Abbiamo già parlato dell’italiano aleatorio, della vacuità dei dialoghi, delle castronerie storiche (le più notevoli) e della bruttezza particolare delle scene d’azione. Abbiamo spolpato Magdeburg-L’Eretico e ora ci resta il nicleo: carcassa e viscere. Ma non temete, la carne attaccata all’osso è la migliore!
Parleremo infatti di trama e personaggi. Il caveat di questa puntata è:
La trama
E’ difficile riassumere questo libro. Un quarto delle pagine sono paragrafetti di Storia zeppi di nomi e date non indispensabili alla vicenda, infilati a random nei momenti meno adatti. Diversi capitoli si riassumono in: “il personaggio X viaggia per una TerraDesolataTM e pensa alla Storia della Guerra dei Trent’anni”!
Un esempio emblematico è la prima apparizione di madre Erika, che ci viene presentata fuori del monastero, mentre contempla una croce caduta. Alla domanda di una consorella se sia il caso di rialzarla, lei risponde che non hanno tempo. Peccato che poi continui ad ammirare il paesaggio e intrattenerci con elucubrazioni storiche di massacrante inutilità per concludere, a fine capitolo, “ok, ora possiamo raccattare la croce”. Cos’è, prima stava deframmentando?
Altro esempio di inutilità: il libro si apre con l’apparizione del protagonista, Wulfgar, il tizio in corpetto sadomaso e tatuaggi, in una notte buia e tempestosa. Originale. Peccato che il tipo non abbia niente da fare a parte timbrare il cartellino, e dopo qualche posa macha la scena è abbandonata. Il contributo di tutta la faccenda? Zero. Way to go!
Ma torniamo alla trama! Dopo l’inutile siparietto di cui sopra, ci spostiamo subito a Kolstadt: un monastero con biblioteca (con “migliaia” di documenti, il che ne farebbe un centro culturale di prima importanza in quello spicchio d’Europa, tenetelo a mente).
<<Se la terra aveva radici, una di esse era Kolstadt>>
Ci mancherebbe. Peraltro, per una buffa coincidenza, se questo romanzo ha dei buchi di trama, uno di questi è proprio Kolstadt, il monastero-fortezza imponente e imprendibile:
<<Per un qualsiasi esercito assediante, prendere quella struttura sarebbe stato un incubo di massacro>>
Peccato che meno di una pagina dopo, durante uno dei deliziosi flashback gonzo-storici, vien fuori che un inquisitore “dal nome dimenticato” un bel giorno decise di andar lì (dove stavan dei francescani, noti sostenitori del protestantesimo) e ammazzare tutti quanti.
Ora, io non voglio essere fiscale, ma…
• La ragione per cui l’inquisitore stermina i francescani è che questi ospitavano degli eretici (?), anche se poi non si trattava che di una scusa (?). Si intuisce che il fine principale era “bonificare” la biblioteca… e non poteva farlo coi francescani vivi?
• Avete letto che il monastero è inattaccabile, venti righe fa? Costui lo prende senza colpo ferire. Kolstadt sta alle fortificazioni come l’Armata Invincibile alle navi.
• Nessuno ricorda il nome di colui che ha massacrato tutti i frati di un monastero con una biblioteca così prestigiosa.
Ma come no, credibile! E’ come dire che nessuno si ricorda chi disse “nuts” all’assedio di Bastogne!
Madre Erika è la tizia che ci riassume questo molto verosimile antefatto, mentre fissa il vuoto con “occhi intelligenti”.
E qui abbiamo uno dei grossi problemi: i personaggi. Sorvoliamo sulla collezione di clichés (il guerriero taciturno e tormentato, il soldatino giovane e di buona volontà, la ragazza inutile tacciata di stregoneria, Il cattivo belloccio e glaciale…), il loro guaio è che sono tipi che vanno in giro per uno scenario già visto a fare cose di dubbia coerenza con una motivazione pari a zero. Che vogliono fare?
E non ditemi “Oh, Tengi, ma è solo il primo libro, lo scopriremo poi”, UN CAVOLACCIO! Le motivazioni sono ciò che fa muovere una storia! Una storia è A vuole B e per ottenerlo deve fare C. Non dico che le motivazioni debbano essere chiare dalla prima pagina, ma dal secondo capitolo dovrebbero almeno intuirsi! Magari cambieranno. Magari erano errate. Ma ci sono!
Nel libro di Altieri la metà del tempo i personaggi agiscono per una specie di slancio istintivo, ispirazione divina (l’autore gli avrà berciato “muoviti fesso!” da dietro la telecamera). Non si ha mai l’impressione che debbano agire in quel modo. Caleb segue Wulfgar ma avrebbe potuto andarsene per cavoli suoi. Erika riapre la biblioteca maledetta perché una mattina appena alzata le gira così. Dekken manda Caleb dietro l’Eretico perché in quel momento gli gira di fare un dispettuccio al suo compagno di merende.
Inoltre, il libro risente dello stesso morbo di Hollywood: l’apparenza è tutto. I cattivi sono rozzi, coi denti marci, vanno a prostitute e non si lavano (tranne Dekken, ma solo perché lui segue il cliché del cattivo raffinato). I buoni sono bellocci e hanno “gli occhi intelligenti”. Tanto valeva vestire gli uni di bianco e gli altri di nero.
E ovviamente i Buoni hanno ragione. Sempre ragione (lo ripeto perché Altieri ama la ridondanza).
Ora, la cosa che mi da’ molto fastidio è che Altieri maneggia uno dei periodi più tragici della Storia europea senza il benché minimo riguardo. La Guerra dei Trent’anni è un coacervo di realtà tragiche. Prendete i mercenari. Sì, molti erano brutti e cattivi. Sì, molti erano stupratori e macellai. E molti di loro erano nati in posti di fame, con solo il mestiere delle armi come alternativa alla fossa. Alcuni sono nati durante la guerra, avranno avuto dei fratelli morti in guerra, hanno fatto la guerra per sopravvivere e sono morti in guerra. Nati, morti e vissuti nella brutalità e nel saccheggio. Altri sono stati arruolati a calci nel didietro e spediti a morire di dissenteria in mezzo a gente che nemmeno parlava la loro lingua, mentre a casa i vecchi crepavano di stenti perché mancavano braccia sul podere.
Non sarebbe interessante rendere giustizia al tragico e all’orrifico? All’eroismo e al crimine? Non sarebbe interessante maneggiare gente vera con un minimo di rispetto?
No. I mercenari di Magdeburg sono tutti sporchi e cattivi senza redenzione, con la sola eccezione di Caleb, che non ha mai fatto niente di davvero sbagliato perché è Buono, e se sei un Buono in Magdeburg hai sempre l’opzione Scelta Giusta. Comodo. Molto comodo.
Ma torniamo a noi. Dopo Erika incontriamo Geldern e il Boss del libro, Reinhardt von Dekken che, quando non perde tempo a parlare a vanvera, cavalcare all’ombra di torri o urinare su vecchie tombe (non sarò io a criticare i passatempi peculiari… c’è mica un cecoslovacco sbronzo in sala?), impiega le sue forze nell’intrigo. Lo si distingue dagli altri mini-boss perché ha tutte le caratteristiche dei Buoni, tranne la bontà: è bello, ha i denti sani, parla in modo ampolloso e dice cose superflue.
Dekken da ragazzo odiava suo padre e suo fratello, ed era apertamente contrario alle nozze di quest’ultimo con una luterana. Caso vuole che tutti i tizi di cui sopra siano assassinati (dai famosi cavalieri armati di picca e moschetto). Dekken rimane così unico erede, e la cosa non insospettisce NESSUNO.
Ora, vent’anni dopo, lui si sveglia, chiama un tizio e gli fa “sai coso, a volte ti guardi allo specchio e ti chiedi… ma come sono stati sterminati i miei?”
E ora vi do’ uno spoiler incredibile! Siete pronti? Oh mio Dio non ci crederete. Attenti eh. Concentratevi. Pronti?
Dekken e un altro nobile, Auerbach, hanno complottato la strage, vent’anni prima!
Dekken vuole sapere se è rimasta una qualche traccia della sua colpevolezza.
Geldern che, in buona fede, ha svolto le sue ricerche, scopre che c’era un libro con prove compromettenti nel monastero di Bad-Hoch, ma, guarda te i casi della vita, il posto è stato attaccato da qualcuno, i monaci sterminati e tutto l’archivio bruciato (tenete a mente questo particolare).
Dekken viene a sapere che esiste un altro documento capace di incolparlo, scritto dal suo ex-confessore e ora galoppino, il gesuita Georg Nauhaus. Bene. Ora deve solo scoprire dove si trova tale documento.
Potrebbe semplicemente chiederlo a Geldern, che è in buona fede e non ha capito che il mastermind è Dekken (Geldern è un po’ cretino, come il 99% dei comprimari). But this is Magdeburg!
Dekken strizza il nome da Geldern prima di uccidere lui e famiglia (per far capire che è cattivo, nel caso fosse sfuggito a qualcuno). Il documento si trova a Kolstadt. Guarda te le coincidenze.
Ma torniamo a Wolfengrad, la città in cui il nostro protagonista ha fatto quell’indispensabile ingresso, e dove il domenicano Bolanos sta per bruciare la strega Mikla.
Mikla è un personaggio talmente inutile e lento di comprendonio che d’ora in poi la chiamerò Dale (ho già detto che mi piace il trash?).
Dale è molto bella, quindi è buona. E’ stata pestata e stuprata, ma non importa, perché Dale guarisce alla velocità della luce, cosa che, in questo libro, fanno tutti coloro che non muoiono sul colpo.
Purtroppo, proprio quando stanno per dare il via al barbeque e salvare il lettore dalla Damsel in DistressTM, Wulfgar interviene, e abbiamo quella splendida scena d’azione di cui ho parlato nella prima parte.
Wolf e Dale fuggono dalla porta sud (suppongo che, sempre grazie alle coincidenze fortuite, tutte le guardie fossero al bagno) e si confondono coi non-monatti che vanno a bruciare i non-ebrei nei non-forni gonzo-storici.
Dale ha paura del contagio (uno sprazzo di realismo, fategli ciao, non tornerà più) ma Wolf la rassicura: sono sopravento.
La ragazza è sbalordita:
<<Come riesci a capire tutto questo?>>
Domandona! Capire da che parte tira il vento?! Merito dei sensi allenati dei ninja, bellezza. Watah!
Ma forse sono severa, Dale è di certo troppo rimbecillita dal trauma e dalla febbre… Possibile, ma no, visto che è abbastanza presente da rendersi conto che il tizio guida il cavallo in modo da confondere le tracce nel tramonto…
Wait… In città, qualche ora prima, era così buio che Wolf si “fondeva con le tenebre”, e ora è il tramonto? Come diavolo girava il pianeta, nel novembre del 1630?
Lasciamoli lì e torniamo a Wolfengrad, dove incontriamo il tenente Caleb Stark, un altro Buono, che investiga la piazza del rogo, dove i suoi uomini si sono fatti macellare. Bell’esempio di diligenza, tenente! Ma Caleb non era presente al momento del fattaccio perché voleva impedire ad altri soldati di aggredire dei monatti.
MASSI’, MOLTO CREDIBILE! Tanto nessuno ha mai avuto paura di mettere le mani addosso a un monatto o avvicinarsi al carro degli appestati.
MAI!
Ad ogni modo, Caleb entra in una chiesa dove il prete Bolanos si fa curare l’occhio bruciato.
<<L’occhio non c’era più. Scoppiato, prosciugato dal fuoco. Orli ossei della cavità orbitale affioravano dalle grinze della pelle scavata dall’ustione>>
Era una torcia o era napalm?
Peraltro, un’ustione del genere, senza un trattamento antibiotico, si infetterebbe nel giro di poco, e poche ore dopo l’incidente Bolanos dovrebbe essere in preda ai deliri della febbre, ovvio preludio alla sua dipartita, probabilmente nella settimana seguente.
E invece no!
Non solo Bolanos è perfettamente cosciente, ma il giorno dopo monta a cavallo per guidare l’inseguimento dell’eretico e due giorni dopo sente a stento dolore!
Bolanos non è l’unico a guarire in uno schioccare di dita: Dale, moribonda di febbri, ha superato delirio e trauma il giorno dopo!
Ok, Dale viene curata da Wolf con l’agopuntura (e preferisco non pronunciarmi quanto quest’idea sia ridicola e insultante per l’intelligenza del lettore, dico solo: cool, multitask!).
Ma non divaghiamo. Tornando a Caleb, il nostro trova il modo di bisticciarsi col suo diretto superiore e gli punta la spada alla gola, ritrovandosi la pistola dell’avvesario alla testa.
Tralasciando il dettaglio che sono entrati armati in una chiesa (e no, NON era una cosa abituale, ma nessuno pare notare questo comportamento anomalo), l’ufficiale cattivo per poco non se la fa addosso per l’angoscia. Eh sì, perché un consumato mercenario reduce da mille battaglie di sicuro si caga sotto per un novellino (novellino che ha la testa contro la canna della sua pistola).
L’unica ragione per cui il romanzo di Altieri non finisce a pagina due, è la stessa che fa durare il film Soft Air un’ora e mezza o giù di lì: i cattivi sono così dannatamente lenti, che i buoni riescono sempre a cavarsela.
Ad ogni modo, Dekken s’interpone e scavalca Auerbach (datore di lavoro dei mercenari), ordinando a Caleb di riacchiappare l’Eretico.
Perché s’intromette?
Per far dispetto all’amichetto Auerbach. E perché Caleb deve entrare a far parte del party protagonista, come NESSUNO si aspetterà (spoiler!).
Gli vengono assegnati undici soldati “i primi a chiavarsi la strega”. Ve li elenco, perché dopo sarà utile: Mernau, Makoved, Opatow (l’uomo obiquo), Landolfi, Ingbert, Pecoraro, Zagorje, Bovec, Harkeny, Krka, Giessen.
Giessen è un albino con gli occhi rossi. E’ ufficiale, la falange di Arnehm recluta i suoi alle paraolimpiadi. E’ la sola ipotesi che spiega la presenza di un albino (condizione che rende l’uomo gravemente miope).
Ma che bisogno c’era? Sarebbe cambiato qualcosa se Giessen (che muore dopo un paio di scene) fosse stato una persona normale? Sarebbe stato sensato. E questo non è un libro sensato, questa non è una storia..
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Parentesi storica di contorno: i soldati della Guerra dei Trent’anni. (potete saltare oltre se non v’interessa)
Tanto perché questo articolo non sia tutto centrato su Altieri, ho deciso di inserire un piccolo intermezzo storico. Non intendo trattare in dettaglio gli eserciti di questo periodo (almeno per ora), ma solo darvi un esempio breve, per avere un piccolo assaggio. Ecco quindi a voi la fanteria svedese di Gustavo Adolfo.
La fanteria di Gustavo Adolfo era composta in parte da mercenari, in parte da coscritti. Riguardo a questi ultimi, a partire dal 1620 tutti gli uomini validi sopra i 15 anni e sotto i 40 potevano essere chiamati alle armi. Quando veniva ordinata una leva, tutti i coscrivibili di un distretto venivano radunati e messi in file di dieci. Di questi, se ne prendeva uno da mandare all’addestramento, e gli altri 9 pagavano per il suo equipaggiamento.
Tra il 1626 e il 1630 furono arruolati mediamente 10.000 uomini l’anno (il 2% della popolazione maschile). Per certe zone fu un disastro. Prendete il caso di Bygdea, dove solo 15 dei 230 coscritti tornarono vivi. La mortalità era altissima (essere arruolato equivaleva quasi a una condanna a morte), e la causa di morte principale era la malattia.
Per non strizzare troppo una popolazione già malridotta, Gustavo aumentò l’impiego di mercenari, volontari attratti dai soldi e dalla possibilità di una rapida carriera (si veda la folgorante ascesa di Christof von Huowald). In pratica, un colonnello (AKA, ricco avventuriero) riceveva una patente per arruolare un reggimento, che poi gli apparteneva.
Come in altri eserciti protestanti, i reggimenti mercenari al soldo degli svedesi portavano nomi di colori (Blu, Grigio, Rosso e Verde). In principio ogni reggimento contava 8 compagnie, che Gustavo aumentò a 12 nel 1629-1630, in vista delle operazioni in Germania.
Ma veniamo alle armi della fanteria.
Il “vero” moschetto svedese era grosso e pesante (7,5 Kg), con proiettili di 19,7 mm. Il peso e il rinculo erano tali che non poteva essere messo in mano al primo pirla che pasava. Per i primi pirla c’erano i “mezzi” moschetti, fatti su modello olandese, con palle di 18,6 mm e un peso tra i 6 e i 6,5 Kg.
Si dice che Gustavo abbia soppresso l’uso del puntello per appoggiare la canna, ma è in parte scorretto. In un ordine del 1631 a Luis de Geer i puntelli sono richiesti, e si capisce che nel 1632, se alcuni moschettieri ne facevano a meno, altri li usavano ancora.
I moschettieri non erano gli unici soldati. Se gli svedesi ne avevano buscate dai polacchi, era stato perché i loro picchieri facevano schifo. Gustavo prese cura di riformarli. Da un lato, adottarono le swinefeathers, picche tra i 5 e i 6 piedi, spesse 4 dita, con una punta da un lato e un puntale di metallo all’altra estremità. Piantate nel terreno e orientate all’altezza del petto del cavallo, facevano dei buoni cavalli di frisia, ma pare siano in parte passate di moda (salvo uso saltuario) dopo il 1626.
Inoltre, i soldati furono meglio armati. La lama della picca del 1630 poteva essere a sezione piatta o quadrangolare, e il metallo serrava i lati dell’asta fino a 50 cm o 1m. L’asta stessa era del diametro di 3,5 cm al centro (si affinava alle estremità), e poteva essere lunga tra i 5,2 e i 5,4 m (ora capite perché è cretino metterle in mano a dei cavaieri).
Il picchiere era più protetto del moschettiere, dacché oltre all’elmo aveva una corazza e piastre per le cosce (dopo la morte di Gustavo le cose andarono un po’ a puttane e nel 1640 i picchieri erano di nuovo mal protetti).
Infine, i fanti avevano, in teoria, una spada. Ora, è complicato decidere che tipo di spada e di che qualità, perché è praticamente impossibile (as far as I know) identificare con certezza quelle dei fanti nelle armerie. Si tratta di un’arma costosa e pare che in realtà molti ne facessero a meno. Ad esempio, nel 1626, in Prussia, molti fanti svedesi avrebbero optato per le più economiche (ma molto pratiche) asce e accette.
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Torniamo a noi e spostiamoci su un altro dei plots: le disavventure tragicomiche di Deveraux, “osservatore” di Richelieu, che va in giro di testa sua, intrattenendoci con interessantissime parentesi alla Piero Angela e riflessioni così profonde che per leggerle ho dovuto zavorrarmi.
Quando non dice cose inutili, è alla ricerca di Wolf e si mette in mostra in modi stupidi e controproducenti, solo per il gusto di finire nei guai e tirarsene fuori grazie alla sua superiorità fisica e sociale. Perché se questo coacervo di nonsense ha un messaggio, è che bullo è bello.
Deveraux arriva a Magdeburg, dove lo attende la guardia in assetto di guerra. Non necessario, pensa Deveraux, dato che ci sono due fortezze nei dintorni a proteggela (Deveraux è francese, quindi suppongo sia verosimile che non capisca un ca**o di tattica).
Ovviamente anche questi soldati sono stupidi, cattivi e coi denti sporchi. E lo fanno aspettare mentre mandano a cercare qualcuno che possa leggere i suoi documenti. Scandalo!
Siccome piove, Deveraux decide di togliersi il cappello.
Perché? ‘Cause the plot must go on, bitches! Si toglie il cappello perché così facendo muove il mantello e il sergente vede la katana!
Sì, ha una katana anche lui. E la usa senza nessun disagio, pur non avendo il mignolo sinistro (amputato alla radice).
E’ un’annosa questione: quale dito posso tagliare al personaggio senza invalidare le sue mirabolanti doti belliche?
Il mignolo della mano sinistra! Ma sì! Dopotutto è solo il dito che effettivamente serra e regge il peso della katana in qualsiasi dannata scuola di scherma giapponese mai esistita.
Ora, non dico che se non hai quel dito non puoi usare una katana, ma probabilmente ti buscherai una fastidiosa tendinite. Deveraux non prova alcun disagio. Fail.
Ad ogni modo, il sergente alla porta la vede e decide di prendergliela (perché è normale per un piantone derubare uno straniero ben vestito che viaggia con documenti ufficiali, NORMALISSIMO!). Deveraux gli taglia la picca in due.
<<Tranciata di netto a metà, come mutilata da un elfo beffardo>>
Sparatemi.
Un uomo si frappone: Leopold Klein, l’ebreo costruttore di lenti e fabbricante di armi.
<<Il giudeo, quello che capiva le righe scritte. Solo che non aveva affatto l’aspetto di un giudeo. Niente naso a becco, niente capelli neri arricciati, niente labbra carnose. I tratti del volto rasato di Leopold Klein erano precisi, quasi raffinati. Intelligenti occhi azzurri brillavano sotto una fronte alta, definita da lisci capelli castani>>
Non si capisce bene se a parlare è Deveraux o il Narratore. In ogni caso dimentica che noi ebrei abbiamo anche le unghie adunche e l’attaccatura dell’anca sbilenca. Ah, e ci divertiamo a sparare sui chierichetti palestinesi!
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Comunque Leopold è buono. Anche perché fare un giudeo cattivo sarebbe stato politically uncorrect. I cattivi possono essere al massimo israeliani.
Klein guida Deveraux attraverso Magdeburg e i due scambiano i soliti discorsi inutili. Scopriamo, combinazione delle combinazioni (questo libro va avanti a botte di coincidenze nei denti), che Klein conosce Wulf. In tutta Magdeburg, un tizio a caso scelto solo perché sa leggere è anche il solo ad avere informazioni sul ninja peggiore di sempre. What are the odds!
Nonostante Klein intuisca per primo che Deveraux è sulle tracce del tizio e NON abbia intenzione di aiutarlo, confessa spontaneamente di conoscerlo. E meno male che aveva gli occhi intelligenti.
Ma lasciamo Deveraux coi suoi dilemmi e andiamo a far conoscenza con… indovinate? Esatto, un altro Buono Assolutamente Indispensabile per la Trama. Si tratta di Alessandro Colonna. Si capisce che è buono perché picchia gente più debole di lui e si mostra sprezzante e prepotente verso i subalterni.
Ci tengo a fare una parentesi: io non sono buonista né benpensante. Non ci vedo niente di male nel picchiare qualcuno che se lo merita. E’ soltanto che la formula “Buono sfrutta la superiorità fisica e sociale per bistrattare una qualche comparsa subalterna simbolo del Male e della Stupidità” è più frequente in questo “libro” che gli scioperi della SNCF a Parigi.
Tra l’altro è una formula maldestra, perché il più delle volte il subordinato non fa altro che il suo dovere (si veda più avanti un povero sergente delle guardie svizzere).
Ma torniamo a Colonna. Il suo apporto in questo volume è fondamentale. Infatti si riassume in:
va a letto con una Farnese e va a Roma per parlare col Papa. No, il dialogo col Papa non è compreso in questo volume. Ma abbiamo un sacco di pagine con lui che fa il bulletto di periferia! Mince, ça valait la peine!
Seguiamo Alessandro fino a Roma, dove incontra una comitiva di flagellanti. Nella processione si nasconde un Pasquino, un altro tizio con gli occhi intelligenti (ergo candidato al Darwin Award), che decide di andare a insultare il Papa sotto il naso delle guardie svizzere. Ovviamente un sergente lo sente e lo acciuffa subito, lo malmena un po’ e gli trova nelle tasche una manciata di pasquinate. Ho detto che aveva gli occhi intelligenti?
Io sono dell’opinione che gli idioti meritino di morire, ma Alessandro interviene e, mostrando il più sfacciato disprezzo per un soldato che fa il suo onesto dovere approfitta della sua posizione per bulleggiarlo.
Perché? Per ripicca, pare. Altieri, so che stai cercando di farmelo stare simpatico come irriverente anticonformista, ma non attacca: io odio i prepotenti che fanno leva sul loro grado o sulla loro forza fisica per opprimere i più deboli, e di questi cani il romanzo rigurgita.
Alessandro arriva in piazza San Pietro, dove i soldati stanno prendendo a cannonate degli uccelli (!).
<<Tre, quattro bordate di grosso calibro>>
Io non voglio sapere chi è che ha equipaggiato gli uccellatori.
Tornando a Caleb…
Caleb va alla porta sud della città e chiede alle guardie se…
Ah no, scusate, siamo in un romanzo di Altieri. Dicevo, va alla porta sud e…
<<Tracce profonde, lasciate da un cavallo montato da un uomo in armatura pesante. Oppure da due creature dell’inferno.
L’eretico era andato a sud>>
Sono le loro tracce di sicuro, nessun errore possibile, soprattutto contando che una numerosa milizia mercenaria con cavalleria pesante sta facendo i cavoli propri nella zona.
Vabé, Caleb è sicuro. Mi ricorda quella scena delirante del Signore degli Anelli (il film) in cui Aragorn cerca (e trova!) tracce di due hobbit su un campo di battaglia dove c’è appena stata una carica di cavalleria catafratta.
Caleb è così un gegno della lettura delle tracce che si rende conto che l’eretico fa solo finta di confonderle!
Questo è per parare il fatto che Wulf in continuazione cerca di depistare gli inseguitori senza MAI riuscirci. Ovviamente ciò non vuol dire che Wolf sia un idiota, ma che sta fingendo! Logico!
No, sul serio: più avanti nella storia i fuggitivi faranno percorsi assurdi perdendo un sacco di tempo (circa, vedremo che o il tutto si svolge in un territorio grande come il comune di Forte dei Marmi o le giornate in Turingia durano 76 ore) senza mai riuscire a seminare i loro inseguitori. Anzi, i cattivi capiscono, nonostante tutti i giri di Wolf, da quale guado vuole passare, e lo precedono. Ma ovviamente anche questo era previsto. Perché Wolf non ci è, ci fa.
Palle: il protagonista è un bischero, o, per dirla con le parole di Mernau
<<È un co***one scemo che si crede un co***one furbo>>
La caccia continua.
<<I Reiter mugugnarono. Dovevano pisciare, volevano mangiare>>
Uomini duri, non c’è che dire. Sono così presi dai loro piccoli guai che non si rendono nemmeno conto di un miracolo epocale: stando ad Altieri, fanno una sosta in un rudere dai muri coperti di “edera velenosa“.
O è l’ennesima idiozia, o quello è il primo esemplare di edera velenosa in Europa! Perché continuare co’ ‘sta fregnaccia dell’eretico? Io voglio sapere la storia di questa pianta. Chi l’ha portata, chi la piantata, perché…
Sarebbe molto più interessante di ciò che segue…
Caleb e compagni arrivano a Bad-Hoch, e il tenente scopre che i suoi sono già stati sul posto, tre anni prima: a sterminare i frati per conto di Dekken e Auerbach. Visto che Caleb è nella falange da quattro anni, com’è che non ne sa niente?
Forse perché è stupido. O forse quando hanno saccheggiato il monastero lui era in settimana bianca.
E fate la ola per la centomillesima coincidenza fortunata del libro: che caso che i primi undici a farsi la ragazza siano anche stati tutti coinvolti in quella brutta faccenda di Bad-Hoch, vero?
I nostri avanzano verso le rovine, vedono l’eretico, e uno di loro, Ingbert, decide di spacciarlo con un tiro di moschetto.
<<Sono almeno settanta yarde, forse ottanta.[...] Con nebbia, con vento forte>>
Condivido le perplessità di Caleb, ma la questione non si pone, perché Wolf spaccia il tizio e un altro mercenario con due frecce-patriot.
Vorrei aprire una piccola parentesi. Secondo il numero Osprey Mongol Warriors, un arco mongolo fa 120lb o più, leggermente più potente (se non erro) del nostro celebre longbow. Questa meraviglia composita buca a 137 metri circa di distanza, ma è mortale a 27 metri.
Ne consegue che l’arco di Wolf ha il doppio del libraggio di un arco mongolo. Stando alle parole di Klein, anche di più: il triplo di un long bow!
So che l’ho già chiesto, ma What The Fuck?! Un oggetto simile non sarebbe utilizzabile!
Tra l’altro la prima freccia colpisce il tizio sotto l’occhio e lo mantiene inchiodato a un albero, la terza sfonda una dannata corazza. Io direi che duecentosettanta libbre a quell’arco non gliele toglie nessuno.
Ma forse le armature della falange (falange che serve uno degli uomini più ricchi e potenti di Germania) sono fatte di stagnola e cartapesta, visto che quando Caleb cerca di prende la spada del reiter dalla corazza bucata, questa è bloccata nel fodero deformato dalla caduta.
Intanto i suoi compagni sono arrivati, senza ulteriori incidenti, all’ingresso. Mernau prende il comando (dopo aver intelligentemente sparato a caso per scaricare la pistola… non chiedete).
E questa ve la cito tutta.
«Opatow, Landolfi, Giessen!»
«Agli ordini!»
«Prima linea di avanzata!»
Mernau si sporse a scrutare nel tunnel dell’ingresso. Macerie, detriti, ombre pesanti. Nel chiostro, erbacce alte quasi quanto un uomo si torcevano nel vento.
«Bovec, Zagorje, Opatow: seconda linea di avanzata!»
«Agli ordini!»
Notato nulla? Un aiutino: Ingbert e Krka sono morti.
Sì. A meno che non sia un refuso dell’ebook, Opatow riesce a essere in prima e seconda linea, Makoved e Harkeny sono spariti. E io mi chiedo come sia umanamente possibile fare un errore del genere.
La prima linea entra nella galleria d’ingresso.
Qualcosa scricchiolò.
«ca**o! No!…» Era Makoved.
Toh, è ricomparso.
I soldati hanno tirato una corda, che ha azionato una terribile trappola (la versione rinascimental-retard di Mamma ho perso l’aereo): un secchio pieno di viscere di cane si rovescia loro addosso. Dotta citazione da Carrie di King. Adesso cominceranno a far volare la roba e avere le mestruazioni.
Purtroppo no, il secchio che ondeggiava sopra di loro si stacca da solo e prende in testa Bovec.
Poco male direte voi. Invece
Crack! Non legno spezzato: vertebre demolite. Bovec crollò sui detriti.
Aveva il cranio rivoltato di tre quarti sulla spalla destra.
Prima il fesso che non sa schiacciare un grilletto, poi l’albino, ora quello con l’osteoporosi. For the win!
Zagorje invece deve essere un fuscello anoressico, visto che una freccia di Wolf nel collo basta a “sollevarlo da terra come una bambola di stracci”. O forse è l’ennesimo miracolo della balistica teleguidata rinascimentale.
Harkney ricompare dal nulla per morire subito. L’ombra dell’eretico si staglia sulla soglia e i mercenari tirano alla cieca. Perché sparare alla sagoma nitida di un uomo grande e grosso in uno spazio confinato è molto complicato. I cattivi non sanno mirare. Ennesimo becero, putrido, marcio e decadente cliché.
I superstiti fanno irruzione nel chiostro, dove Mernau ha una brillante idea:
«Io ammazzo la strega!» Mernau corse verso le scale in rovina sul porticato nord del chiostro. «Voi sgozzate quel bastardo eretico!»
E nessuno ha niente da ridire.
Mentre Mernau esce di scena, succedono cose… che non so spiegare.
<<L’erba cambiò forma. Divenne un solco. Il solco divenne un fluire d’acciaio. La mano sinistra del Reiter Opatow volò via nei vapori>>
… Non guardate me, non ho la minima idea di cosa significhi.
<<Giessen e Pecoraro aprirono il fuoco. Wulfgar eseguì una torsione nel vento, fuori da entrambe le linee di tiro>>
Il romanzo di Altieri è come un film d’azione cinese degli anni settanta, senza i rumori scemi, il divertimento, l’autoironia, la comicità sempliciotta e Jet Li ventenne a torso nudo.
Tra l’altro, non c’è niente di più noioso di un combattimento in cui si sa benissimo che l’eroe è troppo figo per subire anche solo un graffio. Fagli male, diamine, non ho pagato venti euro per vederlo attraversare il libro indenne!
<<Pecoraro partì in un nuovo assalto assieme a Giessen, spade come randelli tra le mani guantate di entrambi. L’acciaio ricurvo del viandante in nero si inchiodò con le lame dritte della Pappenheimer>>
Meno male che entrambi sono partiti su un fendente, se fossero partiti con un dritto ridoppio e un roverso tondo sarebbe finita male.
<<Wulfgar lasciò partire un calcio frontale sinistro. Giessen incassò duro sotto la cintura, annaspò per controllare la difesa. Wulfgar falciò in orizzontale ascendente [orizzontale o ascendente?], da destra a sinistra. Colpo di decapitazione. La testa del Reiter Giessen ruotò sull’asse vertebrale come una trottola grottesca>>
Se tutto il libro non fosse pervaso da pretenziosa retorica, tutto questo gonzo-splatter-gore potrebbe piacermi. Peccato che questa roba non sappia decidere se essere una boiata spassosa o una puttanata noiosa.
Ad ogni modo, alla fine Pecoraro (unico superstite del chiostro) fugge, indementito dall’orrore.
Sì lo so che è un mercenario della falange più balorda di sempre. Infatti secondo me non è la mattanza a sconvolgerlo, quanto la devastante faigosità di Wulfie.
Ma non vi ho detto che cos’è successo a Mernau! Ebbene, riesce a sorprendere Dale alle spalle. Un uomo in armi è entrato nella stanza, è scivolato dietro di lei e lei non se n’è accorta. Non sfugge niente a costei!
Mernau la prende in ostaggio e si mette di sbieco verso la porta, in modo da usarla come scudo umano contro l’eretico. Ma non serve a niente, perché Caleb emerge dalla porta e interviene in favore della strega.
Perché?
E perché Mernau non l’ha visto arrivare?
Annose questioni a cui Altieri non risponde col comodo stratagemma “nessuno dei personaggi si pone l’ovvia domanda”.
Caleb sta per farsi ammazzare (e ormai me lo auguro), ma Wolf interviene e ammazza il cattivo, imbarca Caleb nell’avventura e gli rifila uno dei suoi ciondoli tarocchi, l’acqua.
E torniamo da Madre Erika, che ci delizia con l’ennesimo flashback. Ricordate l’inquisitore che era sparito nella biblioteca? Apparentemente si è trasformato nel topo mannaro di Unika.
Le suore si accorgono che qualcosa nella biblioteca non va: ci sono dei libri “fuori posto”. Ne deducono che devono esserci dei topi. Perché i topi di Turingia i libri non li mangiano, li leggono e non li rimettono a posto, una vera piaga!
Secondo il retrolampo, una volta scoperto dei topi, un paesano del luogo porta due gatti. In un susseguirsi di azioni assurde, gatti, paesano e una suora ci lasciano la pelle quando un ratto grosso come un cane salta fuori. Madre Erika riesce a cecargli un occhio e uscire a precipizio. E va bene, abbiamo assodato che in una biblioteca da migliaia di documenti c’è un mostro antropofago. Cosa viene fatto a questo proposito?
Nulla.
La biblioteca viene chiusa. Con tutti i libri dentro. Non ci provano nemmeno a recuperarli, semplicemente chiudono tutto e buona notte al secchio. Molto credibile, specie nel 1630.
E per aggiungere idiozia a incoerenza, quando Madre Erika rientra nella biblioteca, si capisce che le finestre non sono sbarrate né hanno vetri o impannate. Hanno chiuso un ratto in un posto aperto. Ma per loro fortuna la bestiaccia era troppo occupata a scombinare l’archivio per rendersene conto.
All’alba, Erika si sveglia e, ispirata da un corvo (?), decide di tornare in biblioteca. Perché sì.
La madre superiora dagli occhi intelligenti lascia la chiave nella serratura esterna: una ventata sbatte la porta (che evidentemente non ha una maniglia ed è di sottilissimo legno compensato) e lei si trova bloccata dentro. Comincio a pensare che nel dubbio italiano di Altieri “occhi intelligenti” sia sinonimo di “idiota oltre ogni grazia divina”.
Ma il capibara mannaro appare!
Lei trova il libro che il topo vuole distruggere da anni e che miracolosamente si risolve a cercare solo in quel momento, ma si trova intrappolata. Da un momento all’altro il ratto la ucciderà!
«Che cosa aspetti?»
L’inquisitore dei topi tornò a sibilare.
E ci risiamo: la sola ragione per cui i buoni se la cavano, è perché i cattivi sono una manica di ritardati mentali.
Segue intervento del fantomatico corvo e alla fine Erika ammazza il mostro piantandogli un crocifisso nel cranio. Con una mano sola. Kneel to the fighting nun!
“Molto dopo”, le consorelle la liberano (è un tardo pomeriggio ora!). Perché nessuno aveva notato l’assenza della badessa e la chiave infilata nella toppa della serratura proibita. In questo convento tutto funziona come un orologio svizzero, non c’è che dire.
Quale opera rarissima e unica al mondo sarà quella che il capibara mannaro aveva deciso di distruggere quel pomeriggio?
La Bibbia tradotta da Lutero.
E’ ufficiale, questo libro è una candid camera.
Non è finita purtroppo, e il peggio (la lama della famosa roncola) ha ancora da venire. Preparatevi, perché una scena degna dei Monty Python corona questo disastro editoriale.
E ora, in memoria di quel cataclisma umano che fu la Guerra dei Trent’anni,
MUSICA!