MI ha colpito molto la lettura di questo articolo, apparso sulla stampa, relativo all'ipotesi del raddoppio di una fabbrica di armamenti in Sardegna, nell'iglesiente.
Bombe tedesche costruite in Italia e poi vendute per il mondo, anche a paesi non proprio affidabili come l'Arabia Saudita.
All'ipotesi del raddoppio dello stabilimento c'è stata una netta divisione tra "pacifisti" e "lavoristi", ovvero quelli che contestano ideologicamente il rendersi complici della costruzione di armamenti e quelli che invece pensano che un blocco al raddoppio porterebbe alla paralisi dello stabilimento e quindi alla sua chiusura, con perdita di una fonte di lavoro per centinaia di famiglie.
Voi come la pensate?
Anche se la mia intenzione è andarmene, non solo dalla Sardegna, ma proprio dall'Italia son favorevole al rilancio dell'industria nell'Isola. In generale non credo molto a chi dice che si possa vivere solo di turismo e non solo perchè non siamo il massimo nel settore (il turismo funziona bene in costa smeralda, che è gestita da stranieri, ma basta venire qui da me in riviera del corallo per capire che "non ci siam buoni") ma anche perchè diversificare è più sicuro. Sul fabbricar bombe, non ci possiam far niente, la guerra sarà parte dell'essere umano ancora per tanto tempo, per lo meno diamo da mangiare a qualche famiglia.
Sarei contrario in linea di principio, ma non se ne potrebbe fare una colpa a chi, per potersi comprare da mangiare, dovesse decidere di candidarsi. Non si puó pretendere che gli altri siano eroi.
Si vuole una pietosa e,soprattutto ipocrita ,bugia o una cruda verità?
Credo che tutti noi si sia contro le guerre e quindi vorremmo che esse non ci siano più e che non si producano piu' armi di distruzione
Ciò premesso io credo che bisogna essere realistici e tenere bene i piedi per terra.Voglio dire che ,specie adesso,la fame di lavoro e' tanta ,specie al Sud e nelle isole , ed inoltre non è che se da noi non si producono armi ,gli altri paesi non lo faranno,anzi
E di questo va preso atto,non c'è ipocrisia che tenga specie se molte famiglie potranno guardare meglio al loro futuro
Ringrazio il mio caro amico JonSnow; per aver ideato e creato le immagini dei miei bellissimi ed elegantissimi avatar e firma
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« I am a wolf and I fear nobody. »
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« When the snows fall and the white winds blow, the lone wolf dies, but the pack survives. »
''I lupi sani e le donne sane hanno in comune talune caratteristiche psichiche: sensibilità acuta, spirito giocoso, e grande devozione. Lupi e donne sono affini per natura, sono curiosi di sapere e possiedono grande forza e resistenza. Sono profondamente intuitivi e si occupano intensamente dei loro piccoli, del compagno, del gruppo. Sono esperti nell'arte di adattarsi a circostanze sempre mutevoli; sono fieramente gagliardi e molto coraggiosi. Eppure le due specie sono state entrambe perseguitate''.
Secondo me il problema è a monte: si vuole che sia legale l'esportazione di armi (o almeno la loro esportazione verso certi paesi e/o in certo periodi)? Finché è legale è ovvio che ci sono professioni e meccanismi di produzione legati a tale possibilità. Mi sembrerebbe strano altrimenti e non vedo grandi basi per opporsi. Quindi secondo me è da discutere più che altro riguardo all'esportazione in sé e i suoi eventuali limiti. Concentrarsi sulla specifica fabbrica mi sembra un po' miope.
Personalmente comunque non sono affatto contraria alla produzione in sé di armi perché secondo me ogni paese ha il diritto di averle almeno per potersi difendere in casi estremi. Sull'esportazione, o almeno su certi tipi di esportazione, invece ho più dubbi. In particolare, mi dà fastidio se ad esempio un paese condanna ufficialmente alcune azioni militari e poi vende le armi che verranno sicuramente usate per compierle. Non è nemmeno l'ipocrisia come principio fine a sé stesso a darmi fastidio, ma proprio l'immagine che ne deriva, che alla lunga trovo nociva per la fiducia da parte della comunità stessa nei valori che un certo stato professa.
Quanto alla questione dell'occupazione, non so nemmeno fino a che punto sia rilevante questo specifico argomento. Cioè sicuramente avrà una certa rilevanza, ma non so quanta ne debba avere. E' chiaro che, soggettivamente, se una persona è proprio disperata e non riesce a trovare altro modo per mantenere la famiglia farebbe di tutto (forse anche cose di dubbia legalità e ben peggiori), ma in generale il principio che l'aumento di occupazione giustifica qualunque provvedimento, intenso come scelta da parte dei piani alti, non mi convince molto. Cioè se ad esempio il ripristino della pena di morte (a cui io sono fortemente contraria, ma chi è favorevole metta pure qualche altra cosa che non vorrebbe che venisse legalizzata) desse dei posti di lavoro in più, io non è che cambierei parere in merito. (Poi magari se stessi morendo di fame e non trovassi alternative accetterei anche lavori legati alla pena di morte, ma questo è un altro discorso, perché sarebbe appunto una scelta di disperazione).
Dal giorno in cui Lord Beric aprì il topic è passato più di un anno, ma il tema rimane molto attuale.
La questione è complessa e verte su vari piani.
In primo luogo, quello economico e sociale. In grandi linee (chi legge avrà gli strumenti per approfondire da sé) si tratta di una realtà economicamente depressa: Domusnovas è uno dei tipici centri in via di spopolamento del Sud e delle Isole e in sostanza il fatto che la RMW (italiana) impieghi circa 350 lavoratori in una terra alla fame fa sì che la Rheinmetall (tedesca, che controlla il 100% di RMW) possa fare cose che in Germania, invece, non potrebbe fare; nei fatti, molte persone vivono un vero e proprio ricatto, che ha causato a vari dipendenti della RMW situazioni di profondo disagio a livello personale e familiare, di fortissima contraddizione interiore, tanto che sembra sia necessario, talvolta, un supporto psicologico. Insomma, è una questione drammatica.
Ma se quello che vivono le centinaia di persone di Domusnovas è un dramma, quello che vive la popolazione yemenita che cos'è?
Lascio il link di un interessante video che contiene una nota inchiesta del New York Times di fine 2017, che riguarda proprio la produzione ed esportazione di armi dalla Sardegna ed il conflitto in Yemen.
https://www.youtube.com/watch?v=PE2Fxnbvk0I
Lascio poi un secondo link, con i contributi sulla questione di esponenti di varie associazioni, tra cui Rete italiana per il disarmo e Amnesty International, raccolti da ilfattoquotidiano.it.
Peraltro, credo giovi ad una maggiore consapevolezza avere a disposizione qualche dato sulla situazione nello Yemen: l'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani parla di 17072 vittime civili, fra le quali 6592 morti e 10470 feriti (ecco il rapporto); quanto ai bambini, sui quali il conflitto pesa in maniera incommensurabile, si parla invece di 1500 morti, 2450 feriti, 1580 reclutati per combattere e di 212 scuole attaccate (rapporto UNICEF “Falling through the Cracks”, che potete scaricare qui).
Il disastro in Yemen, le migliaia di morti provocate anche da bombe “made in Italy” sono un giusto prezzo da pagare per questo... “sviluppo”?
Detto poi per inciso, visto che si parlava di limiti legali all'esportazione di armi, la legge 185 del 1990 (ovviamente inapplicata) vieta espressamente l'esportazione, il transito, il trasferimento intracomunitario e l'intermediazione di materiali di armamento «verso i Paesi in stato di conflitto armato» e «verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell'articolo 11 della Costituzione.»
Inoltre il Parlamento europeo ha votato ben tre risoluzioni riguardanti l'embargo verso l'Arabia Saudita: uno di quei casi in cui appare evidente come un rafforzamento di questa istituzione, l'unica democraticamente legittimata in ambito UE, sia più che auspicabile. Ovviamente, il tutto si è arenato quando la palla è passata ai parlamenti nazionali (in particolare in Italia).
@AryaSnow “secondo me è da discutere più che altro riguardo all'esportazione in sé e i suoi eventuali limiti. Concentrarsi sulla specifica fabbrica mi sembra un po' miope.”
In realtà, devo dire che l'approfondimento sul caso di Domusnovas mette bene in luce le mille contraddizioni (meglio, ipocrisie) sul tema, consentendone una trattazione più concreta e persino più completa, poiché rende perfettamente complessità e delicatezza del problema.
@Iceandfire "Ciò premesso io credo che bisogna essere realistici e tenere bene i piedi per terra.Voglio dire che ,specie adesso,la fame di lavoro e' tanta ,specie al Sud e nelle Isole , ed inoltre non è che se da noi non si producono armi ,gli altri paesi non lo faranno,anzi
E di questo va preso atto,non c'è ipocrisia che tenga specie se molte famiglie potranno guardare meglio al loro futuro "
Fai per ben due volte riferimento all'ipocrisia: a che cosa ti riferisci? Io penso che nelle mille contraddizioni di cui è pregna la guerra vi sia un'ipocrisia di fondo insuperabile.
Inoltre, non sono queste le situazioni che garantiscono un futuro migliore al Sud o alle Isole, rappresentando anzi, visto che siamo in tema, delle vere e proprie ipocrisie: né più né meno che ricatti.
Ritengo il “perché tanto se non lo facciamo noi lo faranno altri” un atteggiamento comprensibile, ma conservatore e anche deprecabile, per via dell'egoismo intrinseco ad esso, poiché implica la rinuncia a farsi carico di ingiustizie di cui si è perfettamente consapevoli, che almeno negli intenti si potrebbero condannare e che invece si giustificano. Conseguenza materiale di ciò è lo scaricare il peso della lotta a tali ingiustizie sulle spalle di chi verrà dopo e... questo (parlo in generale) porta a non vedere la trave nel proprio occhio, nel momento in cui si contesta l'ipocrisia (o il maglioncino in cashmere) a chi ha un differente modo di pensare.
@Manifredde Non si puó pretendere che gli altri siano eroi.
No, infatti. Le persone si liberano da sole. Ma alle volte hanno bisogno di un aiuto a svegliarsi. Alle volte è necessario avere il coraggio di battersi perché le ingiustizie, le diseguaglianze di oggi, non divengano quelle di domani. Non c'è niente di peggio che rassegnarsi di fronte all'ingiustizia. Emblematico che fra gli stessi lavoratori di Domusnovas si vivano situazioni di profonda contraddizione, deleterie anche nei rapporti familiari: leggevo di taluni lavoratori che si sentirebbero in difficoltà anche nei confronti dei propri figli.
@Il Lord Sul fabbricar bombe, non ci possiam far niente, la guerra sarà parte dell'essere umano ancora per tanto tempo, per lo meno diamo da mangiare a qualche famiglia.
E questo ci laverebbe la coscienza mentre altre famiglie vengono massacrate a migliaia di chilometri di distanza utilizzando bombe made in Italy?
Anche se la mia intenzione è andarmene, non solo dalla Sardegna, ma proprio dall'Italia son favorevole al rilancio dell'industria nell'Isola. In generale non credo molto a chi dice che si possa vivere solo di turismo e non solo perchè non siamo il massimo nel settore (il turismo funziona bene in costa smeralda, che è gestita da stranieri, ma basta venire qui da me in riviera del corallo per capire che "non ci siam buoni") ma anche perchè diversificare è più sicuro.
Comprendo quello che scrivi. Tuttavia, quando si parla di sviluppo economico e posti di lavoro, rimango fermamente convinto che il primo debba essere sostenibile. A mio parere, le morti di civili causate dall'impiego di queste armi, fatto documentato ed incontrovertibile, ci dicono che non lo è. Inoltre, per quanto si possa dire che al turismo “non ci siamo buoni”, è a prescindere dalla fabbrica di armi che un territorio come quello in questione dovrebbe cercare di riorganizzarsi e tentare nuove strade per cercare di non morire nel prossimo futuro.
È vero, la questione del destino della fabbrica è delicata e complessa, ma è anche vero che, a prescindere da esso (sia ampliamento, riconversione, chiusura) Domusnovas, come tanti altri paesi del Sud o delle Isole che vivono un drammatico spopolamento ha bisogno di idee valide per darsi un futuro, da mettere in atto con il duro lavoro, i sacrifici e la volontà di ferro di coloro che scelgono di rimanere o di tornare;di idee che partano dall'anima del territorio, dalla sua storia e dalla sua cultura, perché quanto c'è di buono va valorizzato, e non cestinato in nome di modelli di sviluppo assolutamente incompatibili con certe realtà; magari si ripartirebbe da zero (o da uno, con un progetto credibile di riconversione della fabbrica), ma si possono trovare spunti interessanti anche guardando alle esperienze di altre realtà alle prese con problemi simili: penso, ad esempio, al modello Riace messo in atto da Mimmo Lucano; magari, come suggeriva Enrico Pitzianti, il Parco geominerario della Sardegna, riconosciuto patrimonio dell'Unesco, potrebbe essere uno dei punti di partenza.
Quanto al sondaggio, nonostante sia datato, lascio comunque il mio voto, ovviamente contrario. Anche se a questo punto sarebbe interessante porre la questione, al di là del caso specifico in sé, sull'opinione favorevole o contraria alla produzione e vendita di armi.
Intanto, mentre resisto ad allargarmi anche su Nato, trattati militari, basi in giro per la penisola, F35 e quant'altro, mi chiedo come possiamo aspettarci che gli altri cambino, se noi stessi non siamo disposti a farlo.
Ah meno male quelle famiglie sono state massacrate da bombe made in china, tutto a posto! Il problema qui non è produrre armi o meno, perchè fino a che non ci sarà un'unità planetaria le armi serviranno sempre (anche raggiunta unità, ma in quel caso sarà sufficiente una forza ridotta per attività antinsurrezione/antiterrorismo) quindi è bene avere un industria nel settore il problema nel caso concreto è che si vendono armi quando non si dovrebbe, siccome hai citato anche tu il problema mi sembra contraddittoria questa precisazione nei miei confronti.
Sul secondo punto, come ho già detto, l'industria bellica è sempre meglio averla visto che gli stati del mondo non si imporranno un disarmo e baseranno la propria politica estera su corse di unicorni e ambasciate di marzapane solo perchè uno di tali stati ha deciso di abbandonare le armi e se c'è una fabbrica in Sardegna non vedo perchè chiuderla...Poi, non ti offendere, ma il "ripartire dalla nostra cultura" è una di quelle espressioni di puro politichese che non significano nulla, cosa dovremo fare puntare solo sulla millenaria cultura agro-pastorale? beh la nostra lana è pessima qualità, gli allevatori praticano molto nero e tendono ad ammazzarsi tra di loro perchè così dice il secolare codice barbaricino...andiamo ancora più indietro? ci diamo a saccheggio per tutto il mediterraneo così facciamo vedere che i nuragici facevano i vichinghi prima che fosse mainstream? A no il parco Geominerario della Sardegna, bellissimo progetto, ma è turismo e quindi manca la diversificazione perchè la cosa più sicura è avere attività produttive variegate. La verità è che ci dobbiamo fare una cultura: invece di protestare per far chiudere una fabbrica di armi dobbiamo protestare perchè ancora non abbiamo il metano, perchè ancora l'energia da noi costa molto di più rispetto al continente, perchè questa situazione scoraggia l'apertura di nuove industrie (specialmente ora che è possibile un industria meno inquinate rispetto al passato), dobbiamo piantarla di rigettare tutto ciò che è nuovo e, visto che molti credono alla favoletta che possiamo vivere di solo turismo, dobbiamo piantarla di giocare a spennare i turisti "perchè abbiamo un bel mare" e di soffocare tutte le iniziative che possono favorire il turismo (da me si lamentano di tutto, ogni nuova inziativa viene messa a tacere, in molti si lamentano che ci sia un tappa del campionato mondiale di rally perchè "in quei giorni non si trova parcheggio", e l'anno scorso c'era pure il giro d'italia "dio ce ne scampi e liberi"). Il problema non è che una fabbrica di bombe impedisce di rilanciare l'economia isolana, il problema è che la cultura retrograda e provinciale della Sardegna mina ogni tentativo serio di rilancio!
49 minutes fa, Il Lord dice:Ah meno male quelle famiglie sono state massacrate da bombe made in china, tutto a posto!
Non era assolutamente questo il senso della mia precisazione. Per me non è solo un problema di "vendere armi quando non si dovrebbe", che è già un livello oltre quelle che sono le mie idee sull'argomento: in quella risposta ho soltanto evidenziato come alle famiglie alle quali "viene dato il pane" facciano da specchio molte altre che dal risultato di quel lavoro vengono massacrate.
In secondo luogo, non ho mai detto di essere d'accordo sulla produzione e vendita di armi al di là del caso in esame. Per cui non vedo la contraddizione. Ho scritto di bombe made in Italy soltanto per evidenziare dei profili della tua presa di posizione, che arrivo a comprendere ma che non condivido.
49 minutes fa, Il Lord dice:Sul secondo punto, come ho già detto, l'industria bellica è sempre meglio averla visto che gli stati del mondo non si imporranno un disarmo e baseranno la propria politica estera su corse di unicorni e ambasciate di marzapane solo perchè uno di tali stati ha deciso di abbandonare le armi e se c'è una fabbrica in Sardegna non vedo perchè chiuderla...
Questa è una tua idea. Io la penso diversamente. Credo che se l'intenzione sia quella di perseguire l'obiettivo della riduzione delle spese militari, del disarmo, della cooperazione internazionale, della pace, allora vadano fatti dei passi in tale direzione; mentre la subalternità che lega il Paese alla NATO e tutti i vari trattati militari, l'incremento della produzione e delle spese nel settore, le "missioni" all'estero e quant'altro vanno in una direzione differente.
49 minutes fa, Il Lord dice:Il problema non è che una fabbrica di bombe impedisce di rilanciare l'economia isolana, il problema è che la cultura retrograda e provinciale della Sardegna mina ogni tentativo serio di rilancio!
Non mi offendo per la mia frase in presunto politichese, magari mi è venuta un po' male, appiattendone il significato che volevo trasmettere nelle intenzioni: so benissimo che ci siano aspetti retrogradi, ma allo stesso tempo generalizzare è sbagliato.
Comprendo quello che hai scritto sui problemi dell'isola, poiché anch'io ho toccato con mano realtà con problemi simili, ma sono dell'idea che di fondo ci siano delle cose da valorizzare anche nelle realtà rurali che si tende a vedere senza speranza nella narrazione di molti.
Sono convinto di questo e credo che un grande impegno da parte soprattutto delle nuove generazioni (che so essere molto difficile a causa dello spopolamento) possa ancora salvare e rilanciare realtà di questo tipo. Anche le nuove tecnologie possono aiutare se messe al servizio di progetti di sviluppo credibili e sostenibili. Ma è chiaro che non si tratta di qualcosa di facile, anzi, comprendo perfettamente il tuo sentire e la voglia di andar via. Ma penso ci sia ancora speranza, pur flebile.
Tornando alla fabbrica. Hai ragione su certi problemi, tocchi un tema cruciale riguardo la mentalità, ma questo non rende giusto, almeno a mio parere, qualcosa che non lo è.
Discussione ancora attuale:
Il Gip di Roma ha respinto la richiesta d’archiviazione della Procura e ha imposto il prosieguo delle indagini penali a carico dei dirigenti di Rwm Italia, che ha prodotto e venduto le bombe a Riyad, la cui esportazione è stata revocata il 29 gennaio scorso, e degli alti funzionari dell’Autorità nazionale per l’esportazione di armamenti (Uama), che ha invece rilasciato le autorizzazioni per l’esportazione degli ordigni.
Con la revoca la fabbrica è praticamente ferma con relativi problemi occupazionali. Si spera in una riconversione:
sembra che la produzione di bombe, acquistate soprattutto dall’Arabia saudita, sia aumenta notevolmente sotto il governo Renzi.
Rwm Italia è viva e lotta con noi.
https://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/nell-azienda-italiana-che-produce-i-proiettili-per-l-esercito-di-kiev/ar-AA1dqSU2?ocid=msedgdhp&pc=U531&cvid=cd3d8064a7d54cde885aaa7270f5eefd&ei=16
Si vis pacem para bellum dicevano i latini.. Le fabbriche di armi devono continuare ad esistere se uno stato vuole avere un ruolo nel mondo.. https://www.analisidifesa.it/2023/07/portolano-scorte-e-produzione-di-munizioni-inadeguate-a-sostenere-lucraina/ La rmv è una delle tante (ma non abbastanza) fabbriche di munizioni che dovrebbero sostenere lo sforzo bellico nazionale o dell' alleato di turno. La guerra in ucraina ha fatto comprendere che il mondo occidentale non sarebbe pronto a combattere in modo "analogico" in un possibile contro la russia. Gli ultimi decenni hanno visto il blocco occidentale ad occuparsi di "giocattoli" molto sofisticati tralasciando allo stesso tempo la parte in acciaio pesante posizionata a terra. I principali paesi occidentali hanno una situazione disastrosa per la linea carri ad esempio.