Per tutti i Tolkieniani un'altra perla THE NEW SHADOW, LA NUOVA OMBRA quello che Tolkien iniziò come il seguito del SDA e che non portò più a termine. Si tratta di un breve racconto tratto dal XII ed ultimo volume della HOM "The Peoples of Middle Earth".
Eccolo e buona lettura:
LA NUOVA OMBRA
Questo racconto inizia nei giorni di Eldarion, figlio di quell’Elessar
di cui le cronache hanno molto da raccontare. Centocinque anni erano
trascorsi dalla caduta della Torre Oscura, e quella storia era ormai stata
dimenticata da molti a Gondor, benché ancora vivessero alcuni che ricordavano
la Guerra dell’Anello come un’ombra sulla loro infanzia.
Uno di questi era il vecchio Borlas di Pen-arduin. Egli era il figlio minore
di Beregond, il primo Capitano della Guardia del Principe Faramir,
che si era mosso insieme al suo signore dalla Città agli Emyn Arnen.
“Profonde invero si estendono le radici del Male,” disse Borlas, “e
in esse è forte la linfa nera. È un albero che non sarà mai distrutto. Gli
uomini possono abbatterlo quanto vogliono, questi germoglierà prima
ancora che possano voltarsi. Nemmeno per la Festa dell’Abbattitura le
scuri sarebbero appese al muro!”
“Chiaramente pensi di pronunciare parole sagge,” disse Saelon. “Lo
desumo dalla profondità della tua voce, e dalla tua testa bassa. Ma di
cosa stai parlando? Mi sembra che la tua vita sia abbastanza tranquilla,
la vita di un vecchio uomo che ormai non viaggia molto. Dove hai visto
crescere i germogli dell’albero oscuro? Nel tuo giardino?”
Borlas alzò il capo, lanciò uno sguardo penetrante su Saelon, e si
chiese se quel giovane, apparentemente allegro e scherzoso, non ne sapesse
più di quanto mostrasse. Borlas non voleva confidarsi con lui, ma
era preoccupato, e perciò aveva parlato ad alta voce, più a se stesso che
all’altro. Saelon non ricambiò il suo sguardo, ma continuò a intagliare
uno zufolo da un verde salice con un coltello affilato, parlando a bassa
voce.
I due stavano in un pergolato vicino alla ripida costa orientale
dell’Anduin, ai piedi dei colli di Arnen. Erano nel giardino della piccola
casa di pietra grigia di Borlas, nascosta tra gli alberi del pendio occidentale.
Borlas guardò il fiume, gli alberi vestiti di giugno e, più oltre, le
torri della Città illuminate dal rosso del tramonto. “No, non nel mio
giardino,” disse pensieroso.
“Allora perché ti preoccupi tanto? chiese Saelon. “Un uomo che
possiede un giardino tranquillo, circondato da forti mura, ha tutto ciò
che può desiderare.” Si interruppe. “Finché è ancora in vita,” aggiunse.
“Negli ultimi anni della sua vita, perché preoccuparsi dei mali minori?
Alla fine dovrà lasciare il suo giardino, e saranno gli altri a doversi occupare
delle erbacce.”
Borlas sospirò, ma non rispose. Saelon continuò: “Ma ci sono alcuni
che non sono mai contenti, e alla fine dei loro giorni si preoccupano dei
loro vicini, della Città, del Regno e del mondo intero. Tu sei uno di questi,
Mastro Borlas, lo sei sempre stato, dal giorno in cui da fanciullo mi
afferrasti nel tuo frutteto. Anche allora non lasciasti che il male facesse
il suo corso, prendendomi a bastonate o rafforzando il tuo recinto. No,
tu eri addolorato, volevi cambiarmi. Mi portasti a casa tua e mi parlasti.
“Lo ricordo bene. ‘Cose da Orchi!,’ ripetevi. ‘Posso capire che un
ragazzo possa rubare frutta buona, se è affamato o se suo padre è troppo
permissivo. Ma cogliere mele acerbe, per il gusto di romperle e gettarle
via! Queste sono cose da Orchi. Come sei giunto a fare una cosa simile,
ragazzo?’
“Cose da Orchi! Ero così arrabbiato, Mastro Borlas, ma ero troppo
orgoglioso per risponderti, benché avrei voluto dirti: ‘Cogliere una mela
per giocarci è altrettanto sbagliato che coglierla per mangiarla, e non lo
è di più. Non parlarmi di cose da Orchi, o te le faccio vedere io!’
“Fu uno sbaglio da parte tua, Mastro Borlas. Fino ad allora avevo
già ascoltato racconti sugli Orchi e sulle loro attività, ma non mi avevano
mai interessato. Tu risvegliasti il mio interesse nei loro confronti.
Commisi solo piccoli furti (mio padre non era affatto permissivo), ma
da allora non dimenticai gli Orchi. Iniziai a nutrire odio nei tuoi confronti
e a meditare vendetta. Con gli amici giocavo agli Orchi, e a volte
pensavo: ‘Perché non radunare la mia banda e andare ad abbattere i suoi
alberi? Così penserà che gli Orchi sono davvero ritornati.’ Ma è stato
tanto tempo fa,” disse Saelon con un sorriso.
Borlas era sorpreso. Ora era Saelon che si confidava con lui. E c’era
qualcosa d’inquietante nel tono del giovane, al punto che si chiese se in
fondo il risentimento che aveva provato da bambino non fosse ancora
vivo, come le radici degli alberi oscuri. Sì, perfino nel cuore di Saelon,
l’amico di suo figlio, il giovane che con la sua socievolezza gli aveva
reso meno penosa la solitudine. Ad ogni modo, decise di non rivelargli
altro dei suoi pensieri.
“Ahimè!” disse, “tutti noi commettiamo errori. Non pretendo di essere
saggio, ragazzo, ad eccezione di quel poco che si può diventarlo
col passare degli anni. Ma conosco fin troppo bene la triste verità secondo
cui coloro che vogliono far del bene possono arrecare più danni
di quelli che lasciano le cose al loro corso. Mi dispiace per ciò che dissi,
se ciò ha nutrito il tuo odio. Ma credo ancora che avessi ragione; forse
fui intempestivo, ma ero nel giusto. Anche un ragazzo deve capire che
la frutta è frutta, e non va raccolta prima che sia matura; abusarne quando
è acerba è peggio che rubarla a chi l’ha coltivata, perché così si deruba
il mondo intero, impedendo il compimento di una cosa buona. Chi
si comporta in questo modo partecipa alla rovina e alla cancrena delle
forze del male. Agisce come gli Orchi.”
“E come gli Uomini,” lo interruppe Saelon. “No, non mi riferisco
solo agli uomini selvaggi, o a quelli cresciuti ‘sotto l’Ombra’, come si
dice. Intendo tutti gli Uomini. Oggi non mi interessa raccogliere la tua
frutta acerba, ma solo perché non saprei che farmene, non per le tue nobili
ragioni, Mastro Borlas. Penso invece che il tuo ragionamento sia
guasto come una mela lasciata per troppo tempo in magazzino. Dal punto
di vista degli alberi tutti gli Uomini sono Orchi. Forse gli Uomini ci
pensano su prima di abbattere un albero, di usarlo per i loro fini, per
farsi strada, per usarlo come legna o carburante, o semplicemente per
aprirsi una veduta? Se gli alberi potessero giudicare, considererebbero
gli Uomini migliori degli Orchi, o piuttosto li vedrebbero fonte di rovina,
come una cancrena? Con quale diritto, si chiederebbero, gli Uomini
si nutrono della nostra linfa come parassiti?”
“Un uomo,” rispose Borlas, “che cura un albero e lo difende dai parassiti
e da altri nemici, non agisce come un Orco o una cancrena. Se
mangia i suoi frutti, non gli fa torto. Esso produce più frutta di quanto
necessiti per il suo fine, la continuazione della specie.”
“Fa che mangi la frutta, allora, o ci giochi,” disse Saelon. “Tuttavia
io mi riferivo a quando gli uomini giusti uccidono gli alberi, li tagliano
o li bruciano, e alle ragioni per cui lo fanno”.
“Non hai detto questo. Tu hai parlato del giudizio degli alberi in
materia. Ma gli alberi non giudicano. I figli dell’Uno sono i signori. Già
conosci ciò che penso. In origine i mali del mondo non appartenevano
al grande Tema, ma vennero introdotti dalle dissonanze di Melkor. Gli
uomini non trassero origine da queste dissonanze, ma furono creati in
seguito da Eru, l’Uno, e perciò sono chiamati i Suoi figli, e hanno diritto
di usare per il loro bene tutto ciò che fu nel tema, non in modo superbo
o licenzioso, ma con riverenza.
“Se d’inverno il figlio di un boscaiolo ha freddo, anche all’albero
più fiero non viene fatto torto se la sua vita è necessaria a riscaldare il
bambino col fuoco. Ma il bambino non deve deturpare l’albero, per gioco
o per dispetto, strappando la sua corteccia o i suoi rami. E un buon
contadino, se può, userà prima la legna che già possiede o quella di un
vecchio albero, e non taglierà un albero giovane né lascerà che marcisca,
per il solo piacere di usare la scure. Così agiscono gli Orchi.
“È anche vero quanto ho detto prima: le radici del Male si estendono
in profondità, e il veleno che agisce in noi viene da lontano, sicché a
volte molti si comportano in questo modo, e diventano simili ai servi di
Melkor. Ma gli Orchi agivano sempre così, godevano a danneggiare e a
far soffrire ogni cosa, e si fermavano solo quando veniva loro impedito,
non per prudenza o pietà. Ma di ciò abbiamo parlato abbastanza.”
“Perché?” disse Saelon. “Abbiamo appena cominciato. Quando parlavi
della rinascita dell’albero oscuro non era al tuo frutteto, né alle mele,
né a me che stavi pensando. Tuttavia, posso indovinare cosa stavi
meditando. Ho occhi e orecchie aperti, Mastro Borlas.” La sua voce divenne
un sussurro, appena udibile sul mormorio del vento freddo tra le
foglie, mentre il sole si abbassava sul Mindolluin. “Dunque anche tu hai
udito il nome”, disse con un filo di voce, “di Herumor?”
Borlas lo guardò con stupore e paura. La sua bocca tremava, cercava
di parlare, ma non ci riusciva.
“Vedo che lo conosci,” disse Saelon. “E mi sembri stupito di apprendere
che l’ho udito anch’io. Ma sono più stupito io, nel vedere che
il nome è arrivato fino a te. Come ti ho detto, io ho occhi e orecchie aperti,
ma i tuoi sono stanchi anche nelle faccende quotidiane, ed è strano
che un affare tanto segreto sia giunto a tua conoscenza.”
“Tenuto segreto da chi?” gridò Borlas, con violenza. I suoi occhi
potevano anche essere stanchi, ma adesso fiammeggiavano con rabbia.
“Suvvia, da coloro che hanno udito la sua chiamata, e chi altri?, rispose
Saelon impassibile. “Non sono così numerosi da contrastare il
popolo di Gondor, ma il loro numero va crescendo. Non tutti sono soddisfatti
da quando il Grande Re è morto, e sono sempre meno coloro
che ne sono dispiaciuti.”
“Così avevo ragione,” disse Borlas, “è questo pensiero che angoscia
il mio cuore, come un vento freddo d’estate. Un uomo può vivere in un
giardino circondato da alte mura, Saelon, e tuttavia non trovarvi pace né
serenità. Ci sono nemici che queste mura non possono tenere fuori, poiché
il suo giardino è parte di un regno che lo custodisce. È alle mura del
regno che deve rivolgersi, se vuole essere realmente sicuro. Ma che
cos’è la chiamata? Cosa hanno intenzione di fare?” gridò, allungando la
mano verso le ginocchia del giovane.
“Prima di risponderti ti porrò una domanda a mia volta,” disse Saelon,
che adesso cercava lo sguardo del vecchio. “In che modo tu, che
vivi nell’Emyn Arnen e di rado ti rechi persino nella Città, sei venuto a
conoscenza delle voci sul nome?”
Borlas abbassò lo sguardo e unì le mani sotto le ginocchia. Per un
attimo non rispose. Poi guardò nuovamente Saelon, con il volto indurito
e un’espressione più prudente. “Non risponderò alla tua domanda, Saelon,”
disse. “Non fintanto che avrai risposto a un’altra domanda. Prima
dimmi,” disse lentamente, “tu sei tra quelli che hanno udito la chiamata?”
Uno strano sorriso apparve sul volto del giovane. “L’attacco è la
migliore difesa,” rispose, “come ci dicono i Capitani, ma quando entrambi
i fronti ricorrono a questa strategia, vuol dire che c’è fragore di
battaglia. Cercherò di essere al tuo pari. Non risponderò alla tua domanda,
Mastro Borlas, finché tu non mi avrai risposto: sei tra quelli che
hanno udito la chiamata, o no?”
“Come puoi pensarlo?” gridò Borlas.
“E tu come puoi pensarlo? chiese Saelon.
“Quanto a me,” disse Borlas, “tutte le mie parole non ti hanno già
risposto?”
“E tu invece,” aggiunse Saelon, “nutri dubbi su di me solo perché
ho difeso un ragazzino che tirava per gioco le mele ai suoi compagni
dall’accusa di essere un Orco? O perché ho parlato delle sofferenze degli
alberi provocate dagli uomini? Mastro Borlas, è poco saggio giudicare
il cuore di un uomo sulla base delle parole pronunciate su un argomento
che non condivide, solo perché queste parole lo disturbano.
Forse sono impertinenti, ma sono sempre meglio di un’eco ossequiosa.
Non dubito che coloro con cui parli usano parole solenni quanto le tue,
e in tua presenza parlano con riverenza del Grande Tema e di cose simili.
Dunque, chi risponde per primo?”
“Il più giovane, che dovrebbe usare cortesia verso il vecchio,” disse
Borlas, “o colui a cui la domanda è stata posta per primo. In entrambi i
casi sei tu a dover rispondere.”
Saelon sorrise. “Molto bene,” disse. “vediamo: la prima domanda
che mi hai rivolto è stata: che cos’è la chiamata, cosa hanno intenzione
di fare? Con la tua età e tutta la tua esperienza non riesci proprio a trovare
una risposta? Io sono giovane e ho meno esperienza di te, tuttavia,
se lo desideri veramente, forse posso chiarirti il significato delle voci.”
Si alzò in piedi. Il sole era tramontato oltre i monti, e si faceva buio.
Le mura occidentali della casa di Borlas, sul lato della collina, erano indorate
dal crepuscolo, ma sul fondo il fiume era scuro. Guardò in alto,
poi voltò lo sguardo verso l’Anduin. “È una bella serata,” disse, “ma il
vento si muove a est. Stanotte la luna sarà coperta da nubi.”
“Bene, e con ciò?” disse Borlas, rabbrividendo un po’ per l’aria
fredda. “Forse vuoi dire che un vecchio dovrebbe affrettarsi a rincasare
per mantenere le sue ossa all’asciutto?” Si alzò e si diresse verso il sentiero
che conduceva alla sua casa, pensando che il giovane non avesse
più nulla da dirgli, ma Saelon si pose davanti a lui, trattenendolo per un
braccio.
“Voglio dire invece che dovrai indossare abiti pesanti dopo il crepuscolo,”
disse. “Se vuoi saperne di più, se lo vuoi davvero, dovrai metterti
in viaggio con me, stanotte. Ti aspetterò all’entrata orientale della tua
casa, sul retro, o almeno passerò da quel lato quando sarà notte fonda,
sarai tu a decidere se venire o meno. Indosserò un abito nero, e chiunque
verrà con me dovrà essere vestito così. Ora addio, Mastro Borlas!
Pensaci, finché dura la luce del giorno.”
Con ciò Saelon s’inchinò e si allontanò, per un altro sentiero che
costeggiava la ripida sponda del fiume, andando a nord, verso la casa di
suo padre. Quando scomparve al di là di una curva, le sue parole ancora
echeggiavano nella mente di Borlas.
Dopo che Saelon si fu allontanato, per qualche attimo Borlas rimase
in silenzio, con le mani sul volto, appoggiando la fronte sulla fredda
corteccia di un albero lungo il sentiero. Cercava di richiamare alla mente
come era iniziata quella strana e allarmante discussione. Non sapeva
ancora cosa avrebbe fatto dopo il crepuscolo.
Dall’inizio della primavera non si sentiva bene, benché fosse piuttosto
in forma per la sua età, che gli pesava meno della sua solitudine. Da
quando ad aprile suo figlio Berelach era partito di nuovo – lavorava sulle
Navi, e ora viveva nei pressi di Pelargir – Saelon era divenuto più
premuroso, quando era a casa. Di recente, era spesso in viaggio. Borlas
non era al corrente dei suoi affari, sapeva solo che si occupava, tra
l’altro, di legname. Portava notizie del regno al vecchio amico, o meglio,
al padre del vecchio amico, poiché un tempo Berelach era stato il
suo compagno più fedele, sebbene ora si incontrassero di rado.
“Certo, è andata così”, si disse Borlas. “Ho parlato a Saelon di Pelargir,
riferendomi a Berelach. C’è stato qualche piccolo incidente
all’Ethir: alcuni marinai sono scomparsi, e anche un piccolo vascello
della Flotta. Niente di più, secondo Berelach.
“ ‘La pace indebolisce gli animi,’ mi sembra che disse, in veste di
sottufficiale. ‘Hanno usato qualche stratagemma per disertare, così
sembra – forse delle conoscenze in uno dei porti occidentali – ma senza
una guida sono annegati. Gli sta bene. In questi tempi ci sono sempre
meno veri marinai, la pesca è più redditizia. Ma almeno tutti sapranno
che le coste occidentali non sono sicure per chi non ha esperienza.’ ”
“Fu tutto qui. Ma ne ho parlato a Saelon, e gli ho chiesto se a sud
avesse udito qualcosa su quest’episodio. ‘Sì,’ mi ha risposto, ‘pochi
hanno creduto alla versione ufficiale. Quegli uomini non erano inesperti,
erano figli di pescatori. E in quel periodo non vi erano state particolari
tempeste lungo la costa.’ ”
Nell’udire ciò, Borlas improvvisamente rammentò altre voci, che gli
erano state riferite da Othrondir. Era lui che aveva usato per primo la
parola “cancrena”. Questo pensava Borlas quando aveva cominciato a
parlare tra sé, ad alta voce, dell’Albero Oscuro.
Borlas scoprì gli occhi e accarezzò il tronco armonioso dell’albero
al quale si era appoggiato, guardando il cielo sempre più scuro attraverso
le sue foglie ombrose. Una stella brillava al di là dei rami.
Continuò a parlare, sottovoce, come se si rivolgesse all’albero.
“Dunque, come mi devo comportare adesso? È chiaro che Saelon è
coinvolto in questa storia. O non lo è? C’era lo scherno nelle sue parole,
e il disprezzo per le regole di vita degli Uomini. Non ha voluto dirmi
neanche il motivo degli abiti neri! Tuttavia, perché invitarmi ad andare
con lui? Non certo per convertire il vecchio Borlas! Inutile. Inutile provarci:
nessuno spererebbe di averla vinta su un vecchio che ancora ricorda
il Male, per quanto distante. Inutile anche se si riuscisse a convincerlo:
il vecchio Borlas non serve a nulla. Saelon potrebbe aver voluto
giocare alla spia, cercando di scoprire qualcosa in più sulle voci che circolano.
L’abito nero potrebbe essere un travestimento o servire a muoversi
furtivamente nella notte. Ma, tuttavia, di che aiuto potrei essere io
in un incarico segreto e pericoloso? Sarei più utile fuori dai piedi.”
Un gelido pensiero attraversò il cuore di Borlas. Fuori dai piedi –
era dunque ciò che volevano? Lo avrebbero condotto in qualche luogo
dove sarebbe scomparso, come i Marinai? L’invito di Saelon era giunto
nel momento in cui gli aveva rivelato di essere a conoscenza delle voci,
e persino di aver udito il nome. E gli aveva dichiarato apertamente la
sua ostilità.
Questo pensiero spinse Borlas a decidersi: al calar della notte avrebbe
atteso Saelon al cancello, vestito di nero. Era stato sfidato, e non
voleva tirarsi indietro. Appoggiò con forza il palmo della mano
sull’albero. “Non sono ancora un vecchio rimbambito, Neldor,” disse,
“ma la morte non è tanto distante per sprecare molti anni preziosi, perdendo
le occasioni concesse.”
Raddrizzò la schiena e alzò la testa, incamminandosi lungo il sentiero,
lentamente, ma con passo deciso. Quando varcò la soglia di casa, un
pensiero gli balenò nella mente: “Forse ho vissuto così a lungo per questo
scopo: che ci fosse ancora qualcuno che ricordasse lucidamente ciò
che è accaduto prima della Grande Pace. Il naso ha una lunga memoria,
penso di potermi ricordare ancora l’odore dell’antico Male, e di riconoscerlo
per ciò che è.”
La porta sotto il portico era aperta, e in casa si faceva buio. Non si
udivano i soliti suoni della sera, solo un piatto silenzio, un silenzio di
morte. Entrò in casa, sussultando. Chiamò, ma non vi fu alcuna risposta.
Si fermò nello stretto corridoio che attraversava la casa, e gli apparve
immerso nell’oscurità; dall’esterno non proveniva neanche un barlume
di luce. D’un tratto lo fiutò, o così gli sembrò, benché fosse più una sensazione
interna che esterna: fiutò l’antico Male e lo riconobbe per ciò
che era.
Qui finisce La Nuova Ombra, e non si saprà mai che cosa avesse trovato Borlas
nella sua casa buia e silenziosa, né che ruolo giocasse Saelon e quali intenzioni avesse.
Da una lettera di Tolkien del 13 marzo 1964
Ho iniziato una storia che si svolge circa cento anni dopo la Caduta (di Mordor),
ma si è rivelata sinistra e deprimente. Dato che abbiamo a che fare con uomini è inevitabile
che si debba prendere in considerazione una delle caratteristiche più deprecabili
della loro natura: il fatto che presto si stancano del bene. E così la gente di Gondor in
epoche di pace, giustizia e prosperità è diventata scontenta e inquieta – mentre la dinastia
discesa da Aragorn ha prodotto re e governatori – come Denethor, se non peggio.
Ho scoperto che anche in epoche così antiche ci fu un fiorire di trame rivoluzionarie,
incentrate su una religione satanica segreta; mentre i ragazzi di Gondor giocavano a
travestirsi da orchi e andavano in giro a fare danni. Avrei potuto ricavarne un thriller
con il complotto e la sua scoperta e la sua sconfitta – ma non ci sarebbe stato altro. Non
ne valeva la pena.
Gil Galad - Stella di radianza
Eh eh! Mi chiedevo quando l'avresti postato!