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THE NEW SHADOW - LA NUOVA OMBRA
G di GIL GALAD
creato il 03 novembre 2003

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GIL GALAD
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Inviato il 03 novembre 2003 21:08 Autore

Per tutti i Tolkieniani un'altra perla THE NEW SHADOW, LA NUOVA OMBRA quello che Tolkien iniziò come il seguito del SDA e che non portò più a termine. Si tratta di un breve racconto tratto dal XII ed ultimo volume della HOM "The Peoples of Middle Earth".

 

 

Eccolo e buona lettura: ^_^^_^^_^

 

LA NUOVA OMBRA

 

 

Questo racconto inizia nei giorni di Eldarion, figlio di quell’Elessar

di cui le cronache hanno molto da raccontare. Centocinque anni erano

trascorsi dalla caduta della Torre Oscura, e quella storia era ormai stata

dimenticata da molti a Gondor, benché ancora vivessero alcuni che ricordavano

la Guerra dell’Anello come un’ombra sulla loro infanzia.

Uno di questi era il vecchio Borlas di Pen-arduin. Egli era il figlio minore

di Beregond, il primo Capitano della Guardia del Principe Faramir,

che si era mosso insieme al suo signore dalla Città agli Emyn Arnen.

“Profonde invero si estendono le radici del Male,” disse Borlas, “e

in esse è forte la linfa nera. È un albero che non sarà mai distrutto. Gli

uomini possono abbatterlo quanto vogliono, questi germoglierà prima

ancora che possano voltarsi. Nemmeno per la Festa dell’Abbattitura le

scuri sarebbero appese al muro!”

“Chiaramente pensi di pronunciare parole sagge,” disse Saelon. “Lo

desumo dalla profondità della tua voce, e dalla tua testa bassa. Ma di

cosa stai parlando? Mi sembra che la tua vita sia abbastanza tranquilla,

la vita di un vecchio uomo che ormai non viaggia molto. Dove hai visto

crescere i germogli dell’albero oscuro? Nel tuo giardino?”

Borlas alzò il capo, lanciò uno sguardo penetrante su Saelon, e si

chiese se quel giovane, apparentemente allegro e scherzoso, non ne sapesse

più di quanto mostrasse. Borlas non voleva confidarsi con lui, ma

era preoccupato, e perciò aveva parlato ad alta voce, più a se stesso che

all’altro. Saelon non ricambiò il suo sguardo, ma continuò a intagliare

uno zufolo da un verde salice con un coltello affilato, parlando a bassa

voce.

I due stavano in un pergolato vicino alla ripida costa orientale

dell’Anduin, ai piedi dei colli di Arnen. Erano nel giardino della piccola

casa di pietra grigia di Borlas, nascosta tra gli alberi del pendio occidentale.

Borlas guardò il fiume, gli alberi vestiti di giugno e, più oltre, le

torri della Città illuminate dal rosso del tramonto. “No, non nel mio

giardino,” disse pensieroso.

“Allora perché ti preoccupi tanto? chiese Saelon. “Un uomo che

possiede un giardino tranquillo, circondato da forti mura, ha tutto ciò

che può desiderare.” Si interruppe. “Finché è ancora in vita,” aggiunse.

 

“Negli ultimi anni della sua vita, perché preoccuparsi dei mali minori?

Alla fine dovrà lasciare il suo giardino, e saranno gli altri a doversi occupare

delle erbacce.”

Borlas sospirò, ma non rispose. Saelon continuò: “Ma ci sono alcuni

che non sono mai contenti, e alla fine dei loro giorni si preoccupano dei

loro vicini, della Città, del Regno e del mondo intero. Tu sei uno di questi,

Mastro Borlas, lo sei sempre stato, dal giorno in cui da fanciullo mi

afferrasti nel tuo frutteto. Anche allora non lasciasti che il male facesse

il suo corso, prendendomi a bastonate o rafforzando il tuo recinto. No,

tu eri addolorato, volevi cambiarmi. Mi portasti a casa tua e mi parlasti.

“Lo ricordo bene. ‘Cose da Orchi!,’ ripetevi. ‘Posso capire che un

ragazzo possa rubare frutta buona, se è affamato o se suo padre è troppo

permissivo. Ma cogliere mele acerbe, per il gusto di romperle e gettarle

via! Queste sono cose da Orchi. Come sei giunto a fare una cosa simile,

ragazzo?’

“Cose da Orchi! Ero così arrabbiato, Mastro Borlas, ma ero troppo

orgoglioso per risponderti, benché avrei voluto dirti: ‘Cogliere una mela

per giocarci è altrettanto sbagliato che coglierla per mangiarla, e non lo

è di più. Non parlarmi di cose da Orchi, o te le faccio vedere io!’

“Fu uno sbaglio da parte tua, Mastro Borlas. Fino ad allora avevo

già ascoltato racconti sugli Orchi e sulle loro attività, ma non mi avevano

mai interessato. Tu risvegliasti il mio interesse nei loro confronti.

Commisi solo piccoli furti (mio padre non era affatto permissivo), ma

da allora non dimenticai gli Orchi. Iniziai a nutrire odio nei tuoi confronti

e a meditare vendetta. Con gli amici giocavo agli Orchi, e a volte

pensavo: ‘Perché non radunare la mia banda e andare ad abbattere i suoi

alberi? Così penserà che gli Orchi sono davvero ritornati.’ Ma è stato

tanto tempo fa,” disse Saelon con un sorriso.

Borlas era sorpreso. Ora era Saelon che si confidava con lui. E c’era

qualcosa d’inquietante nel tono del giovane, al punto che si chiese se in

fondo il risentimento che aveva provato da bambino non fosse ancora

vivo, come le radici degli alberi oscuri. Sì, perfino nel cuore di Saelon,

l’amico di suo figlio, il giovane che con la sua socievolezza gli aveva

reso meno penosa la solitudine. Ad ogni modo, decise di non rivelargli

altro dei suoi pensieri.

“Ahimè!” disse, “tutti noi commettiamo errori. Non pretendo di essere

saggio, ragazzo, ad eccezione di quel poco che si può diventarlo

col passare degli anni. Ma conosco fin troppo bene la triste verità secondo

cui coloro che vogliono far del bene possono arrecare più danni

di quelli che lasciano le cose al loro corso. Mi dispiace per ciò che dissi,

se ciò ha nutrito il tuo odio. Ma credo ancora che avessi ragione; forse

fui intempestivo, ma ero nel giusto. Anche un ragazzo deve capire che

la frutta è frutta, e non va raccolta prima che sia matura; abusarne quando

è acerba è peggio che rubarla a chi l’ha coltivata, perché così si deruba

il mondo intero, impedendo il compimento di una cosa buona. Chi

si comporta in questo modo partecipa alla rovina e alla cancrena delle

forze del male. Agisce come gli Orchi.”

“E come gli Uomini,” lo interruppe Saelon. “No, non mi riferisco

solo agli uomini selvaggi, o a quelli cresciuti ‘sotto l’Ombra’, come si

dice. Intendo tutti gli Uomini. Oggi non mi interessa raccogliere la tua

frutta acerba, ma solo perché non saprei che farmene, non per le tue nobili

ragioni, Mastro Borlas. Penso invece che il tuo ragionamento sia

guasto come una mela lasciata per troppo tempo in magazzino. Dal punto

di vista degli alberi tutti gli Uomini sono Orchi. Forse gli Uomini ci

pensano su prima di abbattere un albero, di usarlo per i loro fini, per

farsi strada, per usarlo come legna o carburante, o semplicemente per

aprirsi una veduta? Se gli alberi potessero giudicare, considererebbero

gli Uomini migliori degli Orchi, o piuttosto li vedrebbero fonte di rovina,

come una cancrena? Con quale diritto, si chiederebbero, gli Uomini

si nutrono della nostra linfa come parassiti?”

“Un uomo,” rispose Borlas, “che cura un albero e lo difende dai parassiti

e da altri nemici, non agisce come un Orco o una cancrena. Se

mangia i suoi frutti, non gli fa torto. Esso produce più frutta di quanto

necessiti per il suo fine, la continuazione della specie.”

“Fa che mangi la frutta, allora, o ci giochi,” disse Saelon. “Tuttavia

io mi riferivo a quando gli uomini giusti uccidono gli alberi, li tagliano

o li bruciano, e alle ragioni per cui lo fanno”.

“Non hai detto questo. Tu hai parlato del giudizio degli alberi in

materia. Ma gli alberi non giudicano. I figli dell’Uno sono i signori. Già

conosci ciò che penso. In origine i mali del mondo non appartenevano

al grande Tema, ma vennero introdotti dalle dissonanze di Melkor. Gli

uomini non trassero origine da queste dissonanze, ma furono creati in

seguito da Eru, l’Uno, e perciò sono chiamati i Suoi figli, e hanno diritto

di usare per il loro bene tutto ciò che fu nel tema, non in modo superbo

o licenzioso, ma con riverenza.

“Se d’inverno il figlio di un boscaiolo ha freddo, anche all’albero

più fiero non viene fatto torto se la sua vita è necessaria a riscaldare il

bambino col fuoco. Ma il bambino non deve deturpare l’albero, per gioco

o per dispetto, strappando la sua corteccia o i suoi rami. E un buon

contadino, se può, userà prima la legna che già possiede o quella di un

vecchio albero, e non taglierà un albero giovane né lascerà che marcisca,

per il solo piacere di usare la scure. Così agiscono gli Orchi.

“È anche vero quanto ho detto prima: le radici del Male si estendono

in profondità, e il veleno che agisce in noi viene da lontano, sicché a

volte molti si comportano in questo modo, e diventano simili ai servi di

Melkor. Ma gli Orchi agivano sempre così, godevano a danneggiare e a

far soffrire ogni cosa, e si fermavano solo quando veniva loro impedito,

non per prudenza o pietà. Ma di ciò abbiamo parlato abbastanza.”

“Perché?” disse Saelon. “Abbiamo appena cominciato. Quando parlavi

della rinascita dell’albero oscuro non era al tuo frutteto, né alle mele,

né a me che stavi pensando. Tuttavia, posso indovinare cosa stavi

meditando. Ho occhi e orecchie aperti, Mastro Borlas.” La sua voce divenne

un sussurro, appena udibile sul mormorio del vento freddo tra le

foglie, mentre il sole si abbassava sul Mindolluin. “Dunque anche tu hai

udito il nome”, disse con un filo di voce, “di Herumor?”

Borlas lo guardò con stupore e paura. La sua bocca tremava, cercava

di parlare, ma non ci riusciva.

“Vedo che lo conosci,” disse Saelon. “E mi sembri stupito di apprendere

che l’ho udito anch’io. Ma sono più stupito io, nel vedere che

il nome è arrivato fino a te. Come ti ho detto, io ho occhi e orecchie aperti,

ma i tuoi sono stanchi anche nelle faccende quotidiane, ed è strano

che un affare tanto segreto sia giunto a tua conoscenza.”

“Tenuto segreto da chi?” gridò Borlas, con violenza. I suoi occhi

potevano anche essere stanchi, ma adesso fiammeggiavano con rabbia.

“Suvvia, da coloro che hanno udito la sua chiamata, e chi altri?, rispose

Saelon impassibile. “Non sono così numerosi da contrastare il

popolo di Gondor, ma il loro numero va crescendo. Non tutti sono soddisfatti

da quando il Grande Re è morto, e sono sempre meno coloro

che ne sono dispiaciuti.”

“Così avevo ragione,” disse Borlas, “è questo pensiero che angoscia

il mio cuore, come un vento freddo d’estate. Un uomo può vivere in un

giardino circondato da alte mura, Saelon, e tuttavia non trovarvi pace né

serenità. Ci sono nemici che queste mura non possono tenere fuori, poiché

il suo giardino è parte di un regno che lo custodisce. È alle mura del

regno che deve rivolgersi, se vuole essere realmente sicuro. Ma che

cos’è la chiamata? Cosa hanno intenzione di fare?” gridò, allungando la

mano verso le ginocchia del giovane.

“Prima di risponderti ti porrò una domanda a mia volta,” disse Saelon,

che adesso cercava lo sguardo del vecchio. “In che modo tu, che

vivi nell’Emyn Arnen e di rado ti rechi persino nella Città, sei venuto a

conoscenza delle voci sul nome?”

Borlas abbassò lo sguardo e unì le mani sotto le ginocchia. Per un

attimo non rispose. Poi guardò nuovamente Saelon, con il volto indurito

e un’espressione più prudente. “Non risponderò alla tua domanda, Saelon,”

disse. “Non fintanto che avrai risposto a un’altra domanda. Prima

dimmi,” disse lentamente, “tu sei tra quelli che hanno udito la chiamata?”

Uno strano sorriso apparve sul volto del giovane. “L’attacco è la

migliore difesa,” rispose, “come ci dicono i Capitani, ma quando entrambi

i fronti ricorrono a questa strategia, vuol dire che c’è fragore di

battaglia. Cercherò di essere al tuo pari. Non risponderò alla tua domanda,

Mastro Borlas, finché tu non mi avrai risposto: sei tra quelli che

hanno udito la chiamata, o no?”

“Come puoi pensarlo?” gridò Borlas.

“E tu come puoi pensarlo? chiese Saelon.

“Quanto a me,” disse Borlas, “tutte le mie parole non ti hanno già

risposto?”

“E tu invece,” aggiunse Saelon, “nutri dubbi su di me solo perché

ho difeso un ragazzino che tirava per gioco le mele ai suoi compagni

dall’accusa di essere un Orco? O perché ho parlato delle sofferenze degli

alberi provocate dagli uomini? Mastro Borlas, è poco saggio giudicare

il cuore di un uomo sulla base delle parole pronunciate su un argomento

che non condivide, solo perché queste parole lo disturbano.

 

Forse sono impertinenti, ma sono sempre meglio di un’eco ossequiosa.

Non dubito che coloro con cui parli usano parole solenni quanto le tue,

e in tua presenza parlano con riverenza del Grande Tema e di cose simili.

Dunque, chi risponde per primo?”

“Il più giovane, che dovrebbe usare cortesia verso il vecchio,” disse

Borlas, “o colui a cui la domanda è stata posta per primo. In entrambi i

casi sei tu a dover rispondere.”

Saelon sorrise. “Molto bene,” disse. “vediamo: la prima domanda

che mi hai rivolto è stata: che cos’è la chiamata, cosa hanno intenzione

di fare? Con la tua età e tutta la tua esperienza non riesci proprio a trovare

una risposta? Io sono giovane e ho meno esperienza di te, tuttavia,

se lo desideri veramente, forse posso chiarirti il significato delle voci.”

Si alzò in piedi. Il sole era tramontato oltre i monti, e si faceva buio.

Le mura occidentali della casa di Borlas, sul lato della collina, erano indorate

dal crepuscolo, ma sul fondo il fiume era scuro. Guardò in alto,

poi voltò lo sguardo verso l’Anduin. “È una bella serata,” disse, “ma il

vento si muove a est. Stanotte la luna sarà coperta da nubi.”

“Bene, e con ciò?” disse Borlas, rabbrividendo un po’ per l’aria

fredda. “Forse vuoi dire che un vecchio dovrebbe affrettarsi a rincasare

per mantenere le sue ossa all’asciutto?” Si alzò e si diresse verso il sentiero

che conduceva alla sua casa, pensando che il giovane non avesse

più nulla da dirgli, ma Saelon si pose davanti a lui, trattenendolo per un

braccio.

“Voglio dire invece che dovrai indossare abiti pesanti dopo il crepuscolo,”

disse. “Se vuoi saperne di più, se lo vuoi davvero, dovrai metterti

in viaggio con me, stanotte. Ti aspetterò all’entrata orientale della tua

casa, sul retro, o almeno passerò da quel lato quando sarà notte fonda,

sarai tu a decidere se venire o meno. Indosserò un abito nero, e chiunque

verrà con me dovrà essere vestito così. Ora addio, Mastro Borlas!

Pensaci, finché dura la luce del giorno.”

Con ciò Saelon s’inchinò e si allontanò, per un altro sentiero che

costeggiava la ripida sponda del fiume, andando a nord, verso la casa di

suo padre. Quando scomparve al di là di una curva, le sue parole ancora

echeggiavano nella mente di Borlas.

Dopo che Saelon si fu allontanato, per qualche attimo Borlas rimase

in silenzio, con le mani sul volto, appoggiando la fronte sulla fredda

corteccia di un albero lungo il sentiero. Cercava di richiamare alla mente

come era iniziata quella strana e allarmante discussione. Non sapeva

ancora cosa avrebbe fatto dopo il crepuscolo.

Dall’inizio della primavera non si sentiva bene, benché fosse piuttosto

in forma per la sua età, che gli pesava meno della sua solitudine. Da

quando ad aprile suo figlio Berelach era partito di nuovo – lavorava sulle

Navi, e ora viveva nei pressi di Pelargir – Saelon era divenuto più

premuroso, quando era a casa. Di recente, era spesso in viaggio. Borlas

non era al corrente dei suoi affari, sapeva solo che si occupava, tra

l’altro, di legname. Portava notizie del regno al vecchio amico, o meglio,

al padre del vecchio amico, poiché un tempo Berelach era stato il

suo compagno più fedele, sebbene ora si incontrassero di rado.

“Certo, è andata così”, si disse Borlas. “Ho parlato a Saelon di Pelargir,

riferendomi a Berelach. C’è stato qualche piccolo incidente

all’Ethir: alcuni marinai sono scomparsi, e anche un piccolo vascello

della Flotta. Niente di più, secondo Berelach.

“ ‘La pace indebolisce gli animi,’ mi sembra che disse, in veste di

sottufficiale. ‘Hanno usato qualche stratagemma per disertare, così

sembra – forse delle conoscenze in uno dei porti occidentali – ma senza

una guida sono annegati. Gli sta bene. In questi tempi ci sono sempre

meno veri marinai, la pesca è più redditizia. Ma almeno tutti sapranno

che le coste occidentali non sono sicure per chi non ha esperienza.’ ”

“Fu tutto qui. Ma ne ho parlato a Saelon, e gli ho chiesto se a sud

avesse udito qualcosa su quest’episodio. ‘Sì,’ mi ha risposto, ‘pochi

hanno creduto alla versione ufficiale. Quegli uomini non erano inesperti,

erano figli di pescatori. E in quel periodo non vi erano state particolari

tempeste lungo la costa.’ ”

Nell’udire ciò, Borlas improvvisamente rammentò altre voci, che gli

erano state riferite da Othrondir. Era lui che aveva usato per primo la

parola “cancrena”. Questo pensava Borlas quando aveva cominciato a

parlare tra sé, ad alta voce, dell’Albero Oscuro.

Borlas scoprì gli occhi e accarezzò il tronco armonioso dell’albero

al quale si era appoggiato, guardando il cielo sempre più scuro attraverso

le sue foglie ombrose. Una stella brillava al di là dei rami.

Continuò a parlare, sottovoce, come se si rivolgesse all’albero.

“Dunque, come mi devo comportare adesso? È chiaro che Saelon è

coinvolto in questa storia. O non lo è? C’era lo scherno nelle sue parole,

e il disprezzo per le regole di vita degli Uomini. Non ha voluto dirmi

neanche il motivo degli abiti neri! Tuttavia, perché invitarmi ad andare

con lui? Non certo per convertire il vecchio Borlas! Inutile. Inutile provarci:

nessuno spererebbe di averla vinta su un vecchio che ancora ricorda

il Male, per quanto distante. Inutile anche se si riuscisse a convincerlo:

il vecchio Borlas non serve a nulla. Saelon potrebbe aver voluto

giocare alla spia, cercando di scoprire qualcosa in più sulle voci che circolano.

L’abito nero potrebbe essere un travestimento o servire a muoversi

furtivamente nella notte. Ma, tuttavia, di che aiuto potrei essere io

in un incarico segreto e pericoloso? Sarei più utile fuori dai piedi.”

Un gelido pensiero attraversò il cuore di Borlas. Fuori dai piedi –

era dunque ciò che volevano? Lo avrebbero condotto in qualche luogo

dove sarebbe scomparso, come i Marinai? L’invito di Saelon era giunto

nel momento in cui gli aveva rivelato di essere a conoscenza delle voci,

e persino di aver udito il nome. E gli aveva dichiarato apertamente la

sua ostilità.

Questo pensiero spinse Borlas a decidersi: al calar della notte avrebbe

atteso Saelon al cancello, vestito di nero. Era stato sfidato, e non

voleva tirarsi indietro. Appoggiò con forza il palmo della mano

sull’albero. “Non sono ancora un vecchio rimbambito, Neldor,” disse,

“ma la morte non è tanto distante per sprecare molti anni preziosi, perdendo

le occasioni concesse.”

Raddrizzò la schiena e alzò la testa, incamminandosi lungo il sentiero,

lentamente, ma con passo deciso. Quando varcò la soglia di casa, un

pensiero gli balenò nella mente: “Forse ho vissuto così a lungo per questo

scopo: che ci fosse ancora qualcuno che ricordasse lucidamente ciò

che è accaduto prima della Grande Pace. Il naso ha una lunga memoria,

penso di potermi ricordare ancora l’odore dell’antico Male, e di riconoscerlo

per ciò che è.”

La porta sotto il portico era aperta, e in casa si faceva buio. Non si

udivano i soliti suoni della sera, solo un piatto silenzio, un silenzio di

morte. Entrò in casa, sussultando. Chiamò, ma non vi fu alcuna risposta.

Si fermò nello stretto corridoio che attraversava la casa, e gli apparve

immerso nell’oscurità; dall’esterno non proveniva neanche un barlume

di luce. D’un tratto lo fiutò, o così gli sembrò, benché fosse più una sensazione

interna che esterna: fiutò l’antico Male e lo riconobbe per ciò

che era.

Qui finisce La Nuova Ombra, e non si saprà mai che cosa avesse trovato Borlas

nella sua casa buia e silenziosa, né che ruolo giocasse Saelon e quali intenzioni avesse.

 

 

Da una lettera di Tolkien del 13 marzo 1964

 

Ho iniziato una storia che si svolge circa cento anni dopo la Caduta (di Mordor),

ma si è rivelata sinistra e deprimente. Dato che abbiamo a che fare con uomini è inevitabile

che si debba prendere in considerazione una delle caratteristiche più deprecabili

della loro natura: il fatto che presto si stancano del bene. E così la gente di Gondor in

epoche di pace, giustizia e prosperità è diventata scontenta e inquieta – mentre la dinastia

discesa da Aragorn ha prodotto re e governatori – come Denethor, se non peggio.

Ho scoperto che anche in epoche così antiche ci fu un fiorire di trame rivoluzionarie,

incentrate su una religione satanica segreta; mentre i ragazzi di Gondor giocavano a

travestirsi da orchi e andavano in giro a fare danni. Avrei potuto ricavarne un thriller

con il complotto e la sua scoperta e la sua sconfitta – ma non ci sarebbe stato altro. Non

ne valeva la pena.


Gil Galad - Stella di radianza





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ALBIONE
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ALBIONE
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Inviato il 04 novembre 2003 20:43

Eh eh! Mi chiedevo quando l'avresti postato! >_>


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