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LE BATTAGLIE DELLA TERRA DI MEZZO
G di GIL GALAD
creato il 04 gennaio 2004

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GIL GALAD
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Inviato il 04 gennaio 2004 21:54 Autore

****ATTENZIONE SPOILERS PESANTI****

 

 

 

 

 

LE BATTAGLIE DELLA TERRA DI MEZZO

 

 

 

Le Battaglie della Prima Era

 

 

 

La Battaglia delle Potenze

 

 

Prima guerra affrontata nel Beleriand. Dopo che Melkor scappò da Valinor per cercare di realizzare i suoi piani malvagi cessò la pace nella Terra di Mezzo: riuscì a corrompere dei Maiar (come Sauron) per farne i suoi servi più fidati nell’opera di diventare Signore di Arda. Con l’arrivo dei Figli di Ilúvatar (Elfi) , Melkor riuscì ad irretire alcuni di questi trasformandoli nell’orrenda razza degli orientali. I Valar preoccupati dalle azioni di Melkor tennero consiglio e decisero di muovere guerra aperta contro il loro nemico: fecero una cavalcata verso il Nord dove Melkor risiedeva in una fortezza sotterranea chiamata Utumno. Le prime vittorie dei Possenti dell’Ovest furono molte facili perché gli eserciti degli Orchi fuggivano intimoriti davanti a tanta maestosità e potenza. La forma della Terra di Mezzo fu mutata, il Grande Mare sì ampio e si formarono una gran quantità di golfi e di baie. Duro e lungo fu l’assedio di Utumno a causa dei grandi eserciti che Melkor opponeva ai Valar; alla fine però la fortezza venne espugnata e distrutta, Melkor fu costretto a un combattimento contro Tulkas, il più forte e il più abile nella guerra di tutti i Valar, nel quale fu sconfitto. Successivamente venne legato con Angainor, una catena indistruttibile appositamente prodotta da Aul?, e condotto a Valinor dove venne sottoposto al giudizio dei Valar: fu imprigionato per tre ere del mondo nelle aule di Mandos dove nessuno era in grado di fuggire. I Valar però, dopo la distruzione di Utumno, non giunsero fino alle aule più profonde e segrete nelle quali si celavano ancora innumerevoli creature immonde desiderose di aspettare un’ora più propizia per compiere i loro malvagi propositi; nemmeno Sauron venne trovato. Alla guerra gli Elfi non presero parte né vennero mai informati direttamente dai Valar.

 

 

 

La prima testimonianza di guerre tra gli Elfi ed i loro nemici giurati, gli orchi, si ha con la prima battaglia, che avvenne prima ancora del ritorno dei Noldor da Valinor. Ne “Il Silmarillion” si dice che ad un certo punto Thingol, abituato a commerciare con i Nani di Nogrod, concepì l’idea di forgiare armi per difendere il suo popolo, laddove nessun Elfo, nella Terra di Mezzo, aveva mai avuto bisogno di tali mezzi. Invece i Nani erano già abili fabbri ed armieri, e questo era dovuto alla diversa concezione che il loro creatore ne aveva avuto: Ilúvatar aveva concepito gli Elfi come un popolo pacifico, e dunque non aveva infuso in loro l'impulso di forgiare armi ed armature; Aulë, invece, sapendo che le ere a venire sarebbero state ardue, fece i Nani “tali e quali sono tuttora […] e desiderava pertanto che fossero forti e inflessibili”, e questa sua concezione si riflette nell’idea dei Nani di creare armi.

 

La prima battaglia

 

Questa prima battaglia vede coinvolti Thingol, Denethor e Círdan con le rispettive popolazioni, ed un piccolo contingente di Nani. Gli orchi di Morgoth escono da Angband in due ampie schiere; una si dirige ad occidente, e sbaraglia Círdan, costringendolo a ritirarsi nelle due fortezze di Eglarest e Brithombar; l’altra muove verso oriente, ma è intercettata da Thingol, uscito dalle sue terre, e dagli Elfi dell’Ossiriand, chiamati dal loro alleato Elwë. Così gli orchi, presi da due lati, sono rapidamente sconfitti, ma la vittoria riportata dagli Elfi ha un caro prezzo: alcuni di quei mostri circondano Denethor e la sua guardia del corpo, i quali, essendo armati alla leggera, non possono far fronte al ferro delle corazze e delle lance degli orchi. Purtroppo Thingol giunge troppo tardi: come riesce a farsi strada tra i nemici, compiendone carneficina, Denethor è già morto.

 

Questa battaglia non ha un significato importantissimo in sé, eppure vi sono alcune osservazioni da fare: essa causa la chiusura del Doriath con la Cintura di Melian, e la separazione dei Laiquendi in una stirpe a sé stante; inoltre, mostra bene ciò che ho accennato all’inizio: gli Elfi non sono stati creati come un popolo guerriero, perciò fanno fatica, all’inizio, a respingere gli orchi, che invece Morgoth ha voluto spietati e forti.

 

La seconda battaglia, Dagor-nuin-Giliath (La Battaglia-sotto-le-stelle)

 

Poco tempo è passato dal ritorno dei Noldor nella Terra di Mezzo, e Fëanor ha condotto i suoi nel Mithrim, sulla riva dell’omonimo lago, ad accamparsi per la notte. Prima che il campo sia pronto, però, giungono molti orchi dai passi degli Ered Wethrin, che colgono di sorpresa Fëanor ed i suoi figli; ma nonostante questo, le difese sono subito pronte, e pochi Elfi, nei quali non si è ancora “appannata nei loro occhi” la luce di Aman, dei due Alberi, sconfiggono un numero molto maggiore di orchi. Non vale a nulla anche il tentativo degli eserciti posti all’assedio di Brithombar ed Eglarest di soccorrere i loro simili, perché Celegorm, intuita la mossa, con una piccola schiera tende un agguato agli orchi che sopraggiungono, e li getta nelle paludi del Serech. Nel frattempo però Fëanor, non contento della sua vittoria, si lancia all’inseguimento dei suoi nemici, “e rideva forte agitando la spada, rallegrandosi del pensiero di aver sfidato la collera dei Valar e i perigli del cammino, e che era vicina l’ora della sua vendetta.” Fëanor, mosso dall’ira, dalle sue passioni, si stacca dai suoi, e con pochi fidati compagni raggiunge i nemici; ma presto viene sopraffatto dai Balrog, e da Gothmog stesso, intanto giunti da Angband; le sue spoglie vengono risparmiate solo dal provvidenziale arrivo dei suoi figli.

 

Questa battaglia mostra bene il lato passionale degli Elfi Noldorin, quello che li porta a fuggire da Valinor, quello che li distingue dai miti e saggi Vanyar, quello che pian piano scomparirà nella terza era, quando ormai rimarranno ben pochi di questa gloriosa stirpe, nella Terra di Mezzo. Colti di sorpresa, gli Elfi si difendono, e l’ardore con cui combattono riesce a supplire all’enorme inferiorità numerica ed al fattore sorpresa degli orchi. Vi è poi l’accenno alla luce di Aman: a differenza dei Sindar, i Noldor, pur non essendo guerrieri di natura, imparano bene: difatti divengono forti grazie al loro contatto con i Valar, e le prodezze degli Elfi di quei tempi sono ineguagliabili. Questo è dunque uno dei più importanti caratteri degli Elfi, ciò che li rende eccellenti guerrieri: la giusta ira, la passione che li muove.

 

La terza battaglia, Dagor Aglareb (la Battaglia Gloriosa)

 

Sono passati sessant’anni dalla Dagor-nuin-Giliath, ed i Noldor hanno creato molti regni, stabilizzando le proprie difese e preparandosi a nuovi scontri. Credendo che gli Elfi siano troppo occupati in affari interni per prepararsi ad una battaglia, Morgoth con grandi eruzioni di fiamme preannuncia lo scontro, ed in seguito manda tre schiere di orchi fuori da Angband: una, attraversato il Passo di Sirion, irrompe nel Beleriand occidentale, un’altra, attraverso il Varco di Maglor, tra i Monti Azzurri ed i Colli di Maedhros, giunge nel Beleriand orientale; ma queste due piccole schiere sono presto inseguite e distrutte da contingenti di Elfi, probabilmente da Círdan, ad ovest, e da altri Noldor ad est. La terza schiera, invece, attacca frontalmente il Dorthonion, ed il suo assalto viene probabilmente contenuto dai gemelli Angrod ed Aegnor; poi, Maedhros e Fingolfin, che “non stavano certo dormendo”, prendono in una morsa gli orchi, che devono battere in ritirata; ma la rapidità degli Elfi, sia a piedi sia a cavallo, permette loro di raggiungere i nemici proprio alle porte di Angband, e di eliminarli rapidamente.

 

Questa è la prima vittoria decisiva riportata dagli Elfi su Morgoth, e mostra i primi segni di superiorità tattica e logistica degli Elfi: ancora una volta, gli orchi attaccano quando le difese degli Eldar non sono perfette, ma il fatto che essi siano divisi in molti regni alleati gioca a loro favore, perché così le bande che compiono scorrerie sono rapidamente bloccate ed eliminate; inoltre, si nota la supremazia della cavalleria elfica, che permette a Maedhros e Fingolfin di giungere rapidamente in aiuto di Angrod ed Aegnor, ed anche di percorrere la grande piana di Ard-Galen in fretta, spacciando così gli orchi prima che essi possano tornare dal loro padrone.

 

La quarta battaglia, Dagor Bragollach (la Battaglia della Fiamma Improvvisa)

 

Dopo la Dagor Aglareb si hanno circa 400 anni di pace, turbata solo poche volte da brevi scorrerie di orchi (significativo è l’attacco portato da Glaurung, il padre dei draghi, ancora non completamente formato, a Fingon, 200 anni dopo la Terza Battaglia, che però è quasi fatale per la nuova creatura di Morgoth). Alla fine di questi, caratterizzati da un lunghissimo assedio ad Angband, portato con truppe stanziate nell’Ard-Galen, in una notte d’inverno i tre picchi di Thangorodrim eruttano nuovamente, ma questa volta molti Elfi sono intrappolati nei fiumi di lava, mentre nubi di fumo si alzano dal terreno (Ard-Galen viene dunque rinominata Anfauglith, la Polvere Soffocante). Questa Quarta Battaglia è in verità la prima vera battaglia del Beleriand: le tre precedenti erano state poco più che scaramucce, in cui Morgoth aveva solo saggiato il potere dei suoi nemici; ed inoltre, si ha per la prima volta il carattere costitutivo delle battaglie del Beleriand, e cioè che esse non si limitano ad uno scontro, in un luogo preciso, ma sono delle vere e proprie campagne militari, con una serie di eserciti e di battaglie che si articolano lungo vari giorni.

 

Dopo la letale eruzione, Glaurung esce in tutta la sua maestosa potenza, e dopo di lui i tremendi Balrog, e dopo ancora orde di orchi, in numero tale che “i Noldor mai avevano visto né immaginato”. L’assedio di Angband viene infine rotto, dopo quasi mezzo millennio, e vi è grande sterminio di Noldor, Sindar ed uomini. Angrod ed Aegnor, assaliti nel Dorthonion, resistono strenuamente, ma rimangono uccisi dalla potenza di una delle tre orde che Morgoth aveva liberato, quella centrale; la schiera occidentale si getta verso lo Hithlum, dove Fingolfin e Fingon resistono fino all’ultimo, e nei pressi del Passo di Sirion si accende una furiosa lotta tra Finrod Felagund, re del Nargothrond, e gli orchi; e poco prima che sia troppo tardi per il re, accerchiato alle paludi del Serech, giunge Barahir, fratello di Bregolas, caduto in battaglia al fianco di Angrod ed Aegnor, e salva Finrod da morte certa. Questo è dunque quanto è accaduto nel Dorthonion, per quanto attiene ai figli di Finarfin.

 

Gli stessi figli di Fëanor certo non hanno vita facile: una volta forzato il passo di Anglon, Celegorm e Curufin vengono sconfitti, e sono costretti a ritirarsi verso il Nargothrond. Maedhros, da parte sua, combatte come un leone, e la fortezza sul monte Himring resiste ad ogni assalto nemico, e molti Elfi vi si riuniscono, in modo da fortificare nuovamente il passo di Aglon. Purtroppo, però, la cavalleria elfica viene pesantemente sconfitta da Glaurung, e gli orchi passano in forze attraverso il passo di Maglor, devastando il Thargelion, impadronendosi anche del Monte Rerir, una grande fortezza, e del lago Helevorn; e dunque, Maglor è costretto a fuggire da Maedhros, invece Amrod, Amras e Caranthir si riunirono su Amon Ereb, il bastione più meridionale delle genti degli Eldar.

 

Ad occidente, invece, Fingolfin ed i suoi figli resistono con maggior facilità, ad Eithel Sirion; e nonostante muoiano due grandi condottieri umani, Hador Chiomadoro e suo figlio Gundor, la vittoria è nelle mani degli Elfi. Fingolfin, però, ricevendo notizie della disfatta dei figli di Fëanor e di quelli di Finarfin, il re Fingolfin parte alla volta di Thangorodrim, deciso a sfidare Morgoth in persona, e così accade: la sfida tra il re di tutti i Noldor della Terra di Mezzo ed il Valar più potente è aspra, ma nonostante il coraggio e la potenza di Fingolfin il duello volge a favore di Melkor. Vediamo l’opposizione chiara tra Morgoth, imponente e terribile, le cui armi non gettano riflessi, ma ombra, che cala lento ma inesorabile la sua mazza, Grond, e Fingolfin, più basso ed esile, vestito di bianco ed argento, le cui armi, invece, brillano come stelle; e la sua spada Ringil è rapida e letale. La rapidità di Fingolfin provocò a Morgoth ben sette ferite, ma alla fine, questi riuscì a colpire, mettendo in ginocchio il re, finché l’Elfo non cadde bocconi, e Morgoth lo schiacciò. Con un ultimo sforzo disperato, però, Fingolfin riesce, con un netto fendente, a tranciare il piede di Morgoth, esaurendo così le sue forze.

 

Questa, come ho già accennato, è la prima grande battaglia combattuta dagli Elfi, ed è quella che forse meglio sintetizza le caratteristiche delle guerre elfiche: la divisione in molti regni alleati, che combattono insieme, il sincretismo delle varie tecniche di guerra (ci sono i Sindar, che amano combattere con imboscate, i Noldor, che sono forti e veloci, gli Umani, che sono travolgenti e desiderosi di ottenere meriti presso gli Elfi e, a volte, anche se non in questo caso, i Nani, che sono lenti, resistenti e ben corazzati). Ora, però, inizia a farsi vedere il divario che c’è tra Morgoth e gli Elfi, non ben preparati ad un attacco del genere: Morgoth è un oscuro signore che trama nell’oscurità, e che è in grado di creare i mostri e le creature belliche più devastanti (basti vedere i draghi oppure i Balrog); d’altra parte, gli Elfi devono contare solo sulla loro stessa forza, sia fisica sia di volontà, e sulla benevola magia che intesse le loro armi. Infatti, è magia quella che permette alla splendente Ringil, la spada di Fingolfin, di mozzare un piede a Morgoth con un solo fendente, ed è magia delle più potenti invero. Vediamo per la seconda volta in azione la furia di battaglia: Maedhros, il cui spirito è simile ad una fiamma, dopo i tormenti subiti, riesce a scacciare gli orchi con il suo impeto, da una parte, ma dall’altra la furia di Finrod e di Fingolfin porta il secondo alla morte, ed il primo ad un passo da essa, per aver corso eccessivi rischi.

 

La Quinta Battaglia, Nirnaeth Arnoediad (la Battaglia delle Innumerevoli Lacrime)

 

È il 473 della Prima Era. Sono passati altri diciotto anni dalla Dagor Bragollach, e sotto l’impulso delle gloriose gesta di Beren e Luthien, riusciti a recuperare un Silmaril dalla Corona di Ferro di Morgoth, Maedhros decide di riprendersi ciò che è stato rubato a Fëanor suo padre, e di compiere così il giuramento dei Figli di Fëanor. Maedhros riesce così a formare una coalizione incredibile, veramente impressionante per forza, potenza ed abilità: Maedhros ed i suoi fratelli, assieme a schiere di Nani e di uomini (comandati da Uldor, un gruppo, e da Bór un altro) devono penetrare nell’Anfauglith da est, ed attirare Morgoth fuori da Angband, mentre Fingon, a capo di una coalizione fatta dagli uomini del Dor-lómin e del Brethil, da Elfi delle Falas e dello Hithlum, ed anche da piccoli gruppi provenienti da Nargothrond (con Gwindor) e dal Doriath (con Mablung e Beleg), deve attendere nascosto tra gli Ered Wethrin, ed attaccare in seguito. Purtroppo Morgoth, avvedutosi del piano d’attacco degli Elfi, mette in atto un piano diabolico: per prima cosa, corrompe alcuni uomini della schiera di Uldor, e questo stesso trattiene Maedhros con false notizie, in modo che egli ritarda di molto il suo arrivo; ma proprio mentre le cose stanno per mettersi male, giunge Turgon da Gondolin, con ben 10.000 Elfi armati e vogliosi di combattere; e la speranza si rinnova nel cuore di Fingon. Entra in gioco però la seconda parte del malefico piano di Morgoth: alcune bande di orchi, in apparenza grandi, ma in verità solo una parte di quelle che Morgoth ha pronte, sfidano gli Elfi appostati nello Hitlum, giungendo fino agli avamposti di Eithel Sirion; lì, prendono un prigioniero, Gelmir del Nargothrond, e lo decapitano, scatenando la furia di molti Elfi, e di Gwindor soprattutto, fratello del morto. Dunque, nonostante Maedhros ancora non sia giunto, dopo quattro giorni di attesa Fingon ed alcuni Gondolindrim cavalcano sull’Anfauglith, spacciando completamente il contingente che li ha sfidati; ma l’avanguardia, giunta sino sulle scale di Angband, è completamente eliminata, con l’eccezione di Gwindor, preso prigioniero da Morgoth.

 

Il giorno seguente, la speranza si riaccende: giunge Turgon da Eithel Sirion, e giunge infine anche Maedhros, e l’esercito degli Elfi è al completo; ma entra ora in gioco la terza, diabolica parte del malefico piano di Morgoth. Uldor, Ulfast ed Ulwarth, gli uomini traditori, attaccano la retroguardia di Maedhros, essendo nel suo esercito, e nel contempo orde di Orientali giungono dalle colline, e seminano il panico nelle schiere di Maedhros, che sono costrette a ritirarsi; d’altra parte, i Nani riescono a mettere in fuga Glaurung, nonostante perdano il loro re Azhagâl.

 

Nella schiera occidentale, similmente, Fingon e Turgon vengono assaliti da una forza nemica circa tre volte la loro, e Gothmog riesce a penetrare fino al Re dei Noldor stesso, ed inizia con lui un duello; morte le guardie del corpo dell’Elfo, Fingon combatte con forza e coraggio, ma giunge un secondo Balrog, che con la sua frusta di fuoco lo intrappola, e Gothmog colpisce con la sua ascia, frantumando il candido elmo dell’elfo; “e una fiamma bianca sprizzò” da esso, quando l’ascia colpisce.

 

Morto anche Fingon, la battaglia è finita, e Turgon viene convinto da Húrin e Huor, suoi amici, a fuggire e tornare a Gondolin, in modo che essa sia l’ultimo baluardo degli Elfi; ed Ecthelion e Glorfindel coprono i lati dell’esercito, mentre Húrin, Huor e gli uomini del Dor-lómin difendono la ritirata, compiendo il più grande gesto che mai uomo abbia tentato, nella storia degli Edain.

 

Questa Nirnaeth Arnoediad è un po’ il culmine di tutte le battaglie, ed è anche l’ultima combattuta dai del Beleriand nel tentativo di sconfiggere Morgoth; i due scontri successivi, cioè la Battaglia di Gondolin e la Guerra dell’Ira sono una a solo scopo difensivo, l’altra è invece portata dai Valar, e dagli Elfi di Valinor. La Battaglia delle Innumerevoli Lacrime è, se vogliamo, la battaglia “dei se”: infatti, molte sono le incognite, i fatti che, se si fossero svolti diversamente, avrebbero cambiato il destino di quella battaglia. Per esempio, possiamo pensare che, se invece di piccoli gruppi dal Doriath e da Nargothrond, fossero giunte tutte le truppe di cui i due regni dispongono (cioè se Finrod fosse stato ancora vivo, per intenderci), e se anche Turgon avesse svuotato completamente Gondolin, le cose sarebbero state un po’ diverse. Ma soprattutto, se Uldor ed i suoi non avessero tradito, anche solo se non fossero mai arrivati, e quindi se Maedhros ed i suoi fossero già al punto stabilito il primo giorno, e dunque se non vi fosse il tradimento degli uomini, tutto sarebbe stato diverso: Maedhros ed i suoi uomini avrebbero sconfitto i draghi e si sarebbero ricongiunti con l’esercito di Fingon e Turgon, molto più forte di quello che è stato veramente: non 10.000 da Gondolin, ma forse il doppio, ed altrettanti da Nargothrond e dal Doriath: i guerrieri della schiera ovest avrebbero superato il numero di 50.000 quasi di sicuro, e nemmeno Gothmog avrebbe potuto fare alcunché contro la potenza di un simile esercito. Ma purtroppo, la battaglia ha preso una piega diversa, ed è stata la più grande disfatta della storia elfica.

 

In questa battaglia si evidenzia bene il ruolo del tradimento, l’arma principale di Morgoth, anche in battaglia: è quello il vero motore della sconfitta degli Elfi. Notiamo poi che gli uomini stanno prendendo sempre più importanza, sia con sia contro gli Elfi; ed anche i Nani hanno un grande ruolo, nella lotta contro Glaurung: ed è proprio la loro resistenza al fuoco, le maschere che portano e la resistenza delle loro armi ed armature che permette loro di sconfiggere il grande drago, pur perdendo il loro re.

 

Sono talmente tante le cose che si potrebbero dire riguardo a questa gloriosa battaglia, che non basterebbero le poche pagine di questo scritto; mi limiterò a far notare, oltre a quanto ho già detto, come si accentui la sproporzione tra gli Elfi, pochi ma eccellenti, sia per cuore, sia per qualità di combattimento, e gli orchi, che sono orde di schiavi, e rischiano di perdere nonostante tutti i trucchi di Morgoth. Ed è ora che si inizia a sottolineare l’importanza degli Uomini, che poi vedremo come elemento costitutivo della Terza Era: è il tradimento di Uldor ed i suoi che permette la vittoria di Morgoth, che non sarebbe altrimenti avvenuta. Possiamo infine dire, ed a ragione, che questa è la più grande e complessa delle battaglie combattute nella Terra di Mezzo, sebbene in quanto ad importanza finale e ad impiego di soldati sia seconda alla Guerra d’Ira; in essa si raggiunge il picco della gloria e della potenza degli Elfi, che però nulla può contro la schiacciante malvagità di Morgoth, che in quanto Valar decaduto ha dei poteri di certo superiori a quelli di Fingon e dei suoi.

 

La Guerra d’Ira

 

Nonostante non sia considerata alla stregua delle Grandi Battaglie del Beleriand, la Guerra d’Ira è, in effetti, la sesta di queste lotte. Di essa si hanno pochissime testimonianze negli scritti che abbiamo: tra le traduzioni italiane abbiamo soltanto il breve passo che il Silmarillion le dedica; né i Racconti Incompiuti, Ritrovati o Perduti ne parlano diffusamente, nonostante in questi ultimi vi sia un accenno alla “Marcia di Inwë”; ma non abbiamo notizie soddisfacenti.

 

Sappiamo soltanto che non fu un capolavoro di strategia come, per esempio, la Nirnaeth Arnoediad, anzi fu abbastanza lineare e, direi, banale: sbarcati nella Terra di Mezzo, gli eserciti dei Noldor di Finarfin e dei Vanyar di Ingwe, con tutta la loro possanza marciano verso l’Anfauglith; ed a loro si uniscono molti uomini, ma nessuno dei Quendi della Terra di Mezzo. Il Silmarillion racconta che Eärendil , preoccupato per la sorte del Beleriand, decise di cercare la terra di Valinor dove andare ad invocare l’aiuto dei Valar in modo da metter fine al potere di Melkor. Eärendil , con l’aiuto di Círdan il Carpentiere, costruì Vingilot: questa era una barca capace di solcare anche i venti del cielo. I suoi tentativi fallirono ma, quanto decise di tentare un’ultima volta, grazie all’aiuto del Silmaril consegnatogli dalla moglie Elwing, riuscì ad arrivare ad Aman, primo tra gli Uomini mortali. Qui venne accolto da Eonwë, araldo di Manwë, e portato davanti al Consiglio dei Valar al quale era intervenuto anche Ulmo: Eärendil raccontò i fatti delle Due Stirpi, chiese pietà per i Noldor e chiese aiuto contro Melkor. Questo non si aspettava un attacco da parte dei Signori dell’Ovest e infatti rimase molto turbato alla notizia della guerra. L’esercito dei Valar si apprestava alla battaglia e con loro erano le schiere dei Vanyar e dei Noldor rimasti in Aman guidati da Finarfin. Melkor fece uscire tutte le armate ma queste non bastarono per fermare l’avanzata dell’Ovest:i Balrog furono annientati salvo quei pochi che fuggirono e si nascosero in angoli remoti della Terra di Mezzo;gli Orchi spazzati via e gli Uomini che avevano tradito subirono la vendetta degli Elfi. Melkor allora tentò un’ultima disperata difesa:fece uscire i terribili draghi alati guidati da Ancalagon il Nero il più grande e possente dei Draghi alati ma venne Eärendil su Vingilot insieme alle Aquile e sbaragliò tutti i draghi compreso Ancalagon che fu scagliato sui picchi dei Thangorodrim distruggendoli:la battaglia era vinta. I Valar distrussero definitivamente la fortezza di Melkor al quale vennero tagliate le gambe e successivamente venne gettato nel vuoto atemporale fuori dalle Mura del Mondo perennemente vigilato da Eärendil. Le schiere dell’Ovest fecero ritorno in Valinor dispiaciuti per la perdita dei due Silmaril. Infatti Maedhros e Maeglor (gli unici due figli di Fëanor rimasti in vita) rubarono le due gemme sottratte dalla corona di Melkor ma, a causa della rottura del giuramento fatto da loro padre, furono ustionati al contatto coi Silmaril. Maedhros si gettò in un baratro infuocato con una delle gemme, Maeglor gettò il suo in Mare mentre l’altro rimase custodito da Eärendil in cielo. Così terminò la Grande Guerra o Guerra d’Ira e con essa il potere di Melkor.

 

“Qui termina il SILMARILLION. Se in esso si è passati dall’eccellenza e dalla bellezza alla tenebra e alla rovina è perché tale era, fin da tempi antichissimi, il destino di Arda Corrotta; e se un mutamento si verificherà, e la Corruzione sarà cancellata, lo possono sapere solo Manwë e Varda, i quali però non l’hanno rivelato, né se ne trova traccia nelle sorti di Mandos”. Questa è la frase che conclude il racconto, ed in essa si allude, seppur velatamente, alla più grande battaglia che il mondo conoscerà: la Dagor Dagorath, la Battaglia delle Battaglie, in cui tutti i guerrieri torneranno in vita, sia quelli del bene, sia quelli del male, e lo scontro sarà tremendo; Morgoth stesso tornerà in Arda, e darà battaglia ai Valar; in duello, Finwë, Eönwë e Túrin Turambar lo sconfiggeranno, e sarà proprio quest’ultimo ad infliggergli il colpo di grazia, compiendo così il destino e la vendetta suoi, e della famiglia di Húrin Thalion. Ma di questo abbiamo pochissime notizie, tutte provenienti da un testo che non è stato tuttora tradotto in italiano "The Shaping of Middle Earth".

Queste sono le grandi battaglie della Prima Era, quelle in cui gli Elfi hanno avuto una parte fondamentale; se in quelle successive non ne avranno più molta, questo è dovuto al fatto che quello è il loro destino: di lasciare il posto ai fragili umani.

 

La presa della Rocca Nascosta

 

Uno dei fatti che maggiormente ha influenzato la storia della Terra di Mezzo, e che prelude alla chiusura della Prima Era, è di sicuro la Caduta di Gondolin, uno dei racconti che erano più a cuore a Tolkien, tanto che esistono varie stesure di esso; e di sicuro, la suspence che ci fornisce è quasi ineguagliata nei suoi scritti (se escludiamo, ovviamente, Il Signore degli Anelli).

 

Per prima cosa, dobbiamo distinguere chiaramente tra le fonti che il Maestro stesso (mi riferisco, chiaramente, a Tolkien) chi ha fornito: io citerò e prenderò spunti da “Il Silmarillion”, (abbrevierò in Sil), dai “Racconti Incompiuti” (RI) e dai “Racconti Perduti” (RP). Quest’ultimo testo contiene la versione più vecchia del racconto, che dunque presenta differenze abissali con la versione definitiva del 1930 (quella del Silmarillion, che tutti conosciamo), ma è l’unica che sia insieme completa e soddisfacentemente estesa.

 

La caduta di Gondolin

 

Siamo nell’anno 511, sono passati trentotto anni dalla Nirnaeth Arnoediad, ed a Gondolin vi è stata pace. Tuor, figlio di Huor, è giunto fino alla città dai Sette Nomi, e si è insediato in essa, divenendo un principe, ma facendo sì che l’invidia cresca in Maeglin, nipote di Turgon; Tuor ha, infatti, sposato la bella Idril Celebrindal, figlia del re, e i due hanno avuto un bel figlioletto, Eärendil, uno dei due mezzelfi esistenti (l’altra è Elwing, figlia di Dior, figlio di Beren e Luthien). Dunque, tutto pare andare per il meglio, ma accade che finiscono le avventure/tragedie dei figli di Húrin, e questi, dopo anni di prigionia, viene liberato dalle catene; giunto vicino agli Echoriat, i Monti Cerchianti, invoca l’amico Elfo senza però ottenere risposta (“Turgon, Turgon ricordati delle Paludi di Serech! O Turgon, possibile che tu non mi oda nelle tue aule nascoste?”. Ma nessun suono gli giunse in risposta, salvo quello del vento tra l’erba secca. “Proprio così sibilavano in Serech al tramonto” /Sil 287); così, non ricordando la strada, se ne va, ma le spie di Morgoth notano questo suo gesto, e riferiscono al loro signore; e così, cade il grande segreto di Gondolin. In seguito Maeglin (Meglin nella versione di RP), uscito dalla città contro il volere di Turgon, viene catturato poco lontano dagli Echoriat dalle spie di Morgoth (Melko in RP); di lui si dice che “non era né un debole né un pusillanime”, (da notare come, in questo passo, lo stile sembri enormemente quello dei grandi storiografi latini, come Sallustio; e proprio come quest’ultimo, Tolkien esalta il nemico, per rendere ancora più eccellente poi la vittoria di Tuor), ma dopo i tormenti di Angband, assieme anche alla promessa di divenire sovrano di Gondolin e risposare Idril, il principe figlio di Eöl, che già cova risentimento verso Tuor, decide di rivelare la posizione di Gondolin, e di facilitare la battaglia a Morgoth conducendo la sua casata contro Tuor stesso. Nei Racconti Perduti, si fa menzione solo a quest’ultima parte; e per di più, manca la finezza stilistica dell’esaltazione di Maeglin: in RP il figlio di Eöl cede ai nemici senza nemmeno una tortura; e tutto questo per portare la rovina a Tuor ed Eärendil (Eärendel in RP); RI non ha nulla di tutto ciò, perché sventuratamente si ferma all’arrivo di Tuor a Gondolin.

 

A proposito delle casate, in Sil si menzionano solo la casa della Fonte, guidata dal nobile Ecthelion, e quella del Fiore d’Oro, che ha a capo il famoso Glorfindel dai capelli gialli (lo stesso che, migliaia di anni dopo, accorrerà da Aragorn e Frodo prima del guado del Bruinen). In RP, invece, si ha un’accurata distinzione delle undici (dodici se comprendiamo anche la casata reale di Turgon) stirpi di Gondolin, e di ognuna si dicono le caratteristiche principali.

 

Per primi vediamo gli Elfi del Cuore Scarlatto, cioè Turgon ed i suoi seguaci; abbiamo poi la gente dell’Ala Bianca, cioè quelli di Tuor, quelli della Talpa, cioè la truppa di Maeglin; poi vi sono le genti della Rondine, con a capo Duilin, il più grande arciere su bersaglio, e quelle dell’Arco Celeste, comandate da Egalmoth, le cui frecce volano più lontane di quelle di chiunque altro. Ci sono anche le genti del Pilastro e della Torre di Neve, comandate da Penlod, il più alto di tutti i Noldor, ed ancora vi sono gli elfi dell’Albero, guidati dal valoroso Galdor, e quelli del Fiore d’Oro, capitanati da Glorfindel dalla chioma d’oro, uno dei più belli dei Noldor. Continuando, troviamo le genti della Fonte, guidate dal nobile Ecthelion, “dalla voce di musica”, quelle dell’Arpa, che andavano in battaglia sotto il vessillo del malvagio Salgant, ed infine, ma non certo meno importanti, vi erano le genti del Martello d’Ira, il cui capo era Rog, il più forte di tutti i Noldor. Sarebbe interessante sviscerare le descrizioni di ogni singolo schieramento, e le caratteristiche di tutti i capitani, ma non è questo il luogo adatto: tratto dell’aspra battaglia che ha infuriato per le bianche vie di Gondolin, non del suo stato in pace. Meriterebbe anche un confronto accurato della descrizione della figura del nobile Ecthelion della Fonte, di cui Tolkien ci fornisce due profili tanto accurati quanto diversi in RP ed RI.

 

Inizia dunque la battaglia. In Sil, come sempre,si ha una descrizione molto sommaria della lotta: si dice che Morgoth liberò quasi tutte le sue forze, usando Balrog, orchi, draghi della stirpe di Glaurung e lupi. Si dice che vi furono innumerevoli gesta di grandissimo valore, come il glorioso duello tra Ecthelion e Gothmog, e la tragica caduta della torre di Turgon, difesa fino all’ultimo dai suoi familiari. Si dice poi che Tuor riesce a salvare Idril ed Eärendil dalle grinfie di Maeglin, e che battutolo, lo scaglia giù da Amon Gwareth. Per ultima cosa, si accenna alla ritirata di Tuor ed Idril, attraverso Cirith Thoronath, e l’estremo duello tra Glorfindel ed un Balrog, su un pinnacolo roccioso.

 

Essendo la versione di RI incompleta, la fonte principale sulla Caduta di Gondolin, ed anche la più interessante è quella di RP. Per prima cosa devo fare un accenno sul concetto di Balrog: nelle versioni più tarde, i Balrog sono pochi (sette o nove), e dal potere eccezionale (i Balrog sono più o meno la versione malvagia degli Istari, a cui appartengono Gandalf e Saruman; e dunque, il loro potere supera di gran lunga quello della maggior parte dei figli di Ilúvatar); in RP, invece, si accenna a orde di questi demoni, e si dice che centinaia ne morirono nel giorno della Caduta di Gondolin; ma esaminerò questo più nel dettaglio più avanti.

 

Il tutto inizia al grande consiglio di guerra dei nobili di Gondolin, a cui erano presenti proprio tutti: Turgon e Tuor, Duilin, Egalmoth, Penlod, Rog, Galdor, “l’aureo Glorfindel ed Ecthelion dalla voce di musica”; ed anche Meglin e Salgant. Alle notizie dell’imminente attacco, Tuor e tutti i nobili volevano uscire allo scoperto, assaltando il nemico di sorpresa; e tutti erano d’accordo, anche se c’erano opinioni diverse sul piano migliore; solo Salgant e Meglin, invece, parlano diversamente, e pungono Turgon nell’orgoglio che lui cova per la sua città ed i suoi tesori; e così, sebbene siano in minoranza, i due convincono Turgon a rimanere in città, contro il parere degli altri nobili; e si dice che Tuor, sapendo che Gondolin sarebbe caduta a causa del fraudolento consiglio dei due, “lasciò l’aula del re in lacrime”.

 

Inizia allora la vera e propria battaglia, con draghi di fuoco (come Glaurung) ed altri di ferro e di bronzo che si gettano all’attacco. Alcuni serpenti meccanici scalano i bastioni, e riescono ad aprire le porte; e nulla possono le catapulte di Turgon, cosicché gli orchi hanno via libera, entrando in città. Allora Rog e Galdor, e con loro tutte le genti del Martello d’Ira e dell’Albero, si lanciano contro il nemico, brandendo i loro martelli e le loro mazze, e “gli orchi caddero come foglie”; e nel frattempo anche le genti della Rondine e dell’Arco colpiscono con una gragnola di frecce “pari alle buie piogge d’autunno”, ed uccidono molti nemici; ma anche molti Gondothlim (abitanti di Gondolin, detti anche Gondolindrim in fonti successive) cadono sotto il fuoco amico.

 

Nel frattempo Tuor ed i suoi dell’Ala combattono con forza, dirigendosi verso la casa del fedifrago Meglio, che raggiungono mentre, rapiti Eärendel ed Idril, sta per gettare l’uno nel fuoco, ed è in procinto di rapire l’altra e portarla via con sé. Tuor, che Salgant non è riuscito a trattenere (aveva avuto paura, e si era precipitato a casa, tremante), raggiunge dunque Meglin, essendo che gli uomini della Talpa, sdegnati per il comportamento del loro signore, si allontanano da lui; ma Tuor balza su di loro, e ne compie strage, finché riesce a salvare Eärendil appena in tempo, e scaglia Meglin giù da Amon Gwareth (esattamente come in Sil) dopo una breve lotta. La furia di Tuor è tale che il numero degli uomini della Talpa non basta, e questi vengono sconfitti in fretta. Il principe ed i suoi Elfi dell’Ala accorrono allora verso la Porta, dove trovano la situazione molto difficile: Duilin, signore della Rondine, è morto a causa di un dardo, e dunque sono già morti due dei dieci principi di Gondolin.

 

Accade, però, che Rog con furia sprona i suoi all’attacco, con un alto urlo di guerra; e brandendo la sua mazza si fa strada fino alla Porta; gli Elfi del Martello d’Ira compiono allora una delle imprese più gloriose dell’intera storia degli Elfi, decimando le schiere dei Balrog, e si dice che “il numero dei Balrog che perirono laggiù fu oggetto di terrore e meraviglia per le schiere di Melko, poiché prima di quel giorno nessun Balrog era stato ucciso per mano di Elfi o Uomini”. Gothmog, allora, vista la situazione, manda un gruppo di Balrog a trattenere l’avanzata di Rog, e tutti gli altri li spedisce vicino alla Porta, in modo che Rog non possa tornare indietro, a meno di grandi perdite; ma il valoroso Elfo si getta in avanti, e così con lui i suoi uomini impavidi, il cui valore rimarrà ineguagliato; e dunque, quegli Elfi inseguono fino alla pianura il gruppo di Balrog che hanno davanti “ora per tremenda necessità piuttosto che per astuzia”. Però, la sortita costa caro a quelli: accerchiati da orchi e Balrog, e trovandosi ad affrontare un drago, muoiono tutti attorno a Rog, ma a quale prezzo per Gothmog ed i suoi! Si dice che ogni Elfo del Martello d’ira abbia strappato “la vita a sette nemici in cambio della sua”. Ma la situazione diviene sempre più drastica, per la morte di Rog ed, in città, di Penlod l’alto: sono ormai solo sei i principi di Gondolin.

 

Vi sono molte perdite sulle mura, scalate dai “diavoli di Melkor”, specialmente nelle genti della Rondine e dell’Arco Celeste, ma in verità la situazione volge leggermente a favore dei Gondothlim: le perdite nelle schiere di Gothmog sono molto più consistenti che in quelle dei Noldor, e molti Balrog sono caduti, provocando il terrore nelle file di Angband. A migliorare le cose per i Noldor giungono gli Elfi della Fonte, finora tenuti di riserva da Turgon, al suono dei flauti, brillando di cristallo ed argento; ed “Ecthelion dalla bella voce gridò di sguainare le armi”, balzando sui nemici subitaneamente, e sotto le loro lame cadono il maggior numero di orchi che mai il popolo degli Eldalië abbia visto morire, in una sola battaglia.

 

Avviene dunque che Tuor ed Ecthelion si affiancano, e combattono insieme le loro genti, incalzando gli orchi fino alla Porta; ma giungono in soccorso alcuni draghi; Tuor raduna allora sotto il suo vessillo anche molti sbandati dell’Arco Celeste e della Rondine, e lui ed Ecthelion decidono di resistere lì, nonostante le fiamme dei draghi. I due, Elfo ed uomo, spacciano molti capitani degli orchi, e giungono, da soli, dai Balrog; e le loro gesta individuali sono ineguagliate: Ecthelion uccide ben quattro demoni, e Tuor, brandendo la sua ascia Dramborleg, ne spaccia addirittura cinque. “Ma pochi non possono combattere a lungo contro molti”, e sventuratamente Ecthelion viene colpito, ed il braccio che regge lo scudo spezzato, cosicché Tuor deve sorreggerlo, e i due devono ripiegare. Tuor salva così Ecthelion della Fonte, ma gli orchi si sono impadroniti ormai di tutta la parte settentrionale della città, e premono per entrare nella piazza della Fonte, dove però il solo Galdor, con pochi dei suoi uomini, resiste strenuamente.

 

Allora Galdor riesce a salvare i due valorosi da morte certa, ed insieme si ritirano nella Piazza del Re, e con loro è un buon battaglione di Elfi della Rondine, dell’Arco Celeste, dell’Albero, dell’Ala e della Fonte. Ad aiutarli giunge dunque Glorfindel, e con lui gli uomini del Fiore d’Oro, dopo un grande scontro nella parte orientale della città; e nello stesso tempo, anche gli Elfi dell’Arpa, disobbedendo agli ordini di Salgant, il loro codardo signore, giungono nella Piazza del Re; e non solo, anche Egalmoth, abbandonato il suo arco, raccoglie gli ultimi sopravvissuti dell’Arco e della Rondine, e con loro, e radunando donne e bambini, si fa strada verso la Piazza, e si riunisce agli altri principi. In quel punto si raduna almeno un rappresentante di ogni stirpe, tranne che del Martello d’Ira, i cui componenti sono tutti periti attorno a Rog nella gloriosa sortita; e le genti del Cuore Scarlatto, rimaste attorno al re, sono ancora intatte e riposate.

 

Giungono però allora sette draghi e molti orchi, e gli Elfi lì riuniti danno inizio alla più disperata quanto ostinata resistenza della storia del popolo degli Eldalië, e di Egalmoth e Tuor si dice che “si spostavano da un luogo all’altro della difesa, mentre però Ecthelion giaceva presso la fontana”. Tuor, separato da Egalmoth, indietreggia fino alla fontana centrale, ma giunge “Gothmog in persona, signore dei Balrog e figlio di Melko”; e Tuor forse non riuscirebbe a vincere, se Ecthelion, “il più bello dei Noldor”, dalla voce di musica e pallido in viso, si gettasse contro il demone; ma nonostante il valore del principe, Gothmog sta per avere la meglio. Deciso a morire per la sua città ed il suo amico, allora, Ecthelion si lancia, e colpisce in pieno petto il Balrog con il suo elmo, facendolo cadere nella fontana; e i due affogano insieme, l’uno essendo una creatura di fuoco, l’altro essendo ferito e molto pesante per i suoi armamenti.

 

Piange allora Tuor la morte dello splendido amico, ma nel medesimo momento, vedendo l’incertezza del nemico di fronte alla morte del loro capitano, scendono in battaglia anche gli uomini del Cuore Scarlatto, e con loro Turgon stesso combatte, e loro uccidono ben quaranta Balrog ed un drago; e si dice che uccidere un drago è impresa ben più ardua di spacciare quaranta demoni (ennesimo segnale del cambiamento di prospettiva di Tolkien: se pensiamo che nella Terza Era Smaug viene sconfitto da una sola freccia, piazzata nel punto giusto, mentre Gandalf, per avere la meglio sul Balrog, rischia di morire; e la magia di Mithrandir è di sicuro più potente di una freccia, e lui, essendo un Maiar, è molto più forte di Bard di certo). Però, nonostante le gloriose gesta di tutte quelle genti, Gondolin deve cadere, e questo Turgon, vicino alla morte, lo sa bene; suggerisce che i superstiti fuggano e si mettano in salvo, poi, abbandonata la corona, sale da solo sulla torre, e grida forte, in faccia agli orchi: “Grande è la vittoria dei Noldoli” (Noldoli è il nome di RP per Noldor).

 

Tuor, allora, cerca di convincere il re a fuggire per la Via segreta che Idril ha fatto scavare negli anni; ma Turgon, irremovibile, rimane sulla torre, deciso a perire con la sua città, come il capitano di una nave, che affonda con essa; e così, gli uomini del Cuore Scarlatto ancora in vita rimangono ai piedi della casa del sovrano, per difenderla fino all’ultimo, come nobile atto di coraggio; è mezzanotte, ed in città si è combattuto per più di quattro ore; ma l’assedio è durato quasi tutta la giornata.

 

E dunque Idril, Tuor ed Eärendel fuggono, e con loro vi sono Voronwë, amico del principe, ed anche Glorfindel, Galdor ed Egalmoth; sono questi gli unici dei dieci principi ad essere sfuggiti alle fiamme ed alle armi dei nemici: solo quattro su dieci. E qui vi è il dolce e toccante momento del distacco: Eärendil che ricorda alcuni degli Elfi che gli sono stati cari, quali Salgant ed il buon Ecthelion: il primo soleva intrattenere il piccolo con storie buffe, mentre il secondo suonava per lui, oppure gli fabbricava flauti di salice; ma i due non ci sono più, così come non ci sono più Meglin, Turgon, Penlod, Duilin e Rog.

 

Ma nonostante stiano ormai fuggendo, non è finita: un agguato rischia di eliminarli, ma le aquile che risiedono sui monti accorrono in loro aiuto; e tuttavia, Glorfindel dai capelli d’oro si ritrova a combattere solo contro il demone, vestito nella sua splendente armatura dorata. Con balzi enormi i due giungono a pugnare su un pinnacolo instabile, e qui il valore dell’Elfo sembra sopraffare la malvagità del Balrog; ma questi, poco prima di cadere, colpito molte volte dalla rapida spada del principe, afferra con una delle sue zampe i lunghi capelli di Glorfindel, i quali uscivano dall’elmo, e lo trascina con sé nell’abisso.

 

Così termina l’estenuante assedio di Gondolin, anche se le disavventure e le vite di quei prodi vanno avanti: Tuor e Idril si perderanno in mare, cercando Ulmo; Egalmoth seguirà Eärendel, ma verrà ucciso quando Melko (oppure Maedhros, secondo Sil; qui non si accenna mai ad Egalmoth, ma Elwing è rapita proprio dai figli di Fëanor) attaccherà Elwing (moglie del giovane Eärendel, figlia di Dior, figlio di Beren e Luthien); Galdor farà lo stesso, ma riuscirà a sfuggire a quel giorno tremendo; e di Glorfindel si sa (ma questa è una notizia che compare solo in Sil) che si reincarnerà in Valinor, per poi tornare nuovamente nella Terra di Mezzo, ed abitare così con Elrond, figlio di Eärendel, a Gran Burrone.

 

Di questa battaglia, così lunga da narrare, si potrebbe parlare all’infinito: potrei istituire molti paragoni tra questo scritto ed i classici greci e latini, sia parlando di alcuni personaggi, sia dello stile, sia di alcuni topoi (forme ricorrenti) letterari. Potrei parlare per pagine del valore della lealtà e del coraggio tra gli Elfi, con un parallelo con la filosofia orientale ed, in particolare, con quella giapponese (lo sprezzo della morte in favore di un atteggiamento onorevole, leale e valoroso); le differenze con altri testi di Tolkien, soprattutto con quelli più tardi; i valori simbolici dei personaggi (ognuno eccelle in una caratteristica: bellezza, altezza, forza, valore, voce, e molte altre), e molte altre cose ancora; ma risulterebbe un lavoro troppo imponente, di non facile lettura.

 

Mi limiterò a far notare come questa battaglia sia la più grande esaltazione del valore degli Elfi, ed il più grande documento che testimonia la superiorità di questi nei confronti degli uomini: sebbene sia assai controversa la questione dell’altezza degli Elfi (non si sa bene se Tolkien li considerasse più o meno alti e robusti degli umani: parrebbe che in origine fossero più forti e prestanti, ma con il tempo siano andati perdendo le loro originarie caratteristiche), non si può certo negare che il valore di questo bel popolo è ineguagliato ed ineguagliabile, così come l’illimitato coraggio che gli elfi dimostrano. Dunque, quando qualcuno vi parlerà degli Elfi come i soliti pestiferi folletti delle fiabe nordiche, beh, potrete stupire questi ignoranti con le grandi gesta di Ecthelion, di Galdor o di Glorfindel, e di tutti gli altri grandi principi.

 

 

 

 

 

LE BATTAGLIE DELLA II ERA

 

 

 

 

Le spedizioni di Ar-Pharazôn

 

Nonostante la seconda Era sia stata molto lunga, essa fu caratterizzata principalmente, almeno nella prima parte, da lunghi anni di pace. I sovrani di Númenor erano illuminati e giusti, ed il loro unico desiderio era quello di conoscere i mari; le uniche guerre che furono combattute furono quelle contro Sauron, che spadroneggiava nella Terra di Mezzo. I più grandi movimenti militari, ed anche i più folli, vi furono tra il 3260 ed il 3319: il periodo del regno del folle Ar-Pharazôn. Egli, per prima cosa, si lanciò contro Sauron con una grandissima flotta (era questa la grande forza degli uomini di allora, la flotta marina; un po' come Atene, in età classica) e schiere di forti uomini; e quando si accampò, Sauron giunse a sottomettersi, riconoscendo la superiorità dei Dúnedain; ma tutto questo era stato progettato e studiato ad arte.

 

Sauron pervertì la mente già corrotta del re, lo votò all'adorazione della Tenebra, che aveva come suo signore Melkor; e lo spinse all'azione più folle di tutte: assaltare Valinor, spodestare i Valar nel nome di Melkor. Ed Ar-Pharazôn, ormai vecchio e bramoso di potere, ascoltò i consigli del fraudolento Maia, preparò l'esercito più grande che si fosse mai veduto a Númenor, allestì la flotta più imponente di tutti i tempi, e salpò. Gli unici guerrieri che non lo seguirono furono Elendil, i suoi figli e tutti i Fedeli, i qual salparono verso la Terra di Mezzo, e che fonderanno poi, in seguito, i regni di Arnor e Gondor. Amandil, padre di Elendil, invece, tenterà di ripetere l'ardua impresa di Eärendil, cioè domandare il perdono dei Valar; ma giungerà troppo tardi.

 

La caduta di Numenor

 

Nell'Akallabeth, il racconto della Caduta di Númenor, si parla bene della flotta di Ar-Pharazôn: il folle re avanzò con essa, varcò i Mari Ombrosi, che nascondevano Valinor, superò Tol Eressëa, la patria degli Eldar, e giunse infine alla baia di Eldamar. Mai uomo aveva posto piede su quelle terre, tranne Eärendil, che era mezzelfo, ed i suoi compagni; e comunque nessuno ne era mai tornato vivo. Nonostante le tempeste e le sciagure scatenate dai Valar su Númenor, Ar-Pharazôn non aveva desistito; non si era voltato nemmeno alla vista delle orde di aquile di Manwë; ma esitò alla vista di Taniquetil, immobile e candido, che si stagliava contro il cielo ancora azzurro, prima del tramonto; ma pose lo stesso il suo piede, e con lui molti dei suoi, ai piedi delle Pelòri.

 

Quello fu troppo. Manwë, esasperato, e con lui tutti gli Ainur, eccetto Sauron e quegli spiriti pervertiti da Melkor nell'antichità, quali i Balrog, invocarono Eru, e rimisero a lui il dominio del mondo; ed Ilúvatar scatenò la sua potenza, con tempeste sui mari; la maggior parte della flotta del folle Ar-Pharazôn affondò, ed i compagni del re furono sepolti sotto colline che crollarono su di loro, come una sentenza di morte, per risvegliarsi solo in occasione dell'Ultima Battaglia. Ed anche Númenor cadde, inabissandosi a causa dell'empietà del suo sire; e con l'isola affondò anche Sauron, il fautore di quel disastro; il quale però si salvò, per tornare a breve a tormentare il mondo.

 

Questo è l'unico esempio che abbiamo in cui si vede schierata la potente flotta Numenoreana; ma non si sa alcunché sulle loro tattiche di guerra; per conoscerle bisogna attendere la fine della seconda e, poi, la terza era.

 

La battaglia di Dagorlad e l'assedio di Barad-dûr e L'ultima Alleanza

 

Siamo nell'anno 3429 della Seconda Era. Sauron compie una mossa molto astuta, attaccando Gondor fintanto che le sue forze non sono complete; è arduo il compito di Anárion, figlio di Elendil, che difende Osgiliath, mentre Elendil ed Isildur si trovano a fuggire verso la nordica Annúminas. Il figlio rimasto a Gondor riesce nella difesa disperata del regno, e scaccia Sauron, ma si tratta di una tregua fittizia: vi è aria di grandi scontri. Elendil, dunque, si reca a consiglio con il grande Ereinon, detto in lingua Sindarin Gil-Galad, l'ultimo dei grandi re dei Noldor in esilio. I due concordano dunque di muovere una volta per tutte contro la fonte del potere oscuro di Sauron: Mordor. Elendil ed Isildur radunano tutti i loro Dúnedain ad Amon Sûl, ed ivi attendono le schiere di elfi radunate da Gil-Galad e Círdan; si dirigono poi verso Imladris, roccaforte di Elrond, e vi stazionano per ben tre anni, forgiando molte armi, e preparandosi alla dura guerra.

 

Giunge dunque il 3434, ed i due re, degli uomini e degli elfi, decidono di dipartirsi dalla sicura Imladris, e percorrono rapidamente la valle dell'Anduin verso sud; e durante il viaggio si uniscono a loro schiere di tutti i popoli e le razze esistenti: animali e bestie andarono al fianco degli elfi di Thranduil, o dei nani di Moria, per unirsi all'Ultima Alleanza di Uomini ed Elfi. Anche Anárion si unì al padre ed al fratello, e l'esercito, a cui partecipavano tutti gli elfi della Terra di Mezzo, oltre che moltissimi altri esseri viventi, incontrò la schiera di Sauron sul campo di Dagorlad, la Piana della Battaglia. Si dice che l'esercito radunato da Elendil e Gil-Galad sia stato il più grande che mai abbia solcato la Terra di Mezzo dopo che i Valar mossero guerra a Melkor, durante la guerra dell'Ira. E probabilmente, solo nella Dagor Dagorath esso sarà superato. Per mesi i due eserciti si fronteggiano sulla piana sassosa di Dagorlad, finché l'Alleanza prevale, ed incalza Sauron fino alle porte di Barad-dûr; e lì rimangono, Gil-Galad ed Elendil, cingendo la torre d'assedio per sette lunghi anni. L'Oscuro Signore utilizza ogni metodo per eliminare i suoi nemici, ma senza successo: le frecce dei suoi orchi ed i suoi fuochi non possono niente contro la potente moltitudine, né le numerose sortite hanno alcun effetto. Finché Sauron decide di prendere la situazione in mano.

 

Indossato il suo Unico Anello, esce lui stesso da Barad-dûr, e si porta sulle pendici del Monte Fato, là dove il suo Anello ha più potere; ed infatti semina morte tra le fila degli elfi e degli umani; però, pochi coraggiosi lo incalzano, lo sfidano e duellano con lui: sono essi Gil-Galad, brandendo la sua fiera lancia Aeglos, ed Elendil, che agitava Narsíl. Con loro viene anche il coraggioso Isildur, che però non interviene immediatamente. Per tutto il giorno i due re combattono contro l'Oscuro Signore, in un duello degno del titanico scontro tra Fingolfin e Melkor, il primo dei quali era nonno del grande re degli Elfi che ora rischia la vita contro il malefico Sauron. Alla fine, i due guerrieri, stremati, sono sopraffatti e schiacciati dalla mazza del malvagio, ma ecco che giunge proprio Isildur, e raccogliendo il mozzicone della spada del padre, Narsíl, rottasi poco prima, mena un fendente impetuoso, e mozza un dito a Sauron; anzi, il dito dell'Anello. Questi, sconfitto, si dissolve, ed il suo spirito fugge, mentre il suo esercito è sconfitto; ma la vittoria non è definitiva, ché Isildur si rifiuta di gettare subito l'anello nel Monte Fato, e finire così quell'incubo. E questo lo porterà alla rovina, sui Campi Iridati… ma questa è tutta un'altra storia, che va narrata come prima battaglia della Terza Era.

 

In definitiva, le battaglie della Seconda Era hanno molta meno importanza rispetto a quelle della Prima; non perché non ve ne furono di gloriose (l'Ultima Alleanza compì grandissime gesta), ma perché Tolkien stesso ce ne fornisce poche informazioni. In esse si vede l'elemento che prenderà piede sempre di più nell'era successiva: la predominanza degli umani, anche in campo militare. Infatti, nonostante nella battaglia di Dagorlad sono sempre e comunque gli elfi a fare la differenza, in quanto non ve ne sono dalla parte di Sauron, sono gli umani a fungere, diciamo, da ago della bilancia; è da loro infatti che parte la grande iniziativa dell'attacco, ed è grazie ad essi che questo riesce. Le tattiche dei Dúnedain si vedranno poi meglio nella Terza Era, almeno in quanto Tolkien ci fornisce un accurato racconto del disastro dei Campi Iridati. D'ora in poi, gli elfi abbandoneranno quasi del tutto la loro caratteristica tattica di guerra, cioè quell'impetuosa forza che li aveva caratterizzati in queste due ere, e combatteranno principalmente per imboscate, in quanto rimarranno quasi solo Sindar, nella Terra di Mezzo.

 

 

 

 

 

LE BATTAGLIE DELLA III ERA

 

 

 

 

 

Il Disastro dei Campi Iridati

 

Una volta sconfitto Sauron, Isildur fece ritorno al reame affidatogli dal padre Elendil, Gondor. Vi restò un anno, e durante quell’anno provvide a ristabilire l’ordine. Ma a nord lo attendeva il reame di Arnor, un tempo sotto il dominio di Elendil e ora, a causa della morte di quest’ultimo, divenuto possesso di Isildur. Così Isildur affidò Gondor al nipote, Meneldil, e partì ai primi di Iavanneth, (il nostro settembre), contando di raggiungere Granburrone, dove aveva lasciato la moglie e suo figlio Valandil, in circa quaranta giorni. Isildur aveva intenzione di partire da Osgiliath e procedere verso nord lungo le valli dell’Anduin, fino a raggiungere l’Altopasso, superato il quale si sarebbe trovato a breve distanza da Granburrone. Egli partì con i tre figli Elendur, Aratan e Ciryon scortato da duecento valorosissimi soldati. Il ventesimo giorno, quando arrivarono in vista di Bosco Atro, una fitta pioggia li accolse, costringendoli ad allontanarsi dall’Anduin perché questi rischiava di straripare. Il trentesimo giorno superarono i limiti settentrionali dei Campi Iridati, e a tramonto inoltrato, videro un gran numero di Orchi provenienti da Bosco Atro attaccarli. Non era possibile quantificare le forze nemiche; ad ogni modo, il rapporto Dúnedain-Orchetti era intorno agli 1 contro 10. Isildur ordinò di disporre una muraglia di scudi su due file serrate, che all’occorrenza potevano chiudersi formando un cerchio. Mentre gli Orchi si stavano avvicinando, Isildur si rivolse al suo scudiero, Othar, e gli porse un fodero con i frammenti di Narsil, la spada di Elendil, orinandogli di portarla in salvo a qualsiasi costo. Dapprima gli Orchi fecero cadere un pioggia di frecce sui soldati, ma le loro corazze númenórean ressero bene; poi tentarono un attacco diretto contro la muraglia di scudi, ma vennero respinti dalle lunghe lance dei soldati di Isildur. L’ondata di Orchetti si ritirò, lasciandosi dietro un mucchio di Orchetti morti e senza aver inflitto la minima perdita ai Dúnedain. Così Isildur condusse il suo esercito in fondo alla valle, convinto che gli Orchetti non avrebbero più attaccato; mentre scendeva la notte, percorso che ebbero un miglio in direzione dell’Anduin, i soldati númenóreani si videro accerchiare a un enorme esercito di Orchetti, che avevano formato un cerchio perfetto che si chiuse intorno a loro. Gli Orchi si fermarono a distanza di sicurezza, fuori dalla portata degli archi Númenórean, anche se Isildur disponesse di soli venti arcieri. Ad un certo punto si udì un suono di corni, e gli Orchetti si avventarono con terribile ferocia sull’esercito dei Dúnedain. Gli Orchi pagavano uno scotto di uno a cinque, ma era il massimo che potessero fare. Durante questo scontro cadde Ciryon, e Aratan morì cercando di salvarlo. Elendur, allora, andò da Isildur, che stava riorganizzando le forza nel settore est, e gli pregò di scappare, portando in salvo l’Anello che questi aveva strappato a Sauron due anni prima. Isildur allora infilò l’Anello e scomparì: tuttavia, era ancora visibile il suo Elendilmir, la stella argentata che i Re di Arnor portano sulla fronte; allora si coprì con il cappuccio, e fuggì verso il corso dell’Anduin a fondovalle. Giunto alle rive del Grande fiume, si tolse la corazza e le armi più pesanti, rimanendo solo con una corta spada appesa alla cintura. L’Anduin era un fiume difficile da attraversare a nuoto persino per un Dúnedain forte come lui. Dapprima cercò di attraversarlo in linea retta da una sponda all’altra, poi, visto che la corrente lo sospingeva a sud, si diresse controcorrente, verso nord. D’un tratto rimase intrappolato fra erbe e giunchi del corso d’acqua, e nel tentativo di liberarsi l’Anello, ansioso di liberarsi dell’attuale padrone, gli cadde, là dove non l’avrebbe potuto trovare mai più. Isildur uscì dall’acqua su un isolotto non lontano dalla riva occidentale, ma per sua sfortuna egli era tornato visibile e gli Orchetti che pattugliavano quelle zone lo videro molto bene. Essi scagliarono tutte le loro frecce e scapparono, ma inutilmente: i loro dardi trafissero cuore e gola di Isildur, senza che egli potesse emettere un grido; e nessuno lo vide mai più sulla Terra di Mezzo.

 

 

La Guerra contro Angmar (Carn Dùm)

 

 

Nel 1409 Terza Era Il Re degli Stregoni di Angmar invade il Regno del Nord (Arnor). Re Arveleg I viene ucciso. Difesa di Fornost e di Gorthad: " Fortezza Settentrionale ", città Númenórean sulle Colline Settentrionali di Eriador, un tempo era la sede dei Re. Distruzione della torre di Amon Sul: " Colle del Vento " nel Regno di Arnor ("Vetta del Tempo" ne Il Signore degli Anelli). Vedi Colle Vento. Un tempo vi era una torre che custodiva uno dei Palantíri; dopo l'assalto delle forze di Angmar, e la distruzione della torre (1409),il Palantír fu posto in salvo a Fornost. Il Palantír di Amon Sûl, detto anche Palantír del Nord era particolare, si diveva fosse svincolato dagli altri, e che attraverso esso fosse possibile guardare al di la' del mare. Nel 1974 T.E Le forze di Angmar prendono Fornost; il resto del Regno del Nord è distrutto. Nel 1975 Eärnur di Gondor porta un esercito a Nord: EƒRNUR, Figlio di Eärnil; ultimo re di Gondor, con il quale il lignaggio di Anárion si estinse. Fu egli che entrò a cavallo alle porte di Minas Morgul per sfidare il re di questa. Grande come valore, ma non quanto a saggezza, Eärnur era un uomo di decisa potenza fisica e carattere focoso. Non voleva prendere moglie, perchè il suo unico piacere erano la lotta e le armi, e a Gondor in queste arti nessuno poteva euguagliarlo. Fu mandato al Nord dal padre in aiuto di Arvedui, ma prima che questi potesse giungere ai porti del Lindon Arthedain era già conquista ed il suo Regno estinto. Quando finalmente giunse ai rifugi oscuri, fu grande gioia tra Elfi ed Uomini: grande era la sua flotta, anche se non era che un'infinitesimo di quella di Gondor. Cirdan allora radunò molti uomini ed uniti marciarono contro il Re degli Stregoni di Angmar, che ormai regnava a Fornost. Dura fu la battaglia, ma le Due Stirpi ebbero la meglio, ed il Re degli Stegoni fu costretto a fuggire a Carn Dûm, ma prima che potesse raggiungerla Eärnur, al comando della cavalleria di Gondor, tra cui vi erano i principi del Rhovanion gli bloccò la strada. Nello stesso tempo Glorfindel guidava una grossa schiera da Gran Burrone. Allora il Re degli Stregoni apparve in persona, con un manto ed una maschera neri e si gettò sul Capitano di Gondor, ma il cavallo di Eärnur impaurito si voltò e lo trascinò via. Allora il Re di Angmar rise, e non trovando avversari svanì. Allora Eärnur tornò al galoppo, ma Glorfindel lo fermò "Non l'inseguire! Lontano è ancora il suo destino, ed egli non cadrà per mano di uomo!". E nessuno dimenticò questa profezia. Quando fu incoronato nel 2043, il Re di Minas Morgul lo sfidò a duello, ma Mardil il Sovrintendente riuscì a calmarlo. In quei giorni Minas Anor, divenuta capitale ai tempi di Re Telemmnar mutò il nome in Minas Tirith, perchè da allora fu sempre in guardia contro gli orrori di Morgul. Sette anni dopo, egli stesso entrò a cavallo alle porte di Minas Morgul per sfidare il re di questa; ma i Nazgûl lo presero e lo portarono via e nessun occhio umano più lo vide. Con egli finì il Regno del Sud, ed in sua vece, mentre la corona di Elendil giaceva in mano a re Eärnil nelle Case dei Morti, il Sovrintendente continuò a governare Gondor. Troppo tardi per salvare il regno del Nord, egli avanza, ma perde la Battaglia di Fornost. Angmar viene distrutta.

 

La Battaglia di Azanulbizar

 

E' la grande Battaglia che pose fine alla guerra tra Orchi e Nani. Fu combatuta nella valle di Azanulbizar (da cui il nome della battaglia) davanti ai cancelli Orientali di Moria. Nel corso dello scontro Dain il Nano, ancora adolescente, uccise il Re degli Orchi Azog. Come erede di Thorin prese il nome di Dáin II e fu Re Sotto la Montagna. Morì combattendo durante la Guerra dell'Anello.

 

 

La Battaglia dei Cinque Eserciti

 

 

Dopo la morte di Smaug, la notizia che il tesoro dei Nani di Erebor era rimasto incustodito si sparse in fretta. Subito un esercito degli Elfi di Thranduil si mosse verso Erebor, così come un esercito degli Uomini che abitavano sul Lago Lungo: questi ultimi sapevano che una parte del tesoro custodito in Erebor era stato loro sottratto da Smaug quando il Drago compiva le sue razzie, così essi si mossero verso la Montagna Solitaria per riappropriarsene. Dopodiché, essi si allearono con gli Elfi e si accamparono ai piedi di Erebor.

Nel frattempo, a nord, presso il monte Gundabad, gli Orchetti si stavano radunando; essi tuttavia non sapevano ancora della morte di Smaug, notizia che li raggiunse solamente mentre essi erano in marcia verso Erebor. La vera ragione della battaglia che volevano scatenare era inizialmente per vendicare la morte del Grande Orco, ucciso dai Nani di Thorin Scudodiquercia e da Gandalf nei Monti Brumosi; tuttavia, dopo aver appreso che il tesoro di Erebor era incustodito, essi avevano un motivo in più per scatenare una grande battaglia. I Nani di Thorin intanto avevano fortificato l’entrata della Montagna Solitaria, e stavano resistendo agli assalti degli Uomini del lago e degli Elfi; Thorin stesso inviò un messaggio a suo cugino Dáin Piediferro, capo degli Elfi dei Monti Ferrosi, perché questi gli inviasse un esercito di 500 soldati. Proprio mentre gli Elfi e gli Uomini stavano cominciando l’assalto, Gandalf arrivò e li avvisò che gli Orchetti, alleati ai lupi, si stavano appropinquando a Erebor; così Elfi, Nani e Uomini del Lago si allearono per fronteggiare il nemico comune.

Gli Elfi si appostarono nella parte meridionale di Erebor, mentre i Nani si posizionarono alle pendici orientali. Una schiera di s


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GIL GALAD
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Inviato il 04 gennaio 2004 21:59 Autore

.....Gli Orchetti cominciarono a ritirarsi, e la vittoria sembrava ormai sicura, quando venne dato l’allarme: un’armata di Orchetti aveva scavalcato Erebor, e ora stava discendendo il pendio per attaccare Elfi e Uomini. Thranduil e Bard avevano previsto quest’evenienza, ma avevano tenuto con loro solamente pochi uomini, non sufficienti a resistere all’impeto degli Orchetti. Nella valle, l’esercito di Bolg tornò all’attacco, e gli Elfi, gli Uomini e i Nani cominciarono a combattere su due fronti contro forze superiori. Poi Thorin e i pochi Nani che erano con lui buttarono giù il muro che avevano costruito per fortificare l’entrata della caverna e uscirono; Thorin chiamò a sé con voce tonante tutti gli Uomini, i Nani e gli Elfi che erano sopravvissuti. Questi fecero un fronte compatto e respinsero gli Orchetti giù dalle pendici di Erebor fino nella valle. Dopodiché il loro attacco si trasformò in difesa, siccome i lati erano rimasti scoperti; i soldati di Bolg li attaccarono, e fu in questa circostanza che Thorin fu ferito a morte. Gli Orchetti ripresero ad attaccare Bard, il Re degli Elfi e i loro soldati, che vennero respinti; questi non avrebbero resistito a lungo se non fossero sopraggiunte le Aquile, che scaraventarono giù dai picchi gli Orchetti. Gli Uomini e gli Elfi scesero nella valle per aiutare i soldati in difficoltà; ad un certo punto, nell’ultima ora della battaglia, comparse Beorn, trasformato in un enorme e possente orso: nessuna arma sembrava in grado di ferirlo, e Beorn prese Bolg e lo uccise. Alla fine, la forza di Beorn, l’attacco delle aquile e la morte di Bolg fermarono l’orda di Orchetti e Lupi. Tre quarti degli Orchetti perirono nella Battaglia dei Cinque Eserciti; gli altri scapparono o finirono nel Fiume Fluente. Con la vittoria di Elfi, Nani e Uomini, Dáin Piediferro divenne il nuovo Re dei Nani di Erebor, e Thorin Scudodiquercia fu seppellito nel cuore della Montagna Solitaria.

 

 

La Battaglia dei Guadi dell’Isen

 

 

Senza dubbio la Battaglia dei Guadi dell’Isen rappresenta un capitolo fondamentale della storia del Rohan e della Guerra dell’Anello. Questa grande battaglia si svolge tra i Rohirrim, capeggiati da Théodred, Grimbold e in seguito da Elfelmo, e gli Orchi, i cavalcalupi e gli adepti (principalmente provenienti dal Dunland e da sempre nemici acerrimi dei Rohirrim)di Saruman. La battaglia, che causò gravi sconfitte all’esercito di Théoden, come peraltro anche la morte di Théodred, figlio del re del Riddenmark, ebbe inizio il 25 febbraio del 3019. Tutto cominciò appunto quel giorno, quando Théodred si stava dirigendo insieme a Grimbold ai guadi dell’Isen con molti dei suoi soldati. I Rohirrim si rendevano conto che quello poteva essere un punto nevralgico per quanto riguardava la difesa del Rohan, ma sapevano anche molto bene che Saruman poteva fare arrivare le sue truppe da entrambe le rive dell’ Isen, in quanto Isengard si trovava proprio alle foci del suddetto fiume. Ci si aspettava un attacco di Saruman, ma esso arrivò prima del previsto, preceduto dalle informazioni degli esploratori di Théodred che lo avevano avvertito di uno spostamento di truppe perlopiù sulla riva occidentale dell’Isen. Così, una volta fatti guarnire gli accessi orientali e occidentali ai Guadi, Théodred portò con sé dalla riva occidentale otto compagnie di cavalieri e una di arcieri. Ma quando i Rohirrim si scontrarono con l’avanguardia dell’esercito di Saruman, ci si accorse subito che i nemici erano ben disposti sul campo di battaglia. Théodred, guardando ad est, vide accorrere una compagnia di soldati di Saruman sull’altra sponda del fiume, così ordinò subito la ritirata. Giunto ai guadi, dispose altri rinforzi sulla riva occidentale sotto il comando di Grimbold, quindi mandò la maggior parte dei suoi uomini sull’altra riva e rimase sull’isolotto centrale con pochi altri uomini; ma non fecero in tempo a disporsi sul campo, che subito gli Orchetti attaccarono e fecero una strage sulla riva est. Contemporaneamente, i reparti di Saruman all’ovest attaccarono l’esercito di Grimbold, che si precipitò sull’isolotto per difendere Théodred, ma tutto fu vano, perché questi venne ucciso da un grande uomo-orco. Anche Grimbold se la sarebbe vista brutta, se non fosse arrivato Elfelmo, partito da Edoras, portando con sé quattro compagnie per aiutare i reparti di Théodred. I reparti di Elfelmo caricarono gli Isengardiani, costringendoli a fuggire a nord, e quindi si precipitarono sull’isolotto, dove trovarono Grimbold e Théodred morente, che disse: “Lasciatemi qui, a tenere i Guadi finché arriva Éomer !” . Entrambe le rive dell’Isen tornano momentaneamente in mano ai Rohirrim. Grimbold ed Elfelmo erano discordanti sul da farsi; decisero così che Grimbold avrebbe fatto guarnire l’accesso occidentale con buona parte dei suoi fanti, portando il reso dei suoi soldati con sé sulla riva orientale. Elfelmo invece dispose il suo esercito sulla riva orientale, per frenare l’avanzata degli Isengardiani da quella parte.

A mezzogiorno del 2 marzo, Saruman attaccò a ovest, impegnando l’esercito di Grimbold, il quale accorse di persona su quel versante per aiutare i suoi reparti; i reparti di Saruman furono decimati, ma Grimbold oramai poteva tenere solo la riva est. Elfelmo, che non aveva preso parte alla battaglia, ritirò un poco più a sud i propri reparti, raggiungendo nel tardo pomeriggio il campo di Grimbold. I due comandanti rimasero tutta la notte svegli, attendendo l’attacco decisivo di Saruman, che non si fece attendere: prima di mezzanotte, un fiume di fiaccole arrivò da nord sulla riva occidentale, riversandosi sui guadi. Grimbold organizzò una palizzata di scudi, che resse bene all’impatto. Grimbold attese invano l’aiuto di Elfelmo, a sua volta impegnato; Grimbold decise così di tentare una fuga verso sud, per poter raggiungere il Fosso di Helm e arrestare l’avanzata degli Isengardiani. La fuga riuscì, e l’esercito di Grimbold si sparpagliò, e per quanto possa sembrare indecoroso, fu proprio questa ritirata a consentire di organizzare una difesa più massiccia. Elfelmo aveva i suoi buoni motivi per non aiutare Grimbold: buaona parte delle truppe di Saruman era stata mandata a est dell’Isen, ma impiegò più tempo a raggiungere i Guadi, in quanto il terreno da quel versante è più aspro. Questi reparti erano preceduti dai cavalcalupi, che si interposero fra il campo di Grimbold e quello di Elfelmo. Così quest’ultimo fu costretto a ritirarsi a est, per salvare il suo esercito da quello ben superiore di Saruman…

 

 

La Battaglia del Fosso di Helm

 

 

La Battaglia del Fosso di Helm, detta anche Battaglia del Trombatorrione, ha luogo il 3 marzo del 3019 della Terza Età nel Rohan, in una fortezza fatta costruire molto tempo addietro da Helm Mandimartello in una valle dei Monti Bianchi e chiamata appunto il Fosso di Helm. Tre quarti della popolazione dell’Ovestfalda si era rifugiata nelle caverne del Fosso di Helm, dopo essersi ritirata di fronte alla devastazione causata dagli Orchetti di Saruman. Théoden stesso, il Re del Rohan, si trovava lì, per difendere il proprio popolo sino all’ultimo. Tuttavia pareva difficile riuscire a resistere ad un attacco da parte di quelli che, secondo Aragorn, erano almeno 10.000 uomini fra abitanti del Dunland e Uruk-hai. I soldati di Théoden erano invece solamente un migliaio, molti dei quali troppo vecchi o troppo giovani; del resto le mura del Fosso di Helm erano talmente spesse da poter permettere a quattro Uomini di camminare a fianco a fianco su di esse, protetti da un alto parapetto. Di notte cominciò l’assalto: immediatamente l’ondata di Orchetti fu fermata, poi essi ripresero con violenza ad assalire le mura e a cercare di sfondare i cancelli del Trombatorrione, la fortezza che si ergeva vicino alle mura del Fosso. Gli arieti erano quasi riusciti nella loro impresa, quando Aragorn ed Éomer, passando da un piccolo passaggio nascosto che conduceva davanti ai cancelli, si gettarono nella mischia sguainando le loro spade ed uccidendo decine di Orchetti terrorizzati; anche Gimli era lì con loro, facendo roteare la sua imponente ascia. Tre volte Aragorn ed Éomer fecero una sortita, e per tre volte respinsero il nemico; ma ad un tratto, quando tutte le frecce erano state scoccate e tutte le lance scagliate, ci si accorse che uno stuolo di Orchetti era strisciato attraverso la grata sotto le mura -attraverso la quale passava un fiumiciattolo- ed era penetrato nel Fosso. Gli Orchetti furono accerchiati ed infine annientati, ma la battaglia continuava ad infuriare all’esterno; la grata da cui erano passati gli Orchetti fu bloccata con delle pietre, ma ad un tratto si udì un fragore. Gli Orchetti, servendosi di un’invenzione di Saruman, fecero esplodere una parte delle mura e penetrarono all’interno cogliendo i difensori di sorpresa. Tutti i soldati di Théoden furono costretti a ripiegare nel Trombatorrione, cercando di difendere quest’ultima fortezza. Proprio quando tutto sembrava finito, Théoden decise di fare una sortita sul suo cavallo: alla sua destra vi era Aragorn e dietro di lui i Rohirrim: gli Orchetti erano terrorizzati e venivano travolti, mentre tutte le forze rimanenti nel Fosso di riversavano fuori dalle mura per respingere in un ultimo e disperato attacco il nemico. La sortita ebbe effetto, e gli Orchetti tentarono di scappare a valle, dove li attendeva una terribile sorpresa: l’esercito di Erkenbrand, uno dei marescialli della Marca di Rohan, era arrivato al Fosso di Helm per aiutare gli assediati: insieme a lui vi erano numerosi soldati e Gandalf. L’esercito di Erkenbrand si gettò sugli Orchetti rimasti fra loro e l’armata di Théoden, annientandone molti. Molti altri fuggirono via, ma ebbero un’altra sorpresa, apparentemente innocua: dove prima si estendevano verdi vallate, ora vi era un enorme bosco. Gli Orchetti sopravvissuti si rifugiarono all’interno del bosco, da dove non ne sarebbero mai più usciti: si trattava infatti degli Ent, da sempre acerrimi nemici degli Orchetti, che erano venuti per impartire una dura lezione al nemico. Così si chiuse la Battaglia del Fosso di Helm.

 

 

 

La Battaglia dei Campi del Pelennor

 

 

La Battaglia dei Campi del Pelennor fu sicuramente la più grande, aspra e cruenta battaglia combattuta durante le Guerre dell’Anello: le devastanti forze di Sauron volevano dare il colpo di grazia a Gondor attaccando la sua capitale, la splendida Minas Tirith.

Si narra che “Era dal tempo in cui Isildur regnava che un simile esercito non usciva da quella valle; mai schiera così crudele ed armata aveva assalito i guadi dell’Anduin; eppure non era che uno solo, e non il più grande degli eserciti usciti in quei giorni da Mordor.”; ed invero le truppe di Mordor erano, almeno numericamente, soverchianti. È da notare come Sauron non utilizzò dapprima tutte le truppe, ma ne lasciò molte di riserva a est dell’Anduin e come i popolosi feudi del Sud mandarono solo metà delle loro forze per paura di un attacco da parte dei Corsari di Umbar.

 

Ed ecco come si svolse, a partire dalla preparazione, la grande battaglia.

 

Il giugno dell’anno precedente era già stata presa Osgiliath; fu lì che il 12 marzo l’avanguardia dell’esercito costruì numerose zattere e passò l’Anduin.

 

Faramir si ritirò ai forti sul Rammas Echor, la grande cinta di mura attorno al Pelennor a protezione di Minas Tirith e lì resistette un giorno, ma quando il grosso dell’esercito nemico, per mezzo di ponti, si riversò oltre l’Anduin dovette abbandonare la posizione.

 

Il Rammas fu squarciato in due punti: a est dall’esercito proveniente da Osgiliath, ed a nord da quello proveniente da Cair Andros, costretta a cadere.

 

La ritirata di Faramir non ebbe successo, poiché seppur vicinissime alla città le sua truppe furono attaccate dai Nazgul che portarono grande scompiglio ed anche dagli Haradrim; il capitano stesso fu colpito da una loro freccia, ma furono tutti salvati da una provvidenziale sortita degli Uomini di Imrahil, che gridando “Amroth per Gondor!”, e “Amroth per Faramir!” si riversarono fuori impetuosamente. La sortita fu però richiamata immediatamente dopo il salvataggio ed i cancelli si richiusero.

 

I nemici presero immediatamente possesso del Pelennor, scavandovi trincee e appiccando fuoco ovunque. Furono anche poste catapulte e torri d’assedio.

 

La seconda notte, quella del 14 marzo, iniziò il vero e proprio assedio: i nemici fecero avanzare il possente ariete Grond, che nonostante la fiera resistenza riuscì infine ad abbattere il possente cancello di Minas Tirith, mai violato fino ad allora.

 

Il signore dei Nazgul, Angmar, entrò trionfante, ma Gandalf lo fronteggiò coraggiosamente intimandogli di andarsene. Il Nazgul non gli diede ascolto, e presto sarebbe finito tutto se in quel momento non fossero arrivati i Rohirrim in furiosa cavalcata suonando i loro corni a capovolgere ancora una volta le sorti. Arrivati dalle veccie del Rammas a nord, i Rohirrim si divisero in tre parti per ordine di Theoden: Elfhelm a destra verso le torri d’assedio, Grimbold a sinistra ed Eomer con i suoi a sfondare il centro, con il Re che presto li superò tutti. Attaccarono e sconfissero per primi gli Haradrim con la cavalleria, ma all’improvviso i cavalli impazzirono per l’arrivo di Angmar; in uno scontro epico, il Signore dei Nazgul fu prima fronteggiato dal Re Theoden che rimase ucciso, e poi dallo Hobbit Merry e da Dama Eowyn, che con uno sforzo sovrumano, e rimanendo gravemente ferita lo sconfisse, rendendo vera la profezia che diceva che Angmar non sarebbe mai stato ucciso da un “uomo”. Anche i cavalli del gruppo di Eomer impazzirono, per essersi troppo avvicinati ai Mumakil, le enormi bestie degli Haradrim.

 

Era ormai la mattina del 15 marzo, e sul campo scesero anche le residue forze di Gondor capitanate dal Principe Imrahil e le truppe di riserva di Mordor che avevano passato l’Anduin. E fu Eomer, isolato in cima ad una collina, a scorgere per primo le navi che risalivano l’Anduin verso l’approdo di Harlond, e l’iniziale sgomento per l’arrivo dei pirati si trasformò presto in gioia alla vista del grande vessillo spiegato dalla prima nave: un albero argentato, simbolo di Gondor, questa volta circondato da sette stelle e sormontato da una corona in campo nero, che annunciava il ritorno del Re.

 

Le schiere nemiche attaccate da tre parti (Imrahil da ovest, Aragorn da sud ed Eomer da nord) da guerrieri finalmente rinfrancati iniziarono a vacillare, e “presi fra il martello e l’incudine”, sebbene ancora superiori di numero, alla fine del giorno furono definitivamente sconfitti.

 

“Il sole scomparve infine dietro il Mindolluin empiendo il cielo di un grande incendio[…]. A quell’ora terminò la grande battaglia del campo di Gondor, ed entro la cerchia del Rammas non rimase un solo nemico vivente.”.

 

Il terribile scontro era stato vinto, ma ancora non era finita la guerra, né l’anello era stato distrutto; ma questa vittoria rinfrancò gli animi a Gondor in vista dell’epilogo, e fece per la prima volta tremare l’Oscuro Signore.

 

La Battaglia del Morannon

 

 

Due giorni dopo la Battaglia dei Campi del Pelennor Aragorn decise di condurre un esercito fino al Cancello Nero con un duplice intento: sfidare Sauron e sviare ancora il piL’esercito era in ù a lungo possibile la sua attenzione da Frodo e Sam. principio composto da che scesero a 6000 totali poiché 1000 cavalieri e 6000 fanti, alcuni furono lasciati di guardia al Crocevia, altri si staccarono per il terrore eccessivo che si subiva marciando nella desolazione del Morannon: essi furono da Aragorn mandati a riconquistare Cair Andros.

Tre volte al giorno si facevano squillare le trombe seguite dall’annuncio della venuta del Re, ma nessuno raccolse la sfida; ci fu solo una scaramuccia con alcuni orchetti che volevano tendere una trappola, ma scoperti per tempo furono sconfitti dai cavalieri.

Le forze di Gondor si disposero davanti al cancello ben sapendo che esso come tutto il terreno circostante brulicava di nemici. Inoltre, i Nazgul svolazzavano attorno alle Torri dei Denti.

Finalmente il cancello si aprì e ne uscì un emissario di Sauron; dopo una breve trattativa, peraltro solo formale e di nessuna utilità, questi lasciò spazio alle debordanti forze di Mordor, dieci o più volte superiori a quelle di Gondor.

Queste ultime si schierarono in due cerchi attorno a due colline di macerie; a sinistra erano Aragorn, Gandalf, i figli di Elrond e i Dunedain, a destra Eomer, Imrahil, i cavalieri di Dol Amroth e gli Uomini scelti della Torre di Guardia, tra i quali Beregond e Pipino.

Furono subito circondati dall’esercito nemico uscito dal Morannon, dalle colline circostanti, da dietro la torre settentrionale dove si erano nascosti gli Esterling. A salvare le forze alleate circondate giunsero provvidenziali le Aquile dal nord che piombarono sui Nazgul e, ovviamente, la distruzione dell’Anello che fece sbandare le forze nemiche: le creature di Sauron si tolsero la vita e lasciarono a combattere gli Uomini di Rhun e Harad; questi in gran parte fuggirono o si arresero, ed i rimanenti che, riorganizzati, provarono a combattere furono presto sconfitti.

 

La Battaglie nel Nord

 

 

Nel marzo del 3019 T.E. si arrivò al culmine della situazione, che dopo un periodo di tensione crescente infine scoppiò con la rivelazione di Aragorn a Sauron (guardando in una Palantìr). Fu dopo questa rivelazione che Sauron decise finalmente di attaccare: riservato lo sforzo maggiore contro Gondor, i primi attacchi furono diretti al nord, contro Lorien, Bosco Atro ed Erebor.

Lorien venne attaccata per ben tre volte dalle forze oscure di Dol Guldur, la seconda volta il famoso 15 marzo, data anche della battaglia dei Campi del Pelennor. Respinti, gli orchetti si spostarono a sud verso Rohan, ma furono intercettati e sconfitti dagli Ent provenienti da Isengard e Fangorn.

Le rimanenti forze di Dol Guldur attaccarono Re Thranduil a Bosco Atro, sempre il 15 marzo, ma dopo una grande battaglia furono battuti.

L’ultimo assalto fu portato all’estremo nord agli uomini di Dale ed ai Nani di Erebor: gli Esterling alleati di Sauron attaccarono battaglia il 15 marzo presso Dale e dopo tre giorni di lotta riuscirono ad assediare Uomini e Nani rinchiusi nella Montagna, dopo aver ucciso sia Re Brand sia Re Dain Piediferro.

Gli Esterling non riuscirono ad entrare, e quando il 25 fu distrutto l’Anello tutti i servi di Sauron, privati della loro guida, sbandarono e furono sgominati dalle forze alleate sia a Dol Guldur, distrutta da Celeborn e Thranduil, sia ad Erebor.

Con perdite importanti ma soprattutto grande valore il nord si salvò così dalla minaccia di Mordor; anche Gandalf ebbe occasione di rimarcare l’importanza della vittoria: “Eppure le cose sarebbero potute andare assai diversamente, e molto peggio.Quando penserete alla grande Battaglia del Pelennor, non dimenticate le Battaglie della Valle e il coraggio del Popolo di Durin. Pensate a ciò che sarebbe potuto accadere. Fuochi di Draghi e spade selvagge nell’Eriador, notte cupa a Gran Burrone.[...]”.Ma come ricorda Gandalf, il vero attacco di Sauron fu inferto a sud, dove si decise il destino della Terra di Mezzo.

 

La Battaglia di Lungacque

 

 

L’ultima battaglia combattuta nella terra di Gondor di cui ci è dato sapere si combatté il 3 novembre 3019 T.E. a Lungacque nella Contea, e vide scontrarsi gli Uomini di Sharkey (ovvero Saruman) con gli Hobbit capitanati dal quartetto di eroi di ritorno dal Sud.

Frodo, Sam, Merry e Pipino, appena arrivati - la sera del primo novembre - ai confini della Contea si resero immediatamente conto che qualcosa non andava: barriere e Guardiacontea aumentati a dismisura, regole restrittive per qualunque cosa, e soprattutto devastazione e desolazione un po’ ovunque. Non ci misero molto a decidere di rovesciare la situazione: dopo aver ridicolizzato le Guardie per tutto il tragitto verso Lungacque vi giunsero il pomeriggio del 2 novembre; qui Merry suonò il suo corno facendo in breve accorre una folta schiera di Hobbit, circa 200. Gli Hobbit si nascosero tutt’attorno l’incrocio tra la strada e il Viale Sud, furono erette due barriere, una all’inizio ed una alla fine del villaggio ed acceso un grande falò all’incrocio dietro al quale si mise ad aspettare Tom Cotton. Bene informati, i furfanti, una ventina, non tardarono ad arrivare; per l’occasione fu aperta una delle barriere in modo da farli passare per poi intrappolarli. Circondati, cercarono disperatamente di fuggire, ma una volta ucciso il loro capo essi si arresero.L a vera e propria Battaglia di Lungacque si combatté verso le 10 del mattino successivo.Già il giorno prima si era messo in marcia da Quadrivio un folto gruppo di uomini, ai quali se ne aggiunsero altri fino a superare il centinaio; ma anche le schiere degli Hobbit furono infoltite da un centinaio di Tuclandiani radunati in fretta e furia da Pipino. Merry, oramai a capo delle operazioni, scelse come campo di battaglia un tratto della strada fiancheggiato da alti argini sormontati da siepi; come il giorno precedente la strada fu bloccata con due barricate di carri rovesciati. Nuovamente i furfanti si ritrovarono circondati, ma questa volta reagirono e oltre ad una ventina che superò la seconda barriera (che non fecero una strada molto lunga, poiché tutta la campagna attorno era presidiata da Hobbit) i più scavalcarono l’argine occidentale concentrando tutto l’attacco in un punto solo: sarebbe finita male se Merry e Pipino non fossero giunti per tempo con dei rinforzi sufficienti a capovolgere le sorti. Merry stesso prima uccise il capo, poi fece mettere i suoi arcieri in cerchio attorno ai banditi sopravissuti, i quali ancora una volta tentarono la fuga disperata. Circa 70 di essi furono uccisi e poi seppelliti in un vicino pozzo di sabbia che da quel giorno prese il nome di Pozzo della Battaglia; i pochi superstiti furono presi prigionieri. Anche gli Hobbit subirono delle perdite, fatto più unico che raro nella storia della Contea: si contarono 19 morti ed una trentina di feriti. Finì così l’ultima battaglia della Guerra dell’Anello; la seguente morte di Vermilinguo e Saruman ed il sapiente lavoro compiuto dal Giardiniere Sam (grazie anche al dono di Dama Galadriel) che riportò pazientemente la devastata campagna alla normalità ricucirono definitivamente la ferita nella Contea, che riprese la sua vita di ogni giorno.


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GIL GALAD
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Inviato il 25 settembre 2004 15:22 Autore

Eccoti accontentato Albione, buona lettura......


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Lewyn Martell
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Lewyn Martell
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Inviato il 25 settembre 2004 19:33

Gil come al soilto sei stato un grande, è bellissimo lo leggerò subito... :figo:^_^^_^^_^

ma perchè non l'hai messo nella ormai celebre "Gil Galad è un esperto Tolkeniano"?


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Qhorin Halfhand
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Qhorin Halfhand
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Inviato il 02 ottobre 2004 0:42

Sempre più impressionante :figo::(:D


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