C'è sempre una grande retorica, uno sfoggio di sentimentalismo che sfiora il patetico quando muore qualche volto noto, accompagnato dalla frase "ora insegna agli angeli". Con buona pace per alcuni, alcuni personaggi che se ne vanno possono dare un dispiacere, ma onestamente nel loro mondo è uno dei tanti: bravi, ma non grandi.
Oggi non se ne è andato un grande, se ne è andato il più grande.
E credetemi, lo sto minimizzando.
Lui è stato nel pugilato quello che Picasso è stato nella musica, Newton nella scienza e Mozart nella musica.
La boxe, ormai povera e moribonda, deve a lui più che a chiunque altro il nome di "nobile arte".
Lui che volava come una farfalla e pungeva come un'ape, lui che danzava, veloce come il lampo e colpiva secco come un tuono.
Era grande sul ring ed era grande fuori dal ring. Si è battuto per la sua gente con la stessa forza con cui combatteva sul quadrato.
Cambiò il suo nome e la sua religione, perché non erano suoi, erano di chi un secolo prima, quando c'era ancora la schiavitù, possedeva i suoi avi come si possiede un mobile.Si batté fianco a fianco con Malcom X e Martin Luther King per abbattere la segregazione razziale. Buffo, i suoi due amici morirono, vennero uccisi, lui no, forse per paura di poter finire a portata dei suoi pugni. Allora non lo uccisero, fecero di peggio.
Gli dissero di andare in Vietnam, combattere i vietcong per lo Zio Sam, ma lui disse no: i vietcong non lo avevano mai chiamato negro, a differenza dello Zio Sam. Allora la rappresaglia, infantile, bastarda. Privato della cintura, privato della licenza per combattere. Lo volevano distruggere in una maniera astuta e vigliacca.
Impedite a Picasso di dipingere allora, impedite ai beatles di suonare, bandite Mozart già che ci siete. Va che certa gente è proprio stronza!
Ma lui non si arrende, lui non si è mai arreso e non comincerà ora. Torna sul ring, e ritorna il più grande. Arrivano due sconfitte, le vendica entrambe, i grandi match con Frazier, la cintura di campione dei pesi massimi alla vita. Ma il tempo è inesorabile e lui non fa eccezione: invecchia come tutti i mortali. Nel frattempo Frazier, l'unico uomo al suo livello, viene fatto a polpette da un gigante di nome Foreman.
Tutto quello che lui era, veloce, elegante, Foreman non solo non lo è, ma è agli antipodi: grosso, lento, ma picchia come un martello sull'incudine.
E non solo: Foreman è antipatico. È nero, ma lo hanno addestrato bene, lo accusano di essere una marionetta nelle mani dei bianchi, che con lui sono riusciti ad inquadrarlo dove con lui avevano fallito. Il match tra i due è si deve fare, ma la borsa in palio è pesante e si devono trovare i soldi. A sorpresa il dittatore dello Zaire si propone di ospitare il match e mette i soldi per sponsor e borsa. Il giovane, potente implacabile Foreman contro un avversario che... Beh, è vecchio e ha perso quella velocità che lo ha reso invincibile. I pronostici lo danno perdente, addirittura qualcuno ha l'arroganza di chiedere a Foreman, se può, di non ucciderlo.
È la storia di Achille e la Tartaruga e Foreman è decisamente Achille. Allora che fare? Essere una tartaruga, magari lenta, ma protetta da un guscio indistruttibile, il rope-a-dope. Allora lascia che Foreman lo colpisca, i pugni arrivano da tutte le parti, ma accucciato sulle corde, la potenza del colpo si disperde, e ogni volta che può incita il pubblico dello Zaire, cantano Boma Ye, uccidilo. I pugni di Foreman sono potenti, ma il guscio della tartaruga resiste e fiacca la sua resistenza. Mentre lui... Beh, lui colpisce, colpi non forti, ma precisi. Al sesto round si prende anche il lusso di beffeggiare Foreman. Sarà più lento di gamba, ma di lingua no, quello mai. Pericolosa come un gancio. E all'ottava ripresa la tartaruga mette ko Achille. Rimane il più grande, lo è sempre stato e sempre lo sarà. Riuscirà addirittura a cambiare il suo avversario, a renderlo più simpatico, diventeranno amici. Anche qui sta la grandezza.
È stato il più grande pugile di sempre, in grado di regalare grandi match, di adattarsi agli avversari e al tempo che passa.
Quella notte a Kinshasa Muhammed Ali è stato più di un pugile, è stato il primo, unico e ultimo re del Panafricanismo.
Nessuno è stato come lui, sul ring coi guantoni e fuori dal quadrato.
Il re è morto
Lunga vita al re
Leggo solo ora questo pezzo. Hai reso magnificamente l'idea di un mito.