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Uno studio in rosso
L di Lyra Stark
creato il 07 ottobre 2017

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Lyra Stark
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Lyra Stark
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Inviato il 07 ottobre 2017 21:53 Autore

Cominciamo il progetto rilettura dedicato a Sherlock Holmes! :yeah:

Secondo l'ordine cronologico la prima opera in esame sarà Uno Studio in Rosso (A Study in Scarlet), romanzo edito per la prima volta nel 1887.

La scansione concordata sarà di 3 capitoli a settimana.

 


E' sempre un dispiacere che quando tutti i lupi dovrebbero sollevarsi, un posto possa rimanere vuoto.

 

A man might befriend a wolf, even break a wolf, but no man could truly tame a wolf.

 

When the snows fall and the white winds blow,

the lone wolf dies, but the pack survives

 

Stark è grigio e Greyjoy è nero

Ma sembra che il vento sia in entrambi

 
 
What do they say of Robb Stark in the North?
They call him The Young Wolf
They say he can't be killed...
 
A thousand years before the Conquest, a promise was made, and oaths were sworn in the Wolf's Den before the old gods and the new. When we were sore beset and friendless, hounded from our homes and in peril of our lives, the wolves took us in and nourished us and protected us against our enemies. The city is built upon the land they gave us. In return we swore that we should always be their men. Stark men!

 

 
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Lyra Stark
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Inviato il 07 ottobre 2017 23:54 Autore

Comincio io...

 

Lo dico subito, tra tutte, questa è una delle opere di Conan Doyle che incontrano meno il mio gusto. Non che sia brutto, e anzi, ha il merito di presentarci Sherlock Holmes per la prima volta e gettare le basi per tutto ciò che verrà dopo, tuttavia… La storia non è molto appassionante, per quanto mi riguarda anche per l’esulare dal contesto British e addentrarsi in quello americano, e la digressione nella seconda metà del romanzo è di rara pesantezza.

 

CAPITOLO 1

Iniziamo subito incontrando il dottor Watson. La breve descrizione del suo calvario durante la guerra lascia basiti.

In questo primissimo capitolo secondo me va segnalato soprattutto il fatto, all’apparenza marginale, che l’incontro e la coabitazione con Holmes sono del tutti fortuiti in quanto dovuti ad un incontro casuale con un intermediario che poi fa la proposta sulla condivisione del mitico 221/B. A ben vedere questo Stamford è l’artefice di un dei sodalizi più famosi della storia della letteratura, anche se poi è il primo a mettere le mani avanti e non vuole responsabilità data l’eccentricità di Holmes.

 

CAPITOLO 2

Le osservazioni di Watson sul suo nuovo coinquilino si fanno via via più attente e dettagliate, dimostrando tutta la sua buona capacità di osservatore (nonostante quello che direbbe Holmes ^^”).

Veniamo subito messi al corrente di quella che è una caratteristica peculiare di Holmes: la sua incredibile energia, che dà luogo a periodi di iperattività, cui poi seguono periodi di down completo, e il suo ricorrere a droghe (qui solo sospettato per il momento).

Ci viene presentata poi anche una rassegna delle conoscenze di Holmes (la famosa lista di Watson rimane sempre mitica), in cui brilla il fatto che lui non conosca la teoria Copernicana, ma ancor più assurdo è il fatto che non pare intenzionato a perderci del tempo poiché giudica la cosa inutile, controproducente e finanche dannosa (mi è sempre piaciuta la sua visione della memoria).

Vediamo poi che cominciano le scaramucce tra i due, quando Watson, ignaro, va a scagliarsi con decisione contro il contenuto dell’articolo di Holmes e, più importante, dimostrando un certo scetticismo sulle sue abilità fino ad arrivare all’insofferenza e a pensare, all'apertura del capitolo successivo, che Holmes abbia messo su un teatrino apposta per impressionarlo.

 

CAPITOLO 3

Entriamo nel vivo del caso, con Holmes che durante i rilevamenti dà prova di quello che a mio avviso è il suo peggio difetto: una certa teatralità, un sicuro autocompiacimento e perché no una evidente supponenza, soprattutto quando ha a che fare con i poliziotti.

En passant segnalo anche il tono melodrammatico che ogni tanto Watson esibisce, qui in relazione alla descrizione del cadavere.


E' sempre un dispiacere che quando tutti i lupi dovrebbero sollevarsi, un posto possa rimanere vuoto.

 

A man might befriend a wolf, even break a wolf, but no man could truly tame a wolf.

 

When the snows fall and the white winds blow,

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Stark è grigio e Greyjoy è nero

Ma sembra che il vento sia in entrambi

 
 
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Menevyn
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Menevyn
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Inviato il 08 ottobre 2017 22:57

CAPITOLO 1

Si parte con quella che ho sempre considerato una "cortese presentazione". Watson ci fornisce le informazioni strettamente necessarie per farci un'idea di chi è, qual'è il suo vissuto, il suo immediato vissuto, quali sono le circostanze che l'hanno portato a trovarsi nelle condizioni, totalmente fortuite, di imbattersi nel celebre Sherlock Holmes, un'incontro che è certamente destinato a cambiare la vita del buon dottore, che al suo incontro con Stamford si ritrova in piena convalescenza, fondamentalmente solo e in bolletta.

Questa introduzione non serve ad altro se non a farci capire quali condizioni lo spingono ad accettare Holmes come coinquilino quasi a "busta chiusa". Non doveva dilungarsi poi così tanto, dopotutto, non ci interessa molto chi è stato Watson, siamo interessati a chi è adesso e a chi diventerà da adesso.

L'incontro vero e proprio con Holmes ci catapulta immediatamente nel frenetico lavoro intellettuale dell'investigatore. Esordisce salutando Watson e un secondo dopo ci dà un'esito della prima "lettura" sul nuovo arrivato, poi coinvolge i due nella sua ultima scoperta, e qui abbiamo la prova della passione e dell'assoluta concentrazione che Holmes mette nel suo lavoro.

 

CAPITOLO 2

Qui abbiamo a disposizione il primo periodo di convivenza tra Holmes e Watson. Il buon dottore è immediatamente rapito dall'eccentricità del suo coinquilino, del quale inizia a tracciare una sorta di profilo, spinto sia noia, almeno inizialmente, e poi da una divorante curiosità, visto che ha davanti un uomo col quale un piccolo borghese vittoriano come Watson deve aver avuto poco a che fare, in vita sua. L'occhio attento del medico sospetta ben presto dell'uso di droghe, e Watson ci aiuta ad immaginare meglio Holmes dandoci una sua descrizione fisica, e stilando la celebre lista sulle capacità del detective.

L'articolo di giornale è un'ottimo espediente per permetterci di capire meglio quale sia la (vera e propria) filosofia di vita di Holmes, aggirando quest'ultimo, che sembra poco propenso a scendere troppo nei dettagli della sua professione, almeno inizialmente. La reazione di una persona come Watson davanti a simili asserzioni è abbastanza prevedibile, e Holmes gli prova la fondatezza dei suoi metodi spiegandogli come sapesse dell'Afghanistan e di come conosca il passato del portalettere.

Menzione d'onore alla parte in cui Holmes "fa a pezzi" gli esempi che Watson gli propone nel cercare di comparare le sue abilità con quelle di altri personaggi letterari (tra i quali il Dupin di E.A.P. che, paradossalmente, è probabilmente uno dei veri "pardi" di Holmes:yeah:)

 

CAPITOLO 3

Qui passiamo dalla teoria alla pratica. Watson ci ha finora fornito un Holmes quasi "accademico", che spiega la sua visione circa le capacità deduttive ed analitiche dandone quale piccola dimostrazione, mentre qui lo vediamo in azione sul campo. Holmes arriva sulla scena del delitto e se la prende molto comoda. Analizza il circondario della casa, si concentra sui particolari meno rilevanti; facciamo la conoscenza di Gregson e Lestrade, e nel descriverli a Watson, Holmes ci fa capire quale sia il suo rapporto e la sua opinione con le forze di polizia. Nell'esaminare la scena del crimine, vediamo un Holmes che si estranea completamente da chi ha intorno, prendendosi tutto il tempo e la calma per lasciar lavorare il suo intelletto e il suo metodo, che alla fine gli permettono di fornire ai due poveri investigatori una mole di informazioni che lasciano il lettore quasi di stucco, e non si risparmia una frecciata a Lestrade, che ha sì trovato un'utile indizio, ma che l'ha totalmente travisato.


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JonSnow;
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JonSnow;
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Inviato il 09 ottobre 2017 23:28

Capitolo 1:

I primi tasselli di ogni narrazione in prima persona; decisa, ma allo stesso tempo lieve introduzione del narratore. Una sorta di sconfortata, disillusa presentazione in punta di piedi in cui sussurrare il proprio mal di vivere ad invisibili interlocutori. Il gioco ambiguo, quasi crudele di Doyle mira a prospettare mediante il trauma e la passività l'esorbitante e caratteristica normalità di Watson, la cui regolarità sarà pietra complementare per il proprio co-inquilino. La descrizione che Stamford fa di Holmes è il coinvolgente aperitivo a ciò che sarà dopo, nonché lo snocciolarsi degli elementi cardine che fanno capo al controverso Detective. L'attenzione con cui il conoscente lo ricollega al cinismo scientifico, dunque attivo, privo di malvagità ma capace, pertanto, di azioni sensazionali e sconvolgenti è la firma chiave su una ricostruzione perfettamente congrua della personalità del medesimo. D'altro canto il primo contatto con Holmes ha proprio il compito di proporre un'entrata narrativa a gamba tesa, come un fenomeno atmosferico, inafferrabile, ineluttabile, che scuote e si contrappone alla passività con cui Watson si è trascinato fino a quel momento. Holmes stesso, col suo comportamento, in un certo senso conferma quelle che, fino a quel momento, potevano essere per la maggior parte pure dicerie. L'atteggiamento esagitato e stravagante del Detective ha appunto la missione si sconvolgere coloro che leggono ed assistono. Certamente questo lato della sua personalità avrebbe fatto intuire a pochi la lama gelida e cinica che spesso si cela nella sua intimità, rendendolo capace di essere talvolta totalmente asettico e privo di sensibilità. 

 

Capitolo 2:

Prosegue, con ritrovata risolutezza, il tratteggio narrativo perpetrato attraverso gli occhi di Watson. La sintesi dei primi tempi di convivenza è atta a proporre maggiormente la figura di Holmes dall'esterno, senza interazione verbale, di modo da raggiungere la massima atmosfera di osservazione e da far apparire lo stesso Detective come una figura rara. In realtà egli è antidoto all'ozio estremo che condiziona la situazione di Watson, con un'inerzia senza pari che, malauguratamente, lo porta a discendere in approfondimenti superiori. La descrizione della fisicità di Holmes delinea l'assetto strutturale di un uomo affascinante e singolare anche nei tratti più banali e diretti. Di conseguenza viene fuori la tanto discussa lista di Watson, per anni oggetto di dibattito tra appassionati e critica. Lista che, verrà specificato più volte sia da Doyle che nelle opere, è solo un mettere su carta le prime radicali impressioni, quando appunto il buon medico non aveva piena consapevolezza delle conoscenze di Holmes. Quest'ultimo, con le sue parole sulla memoria, tende a irridere la normalità e i comportamenti di cui chi ne è affetto è assai inconsapevole. Dimenticare è un riflesso involontario più che presente nell'essere umano e assolutamente pericoloso in chi vuole apprendere. Il consiglio sottile è di arrendersi alla curiosità, dunque, e di fare del discernimento un utile strumento. Non cedere, dunque, alla banale avidità che l'entusiasmo spesso comporta. 

Meravigliosa è poi la discussione che emerge dalla lettura dell'articolo, ma soprattutto le varie reazioni di Watson. Perfettamente ordinario, perfettamente umano. Come la maggior parte delle persone, egli tende ad avvertire un senso di antipatia ed irritazione verso contenuti che non ha la facoltà di comprendere a pieno, quindi giunge a svilire sia gli stessi che l'autore, assumendo verso di egli uno spontaneo senso di ostilità, nascosto e giustificato con le motivazioni più assurde. Lo stesso comportamento si ripropone nel momento in cui duella con Holmes, proponendo uno scetticismo assai influenzato dalle emozioni personali e dal complesso di inferiorità, appunto comune in tutti coloro che si ritrovano a dibattere o a giudicare una persona ben più capace. In poche parole è il tipo di complesso di inferiorità che porta in prima parte all'invidia e in seconda parte alla totale demolizione del soggetto più abile, provando in tutti i modi a macchiare la sua immagine in un moto quasi calunnioso che è rassicurante per chi non ha il medesimo passo. Un meccanismo di difesa psicologico diffuso e tremendamente reale. 

D'altro canto, come tutti coloro che ne cadono preda, Watson finisce con l'essere protagonista di una rovinosa caduta nel momento in cui le capacità, per l'appunto uniche e concrete, fanno la propria comparsa per scelta di Holmes. 

 

Aggiungo poi una postilla: L'arte della deduzione di Holmes è decisamente encomiabile, ma è inscindibile da una base di conoscenza teorica. Egli, per quanto acuto osservatore, non potrebbe mai formulare una deduzione atta a distinguere due diversi tipi di terriccio, se prima non avesse assunto nozione delle varie particolarità dello stesso. Dunque per dedurre correttamente bisogna altrettanto conoscere, non solo osservare. 

 

Capitolo 3: 

Come sottolineato in precedenza, il capitolo 3 è votato alla dimostrazione pratica dei metodi di Holmes. Tuttavia tale dimostrazione non si separa da una voluta dose di ironia e teatralità. Holmes stesso, pur consapevole della sua superiorità, non si crogiola in essa e invece che distruggere immediatamente i comportamenti banali e ignoranti che ha di fronte, sceglie di farli proseguire a puro scopo ludico. E qui, nel dettaglio, si annida il cinismo che lo accompagna. Tutta la perizia e l'esame che compie è una sorta di rituale di astrazione, sia mentale che umana, in cui egli ritrova sé stesso e al tempo stesso ricollega l'invisibile ai più. Solo nel finale, a compito ultimato, Holmes si concede di svuotare il senso di appagamento e trionfo altrui, basato sul nulla, con le proprie capacità deduttive e la propria consapevolezza.


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« I did what I thought was right. » Jon Snow

« There are no men like me. Only me. » - Jaime Lannister

« No one can protect me. No one can protect anyone. It's true, I am a slow learner, but I learnWinterfell is Our Home, we have to fight for it.  » - Sansa Stark 

« Leave one wolf alive and the sheep will never be safe. » - Arya Stark

« good act does not wash out the bad, norbad act the good. » - Stannis Baratheon

Take my Heart when You go _ Take Mine in It's Place.

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Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via, dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai. Ti salverò da ogni malinconia, perché sei un essere speciale. Ed io avrò cura di te.

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Lyra Stark
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Inviato il 13 ottobre 2017 16:58 Autore

i nuovi capitoli della settimana...

 

CAPITOLO 4

Holmes comincia a spiegare il modo in cui è arrivato ad alcune delle sue deduzioni e vediamo, per la prima di molte volte a venire, tutto l’entusiasmo e l’ammirazione di Watson. Mi è sempre sembrato buffo, nei suoi toni a volte tanto enfatici, così come il melodrammatico del capitolo precedente, da ispirarmi una genuina simpatia e l’idea di una persona affidabile e di buon cuore, che poi credo sia proprio quello che si proponeva l’autore.

Certo, è anche un po’ comico vedere come la sua iniziale riluttanza e lo scetticismo lascino poi il posto a un entusiasmo travolgente (questo lo vedremo anche in altre occasioni e non solo in relazione a Holmes, mi vengono in mente, per esempio, alcuni episodio da Il mastino dei Baskerville).

Come lievemente comico è anche il vezzo per l’adulazione di Holmes.

Piccola nota: i romanzi di Sherlock Holmes sono interessanti anche perché danno un piccolo scorcio delle abitudini e situazioni dell’epoca. In questo caso per esempio vediamo che la vita dei poliziotti di quartiere è piuttosto misera e rischiosa. In particolare mi ha impressionato che facessero le ronde di notte nelle strade praticamente da soli.

 

CAPITOLO 5

Nonostante veniamo portati a pensare che Holmes abbia in tasca già tutta la soluzione del mistero, ecco che, come accade in tanti suoi romanzi e avventure, lui viene giocato, almeno momentaneamente. Un modo per creare un po’ di scompiglio al lettore.

 

CAPITOLO 6

Il capitolo si apre fornendoci, tramite le riflessioni di Watson, uno spaccato sulle prese di posizione e credenze in fatto di politica di allora.

Si passa poi alle conclusioni di Gregson, che fornisce tutta una serie di informazioni nuove e diverse rispetto a quanto ipotizzato da Holmes. Questo genere di vicende/situazioni a metà tra il melò e la soap vittoriana si ritrovano spesso nei lavori di Conan Doyle e, per quanto mi riguarda, mi sono molto graditi sia perché alleggeriscono e coloriscono un po’ il racconto, sia perché di nuovo contribuiscono a fornire uno spaccato dell’epoca.


E' sempre un dispiacere che quando tutti i lupi dovrebbero sollevarsi, un posto possa rimanere vuoto.

 

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Inviato il 14 ottobre 2017 20:40

CAPITOLO 4

Sulla strada per l'abitazione di Rance, assistiamo alla spiegazione di Holmes su come sia arrivato alle conclusioni fatte sulla scena del crimine. Questo capitolo è sempre stato importante, almeno per me, perchè mi fa portato a pensare che Holmes abbia ragione nel dire che, in fin dei conti, lui non è che un "uomo qualsiasi", perchè nello spiegare come sia arrivato a scoprire così tante informazioni sulla scena del delitto (le tracce della carrozza, la lunghezza del passo dell'assassino, l'altezza della scritta sul muro e i movimenti della vittima e del carnefice nella stanza) si capisce come scoprirle non richieda particolari studi od esperienza, ma un semplice ragionamento logico-deduttivo. La mente di Holmes è più rapida e scattante di quella dell'uomo qualsiasi, velocità che serve un'intelligenza certamente fuori dal comune, su questo non si discute, ma Holmes dimostra come una determinante parte del suo mestiere sia, dopotutto, alla portata di molti; la preoccupazione che sembra assalirlo quando, tra un paio di capitoli, Gregson entrerà in casa sua annunciando d'aver risolto il caso, l'ho sempre trovata emblematica, così come lo è il rimprovero fatto a Rance, che praticamente ha preso sottobraccio l'assassino, che Holmes reguardisce sul fatto di dover imparare ad usare di più il cervello, nel suo lavoro. Insomma, Holmes è al vertice della scienza della logica e della deduzione, un Maestro nel suo campo, ma il suo livello può essere raggiunto, o almeno avvicinato, e credo che la cosa gli dia un pò da pensare. Holmes è un'individuo unico, ed è fiero della sua unicità.

 

CAPITOLO 5

In questo capitolo, dopo aver avuto a che fare con un'Holmes praticamente infallibile, scopriamo che perfino uno come lui può essere ingannato. L'intuizione sull'anello è giusta, l'assassino si è attardato sulla scena del crimine perchè s'è reso conto di averlo perso, e, giustamente, Holmes capisce che l'anello è l'unica esca in suo possesso per attirare il colpevole in trappola. Un piccolo paradosso, che un maestro del travestimento come Holmes venga giocato proprio da un'altro abile attore camuffato a dovere.

 

CAPITOLO 6

La lettura dei giornali da parte di Watson mi è sempre piaciuta molto, perchè non solo ci offre uno spaccato della mentalità dell'epoca nel cercare di dare a tutti i costi un'identità e un profilo politico all'assassino, ma anche della travagliata vita sociale dell'Europa di fine '800, che non è poi così diversa da oggi. La stampa che attacca un tipo di governo, reo d'aver reso possibili certi crimini a Londra, il propagarsi, quasi incontrollato, di ideologie giudicate pericolose e sovversive, nel caso quella socialista, l'allarme circa la presenza di organizzazioni segrete e pericolose, insomma, una piccola finestra su un passato decisamente attuale.

Una piccola menzione d'onore per gli irregolari di Baker Street, qui al loro debutto, e poi Gregson, che si pavoneggia d'aver risolto il caso dimostrando una certa logica e metodo, nella sua indagine, che sfortunatamente lo hanno portato su una pista sbagliata, per quanto coerente.


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Inviato il 20 ottobre 2017 17:27

Capitolo 4:

Come in ogni epoca od opera, la miseria dell'uomo sa emergere in maniera prepotente. Non è un caso, difatti, che basti una moneta a far cambiare atteggiamento e l'approccio di una persona, talvolta, come dimostrato da Holmes. L'avidità può arricchire, limitare e rendere vulnerabili. Sherlock, oltre che i tasselli logici, è in grado di trovare il punto di rottura delle menti, laddove esercitare pressione affinché si ottenga ciò che è necessario per formulare un'azione risolutiva. Interessante che il confronto con Rance si regga su un testo di botta e risposta, con poche attenzioni alla descrizione fisica del momento, affinché risulti appunto un vero e proprio interrogatorio, ove colui che torchia è anche colui che è un passo avanti. Concordo con @Menevyn solo parzialmente, poiché se è vero che per determinati aspetti bastino osservazione e ragionamento acuto, quindi ricongiungimento dei tasselli, come nel caso dell'altezza e del muro, per altri è assolutamente necessaria una conoscenza generata da studi e sapere generale, dato che altrimenti la deduzione sulla cenere gli sarebbe stata impossibile, visto che non avrebbe potuto catalogarla. La grandezza di Holmes, comunque, non differisce dal detto secondo il quale il miglior assistente di un prestigiatore sia un pubblico ubriaco. In questo caso, le persone cosiddette ''comuni'', tendono a compiere una serie di gesti spontanei, riflessi naturali verso cui non prestano attenzione e su cui non si concentrano. Lo stesso compiono con l'osservazione. Lo scrivere su un muro all'altezza dei propri occhi, per esempio, ne è lampante.

Notevole poi come Watson cominci a mutare nel primo sostenitore di Sherlock e delle sue teorie, sfiorando quasi il patologico. 

 

Capitolo 5:

Il paragrafo soffre una lieve forzatura, già rilevata dal collega di rilettura. Il piano di Sherlock non è sbagliato ed è una delle forme più efficaci per l'epoca, laddove si prestava ancora attenzione agli annunci di smarrimento degli oggetti. Tuttavia c'è una vera e propria forzatura nel momento in cui neanche il minimo dubbio è sollevato nell'interazione con la vecchietta. Non solo un professionista del trasformismo e del travestimento cade in modo così rovinoso, ma anche l'osservatore provetto non scorge la minima discrepanza in ciò che vede di fronte a sé. Un processo quasi ipnotico e innaturale, direi. Piuttosto ho trovato molto interessante come, per scrupolo e deformazione professionale, egli ponga a rischio tutto pur di correggere un'inesattezza nel suo interlocutore. Vedi la questione strada per il circo. 

 

Capitolo 6:

Più che un vero e proprio capitolo è un resoconto atto a preparare il terreno per un ulteriore sconvolgimento. Ovviamente anche in questo caso la struttura di Doyle è molto teatrale per quanto concerne le teorie errata. L'errore, nel caso in questione, tende a poggiarsi quasi sempre sulla troppa vanità e sull'esaltazione di capacità che in vero non si posseggono. Quindi coloro attorno ad Holmes diventano macchiette, si rendono tali, che sia egli a schernirli o meno. Gli Irregolari di Baker Street, poi, oltre a dimostrare la poca stima che il Detective ha dei colleghi poliziotti, rappresentano anche uno scenario di intelligenza creativa. Perché oltre che logico e cinico, Holmes sa essere anche creativo, imprevedibile, pertanto unico nel genere, capace di giungere alla soluzione con mezzi inaspettati.


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Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via, dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai. Ti salverò da ogni malinconia, perché sei un essere speciale. Ed io avrò cura di te.

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Inviato il 21 ottobre 2017 17:38 Autore

CAPITOLO 7

Ed ecco che i colpi di scena si inanellano uno dietro l’altro. Prima Holmes giocato, poi le nuove informazioni di Gregson che si bea di Lestrade, ed ora un nuovo delitto.

Sorvoliamo sulla faccenda del cane cavia, per la quale passerò una brutta giornata, accidentaccio.

Capitolo che costituisce la metà esatta del romanzo e, difatti, si conclude con il colpo di scena ad effetto.

Comincerà ora una lunga digressione per narrare l’antefatto di tutta la vicenda e che costituisce una vera prova di resistenza per il lettore.

 

CAPITOLO 8

Il capitolo segna l’inizio della seconda parte del romanzo (diviso appunto in due parti simmetriche di 7 capitoli, la prima relativa al presente e ambientata a Londra, l’altra relativa ai fatti che vi hanno portato e ai personaggi coinvolti nel delitto e ambientata in America).

Ci ritroviamo quindi catapultati ex abrupto nel deserto del Colorado, da subito descrittoci come inospitale e restio a qualunque forma di vita, dove tutto è silenzio, interrotto soltanto da una pista carovaniera punteggiata di ossa.

E’ in questo panorama desolato che compaiono del tutto fuori posto un uomo che si porta appresso una bambina e che, scopriamo ben presto, sono gli unici superstiti di una carovana che si è smarrita nel deserto. L’uomo è allo stremo, essendosi privato di cibo e acqua per darli alla bambina, e il dialogo tra i due sulla morte che giungerà presto e quello che troveranno aldilà è molto tenero.

In generale questo capitolo dimostra un Conan Doyle diverso fino a quanto letto finora, capace di descrizioni suggestive e scene molto commoventi. Siamo di fronte a un romanzo di narrativa e di vita più che a un poliziesco in questo frangente.

La salvezza giunge in modo inaspettato, sottoforma di una imponente carovana di mormoni che sta cercando un nuovo paese in cui installarsi e che salvano la vita all’uomo e alla bimba, a patto che egli si impegni a diventare uno di loro. E’ molto fugace, relegata nelle ultime righe del capitolo, ma si intuisce che la figura del capo che accoglie i due moribondi subito con un ricatto nasconde in realtà qualcosa di negativo.

 

CAPITOLO 9

In breve ci viene narrato come la carovana trovi finalmente la sua terra promessa nello Utah, installando ben presto sotto la guida del capo un fiorente cittadina che diverrà Salt Lake City.

Con un veloce salto temporale, scopriamo quindi che anche i due personaggi incontrati all’inizio si installano nella cittadina, e l’uomo si guadagna ben presto il rispetto di tutti, arrivando a fare incredibile fortuna grazie alle sue abilità. La bambina invece cresce sana e forte e diventa ben presto una bellezza tale da essere chiama il fiore dello Utah, soggetta agli sguardi di molti uomini (mi è piaciuta la digressione molto vittoriana sul passaggio dalla bambina alla donna).

Lucy, così si chiama la ragazza, un giorno viene salvata per caso da un ragazzo di nome Jefferson Hope, energico e risoluto, dal carattere vulcanico e imperioso, come ci racconta l’autore, il quale per il classico colpo di fulmine si prende per lei una sbandata tale da decidere seduta stante che quello è l’incontro della sua vita. A poco a poco si conquista la fiducia e il rispetto del padre, oltre che l’amore della ragazza e il capitolo si chiude con la classica proposta.


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Inviato il 22 ottobre 2017 15:22

CAPITOLO 7

Lestrade e Gregson si ritrovano da capo, entrambi hanno puntato su due piste abbastanza coerenti, ma scoprono ben presto di essersi trovati in due vicoli ciechi. Come sempre però, Holmes è capace di ripartire da dove i poliziotti si sono arenati.

Il test sul cagnolino opportunamente in fin di vita gli consente di verificare l'essattezza delle proprie teorie, e questa sicurezza gli consente, nell'arco di pochi minuti, di attirare in trappola il colpevole e di catturarlo, mettendo a segno il colpo da maestro.

 

CAPITOLO 8

Qui il racconto subisce una brusca interruzione, infatti veniamo catapultati indietro sia nel tempo che nello spazio, dalla Londra del 1878 veniamo depositati nel deserto del Colorado di una trentina d'anni prima; l'autore decide di narrarare in modo esteso il drammatico antefatto che innescherà gli omicidi nella Vecchia Inghilterra anni dopo.

Come ha notato @Lyra Stark, Conan Doyle passa dal ritmo serrato del poliziesco ai toni più drammatici ed evocativi della scena che ci viene presentata, quella di due poveri superstiti di una carovana che stanno morendo di stenti in un'abiente selvaggio e ostile, con Ferrier che cerca di preparare Lucy all'idea del fatto che sta morendo, cercando di confortarla dicendole che ritroverà la madre, mentre la bambina, ancora troppo piccola per afferrare la gravità della situazione, reagisce con l'ingenuità e la positività che contraddistingue i bambini, perfino in un frangente come questo.

La salvezza alla fine arriva ad un soffio dalla fine, con la carovana dei mormoni, guidati nientemeno che dal realmente esistito Brigham Young, soprannominato il Mosè americano, che ben gli si addice, visto l'autentico esodo che sta guidando nei deserti americani.

Tipino comunque tutt'altro raccomandabile, sotto moltissimi altri aspetti.

 

CAPITOLO 9

Ferrier e Lucy finiscono con l'unirsi ai mormoni, vista la mancanza di altre opzioni, e partecipano attivamente alla fondazione di Salt Lake City.

Scopriamo che Ferrier, uomo dotato di grande tempra, abilità e ingegno, nell'arco di una decina d'anni riesce a far fortuna. Grazie alle sue doti di cacciatore di guadagna il rispetto della comunità, che gli permette di ottenere un grande appezzamento di terra; il suo fiuto negli affari e le sue capacità di amminstratore lo rendono ricco sfonadto. Lucy, adottata come sue figlia, cresce sana, forte e bellissima, tanto da farle guadagnare uno stuolo di ammiratori e corteggiatori di ogni età ed estrazione (come vedremo). Alla fine sembra che il fortunato a far breccia nel suo cuore sia Jefferson Hope, un giovane di belle speranze che riesce anche ad accattivarsi la simpatia di Ferrieri, incassando così il benestare paterno per le future nozze.

Alla fine del capitolo, ci ritroviamo con la "fanciulla più felice di tutto lo Utha" e il suo promesso sposo che parte per una breve separazione, al termine della quale si dovrebbero celebrare le nozze.


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JonSnow;
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Inviato il 27 ottobre 2017 19:04

Capitolo 7:

In questo scritto colgo un'insolita fretta nello stile di Doyle. Probabilmente questi era così colto dall'entusiasmo della sua prima opera su Sherlock che non stava nella pelle di giungere ad un determinato snodo di trama. Per quanto assistiamo anche al resoconto di Lestrade, le reazioni successive mi sono sempre sembrate fin troppo repentine e dalla composizione superficiale. Ovviamente ciò non è neanche troppo un difetto, visto che si snellisce la trama il più delle volte. Inutile dire quanto anch'io convenga con la pesantezza emotiva che l'episodio del cane comporti. Non importa che vi sia il preavviso sulle sue condizioni di salute ormai critiche, è sempre un qualcosa di tremendamente triste e crudele a cui assistere, in qualunque forma. Nonostante il climax, è l'episodio che mi segna maggiormente in questo capitolo. Da notare poi come esso sia anche un modo per approfondire maggiormente la personalità di Sherlock e la sua mancanza di sensibilità in determinate occasioni. Mancanza che lui, probabilmente, tenderebbe a giustificare come un ''inutile piangere sul latte versato, impieghiamo le energie per il concreto'', laddove la commemorazione è appunto uno spreco. Egli difatti non fa una piega di fronte a ciò che accade al cagnolino in questione. L'evento è interessante comunque perché non comporta solo la spiegazione chiave sulle pillole e le modalità d'omicidio, quanto appunto un ulteriore tratto dell'Io di Sherlock Holmes, condivisibile o meno. Il colpevole, comunque sia, è ormai incastrato in tutto e per tutto. In ogni caso questa vicenda sarà la prima a racchiudere uno stile che poi ritornerà di volta in volta: lo Sherlock in forma futura, colui che sa, ma solo dopo spiegherà, tra rima e gioco di parole. 

 

Capitolo 8 - Capitolo 9:

Li commento in forma congiunta perché più o meno sono due linee del medesimo percorso. E' la parte che non mi ha mai coinvolto dei romanzi di Sherlock, forse la più tediosa in assoluto e quella a cui sono meno affezionato. Troppo, troppo leziosa e sfiancante. Certamente coerente con la sofferenza che l'ambientazione desertica trasmette e comporta, ma assolutamente inadeguata al ritmo, che come fatto notare è qui spezzato. Lo stile narrativo, poi, non mi entusiasma. Fin troppo asettico e da sfiorare il documentario nelle parti astratte. Un po' banali, poi, le interazioni, che testimoniano i primi cliché narrativi dell'epoca. In ogni caso questa parte è un male necessario se si vuole spiegare il pregresso e sciogliere la matassa di moventi e ragioni che hanno condotto ai due omicidi. 


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« I did what I thought was right. » Jon Snow

« There are no men like me. Only me. » - Jaime Lannister

« No one can protect me. No one can protect anyone. It's true, I am a slow learner, but I learnWinterfell is Our Home, we have to fight for it.  » - Sansa Stark 

« Leave one wolf alive and the sheep will never be safe. » - Arya Stark

« good act does not wash out the bad, norbad act the good. » - Stannis Baratheon

Take my Heart when You go _ Take Mine in It's Place.

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Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie, dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via, dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo, dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai. Ti salverò da ogni malinconia, perché sei un essere speciale. Ed io avrò cura di te.

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Lyra Stark
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Inviato il 27 ottobre 2017 20:54 Autore

Sull'eccessiva repentinitá che noti nel capitolo 7, è una sensazione che ho avvertito anche io, seppure non sia riuscita a darci piena forma finché non ho letto il tuo commento. Si ha decisamente l'impressione che a un certo punto tutto converga e tutto acceleri in modo quasi forzato e la sensazione è forse maggiore al confronto coi 2/3 capitoli successivi che hanno un ritmo abbastanza lento dato non tanto dalle vicende ma dal tono descrittivo.


E' sempre un dispiacere che quando tutti i lupi dovrebbero sollevarsi, un posto possa rimanere vuoto.

 

A man might befriend a wolf, even break a wolf, but no man could truly tame a wolf.

 

When the snows fall and the white winds blow,

the lone wolf dies, but the pack survives

 

Stark è grigio e Greyjoy è nero

Ma sembra che il vento sia in entrambi

 
 
What do they say of Robb Stark in the North?
They call him The Young Wolf
They say he can't be killed...
 
A thousand years before the Conquest, a promise was made, and oaths were sworn in the Wolf's Den before the old gods and the new. When we were sore beset and friendless, hounded from our homes and in peril of our lives, the wolves took us in and nourished us and protected us against our enemies. The city is built upon the land they gave us. In return we swore that we should always be their men. Stark men!

 

 
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Lyra Stark
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Inviato il 28 ottobre 2017 15:54 Autore

CAPITOLO 10

L’atmosfera quasi bucolica finora descrittaci in realtà non è tutta rose e fiori, ma dietro l’angolo il fanatismo religioso presenta il conto (già il fugace incontro col capo della comitiva al momento del salvataggio aveva dimostrato che c’era qualcosa di poco limpido e poco simpatico che aleggiava nell’aria). Lo scenario che ci viene descritto però assume ben presto caratteri funesti, da vera e propria società segreta, e come spesso accade, il tema religioso è solo un pretesto per perpetrare molto più tangibili interessi personali.

In questo caso, dopo averci fatto scoprire che la tradizione degli harem costituisce un problema per la scarsità di donne (recuperate loro malgrado con mezzi non proprio pacifici), il casus belli è naturalmente il legame tra la bella Lucy e il miscredente fidanzato. Se da un lato il padre adottivo ha giurato a sé stesso che non avrebbe mai permesso che la figlia sposasse un mormone (e già questo è molto indicativo per capire la sua opinione sui suoi salvatori), dall’altro si ritrova ben presto messo alle strette dal padre spirituale e capo supremo di tutta la città. Non solo per la legge mormonica sua figlia non può sposare un “miscredente”, ma viene posta di fronte all’obbligo di scegliere tra due uomini delle famiglie più in vista e sposarlo entro un mese. Naturalmente tutta la prima parte del capitolo è propedeutica a costruire lo scenario, tutt'altro che pacifico, che andrebbe a verificarsi qualora l'interessata rifiutasse. Scopriamo, insomma, che quell’angelica mano salvifica di tanti anni prima si è trasformata in una sorta di cappio attorno al collo, e che ora si esige lo scotto con minacce più che palesi.

 

CAPITOLO 11

E vediamo che, mentre i nostri fanno appena a tempo a scrivere al promesso sposo, in città non tardano a presentarsi i due uomini che dovrebbero contendersi la mano della ragazza, uno con già sette mogli, uno invece con sole quattro (dovrò farmi una cultura sul credo mormonico ^^”), prontamente messi in fuga da John Ferrier, che però in questo modo decreta l’inizio delle ostilità. Seguono giorni pieni di inquietudine, segnati dal countdown del tempo che manca allo scadere del mese, realizzato ogni volta con avvertimenti diversi che ricordano molto i metodi delle società massoniche o di organizzazioni simili al Ku Ku Xlan, che devono aver colpito Conan Doyle perché non è la prima volta che verranno inseriti nelle sue opere (penso al caso degli omini danzanti, o ai cinque semi d’arancio, tutti contesti che hanno a che fare con l’America e con organizzazioni dai metodi intimidatori fantasiosi). E’ il chiaro caso di una minaccia inesorabile e intangibile, perché per quanto vigili il vecchio non riesce mai a cogliere qualcuno sul fatto, di quelle che spossano e agitano l’animo, proprio perché non c’è nessuno con cui prendersela. Vediamo che ormai le speranze di Ferrier sono tutte per il fidanzato della ragazza, anche se non pare molto chiaro che cosa pensi che potrebbe fare da solo contro un’organizzazione del genere. Quando manca pochissimo allo scadere del tempo stabilito, però, vediamo che Jefferson Hope incredibilmente si presenta. E comincia qui la fuga rocambolesca verso la libertà e la salvezza, poiché è chiaro che ormai i tre lottano per la vita.

 

CAPITOLO 12

Durante la fuga viene messa in luce tutta l’abilità da cacciatore di Jefferson Hope che guida abilmente gli altri due attraverso le montagne. La salvezza sembra ormai quasi a portata di mano, ma l’autore ci avvisa in anticipo che la situazione non è così promettente come sembra. Difatti durante una sosta, Jefferson lascia padre e figlia per andare a caccia e, al suo ritorno, trova un brutta sorpresa: il vecchio ucciso e la ragazza sparita, riportata indietro dagli inseguitori perché si compia il loro volere.

Jefferson tuttavia non demorde e ben presto decide di votarsi alla vendetta, motivo per cui torna indietro.

Scopre così che Lucy è andata in sposa, ma quanto accaduto l’ha molto provata, e difatti appena un mese dalle nozze si spegne. Suggestivo il racconto di come la notte prima della sepoltura le donne che la vegliano vedano un uomo dall’aspetto selvatico fare irruzione nella stanza, omaggiare la defunta e strapparle l’anello nuziale dal dito, in modo da concederle la libertà almeno da morta.

Inizia così tutta una serie di avvertimenti e attentati, sulla scorta di quanto messo in pratica dall’organizzazione dei mormoni ai danni di Lucy e suo padre, che hanno per obiettivo i due contendenti alla mano della ragazza. Col tempo però Hope si rende conto di non poter continuare a vivere come un selvaggio tra le montagne, cosicché abbandona la preda per potersi ritemprare e arricchire, in modo da perseguire più efficacemente la sua vendetta. Per una serie di circostanze ritorna dopo cinque anni, per scoprire che vi è stato uno scisma e alcuni cittadini se ne sono andati, compresi i suoi due obiettivi. Da qui ricomincia una lunga caccia, che si snoda negli anni e dall’America in giro per l’Europa, con Hope sempre deciso a non mollare la preda e a compiere la sua vendetta, unica sua ragione di vita ormai.

Anche se in realtà si tratta di una vendetta un po’ miope perché Hope se la prende unicamente con i due tizi che dovevano sposare Lucy (e di cui uno effettivamente l’ha sposata) e che paradossalmente agiscono per ordine del consiglio, quindi se proprio vendetta doveva essere mi sarei aspettata che colpisse almeno i principali membri dell'organizzazione/setta religiosa.


E' sempre un dispiacere che quando tutti i lupi dovrebbero sollevarsi, un posto possa rimanere vuoto.

 

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Menevyn
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Inviato il 28 ottobre 2017 20:49

CAPITOLO 10

Il pensiero del matrimonio della figlia non è poi così lusinghiero, per Ferrier, che le è molto legato e sa che sentirà la sua mancanza quando si sarà sposata, però ben presto emergono anche dei motivi che inducono l'uomo a credere che sia la cosa migliore per la ragazza, e qui, l'autore ci mette al corrente di tutta una serie di reali controversie sui mormoni e la "santa" società che hanno creato nello Utah; una società costruita attorno ai suoi leader, Young su tutti, e da essi controllata in maniera maniacale, in quasi ogni aspetto della vita quotidiana, impermeata com'era quest'ultima dei dettami religiosi della setta. Una situazione pericolosa per gli uomini in un modo, tolti di mezzo per una mezza parola di troppo, e per le donne in un'altro, costrette a sposare i ed è proprio l'essere padre di una giovane così bella e desiderata che mette paura a Ferrier, e questi timori si tramutano in realtà quando Young in persona si presenta alla fattoria mettendo Ferrier davanti alla realtà nuda e cruda: lui è malvisto dalla comunità per non aver aderito al dettame principale della setta, ossia la poligamia, e sua figlia è nel mirino degli anziani perchè è promessa ad un ragazzo che non fa parte della comunità mormone, un peccato mortale, per gli ortodossi. Non stupisce che Ferrier, che sappiamo come ormai da anni non sia più così convinto, per non dire felice, della vita che ha dovuto costruire in seno alla Chiesa, decida di araffare quel che può e di mettere il maggior numero di chilometri possibili tra Salt Lake City e la sua famiglia.

 

CAPITOLO 11

Ferrier riesce a mandare una lettera ad Hope, e mentre confida nel rapido ritorno del ragazzo, la sua situazione si fa rapidamente precaria, visto che riceve la visita dei rampolli di due dei principali leader della comunità, Strangerson e Drebber stessi. I due si sistemano in casa Ferrier in tutta tranquillità, convinti, dato il prestigio di cui godono nella comunità, che Ferrier non veda l'ora di cedere Lucy ad uno dei due, ma il padrone di casa fa capire di essere di tutt'altro avviso, e così facendo entra in aperta ribellione contro la setta, che dimostra tutto il suo potere intimidatorio scandendo i giorni che mancano allo scadere del tempo concesso da Young dimostrandogli, al tempo stesso, che la stessa facilità con la quale recapitano i loro messaggi potrebbe permetter loro si spingersi fino ad atti più concreti. Così vediamo Ferrier, uomo tutt'altro che debole o remissivo, prendere atto giorno dopo giorno della propria totale impotenza, lui, uomo solo contro un'intera comunità che non esiterà a levarlo di mezzo pur di godersi Lucy, ridotta ad un mero premio per la famiglia più in vista. Proprio quando Ferrier presagisce l'imminente sconfitta, coi mormoni che già si preparano all'assalto finale, Hope fa il suo ritorno, anche se malconcio, ed è grazie alla sua abilità di cacciatore, oltre che ad una perseveranza certamente non comune, che John e Lucy riescono ad allontanarsi dalla città, anche se il pericolo è tutt'altro che scampato; il pugno della Chiesa può arrivare a colpire con spietata durezza ovunque si trovino i suoi nemici, una consapevolezza che Ferrier ha ben chiara in mente.

 

CAPITOLO 12

I nostri fuggitivi sono sempre più lontani da Salt Lake City, ma il pericolo di essere trovati è un loro costante compagno di viaggio. Grazie ad Hope, che non è nuovo alla dura vita selvaggia e all'addiaccio, la comitiva riesce a tenere la direzione e a procurarsi il cibo per sostentarsi. L'autore però non ci lascia molte speranze, e ci comunica che la sorte dei tre è segnata. Infatti Hope decide di allontanarsi per cacciare, ma complice la lunga ricerca di selvaggina, l'essersi avventurato fuori dalla zona che conosceva e il calare ormai prossimo delle tenebre, il ragazzo finisce con lo trascorrere troppo tempo lontano da Lucy e da Ferrier, dando così, inconsapevolmente, mano libera agli inseguitori. Al suo ritorno, quindi, gli si presenta una scena alla quale eravamo già preparati: il povero Ferrier ucciso e sepolto, con un messaggio rivolto, forse, più a Hope che non dettato dalla carità cristiana, e Lucy scomparsa. Hope però non si lascia sopraffare dalla disperazione, e si lancia al lungo e duro inseguimento dei mormoni. Al suo arrivo, veniamo a sapere della morte della povera Lucy; Conan Doyle ci fa sapere che la sua dipartita è stata pianta più dalle solidali mogli di Drebber (il "fortunato" vincitore della spregevole disputa) che non dal marito stesso, che ha trovato nelle fortune di Ferrier, ereditate da Lucy, una cospicua consolazione.

A questo punto, l'autore ci ha dato sufficienti informazioni per permetterci di riagganciarci alla narrazione interrotta in quel di Londra. Hope, strappata la fede nuziale da Lucy, fa della vendetta la sua sola ragione di vita; e benchè armato di pochi mezzi, inizia ad escogitare una serie di attentati ai danni di Drebber e Strangerson, spingendoli a prendere una serie di misure di sicurezza e a stanare il loro inseguitore come un leone nascosto sulle montagne.

Da qui in avanti, ogni pensiero di Hope è mirato alla punizione degli aguzzini dell'amata Lucy e di suo padre, tanto che anche le preoccupazioni più pratiche, come trovare un'occupazione e rimettersi in salute sono finalizzare alla prosecuzione della sua missione. Una missione che si protrae negli anni, e che dall'America si trasferisce in Europa, dalla Russia alla Francia, fino all'Inghilterra, dove il vendicativo segugio incrocia la strada di Sherlock Holmes.


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Menevyn
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Inviato il 28 ottobre 2017 20:51
4 hours fa, Lyra Stark dice:

Anche se in realtà si tratta di una vendetta un po’ miope perché Hope se la prende unicamente con i due tizi che dovevano sposare Lucy (e di cui uno effettivamente l’ha sposata) e che paradossalmente agiscono per ordine del consiglio, quindi se proprio vendetta doveva essere mi sarei aspettata che colpisse almeno i principali membri dell'organizzazione/setta religiosa.

 

Vero solo in parte, nel senso che sì, Drebber e Strangerson sono figli di due importanti leader mormoni, ma non agiscono certo per costrizione. Sono due mormoni pienamente convinti della purezza dei dettami della loro setta e pienamente inseriti nella comunità di Salt Lake City, e la durezza con la quale agiscono contro Ferrier e poi Hope è tutta farina del loro sacco.


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Lyra Stark
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Inviato il 29 ottobre 2017 11:56 Autore

Io l'avevo interpretata in modo diverso. È vero che i due non si tirano indietro e che, alla fuga di Lucy, sembrano essere i due alla guida della spedizione di recupero/ punitiva tuttavia dalla situazione descritta appare chiaro che sono pienamente inseriti e figli di un sistema più articolato al cui vertice sta il reverendo Young, che infatti è colui che detta a Ferrier i termini del ricatto.

A ben vedere avrei pensato anche a lui come destinatario di una vendetta, ma non solo: parte della città bene o male si rende partecipe dei misfatti perpetrati dalla setta. La maggior parte suo malgrado perché per paura rimane a guardare in silenzio, e quindi è colpevole solo in senso lato, ma un buon numero di uomini partecipa attivamente, anche alle azioni intimidatorie contro Ferrier. 


E' sempre un dispiacere che quando tutti i lupi dovrebbero sollevarsi, un posto possa rimanere vuoto.

 

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