parte del discorso di @Ombra Lunare per aprire un nuovo topic dedicato al lavoro e al suo sempre più complicato Mondo.
Io penso che c'è un po' troppa carne al fuoco qui.
Chiedi chi deve insegnare l'etica del lavoro: Sono d'accordo nel dire che non è il proprietario d'azienda a doverlo fare, ma relegare la cosa allo Stato e quindi alla sola scuola è riduttivo. L'etica, in tutta la sfera dell'esistenza, dovrebbe essere a carico di tutta la società, soprattutto a carico della famiglia. E' quello il primo luogo in cui il bambino deve imparare cosa è giusto e cosa no. Poi la scuola ed infine comunque anche le aziende.
Faccio un esempio basato sulla mia esperienza.
Anni fa sono andata a lavorare in una pasticceria: Non ho avuto bisogno di sentirmi dire dal titolare di dover arrivare in orario, pulita, con i vestiti da lavoro in ordine etc etc. Sono cose che si imparano da sempre: si deve arrivare in orario anche a scuola eh...
Però ho avuto bisogno del capo pasticcere per sapere come fare certe cose. Dette una volta, e poi rifatte senza che nessuno mi dicesse altro. Non è che uno che arriva in una azienda, quale essa sia, sa subito cosa deve fare: si deve pensare a formare i lavoratori.
Più che altro a questo punto c'è da chiedersi: dopo che mi sono fatto il mazzo a formare il mio lavoratore, è normale non fargli firmare un contratto pieno, perchè se prendo un apprendista mi viene meno? Perchè c'è anche questo da mettere in ballo. Vieni formato e poi lasciato a casa perchè la tua formazione ti rende prezioso e costoso.
Ora che ho un po' di tempo a disposizione posso concedermi di intervenire in alcuni topic che avevo lasciato per strada, tra cui questo.
Cito il post di apertura di Lady Monica perché ne condivido maggiormente le osservazioni e le criticità evidenziate.
In particolare, riguardo l'etica del lavoro, un lavoratore che si comporta decentemente in azienda, è una persona di buon senso, con sale in zucca, che magari ha qualche obiettivo che lo spinge ad impegnarsi.
Penso che una persona che assolve i propri doveri sia probabilmente una persona educata e di buon senso. Per il resto è discorso di saper svolgere un compito.
A me causa sempre reazioni allergiche il discorso che la scuola dovrebbe formare i lavoratori di domani, come ingranaggi pronti ad essere piazzati da una parte. Ecco, ma anche no. L'istruzione dovrebbe formare individui, cittadini. L'istruzione universitaria inoltre tratta conoscenza, l'obiettivo per me non dovrebbe essere lo scibile che serve a quel tipo di impresa, ma gli strumenti per ottenere ulteriore conoscenza e risultati in una materia. (E parla uno che ha fatto un percorso ultraspecifico in un campo che nasce da necessità di un settore economico circoscritto).
Inoltre azienda che vai,esigenze che trovi. Per non parlare del fatto che a seconda della posizione che ricopri o delle modalità lavorative, sono richieste attitudini ed anche etiche differenti. Dal pubblico al privato, dalla manifattura ai servizi, insomma, un coccolatore di panda dovrà avere un'impronta mentale sul lavoro differente da quella di un consulente fiscale.
Questa idea che l'impresa non possa perdere tempo a formare un lavoratore, si riassocia alla precarietà del lavoro. Non voglio investire su un dipendente, voglio assumere gente a breve termine a ciclo continuo, che mi costa meno, quindi fammi un favore caro ministero dell'istruzione e mandameli "già mangiati" sti ragazzi. Anche voi famiglie, anziché far gingillare i vostri figli coi minipony, comprategli subito "il mio primo tornio" o la "betoniera telecomandata" almeno poi taaaaaac subito pronti e produttivi e soprattutto "etici".
" Sono io la tempesta, mio lord. La prima tempesta e l'ultima "
Volevo essere il re del mare, ma all'anagrafe sbagliarono una lettera
Purtroppo questo discorso trova il suo apice apocalittico negli annunci (veri!): "cercasi apprendista con esperienza".
Nell'ultimo anno ho avuto a che fare con la formazione di studenti di un istituto professionale, molti dei quali inseriti in percorsi di apprendistato: erano totalmente ossessionati dall'idea di entrare nel mondo del lavoro e paradossalmente anche sfiduciati rispetto a quello che li attendeva, ed in generale poco preparati dal punto di vista "umano". C'è qualcosa che non gira in un sistema in cui la formazione dell'individuo in quanto tale viene data per scontata, quindi tralasciata ed infine totalmente svalutata, in cui a spingere avanti i singoli sono la necessità e non l'entusiasmo (almeno a 18 anni un minimo dovrebbe esserci!), mentre viceversa ci si aspetta che siano le istituzioni scolastiche a fornire ai ragazzi tutti gli strumenti per rispondere ai bisogni delle singole aziende.
Detto questo mi sono anche scontrata con una situazione in cui lo scollamento tra scuola e mondo del lavoro è molto evidente, per cui ai ragazzi non solo non vengono dati gli strumenti, ma neppure quella visione generale che permetterebbe loro di smettere di coltivare illusioni e disillusioni inverosimili. Il problema è che i due mondi - scuola e lavoro - purtroppo si parlano poco. Anzi. La sensazione è che non si conoscano proprio.
Penso che studenti del professionale che si avviano all'apprendistato, possano anche permettersi illusione e sfiducia. L'apprendistato dovrebbe proprio fargli conoscere quel mondo edi avviarli ad iniziare un percorso.
A 18 secondo me puoi anche essere digiuno di mercato del lavoro.
Sul mancato dialogo tra lavoro ed istruzione io sono più ottimista.
Vedo diverse iniziative atte all'avvicinamento per ragazzi che si fermano alla scuola dell'obbligo. E poi un 18 se lo possono anche finire di formare le aziende per quanto mi riguarda.
Per l'istruzione universitaria, complice la cronica carenza di fondi, vedo nascere ogni tre per due corsi cHe prevedono tirocinii curriculari obbligatori, così invogliando maggiormente la gente ad iscriversi. Ma li vedo ovunque (per quel che conosco ovviamente) uscire dalle pareti semicit. Assieme ai corsi di laurea in inglese o doppio titolo etc.
A me perlomeno il mondo universitario pare meno fossilizzato già rispetto a qualche anno fa. E credo per questione di soldi. Necessità virtù.
Ma per il tema dell'etica credo fermamente che il contatto tra scuola e lavoro abbia un ruolo veramente marginale.
" Sono io la tempesta, mio lord. La prima tempesta e l'ultima "
Volevo essere il re del mare, ma all'anagrafe sbagliarono una lettera
Avevo già commentato alcune affermazioni di ombra lunare in altra sede. Finalmente, arrivo anche qua.
Ci sono molti temi al vaglio.
Partiamo dall'etica del lavoro. Questo è un concetto educativo, ma non solo, parzialmente è demandato all'educazione familiare. Dico parzialmente perché l'evento biologico di avere dei figli non rende i genitori obbligatoriamente consapevoli o capaci dell'educazione che sarebbero chiamati a fornire, quindi a seconda delle diverse situazioni, questo "passaggio di maniere" può avvenire, oppure no. L'individuo ha quindi l'opportunità di essere educato a scuola ove ci si aspetta che l'educazione possa essere appresa in maniera più organizzata, stabile, costante. Ma anche a scuola questo può essere vero, oppure no. Non è un segreto che le classi di una scuola possano venire composte in maniera tale da raggruppare coloro che sono i figli di quelli che vanno educati in un certo modo, e coloro che è meglio raggruppare tutti insieme così i problemi saranno in una classe sola. Nel mezzo, quelli che dove finiscono, finiscono, perché non creano problemi, ma anche se non li educhiamo chi se ne frega, tanto nella vita non faranno strada. E questa era, ma credo di poter dire sia ancora con ampio margine di certezza, la "scuola dell'obbligo" italiana.
Quindi c'è l'elevata possibilità che l'educazione di una fetta di persone venga demandata alla soggettiva sensibilità e all'esposizione della soggettiva esperienza di questi soggetti.
Sul ruolo della scuola superiore e dell'Università concordo con Aegon: a quel punto si insegnano principalmente competenze, soprattutto in università. Anche perché niente toglie che dopo la laurea si possa optare per una carriera accademica o per la libera professione, quindi che senso avrebbe impartire univocamente un'etica volta al lavoro in azienda?
Si arriva quindi all'esperienza lavorativa. Questa prevede ovviamente un minimo di periodo di formazione. Formazione che viene elargita anche nelle realtà più piccole e meno organizzate - lo dico per esperienza. Ovviamente, la formazione aziendale non è come quella scolastica, dove l'obiettivo del docente è che gli studenti apprendono. Quando si arriva nel mondo del lavoro, specialmente a certi livelli, ci si aspetta che un metodo di apprendimento lo si sia già sviluppato e che questo sia flessibile, perché l'apprendere diventa interesse primario del neo-lavoratore. Se il neo-lavoratore non è in grado di adattarsi all'ambiente pre-esistente del luogo di lavoro sarà facilmente sostituibile dal prossimo neo-assunto, ma le competenze già sviluppate dal team non lo saranno altrettanto, quindi non ha senso cercare di adattare un team al neo-assunto, per quanto si possa cercare di metterlo nelle condizioni migliori possibili e andargli incontro il più possibile.
Tornando all'etica aziendale, questa è un sentimento che nasce anche scaturito dall'azienda stessa per cui si lavora: se l'azienda ti dà qualcosa tu ti senti in dovere di ripagarla col buon comportamento, se l'azienda non ti stimola, tu puoi ripagarla con del buon comportamento e poca motivazione, ma se l'azienda non ti valorizza e ti sfrutta puoi sentirti tranquillamente bene a fare altrettanto. Si tratta di un rapporto do ut des, non è una questione unilaterale. Il concetto che un lavoratore debba essere grato a un'azienda solo perché questa lo ha selezionato e assunto lo trovo molto povero e retrogrado. Le aziende assumono e forniscono un corrispettivo economico a fronte di competenze e servizi prestati. Non c'è bisogno di ringraziare per alcunché, il rapporto è utilitaristico e in tal senso si esaurisce.
Con questa critica si arriva alla questione del tessuto italiano, composto principalmente da PMI ma non solo. Le PMI ovviamente hanno degli evidenti problemi gestionali: normalmente vengono fondate da un imprenditore visionario per quanto possa essere più o meno alfabetizzato, ho conosciuto ottimi imprenditori con poca qualifica d'istruzione e ottimi imprenditori con fior fior di titoli. Il problema avviene principalmente nel passaggio generazionale, spesso e volentieri l'erede designato - inteso o non inteso - può non essere il soggetto più adatto per la prosecuzione della guida dell'azienda, per cui la motivazione del core group va a farsi benedire, o peggio, l'azienda fallisce. Le relazioni industriali del nostro territorio poi, purtroppo, non sono sempre guidate dall'interesse positivo ma dall'abitudine e dal clientelismo, che non favorisce né il miglioramento né l'innovazione.
In questo panorama già poco edificante di per sé, sta ad ognuno di noi scegliere un percorso che sia sì incline alle nostre capacità, ma che abbia anche dei realistici sbocchi nel mercato del lavoro, perché - ahimé - la vita non è fatta di arcobaleni e unicorni, purtroppo. Bisogna riflettere se si sarà disposti a spostarsi ovunque e quindi avere più margine di scelta nelle materie in cui specializzarsi, se non si è disposti a spostarsi più di tanto analizzare ciò che offre la propria zona e contemperare le proprie passioni alle necessità dell'ambiente.
C'è anche da mettere in conto che, in certe realtà, come quelle pubbliche o quelle soggette a ingenti finanziamenti, chi arriva dovrà lavorare per sé e per chi è già lì, tutelato da leggi e diritti del lavoro significativamente diversi, senza logorarsi troppo il fegato su se sia giusto o meno, perché comunque sia, la realtà è questa.
Al netto di tutto ciò, per coloro che hanno fame, sono svegli, hanno competenze e voglia di mettersi in gioco ed arrivare, e, non ultimo, anche la fortuna di trovare una buona intesa col proprio datore di lavoro, non credo che sia impossibile raggiungere eccellenti risultati anche al giorno d'oggi, certo non bisogna aspettarsi la pappa scodellata.
Conosco molti esempi di persone laureate in materie date per spacciate che con l'impegno e senza spinte o accozzamenti vari sono riuscite a trovare ottimi e quasi insperati impieghi. Io stessa, che non sono laureata in ingegneria aerospaziale, sono riuscita a trovare un'ottima opportunità dopo un mese dalla laurea e a continuare a crescere negli anni con l'impegno. Ma la fame e la voglia di arrivare o di riscatto significano molto, infatti, se guardo alle esperienze delle persone che ho incontrato sul cammino, oserei dire che questa, spesso e volentieri, è stata determinante. Fanno anche la sua il settore e il fattore C, ma se sul fattore C non si può influire, la scelta del settore, forse forse, meriterebbe grandi riflessioni, soprattutto se l'università talvolta sceglie di offrire percorsi di laurea "perché vanno" (e quindi ne guadagnano in iscrizioni aka tasse pagate), non rispecchiando sempre la domanda effettiva.
Quindi la colpa spesso è dell'ambiente, ma siamo sicuri lo sia completamente?
Se siamo consci dell'ambiente e vogliamo restarvi allora bisognerebbe riflettere sull'eventualità di sapersi adattare ad esso.
In assenza di questo, niente impedisce di trovare collocazione altrove, qualora la propria esperienza possa essere spendibile.
Qualora la propria esperienza non sia spendibile, allora, forse, incolpare totalmente l'ambiente non è edificante, né aiuta a migliorare la propria condizione. Ci vuole molto cinismo, per adattarsi, migliorare la propria condizione, lottare, e ammettere a sé stessi che la colpa non è sempre e solo dell'ambiente in cui ci si viene a trovare, per quanto certi ambienti è innegabile siano molto più svantaggiosi di altri.
"And now at last it comes. You will give me the Ring freely! In place of the Dark Lord you will set up a Queen. And I shall not be dark, but beautiful and terrible as the Morning and the Night! Fair as the Sea and the Sun and the Snow upon the Mountain! Dreadful as the Storm and the Lightning! Stronger than the foundations of the earth. All shall love me and despair!”
She lifted up her hand and from the ring that she wore there issued a great light that illuminated her alone and left all else dark. She stood before Frodo seeming now tall beyond measurement, and beautiful beyond enduring, terrible and worshipful. Then she let her hand fall, and the light faded, and suddenly she laughed again, and lo! she was shrunken: a slender elf-woman, clad in simple white, whose gentle voice was soft and sad.
“I pass the test”, she said. “I will diminish, and go into the West and remain Galadriel.”
***
"A ruler needs a good head and a true heart," she famously told the king. "A cock is not essential. If your Grace truly believes that women lack the wit to rule, plainly you have no further need of me." And thus Queen Alysanne departed King's Landing and flew to Dragonstone on her dragon Silverwing. [...] The queen died of a wasting illness in 100 AC, at the age of four-and-sixty, still insisting that her granddaughter Rhaenys and her children had been unfairly cheated of their rights. "The boy in the belly," the unborn child who had been the subject of so much debate, proved to be a girl when born in 93 AC. Her mother named her Laena. The next year, Rhaenys gave her a brother Laenor.
Proprio ieri sera, neanche a volerlo fare apposta, su Superquark hanno parlato di lavoro e di etica del lavoro. Vi lascio sotto il link del video che secondo me è illuminante.
secondo me quello che si è perso nel mondo del lavoro è proprio questo: L'imprenditore Ha una responsabilità sociale. Ecco, mi pare che questa cosa si sia un po' persa. Ci sono poche aziende che fanno questo (la Luxottica per esempio, da quanto mi diceva una mia amica che lavora li).
15 hours fa, ***Silk*** dice:L'individuo ha quindi l'opportunità di essere educato a scuola ove ci si aspetta che l'educazione possa essere appresa in maniera più organizzata, stabile, costante. Ma anche a scuola questo può essere vero, oppure no. Non è un segreto che le classi di una scuola possano venire composte in maniera tale da raggruppare coloro che sono i figli di quelli che vanno educati in un certo modo, e coloro che è meglio raggruppare tutti insieme così i problemi saranno in una classe sola. Nel mezzo, quelli che dove finiscono, finiscono, perché non creano problemi, ma anche se non li educhiamo chi se ne frega, tanto nella vita non faranno strada. E questa era, ma credo di poter dire sia ancora con ampio margine di certezza, la "scuola dell'obbligo" italiana.
Questa sta diventando la scuola italiana: fino a qualche anno (Decennio via), la scuola dell'obbligo era comunque un primo scalino verso un innalzamento sociale. Un tempo già avere un diploma era un qualcosa di grande. In questi ultimi anni, purtroppo, per tante questioni intrinseche, la scuola sta venendo smantellata e sta perdendo il suo ruolo educativo per diventare prettamente formativo, ma non formativo di cittadini, ma di forza lavoro.
La scuola che descrivi tu, purtroppo, è già realtà: ma io non penso che sia il modello da seguire.
16 hours fa, ***Silk*** dice:Tornando all'etica aziendale, questa è un sentimento che nasce anche scaturito dall'azienda stessa per cui si lavora: se l'azienda ti dà qualcosa tu ti senti in dovere di ripagarla col buon comportamento, se l'azienda non ti stimola, tu puoi ripagarla con del buon comportamento e poca motivazione, ma se l'azienda non ti valorizza e ti sfrutta puoi sentirti tranquillamente bene a fare altrettanto. Si tratta di un rapporto do ut des, non è una questione unilaterale. Il concetto che un lavoratore debba essere grato a un'azienda solo perché questa lo ha selezionato e assunto lo trovo molto povero e retrogrado. Le aziende assumono e forniscono un corrispettivo economico a fronte di competenze e servizi prestati. Non c'è bisogno di ringraziare per alcunché, il rapporto è utilitaristico e in tal senso si esaurisce.
Uhm.. si e no. Ringraziare un'azienda che ti da un lavoro non la vedo una cosa così strana. Ho 37 anni, qualcuno mi assume nonostante l'età e l'aspetto fisico, io sono contenta. Poi è ovvio che farò del mio meglio per il mio obiettivo che poi coincide con quello dell'azienda.
È Frittella il nostro Re
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Io ne mangio pure tre
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You're mine. Mine, as I'm yours. And if we die, we die. All men must die, Jon Snow. But first we'll live.
La cosa bella di essere guardiani? l'affetto con cui veniamo ripagati, ma anche il rispetto, la riconoscenza. E' un impegno che dà molto onore e tanta gloria (Cit @Maya )
Il 2/8/2018 at 13:57, Lady Monica dice:Questa sta diventando la scuola italiana: fino a qualche anno (Decennio via), la scuola dell'obbligo era comunque un primo scalino verso un innalzamento sociale. Un tempo già avere un diploma era un qualcosa di grande. In questi ultimi anni, purtroppo, per tante questioni intrinseche, la scuola sta venendo smantellata e sta perdendo il suo ruolo educativo per diventare prettamente formativo, ma non formativo di cittadini, ma di forza lavoro.
La scuola che descrivi tu, purtroppo, è già realtà: ma io non penso che sia il modello da seguire.
Non è infatti il modello da seguire, siamo sicuramente d'accordo. Se è vero il discorso che fai sulla scuola come primo scalino verso l'innalzamento sociale (almeno fino agli anni 80, non mi sentirei di andare troppo oltre), devo però dissentire sul fatto che la scuola si sia rovinata solo negli ultimi anni o nell'ultimo decennio. Purtroppo quei metodi organizzativi descritti nel post precedente erano utilizzati già un decennio fa, lo erano prima a maggior ragione, e lo sono tutt'oggi, specialmente nelle realtà di provincia, perché il preside di turno, o chi per lui, ha evidentemente interesse ad accontentare le richieste di genitori "più in vista", specialmente nei piccoli paesi. Anzi, forse oggi, con l'innesto dei giovani professori che si sono ben sudati l'ingresso nel mondo del lavoro la musica potrebbe cambiare. Ma l'essere umano è sempre lo stesso e resta sempre attaccato all'interesse individualistico.
Il 2/8/2018 at 13:57, Lady Monica dice:Uhm.. si e no. Ringraziare un'azienda che ti da un lavoro non la vedo una cosa così strana. Ho 37 anni, qualcuno mi assume nonostante l'età e l'aspetto fisico, io sono contenta. Poi è ovvio che farò del mio meglio per il mio obiettivo che poi coincide con quello dell'azienda.
Il fatto è che l'azienda non ti fa un "favore" ad assumerti. È nel suo interesse assumerti se hai le competenze e capacità che questa cerca ed il rapporto si esaurisce necessariamente nella fornitura di servizi a fronte di corrispettivo monetario. I ringraziamenti sono superflui e sminuiscono l'apporto del lavoratore.
Se ti riferisci all'età correlata al sesso a maggior ragione non hai alcunché da ringraziare: dovrebbe essere normale assumere una donna di 37 anni, se le sue competenze e capacità e la sua storia lavorativa sono più interessanti o altrettanto interessanti rispetto a quelle degli altri candidati. Semmai ci si dovrebbe indignare quando il sesso e l'età vengono considerati discriminitoriamente per evitare di assumere un professionista di valore ma che forse, non si sa, potrebbe non essere conveniente per non comprovate ragioni personali, basate per altro sul nulla, che intaccano la privacy della persona.
Ringraziare è come considerare normale il trattamento discriminatorio e straordinario ciò che dovrebbe essere la normalità, per cui su questo punto non potrò mai concordare. Per quanto sappia benissimo come funzionano, spesso, le cose in Italia.
"And now at last it comes. You will give me the Ring freely! In place of the Dark Lord you will set up a Queen. And I shall not be dark, but beautiful and terrible as the Morning and the Night! Fair as the Sea and the Sun and the Snow upon the Mountain! Dreadful as the Storm and the Lightning! Stronger than the foundations of the earth. All shall love me and despair!”
She lifted up her hand and from the ring that she wore there issued a great light that illuminated her alone and left all else dark. She stood before Frodo seeming now tall beyond measurement, and beautiful beyond enduring, terrible and worshipful. Then she let her hand fall, and the light faded, and suddenly she laughed again, and lo! she was shrunken: a slender elf-woman, clad in simple white, whose gentle voice was soft and sad.
“I pass the test”, she said. “I will diminish, and go into the West and remain Galadriel.”
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"A ruler needs a good head and a true heart," she famously told the king. "A cock is not essential. If your Grace truly believes that women lack the wit to rule, plainly you have no further need of me." And thus Queen Alysanne departed King's Landing and flew to Dragonstone on her dragon Silverwing. [...] The queen died of a wasting illness in 100 AC, at the age of four-and-sixty, still insisting that her granddaughter Rhaenys and her children had been unfairly cheated of their rights. "The boy in the belly," the unborn child who had been the subject of so much debate, proved to be a girl when born in 93 AC. Her mother named her Laena. The next year, Rhaenys gave her a brother Laenor.
Ti darei ragione se non fosse che l'azienda media non fa il ragionamento che fai tu. In molte situazioni si preferisce lasciare a casa le competenze e prendere il pischello da mettere sotto apprendistato per pagarlo meno e lasciarlo a casa a tirocinio finito.
È Frittella il nostro Re
Fa i pasticci, fa i bignè
Io ne mangio pure tre
È Frittella il nostro Re!!!
You're mine. Mine, as I'm yours. And if we die, we die. All men must die, Jon Snow. But first we'll live.
La cosa bella di essere guardiani? l'affetto con cui veniamo ripagati, ma anche il rispetto, la riconoscenza. E' un impegno che dà molto onore e tanta gloria (Cit @Maya )